Science Fell in Love, So I Tried to Prove It [r=1-sinθ]
In questa serie si continuano a descrivere le gesta di Ayame Himuro e Shinya Yukimura, i due ricercatori del laboratorio di Ricerche dell'Informazione dell'Università di Saitama, e la loro personale "sfida" a dimostrare come si possa provare scientificamente di essere innamorati e a valutare quanto intensi siano i sentimenti che si possono provare.
Temevo che rispetto alla prima serie si potesse scadere nella eccessiva puerilità o nella ripetitività: già al termine della prima serie i due, pur non formando coppia in senso "tradizionale", hanno manifestato un certo (eufemisticamente scrivendo) interesse reciproco, con anche qualche bacetto e abbraccio.
Così in questa seconda serie, sempre composta da dodici episodi "canonici", di "Science Fell in Love, So I Tried to Prove It" (titolo originale: "Rikei ga Koi ni Ochita no de Shōmei Shite Mita", tradotto in "Ho provato a dimostrare che la scienza si è innamorata." - abbreviato "RikeKoi"), la trama delle peripezie "scientifico/logiche" si evolve, passando da una storia "Himuro/Yukimuro centrica" a una più aperta ad altri personaggi della saga, come se nel dipartimento in cui lavorano i due ricercatori ci sia una particolare "alchimia" tipo "Love is in the air"...
Viene introdotta un'altra coppia di ricercatori del laboratorio di scienze biologiche "molto particolari" per le loro effusioni e l'avvenenza della ragazza (Sui), mentre si approfondisce la conoscenza di Ana Ibarada, Kosuke e soprattutto Kotohnoha Kanade.
Probabilmente, l'allargamento del focus potrebbe rappresentare un "annacquamento" della trama, prima concentrata solo sui due protagonisti, e prima facie lo potrebbe essere: vedere l'evoluzione del rapporto tra Ibarada e Kosuke, sebbene simil rom-com scolastica di ragazzini delle medie o delle superiori, e poi il "dramma" di Kanade che vuole superare i sui problemi, finendo in un'avventura piuttosto brutta e pericolosa, farà storcere il naso a coloro che avrebbero preferito concentrarsi sull'evoluzione dei primi due.
Invece, ma probabilmente leggo tra le righe considerazioni che forse non appartengono allo scopo della serie, mi sembra che l'anime voglia in qualche modo offrire qualche spunto di considerazione sul concetto di "amore" e in generale su quello di "normalità" delle persone e delle proprie interazioni con gli altri, il tutto inserito in un contesto ovviamente molto light e spensierato, a tratti quasi infantile, in cui i personaggi si muovono e si evolvono.
Evito di spoilerare la trama, di cui posso solo anticipare che anche in questi dodici episodi non sarà risolutiva, e posso scrivere che emergono alcuni spunti "interessanti", sebbene il tenore dell'opera sia quello del "poco impegnato".
L'approfondimento del personaggio di Kanade è forse quello più ricco di spunti di interesse in relazione al suo atteggiamento molto convenzionale e piuttosto "poco originale" (o molto convenzionale) in un ambiente in cui, ad iniziare dal professore, tutti i ricercatori sono molto "particolari" ("fuori di testa" è un simpatico eufemismo) e non si fanno molti problemi ad essere come realmente sono, sia tra di loro sia nelle interazioni con il mondo esterno.
Si potrebbero scrivere migliaia di parole sul suo personaggio e sulla sua psicologia: in sostanza, Kanade, per dei trascorsi relativi al suo passato (un grande amore finito male - ma, aggiungo, in un modo molto surreale e ricco della solita equivocità tipica di opere del tipo al quale appartiene "RikeKoi"), ha adottato una maschera per apparire quello che non è, anche e soprattutto in ambito sentimentale, ma non solo... Si capisce che di fondo lei è diventata ciò che volevano gli altri (i genitori, i familiari, i prof, gli amici, ecc.) e non è mai riuscita ad affermare la propria personalità, adattandosi sempre e cercando di non arrecare mai fastidio agli altri che decidevano per lei... paradigmatica la questione del colore della cartella da acquistare quando iniziò le scuole elementari.
In questa situazione esistenziale di "maschera" pirandelliana, lei va in "cortocircuito", e alla fine non sa più capire chi e cosa le piace, con chi uscire e trascorrere il suo tempo, cumulando errori su errori di valutazione del suo problema e soffrendo terribilmente. Se il "dramma" interiore di Kanade è tutto sommato ben abbozzato e intuibile (sebbene un tantinello forzato...), meno convincente è lo scopo in base al quale viene "introdotto".
Non posso spoilerare il finale, ma posso scrivere che in fondo è una trovata per, come si suol scrivere, "allungare il brodo", e quindi perde un poco di efficacia e valore, tanto più che in parallelo viene tratteggiato in modo altrettanto "forte e significativo" il carattere di Shinya Yukimura, che solo in apparenza sembra essere ispirato al solito stereotipo del ragazzo secchione, scontroso, duro e puro, incapace di approcciare in modo affabile e convenzionale gli altri e di transigere nei rapporti umani.
In realtà viene abbozzato come una persona di una sensibilità di non poco conto, capace non solo di capire chi gli sta di fronte, intuirne i problemi e, soprattutto, di aiutarli in ogni modo e sempre con un approccio disinteressato e senza secondi fini, tanto da risultare un personaggio a suo modo affascinante. Ayame Himuro, purtroppo, resta ancorata al personaggio già noto della prima serie e, al contrario di Yukimura, rimane nel suo cono d'ombra, senza brillare particolarmente se non per la sua "avvenenza" e il suo essere sempre più "slave to love", ossia alla mercé delle sue pulsioni sentimentali nei confronti di Yukimura, con l'aggravante che stona un po', a livello umano, il suo atteggiamento nei confronti di Kanade, una volta che scopre i veri sentimenti di lei... Ma in fondo ci può anche stare, proprio per portare avanti la storia degli esperimenti sull'amore.
Sugli altri personaggi non mi dilungo, in quanto sono e restano un po' delle "macchiette" (peccato...) e non vengono particolarmente approfonditi, se non in modo strumentale ai fini della trama. L'occasione persa è proprio su Ibarada e Kosuke, ma anche gli altri "nuovi" (mi riferisco alla nuova coppia formata da Chris e Sui) vengono resi in modo molto parziale e tutto sommato coerente con il genere dell'opera.
Di sicuro, l'originalità della prima serie con le spiegazioni "pseudo-scientifiche" degli esperimenti che Ayame e Shinya mettevano buffamente in atto si è andata via via perdendo o diradando a favore della trama e degli avvenimenti più tipici di una serie rom-com, e ciò può rappresentare un minus, ma, aggiungo io, necessario per tener viva la serie e fare da preludio a una probabile terza serie su altri fronti delle ricerche e degli esperimenti.
Lato tecnico, nulla da aggiungere a quanto già recensito per la prima serie del 2020: disegni, colori e animazioni buone, con un chara design morbido e ricco di dettagli, anche e soprattutto per l'espressività degli occhi e degli sguardi. Lato opening e ending abbiamo un comparto musicale simpatico, in armonia con il genere rom-com.
Ritorno, per concludere, sul tema che è rimasto un po' sottotraccia del concetto di "normalità", che viene qua e là affrontato, ma che in fondo è anche un po' uno dei leit motiv "impliciti" della serie tra la prima e la seconda serie. E, in fondo, sebbene in modo molto superficiale e scanzonato, la serie sembra proprio rappresentare un inno al messaggio universale dell'amore in tutte le sue sfaccettature e le sue manifestazioni, in cui il concetto di "normalità" perde di significato se inteso come "convenzionale" o "socialmente" o "moralmente" accettato.
In fondo, anche se non in modo dirompente e rivoluzionario, il messaggio di fondo che passa è quello della tolleranza verso sé stessi e gli altri, senza presunzione di giudizio e di possibile discriminazione.
Temevo che rispetto alla prima serie si potesse scadere nella eccessiva puerilità o nella ripetitività: già al termine della prima serie i due, pur non formando coppia in senso "tradizionale", hanno manifestato un certo (eufemisticamente scrivendo) interesse reciproco, con anche qualche bacetto e abbraccio.
Così in questa seconda serie, sempre composta da dodici episodi "canonici", di "Science Fell in Love, So I Tried to Prove It" (titolo originale: "Rikei ga Koi ni Ochita no de Shōmei Shite Mita", tradotto in "Ho provato a dimostrare che la scienza si è innamorata." - abbreviato "RikeKoi"), la trama delle peripezie "scientifico/logiche" si evolve, passando da una storia "Himuro/Yukimuro centrica" a una più aperta ad altri personaggi della saga, come se nel dipartimento in cui lavorano i due ricercatori ci sia una particolare "alchimia" tipo "Love is in the air"...
Viene introdotta un'altra coppia di ricercatori del laboratorio di scienze biologiche "molto particolari" per le loro effusioni e l'avvenenza della ragazza (Sui), mentre si approfondisce la conoscenza di Ana Ibarada, Kosuke e soprattutto Kotohnoha Kanade.
Probabilmente, l'allargamento del focus potrebbe rappresentare un "annacquamento" della trama, prima concentrata solo sui due protagonisti, e prima facie lo potrebbe essere: vedere l'evoluzione del rapporto tra Ibarada e Kosuke, sebbene simil rom-com scolastica di ragazzini delle medie o delle superiori, e poi il "dramma" di Kanade che vuole superare i sui problemi, finendo in un'avventura piuttosto brutta e pericolosa, farà storcere il naso a coloro che avrebbero preferito concentrarsi sull'evoluzione dei primi due.
Invece, ma probabilmente leggo tra le righe considerazioni che forse non appartengono allo scopo della serie, mi sembra che l'anime voglia in qualche modo offrire qualche spunto di considerazione sul concetto di "amore" e in generale su quello di "normalità" delle persone e delle proprie interazioni con gli altri, il tutto inserito in un contesto ovviamente molto light e spensierato, a tratti quasi infantile, in cui i personaggi si muovono e si evolvono.
Evito di spoilerare la trama, di cui posso solo anticipare che anche in questi dodici episodi non sarà risolutiva, e posso scrivere che emergono alcuni spunti "interessanti", sebbene il tenore dell'opera sia quello del "poco impegnato".
L'approfondimento del personaggio di Kanade è forse quello più ricco di spunti di interesse in relazione al suo atteggiamento molto convenzionale e piuttosto "poco originale" (o molto convenzionale) in un ambiente in cui, ad iniziare dal professore, tutti i ricercatori sono molto "particolari" ("fuori di testa" è un simpatico eufemismo) e non si fanno molti problemi ad essere come realmente sono, sia tra di loro sia nelle interazioni con il mondo esterno.
Si potrebbero scrivere migliaia di parole sul suo personaggio e sulla sua psicologia: in sostanza, Kanade, per dei trascorsi relativi al suo passato (un grande amore finito male - ma, aggiungo, in un modo molto surreale e ricco della solita equivocità tipica di opere del tipo al quale appartiene "RikeKoi"), ha adottato una maschera per apparire quello che non è, anche e soprattutto in ambito sentimentale, ma non solo... Si capisce che di fondo lei è diventata ciò che volevano gli altri (i genitori, i familiari, i prof, gli amici, ecc.) e non è mai riuscita ad affermare la propria personalità, adattandosi sempre e cercando di non arrecare mai fastidio agli altri che decidevano per lei... paradigmatica la questione del colore della cartella da acquistare quando iniziò le scuole elementari.
In questa situazione esistenziale di "maschera" pirandelliana, lei va in "cortocircuito", e alla fine non sa più capire chi e cosa le piace, con chi uscire e trascorrere il suo tempo, cumulando errori su errori di valutazione del suo problema e soffrendo terribilmente. Se il "dramma" interiore di Kanade è tutto sommato ben abbozzato e intuibile (sebbene un tantinello forzato...), meno convincente è lo scopo in base al quale viene "introdotto".
Non posso spoilerare il finale, ma posso scrivere che in fondo è una trovata per, come si suol scrivere, "allungare il brodo", e quindi perde un poco di efficacia e valore, tanto più che in parallelo viene tratteggiato in modo altrettanto "forte e significativo" il carattere di Shinya Yukimura, che solo in apparenza sembra essere ispirato al solito stereotipo del ragazzo secchione, scontroso, duro e puro, incapace di approcciare in modo affabile e convenzionale gli altri e di transigere nei rapporti umani.
In realtà viene abbozzato come una persona di una sensibilità di non poco conto, capace non solo di capire chi gli sta di fronte, intuirne i problemi e, soprattutto, di aiutarli in ogni modo e sempre con un approccio disinteressato e senza secondi fini, tanto da risultare un personaggio a suo modo affascinante. Ayame Himuro, purtroppo, resta ancorata al personaggio già noto della prima serie e, al contrario di Yukimura, rimane nel suo cono d'ombra, senza brillare particolarmente se non per la sua "avvenenza" e il suo essere sempre più "slave to love", ossia alla mercé delle sue pulsioni sentimentali nei confronti di Yukimura, con l'aggravante che stona un po', a livello umano, il suo atteggiamento nei confronti di Kanade, una volta che scopre i veri sentimenti di lei... Ma in fondo ci può anche stare, proprio per portare avanti la storia degli esperimenti sull'amore.
Sugli altri personaggi non mi dilungo, in quanto sono e restano un po' delle "macchiette" (peccato...) e non vengono particolarmente approfonditi, se non in modo strumentale ai fini della trama. L'occasione persa è proprio su Ibarada e Kosuke, ma anche gli altri "nuovi" (mi riferisco alla nuova coppia formata da Chris e Sui) vengono resi in modo molto parziale e tutto sommato coerente con il genere dell'opera.
Di sicuro, l'originalità della prima serie con le spiegazioni "pseudo-scientifiche" degli esperimenti che Ayame e Shinya mettevano buffamente in atto si è andata via via perdendo o diradando a favore della trama e degli avvenimenti più tipici di una serie rom-com, e ciò può rappresentare un minus, ma, aggiungo io, necessario per tener viva la serie e fare da preludio a una probabile terza serie su altri fronti delle ricerche e degli esperimenti.
Lato tecnico, nulla da aggiungere a quanto già recensito per la prima serie del 2020: disegni, colori e animazioni buone, con un chara design morbido e ricco di dettagli, anche e soprattutto per l'espressività degli occhi e degli sguardi. Lato opening e ending abbiamo un comparto musicale simpatico, in armonia con il genere rom-com.
Ritorno, per concludere, sul tema che è rimasto un po' sottotraccia del concetto di "normalità", che viene qua e là affrontato, ma che in fondo è anche un po' uno dei leit motiv "impliciti" della serie tra la prima e la seconda serie. E, in fondo, sebbene in modo molto superficiale e scanzonato, la serie sembra proprio rappresentare un inno al messaggio universale dell'amore in tutte le sue sfaccettature e le sue manifestazioni, in cui il concetto di "normalità" perde di significato se inteso come "convenzionale" o "socialmente" o "moralmente" accettato.
In fondo, anche se non in modo dirompente e rivoluzionario, il messaggio di fondo che passa è quello della tolleranza verso sé stessi e gli altri, senza presunzione di giudizio e di possibile discriminazione.
È una seconda stagione che si discosta dalla visione di quella precedente, allontanandosi un po' dalla goffaggine e "pucciosità" della coppia principale ed esplorando invece un po' di più i personaggi secondari. In particolare, tramite alcuni di questi vengono esaminati temi molto interessanti ed estremamente attuali.
Il problema è il come ciò viene fatto, perché in alcuni episodi la serie riesce a toccarti, ma in altri (non dico quali, per evitare spoiler...) ti fanno cascare i cosiddetti per la banalità nella caratterizzazione di alcuni personaggi e l'assurdità di certe situazioni.
Insomma, ho l'impressione che ci fosse l'intenzione di dare una svolta netta rispetto alla stagione precedente, ma che non avessero ben chiare le idee sul come farlo, e che dunque abbiano ammassato una sull'altra un insieme di idee (potenzialmente valide se prese singolarmente e sviluppate a modo), creando quello che alla fine si è rivelato almeno in parte un pastrocchio caotico.
È davvero difficile giudicare una serie con alti e bassi di questo livello, ma è innegabile che nel complesso mi ha divertito abbastanza: personaggi spesso interessanti, pochi momenti di ristagno nella trama, buon doppiaggio, disegni ok.
Insomma, non mi pento di averla vista. Ma non so se questa seconda stagione la rivedrei una seconda volta...
Il problema è il come ciò viene fatto, perché in alcuni episodi la serie riesce a toccarti, ma in altri (non dico quali, per evitare spoiler...) ti fanno cascare i cosiddetti per la banalità nella caratterizzazione di alcuni personaggi e l'assurdità di certe situazioni.
Insomma, ho l'impressione che ci fosse l'intenzione di dare una svolta netta rispetto alla stagione precedente, ma che non avessero ben chiare le idee sul come farlo, e che dunque abbiano ammassato una sull'altra un insieme di idee (potenzialmente valide se prese singolarmente e sviluppate a modo), creando quello che alla fine si è rivelato almeno in parte un pastrocchio caotico.
È davvero difficile giudicare una serie con alti e bassi di questo livello, ma è innegabile che nel complesso mi ha divertito abbastanza: personaggi spesso interessanti, pochi momenti di ristagno nella trama, buon doppiaggio, disegni ok.
Insomma, non mi pento di averla vista. Ma non so se questa seconda stagione la rivedrei una seconda volta...