La principessa mononoke
È dagli anni ‘70 che nell’animazione giapponese vedo la tendenza, accanto a malvagi irriducibili e senza motivo, di far esistere personaggi (antagonisti del protagonista) in chiaroscuro.
In chiaroscuro c’è di sicuro Eboshi, la signora della città del ferro: prima di lei non esisteva nessun villaggio umano, ma lei, combattendo con gli spiriti della foresta, ha creato il villaggio, ha liberato le schiave delle terre umane vicine, riscattandole, si prende cura (quasi fosse un Raoul Follereau in gonnella) dei lebbrosi che vengono ghettizzati e allontanati da tutti. Inoltre, dobbiamo aggiungere che non ha paura di niente: uomo, spirito o Dio. Premesso questo, cioè che il personaggio è pieno di buone qualità, dobbiamo ammettere che lei è il cattivo, in quanto va dritta per la sua strada, dimostrandosi senza pietà nei confronti della Natura.
Non mi metterò qui a discutere della natura, se è benigna o maligna di per sé, quasi fossi un Leopardi, ma di certo Miyazaki critica la violenza dell’uomo su di essa e aggiunge che essa si ribellerà, per non farsi sopraffare: non bastano all’uomo le sue armi e la sua volontà di potenza.
Altro personaggio in chiaroscuro è San, ragazza abbandonata dai genitori nella foresta e cresciuta dai lupi (un po’ come era successo a Mowgli ne “Il libro della giungla”) e per questo schierata con gli animali e gli spiriti in questa lotta contro l’uomo che vuole distruggere l’esistente per arricchirsi: sì, perché c’è la lotta fra le due fazioni, fra il progresso dell’uomo e la sopravvivenza dell’ambiente. San, allevata dai lupi, è una feroce combattente... questo me la fa vedere in chiaroscuro: non più pietosa con gli avversari di Eboshi, entrambe possono dire di combattere in modo disumano in virtù di un bene superiore.
Il vero personaggio principale, il protagonista buono, è Ashitaka, il quale si trova ad esistere a metà fra la foresta e la città, capisce cosa c’è di buono di entrambe e cerca di aiutare i due mondi ad entrare in sintonia. Maledetto da un dio-cinghiale diventato un demone per colpa di Eboshi, non cerca vendetta su di essa. Vuole sì la salvezza della foresta, dei suoi animali, i suoi spiriti, i suoi Dei, senza volere per ciò la distruzione degli uomini. Pur schierandosi con il Dio cervo, non si schiera contro Eboshi. Se guardiamo attentamente il finale, ciò è chiaro. Ashitaka è un personaggio ponte.
Parlando del film, la cura è sempre la stessa che dimostrano gli artigiani dello studio Ghibli, e si riesce a vedere tranquillamente senza annoiarsi per le sue due ore e tredici minuti di durata.
In chiaroscuro c’è di sicuro Eboshi, la signora della città del ferro: prima di lei non esisteva nessun villaggio umano, ma lei, combattendo con gli spiriti della foresta, ha creato il villaggio, ha liberato le schiave delle terre umane vicine, riscattandole, si prende cura (quasi fosse un Raoul Follereau in gonnella) dei lebbrosi che vengono ghettizzati e allontanati da tutti. Inoltre, dobbiamo aggiungere che non ha paura di niente: uomo, spirito o Dio. Premesso questo, cioè che il personaggio è pieno di buone qualità, dobbiamo ammettere che lei è il cattivo, in quanto va dritta per la sua strada, dimostrandosi senza pietà nei confronti della Natura.
Non mi metterò qui a discutere della natura, se è benigna o maligna di per sé, quasi fossi un Leopardi, ma di certo Miyazaki critica la violenza dell’uomo su di essa e aggiunge che essa si ribellerà, per non farsi sopraffare: non bastano all’uomo le sue armi e la sua volontà di potenza.
Altro personaggio in chiaroscuro è San, ragazza abbandonata dai genitori nella foresta e cresciuta dai lupi (un po’ come era successo a Mowgli ne “Il libro della giungla”) e per questo schierata con gli animali e gli spiriti in questa lotta contro l’uomo che vuole distruggere l’esistente per arricchirsi: sì, perché c’è la lotta fra le due fazioni, fra il progresso dell’uomo e la sopravvivenza dell’ambiente. San, allevata dai lupi, è una feroce combattente... questo me la fa vedere in chiaroscuro: non più pietosa con gli avversari di Eboshi, entrambe possono dire di combattere in modo disumano in virtù di un bene superiore.
Il vero personaggio principale, il protagonista buono, è Ashitaka, il quale si trova ad esistere a metà fra la foresta e la città, capisce cosa c’è di buono di entrambe e cerca di aiutare i due mondi ad entrare in sintonia. Maledetto da un dio-cinghiale diventato un demone per colpa di Eboshi, non cerca vendetta su di essa. Vuole sì la salvezza della foresta, dei suoi animali, i suoi spiriti, i suoi Dei, senza volere per ciò la distruzione degli uomini. Pur schierandosi con il Dio cervo, non si schiera contro Eboshi. Se guardiamo attentamente il finale, ciò è chiaro. Ashitaka è un personaggio ponte.
Parlando del film, la cura è sempre la stessa che dimostrano gli artigiani dello studio Ghibli, e si riesce a vedere tranquillamente senza annoiarsi per le sue due ore e tredici minuti di durata.
Come nel caso di “Una tomba per le lucciole”, ci sono voluti mesi e mesi, prima che prendessi visione de “La Principessa Mononoke”, uno dei più celebri lungometraggi targato Hayao Miyazaki, conosciuto e, largamente, apprezzato in tutto il mondo. Da molti considerato il vero capolavoro del sensei, questo è stato il classico caso di film preceduto dalla sua fama. Chiunque abbia un minimo di interesse per l’animazione giapponese conosce “La Principessa Mononoke” e chiunque conosca lo Studio Ghibli lo ha visto almeno una volta nella propria vita. E tutte queste persone concordano su una cosa: “Mononoke Hime” (titolo originale dell’opera) è un autentico capolavoro. L’opera maestra di Miyazaki, in cui quest’ultimo ha condensato buona parte del suo pensiero e dei suoi sforzi, ripagati poi dall’enorme successo che il film ebbe nel 1997, quando uscì nelle sale. Nel corso di questi mesi, dunque, a furia di ascoltare e leggere infiniti panegirici sulla bellezza e profondità di quest’opera, il mio hype è schizzato alle stelle e le aspettative sono salite in maniera esponenziale, come un aereo che si stacca dalla pista e inizia a guadagnare quota in misura sempre maggiore. Il risultato, anche se in alto leggete il numero otto in grassetto, è ovviamente scontato. Per me, il film, complici i più rosei auspici che si sono accumulati nella mia mente, è stato una mezza delusione. Soprattutto se si pensa che un film tanto fiabesco e infantile come “Il mio vicino Totoro”, ben lungi dall’essere un film perfetto o profondo come “La Principessa Mononoke”, è ancora oggi il mio Ghibli preferito, a cui ho attribuito un nove pieno.
Siamo nel Giappone medievale, in una remota terra a Est, dove vivono gli ultimi rimasti del glorioso popolo Emishi. Il protagonista della storia è il principe Ashitaka. Un giorno, il suo villaggio viene attaccato dal dio-cinghiale Nago, ormai tramutatosi in demone, e si vede costretto ad ucciderlo, attirando su di sé una terribile maledizione, che gli ricopre quasi interamente il braccio e si espande sempre di più, minacciando la sua stessa vita. A questo punto, ad Ashitaka non resta che un’unica opzione, mettersi in viaggio per scoprire cosa sta succedendo di tanto grave da mutare uno spirito della foresta in demone e per cercare una cura al male che lo affligge. Avendo come unico indizio il pezzo di metallo che ha ferito a morte il dio-cinghiale, il giovane si dirige verso Ovest. Dopo un lungo viaggio, raggiunge la Città del Ferro, al cui comando si trova una donna, Eboshi. Qui, scopre che gli uomini della città disboscano la foresta per procurarsi le materie prime per la produzione del metallo e, per questo motivo, vengono continuamente ostacolati dagli spiriti della foresta. Per fronteggiarli, Eboshi si è fatta costruire su misura delle armi da fuoco e, proprio con queste, ha ferito a morte Nago. Assieme agli abitanti della foresta che combattono gli uomini, c'è anche San, una giovane ragazza crescita dai lupi, che odia Eboshi con tutte le sue forze. Ashitaka cercherà in tutti i modi di fermare il conflitto fra gli spiriti della foresta e gli uomini, finendo, allo stesso tempo, per innamorarsi di San.
Ora, gusto personale o meno, la mia onestà intellettuale mi impone una doverosa premessa. “La Principessa Mononoke” è, effettivamente, un capolavoro, in cui si nota tutto l’impegno di Miyazaki. E, ancor prima che contenutisticamente, l’opera è un capolavoro di natura tecnica mai vista prima. Sarà che prima era tutto diverso, più tradizionale, sarà che prima si faceva tutto a mano, senza l’ausilio della CGI, sarà che, visivamente parlando, i film Ghibli sono sempre una gioia per gli occhi, ma per me “La Principessa Mononoke” è tecnicamente ineccepibile. Le ambientazioni, che ci raccontano di un Giappone medievale, sono stupende e riescono a coinvolgere completamente lo spettatore. Le animazioni sono di una fluidità e pulizia inusitate. I fondali sono sublimi e l’uso, oserei dire obbligato, di colori vivaci, come il verde e l’azzurro, tendono a conferire all’opera quell’aura magica, riscontrabile sono negli altri lavori dello stesso Miyazaki e in nessun’altro regista. Raramente, anzi mai, mi sono trovato dinanzi a un lavoro di questo tipo. Magari per voi la perfezione non esiste, ma per me sì, e questo film, tecnicamente parlando, è perfetto. Per non parlare, poi, delle musiche dell’ineguagliabile Joe Hisaishi. Flauto, pianoforte e violino, questi gli strumenti musicali che ricorrono con maggiore assiduità nel corso del film e contribuiscono alla sua spettacolarità.
Sul piano dei contenuti, siamo dinanzi a una simil summa del pensiero miyazakiano. In questo film, si concentrano alcuni dei temi a lui più cari: l’interesse per la mitologia giapponese, a cui il sensei dà una certa importanza, lasciando spazio ai vari esseri viventi che abitano la foresta, come i kodama, i teneri spiritelli che risiedono negli alberi; l’emancipazione femminile, che vede le donne svolgere un ruolo di primaria importanza nella Città del Ferro, quello di far funzionare la fucina e permettere, dunque, la costruzione delle armi da fuoco; e infine, il tema più importante e sentito, l’amore per la natura e lo scontro che quest’ultima ha inevitabilmente “ingaggiato” con l’uomo. Un tema che, oggi più che mai, sentiamo vicino a noi. Un figlio che non riesce a prendersi cura della propria madre, che gli ha dato la vita, e un luogo da chiamare casa, che lo ha cresciuto amorevolmente, dandogli tutto il necessario per vivere e sopravvivere. Un figlio irriconoscente, a cui non sono bastati i doni affettuosi della madre. Un figlio insaziabile che, per cercare di avere l’impossibile, ha sfidato la propria madre e le sue leggi, arrivando a uno scontro inevitabile e doloroso, per entrambi. Questo perché, come si dice nel film, desiderare ogni cosa che stia in cielo o in terra è il destino dell’uomo. Questa è la situazione in cui si trovano uomo e natura. Una situazione da cui è possibile venir fuori, perché le guerre possono essere fermate, se lo si vuole davvero. “La Principessa Mononoke” ci parla chiaramente di questo conflitto e di questa inconciliabilità, ma soprattutto traccia la strada da prendere, per porre un rimedio a tutto ciò. Un messaggio forte e attuale, per un’opera fortemente didascalica, che meriterebbe di essere studiata a scuola.
Seppur nella sua grandiosità, però, il film presenta, a mio avviso, delle grosse pecche a livello narrativo. A tratti confusionario e poco lineare, ma soprattutto incomprensibile. Sono diversi i passaggi intermedi che, ancora adesso, faccio fatica a comprendere e digerire. Scelte che vengono prese senza una reale motivazione e scene alla Renè Ferretti, capitemi la citazione, che stonano completamente con il resto del film e mi hanno “turbato” per il resto della sua visione. Da questo punto di vista, si poteva fare certamente meglio e, per quanto possa sembrare strano, tanto poco è bastato per non farmi innamorare completamente de “La Principessa Mononoke”.
Nonostante ciò, il danno è lieve e il film resta ugualmente godibile, anzi godibilissimo, anche al netto della sua, non breve, durata. Occhio, però, al doppiaggio cannarsiano, perché quello rischia di rovinarvi completamente l’esperienza. Una volta tanto, andate con il sottotitolato e godetevi questo capolavoro.
Siamo nel Giappone medievale, in una remota terra a Est, dove vivono gli ultimi rimasti del glorioso popolo Emishi. Il protagonista della storia è il principe Ashitaka. Un giorno, il suo villaggio viene attaccato dal dio-cinghiale Nago, ormai tramutatosi in demone, e si vede costretto ad ucciderlo, attirando su di sé una terribile maledizione, che gli ricopre quasi interamente il braccio e si espande sempre di più, minacciando la sua stessa vita. A questo punto, ad Ashitaka non resta che un’unica opzione, mettersi in viaggio per scoprire cosa sta succedendo di tanto grave da mutare uno spirito della foresta in demone e per cercare una cura al male che lo affligge. Avendo come unico indizio il pezzo di metallo che ha ferito a morte il dio-cinghiale, il giovane si dirige verso Ovest. Dopo un lungo viaggio, raggiunge la Città del Ferro, al cui comando si trova una donna, Eboshi. Qui, scopre che gli uomini della città disboscano la foresta per procurarsi le materie prime per la produzione del metallo e, per questo motivo, vengono continuamente ostacolati dagli spiriti della foresta. Per fronteggiarli, Eboshi si è fatta costruire su misura delle armi da fuoco e, proprio con queste, ha ferito a morte Nago. Assieme agli abitanti della foresta che combattono gli uomini, c'è anche San, una giovane ragazza crescita dai lupi, che odia Eboshi con tutte le sue forze. Ashitaka cercherà in tutti i modi di fermare il conflitto fra gli spiriti della foresta e gli uomini, finendo, allo stesso tempo, per innamorarsi di San.
Ora, gusto personale o meno, la mia onestà intellettuale mi impone una doverosa premessa. “La Principessa Mononoke” è, effettivamente, un capolavoro, in cui si nota tutto l’impegno di Miyazaki. E, ancor prima che contenutisticamente, l’opera è un capolavoro di natura tecnica mai vista prima. Sarà che prima era tutto diverso, più tradizionale, sarà che prima si faceva tutto a mano, senza l’ausilio della CGI, sarà che, visivamente parlando, i film Ghibli sono sempre una gioia per gli occhi, ma per me “La Principessa Mononoke” è tecnicamente ineccepibile. Le ambientazioni, che ci raccontano di un Giappone medievale, sono stupende e riescono a coinvolgere completamente lo spettatore. Le animazioni sono di una fluidità e pulizia inusitate. I fondali sono sublimi e l’uso, oserei dire obbligato, di colori vivaci, come il verde e l’azzurro, tendono a conferire all’opera quell’aura magica, riscontrabile sono negli altri lavori dello stesso Miyazaki e in nessun’altro regista. Raramente, anzi mai, mi sono trovato dinanzi a un lavoro di questo tipo. Magari per voi la perfezione non esiste, ma per me sì, e questo film, tecnicamente parlando, è perfetto. Per non parlare, poi, delle musiche dell’ineguagliabile Joe Hisaishi. Flauto, pianoforte e violino, questi gli strumenti musicali che ricorrono con maggiore assiduità nel corso del film e contribuiscono alla sua spettacolarità.
Sul piano dei contenuti, siamo dinanzi a una simil summa del pensiero miyazakiano. In questo film, si concentrano alcuni dei temi a lui più cari: l’interesse per la mitologia giapponese, a cui il sensei dà una certa importanza, lasciando spazio ai vari esseri viventi che abitano la foresta, come i kodama, i teneri spiritelli che risiedono negli alberi; l’emancipazione femminile, che vede le donne svolgere un ruolo di primaria importanza nella Città del Ferro, quello di far funzionare la fucina e permettere, dunque, la costruzione delle armi da fuoco; e infine, il tema più importante e sentito, l’amore per la natura e lo scontro che quest’ultima ha inevitabilmente “ingaggiato” con l’uomo. Un tema che, oggi più che mai, sentiamo vicino a noi. Un figlio che non riesce a prendersi cura della propria madre, che gli ha dato la vita, e un luogo da chiamare casa, che lo ha cresciuto amorevolmente, dandogli tutto il necessario per vivere e sopravvivere. Un figlio irriconoscente, a cui non sono bastati i doni affettuosi della madre. Un figlio insaziabile che, per cercare di avere l’impossibile, ha sfidato la propria madre e le sue leggi, arrivando a uno scontro inevitabile e doloroso, per entrambi. Questo perché, come si dice nel film, desiderare ogni cosa che stia in cielo o in terra è il destino dell’uomo. Questa è la situazione in cui si trovano uomo e natura. Una situazione da cui è possibile venir fuori, perché le guerre possono essere fermate, se lo si vuole davvero. “La Principessa Mononoke” ci parla chiaramente di questo conflitto e di questa inconciliabilità, ma soprattutto traccia la strada da prendere, per porre un rimedio a tutto ciò. Un messaggio forte e attuale, per un’opera fortemente didascalica, che meriterebbe di essere studiata a scuola.
Seppur nella sua grandiosità, però, il film presenta, a mio avviso, delle grosse pecche a livello narrativo. A tratti confusionario e poco lineare, ma soprattutto incomprensibile. Sono diversi i passaggi intermedi che, ancora adesso, faccio fatica a comprendere e digerire. Scelte che vengono prese senza una reale motivazione e scene alla Renè Ferretti, capitemi la citazione, che stonano completamente con il resto del film e mi hanno “turbato” per il resto della sua visione. Da questo punto di vista, si poteva fare certamente meglio e, per quanto possa sembrare strano, tanto poco è bastato per non farmi innamorare completamente de “La Principessa Mononoke”.
Nonostante ciò, il danno è lieve e il film resta ugualmente godibile, anzi godibilissimo, anche al netto della sua, non breve, durata. Occhio, però, al doppiaggio cannarsiano, perché quello rischia di rovinarvi completamente l’esperienza. Una volta tanto, andate con il sottotitolato e godetevi questo capolavoro.
Giappone, periodo Muromachi. Un gigantesco spirito-cinghiale, trasfigurato in un demone a causa del rancore, attacca un villaggio degli Emishi. Per salvare la propria gente, il giovane principe Ashitaka è costretto ad ucciderlo, ma nello scontro viene ferito al braccio e infettato dal rancore dello spirito-cinghiale, che si manifesta come una piaga che, a poco a poco, colpirà tutto il suo corpo. Nei resti del dio-cinghiale viene trovata una misteriosa palla di ferro: è stato il dolore provocato da quel proiettile a trasformare il dio-cinghiale. Consultata la sciamana del villaggio, Ashitaka apprende che il maleficio lo porterà alla morte, perciò lascia per sempre la terra natale e s'incammina verso ovest, luogo di provenienza del demone, alla ricerca di una possibile cura.
Considerato uno dei più grandi successi di Hayao Miyazaki e dello studio Ghibli, “La principessa Mononoke” rappresenta un’opera che basa la sua bellezza sulla sua profonda maturità, che va al di là della violenza brutale e dei fiumi di sangue che scorrono copiosi su schermo, e avvolge temi e personaggi nella loro interezza. Il film, anziché proporre una trita e bicromatica morale ambientalista (Natura buona, Uomo cattivo), pone l’accento sull'odio incondizionato, sull'oscurità che esso genera e sulle sue terribili conseguenze. Un lungometraggio perfetto, senza errori, tranne per l’adattamento in italiano di Gualtiero Cannarsi...
Considerato uno dei più grandi successi di Hayao Miyazaki e dello studio Ghibli, “La principessa Mononoke” rappresenta un’opera che basa la sua bellezza sulla sua profonda maturità, che va al di là della violenza brutale e dei fiumi di sangue che scorrono copiosi su schermo, e avvolge temi e personaggi nella loro interezza. Il film, anziché proporre una trita e bicromatica morale ambientalista (Natura buona, Uomo cattivo), pone l’accento sull'odio incondizionato, sull'oscurità che esso genera e sulle sue terribili conseguenze. Un lungometraggio perfetto, senza errori, tranne per l’adattamento in italiano di Gualtiero Cannarsi...
Un altro grande capolavoro firmato Hayao Miyazaki.
La storia ha un ritmo lento e cadenzato, ma presenta una successione di scene lineare con una profondità unica e irripetibile nei temi. La grafica è armonica, ed è un'unica cosa con la musica che le fa da sfondo e da contorno. I personaggi sono ben impostati e in piena fusione con la natura circostante, e presentano una coscienza e una consapevolezza che non si era vista prima negli altri film del Maestro. Tutto è fuso in un'unica entità, ed è questo il messaggio che il Maestro Miyazaki vuole lasciarci con questo suo grande capolavoro, insieme alla lezione più importante, cioè prenderci cura gli uni degli altri come se fossimo un'unica, grande famiglia.
È come se questo film fosse a sé stante, pur riprendendo le tematiche consuetudinarie dei film del Grande Maestro, e le mettesse in risalto al massimo della loro potenza, per incidere nella vita di tutti il messaggio universale della necessità della convivenza tra la natura e i suoi abitanti, siano essi esseri umani o animali o piante e/o altre specie.
Come in tutti i film di Miyazaki, vi è presente un simbolismo e una lunga serie di allusioni e metafore che ben illustrano questo messaggio. Il contrasto tra la foresta, simbolo di un passato rurale e di armonia con la natura, dove gli animali diventano i protettori di tale armonia, e la Città del Ferro, simbolo del passaggio graduale da tale armonia alla turbolenza della modernità nella società giapponese.
Altra tematica affrontata è quella delle donne e di altre figure femminili che sono le protagoniste di questo e degli altri film di Miyazaki, e che ricoprono ruoli decisivi, come a segnare il loro impegno per la causa comune e il loro desiderio di riscatto personale in una società dove in realtà esse svolgerebbero un ruolo subalterno e secondario.
Qui occorre distinguere, palesemente, i risultati positivi, come le mogli dei uomini uccisi che si impegnano per la comunità e Mononoke per la protezione della foresta e dei suoi abitanti, da quelli negativi come Eboshi, la quale, pur perseguendo un nobile obiettivo, ne nasconde un altro decisamente all'opposto.
Un altro particolare per mezzo del quale questo film si distingue dagli altri film del Maestro è l'elemento del sangue, quasi a comunicarci che la natura è veramente viva e che soffre per mano delle nostre azioni sciagurate, incoscienti e irresponsabili, le quali rischiano di culminare nell'annientamento della stessa e di tutti gli esseri viventi.
La storia ha un ritmo lento e cadenzato, ma presenta una successione di scene lineare con una profondità unica e irripetibile nei temi. La grafica è armonica, ed è un'unica cosa con la musica che le fa da sfondo e da contorno. I personaggi sono ben impostati e in piena fusione con la natura circostante, e presentano una coscienza e una consapevolezza che non si era vista prima negli altri film del Maestro. Tutto è fuso in un'unica entità, ed è questo il messaggio che il Maestro Miyazaki vuole lasciarci con questo suo grande capolavoro, insieme alla lezione più importante, cioè prenderci cura gli uni degli altri come se fossimo un'unica, grande famiglia.
È come se questo film fosse a sé stante, pur riprendendo le tematiche consuetudinarie dei film del Grande Maestro, e le mettesse in risalto al massimo della loro potenza, per incidere nella vita di tutti il messaggio universale della necessità della convivenza tra la natura e i suoi abitanti, siano essi esseri umani o animali o piante e/o altre specie.
Come in tutti i film di Miyazaki, vi è presente un simbolismo e una lunga serie di allusioni e metafore che ben illustrano questo messaggio. Il contrasto tra la foresta, simbolo di un passato rurale e di armonia con la natura, dove gli animali diventano i protettori di tale armonia, e la Città del Ferro, simbolo del passaggio graduale da tale armonia alla turbolenza della modernità nella società giapponese.
Altra tematica affrontata è quella delle donne e di altre figure femminili che sono le protagoniste di questo e degli altri film di Miyazaki, e che ricoprono ruoli decisivi, come a segnare il loro impegno per la causa comune e il loro desiderio di riscatto personale in una società dove in realtà esse svolgerebbero un ruolo subalterno e secondario.
Qui occorre distinguere, palesemente, i risultati positivi, come le mogli dei uomini uccisi che si impegnano per la comunità e Mononoke per la protezione della foresta e dei suoi abitanti, da quelli negativi come Eboshi, la quale, pur perseguendo un nobile obiettivo, ne nasconde un altro decisamente all'opposto.
Un altro particolare per mezzo del quale questo film si distingue dagli altri film del Maestro è l'elemento del sangue, quasi a comunicarci che la natura è veramente viva e che soffre per mano delle nostre azioni sciagurate, incoscienti e irresponsabili, le quali rischiano di culminare nell'annientamento della stessa e di tutti gli esseri viventi.
Ciò che salta subito all'occhio, guardando questo lungometraggio, è la straordinaria cura per quanto riguarda l'aspetto tecnico: animazioni fluide, sfondi dettagliati, character design gradevole alla vista.
Innegabilmente, è un piacere vederlo.
Altro aspetto da considerare è come questo film sia estremamente giapponese. L'animismo di cui è permeato è tipicamente shintoista e l'ambientazione è quella di un Giappone tardo-medioevale. Il fatto che fin dall'inizio i personaggi parlino di demoni e di divinità può far pensare a una dicotomia, tuttavia nel corso del lungometraggio non è perfettamente chiaro da che parte sia il bene e da che parte il male, e questo è un altro punto a suo favore. Rimane comunque la classica morale ecologista di fondo, ricorrente nei film di Miyazaki e facilmente condivisibile. Ashitaka è un protagonista alla ricerca di un luogo d'incontro fra uomo e natura, e questo è un aspetto non scontato. Né la foresta né la Città del Ferro hanno un ruolo da antagonista nel film. Sono semplicemente due mondi incapaci di conciliarsi.
Spesso i lungometraggi dello Studio Ghibli hanno anche una componente fiabesca, questo invece è più maturo e più crudo: altro aspetto che ho apprezzato.
Ricorrente e apprezzabile è anche il tema dell'emancipazione femminile, in un contesto dove gli uomini le considerano inferiori. San, ad esempio, è estremamente indipendente. Interessante però notare che anche l'acerrima nemica di San è una donna, nonostante nell'immaginario collettivo le armi da fuoco siano un simbolo di aggressività e violenza tipicamente maschile. E penso al femminismo conservatore tanto diffuso in Occidente, dove la donna si batte per avere la libertà di imitare l'uomo, senza realmente spezzare le leggi del patriarcato. "Mononoke Hime" è dunque ambientato in una società già maschilista, anche se m'incuriosirebbe vedere un'interpretazione di Miyazaki sul mutterrecht, dato, che durante l'era Jōmon, il Giappone fu storicamente una società matriarcale.
Un altro spunto interessante è rappresentato dai lebbrosi, anche se appena abbozzato.
Per quanto apprezzabile, credo che "La Principessa Mononoke" sia comunque lontano dall'essere perfetto. Pur essendo un lungometraggio di oltre due ore, ha in sé un potenziale che viene soffocato e compresso nel formato di un film. Molte questioni rimangono inconcluse al termine della visione. Per quanto mi riguarda, non ho concluso la visione soddisfatto. Il finale è piuttosto facilone e forzato, e rende le caratterizzazioni di qualche personaggio poco coerenti.
Però questo nell'insieme risulta solo leggermente sgradevole e, se non altro, il film mantiene una certa coerenza nel messaggio che Miyazaki vuol far passare: il rispetto della vita sulla Terra.
Innegabilmente, è un piacere vederlo.
Altro aspetto da considerare è come questo film sia estremamente giapponese. L'animismo di cui è permeato è tipicamente shintoista e l'ambientazione è quella di un Giappone tardo-medioevale. Il fatto che fin dall'inizio i personaggi parlino di demoni e di divinità può far pensare a una dicotomia, tuttavia nel corso del lungometraggio non è perfettamente chiaro da che parte sia il bene e da che parte il male, e questo è un altro punto a suo favore. Rimane comunque la classica morale ecologista di fondo, ricorrente nei film di Miyazaki e facilmente condivisibile. Ashitaka è un protagonista alla ricerca di un luogo d'incontro fra uomo e natura, e questo è un aspetto non scontato. Né la foresta né la Città del Ferro hanno un ruolo da antagonista nel film. Sono semplicemente due mondi incapaci di conciliarsi.
Spesso i lungometraggi dello Studio Ghibli hanno anche una componente fiabesca, questo invece è più maturo e più crudo: altro aspetto che ho apprezzato.
Ricorrente e apprezzabile è anche il tema dell'emancipazione femminile, in un contesto dove gli uomini le considerano inferiori. San, ad esempio, è estremamente indipendente. Interessante però notare che anche l'acerrima nemica di San è una donna, nonostante nell'immaginario collettivo le armi da fuoco siano un simbolo di aggressività e violenza tipicamente maschile. E penso al femminismo conservatore tanto diffuso in Occidente, dove la donna si batte per avere la libertà di imitare l'uomo, senza realmente spezzare le leggi del patriarcato. "Mononoke Hime" è dunque ambientato in una società già maschilista, anche se m'incuriosirebbe vedere un'interpretazione di Miyazaki sul mutterrecht, dato, che durante l'era Jōmon, il Giappone fu storicamente una società matriarcale.
Un altro spunto interessante è rappresentato dai lebbrosi, anche se appena abbozzato.
Per quanto apprezzabile, credo che "La Principessa Mononoke" sia comunque lontano dall'essere perfetto. Pur essendo un lungometraggio di oltre due ore, ha in sé un potenziale che viene soffocato e compresso nel formato di un film. Molte questioni rimangono inconcluse al termine della visione. Per quanto mi riguarda, non ho concluso la visione soddisfatto. Il finale è piuttosto facilone e forzato, e rende le caratterizzazioni di qualche personaggio poco coerenti.
Però questo nell'insieme risulta solo leggermente sgradevole e, se non altro, il film mantiene una certa coerenza nel messaggio che Miyazaki vuol far passare: il rispetto della vita sulla Terra.
"Princess Mononoke" rappresenta il mio primo incontro con Hayao Miyazaki e, nonostante all'epoca fossi un inconsapevole infante, decisi di noleggiarlo in VHS, rimanendone letteralmente folgorato. Erano i tempi in cui le TV trasmettevano "Yattaman", "L'uomo tigre", "City Hunter", "Ranma 1/2", su Italia1 c'erano "Dragon Ball" e "I cavalieri dello zodiaco", e su Super 3 "Daimos" e "Ken il guerriero". Come intuibile, per un bambino era davvero facile innamorarsi dell'animazione giapponese, e di tutto ciò che ne orbitava attorno. Erano i tempi di "Pokemon Oro" e "Argento". In questo vero e proprio calderone emozionale, "Mononoke Hime" rappresenta uno dei ricordi più belli e vividi della mia "infanzia nipponica", nonché uno degli ingredienti fondamentali per il mio futuro da appassionato di manga e anime. Da bambini è facile emozionarsi e spesso capita che l'esperienza immagazzinata negli anni porti alla rivalutazione totale/parziale dell'opera che amavamo tanto. Ma non è questo il caso. Proverò a spiegarvi il perché.
Siamo verso la fine del periodo Muromachi, quando uno spaventoso cinghiale tramutatosi in demone attacca il villaggio del giovane Ashitaka. Il giovane eroe sconfigge il demone, contraendo però una terribile maledizione. Da qui parte il suo viaggio verso occidente, alla ricerca dell'origine della maledizione. Ashitaka attraversa la foresta del Dio Cervo, dove conosce San, la principessa Mononoke ("principessa degli spiriti", letteralmente), una ragazza allevata e cresciuta dai lupi che disprezza il genere umano, giungendo infine alla città di ferro, un'imponente fortezza all'avanguardia eretta da Lady Eboshi, la donna che ha sparato al cinghiale tramutatosi poi in demone ebbro d'odio. È quindi lei la causa della maledizione di Ashitaka. Sul personaggio di Eboshi bisogna per forza di cose soffermarsi. La donna sprizza carisma da tutti i pori e, nonostante la sua smodata volontà di sottomettere la natura la porterà a una blasfemia tale da oltraggiare un Dio, non macchierà mai quella sua aura di eleganza che la contraddistingue. Questa sorta di contrapposizione la rende uno dei villain più atipici mai realizzati. Se per la foresta infatti rappresenta un evidente pericolo, in quanto il disboscamento da lei perpetrato per ricavare minerali utili per la produzione di ferro catalizza su di sé l'odio di San e degli animali guardiani (tra cui i temibili lupi), per gli umani rappresenta un punto di riferimento, nonché un'ancora di salvezza per i lebbrosi, a cui ha curato le piaghe e dato lavoro come fabbricanti d'armi nelle sue officine. È questa sua bivalenza a renderla incredibilmente affascinante. Tra i migliori aspetti del film, quindi, è da annoverare senza dubbio la caratterizzazione dei personaggi, comprimari inclusi. Tutti credibili e perseveranti nella realizzazione dei propri scopi. Siano essi animali o uomini. Dallo spirito cinghiale Okkoto al bonzo Jiko. Il rapporto tra Ashitaka e San è inoltre tutt'altro che la classica favola principe-principessa, piuttosto un amore platonico, mai scontato, capace di maturare dolcemente durante tutto l'arco narrativo.
Un amore in grado di riequilibrare e unire anche le due forze in guerra: uomini e natura.
Che Hayao Miyazaki amasse la natura e considerasse deprecabili molte azioni umane (si guardi il mancato ritiro dell'oscar del 2003 per protesta contro la guerra in Iraq) non è certo un segreto, e "Princess Mononoke" incarna perfettamente un'ideologia che ritrae l'uomo bramoso, a tal punto da distruggere ciò che l'ha creato. La dicotomia uomo-natura è il punto focale del film, e, nonostante sia ben chiaro da che parte stia Miyazaki, l'imparzialità con cui descrive il tutto innalza ulteriormente il valore della pellicola. La natura non subisce passivamente i soprusi degli esseri umani, ma si ribella fino a trasformarsi. L'uomo crea armi, le armi sparano generando odio, l'odio muta gli animali in demoni. Emblematica in tal senso l'idiosincrasia di San per la sua stessa specie. Le critiche mosse da Studio Ghibli, mai fine a sé stesse, sono nette ma costruttive, e incentivano a riflettere sulle conseguenze ambientali che comportano determinate azioni. Evidenziando quanto sia labile il confine tra progresso e distruzione. Anche la maledizione contratta da Ashitaka potrebbe considerarsi allegorica, visto che gli donerà una forza incredibile consumandogli le carni.
Il film è una vera e propria opera d'arte, un quadro in movimento, con una cura per i dettagli che lascia letteralmente a bocca aperta. Sopratutto se si pensa che l'opera è stata realizzata nel 1997. Impressionante la scena in cui San succhia il sangue dalla ferita alla lupa che identifica come madre e, passandosi un braccio intorno alla bocca sporca di sangue, si pulisce sbafandosi il viso. È con questa potente immagine che Studio Ghibli ci presenta l'eroina del film, permeandola di una bellezza naturale e selvaggia. Lontana dalle principesse a cui siamo abituati. Le musiche magistralmente orchestrate trasmettono tutto il misticismo insito nella pellicola. I dialoghi echeggiano aulici, risultando talvolta quasi solenni.
Il film è stato nuovamente doppiato nel 2014, tuttavia son particolarmente affezionato alle voci del primo doppiaggio in italiano; nonostante il lavoro svolto sia di innegabile qualità e più fedele all'originale giapponese, ho trovato più calzanti alcune voci della prima versione. Opinabili le scelte di rinominare i Lupi "Cani" e il Dio Cervo "Dio Bestia".
Questo racconto travestito da fiaba è il più cruento e maturo di Studio Ghibli, rappresenta la magnum opus di Miyazaki e anche la sua consacrazione occidentale. Un'opera violenta come l'uomo e allo stesso tempo dolce come la natura.
Come la signora Eboshi.
Voto: 10
Siamo verso la fine del periodo Muromachi, quando uno spaventoso cinghiale tramutatosi in demone attacca il villaggio del giovane Ashitaka. Il giovane eroe sconfigge il demone, contraendo però una terribile maledizione. Da qui parte il suo viaggio verso occidente, alla ricerca dell'origine della maledizione. Ashitaka attraversa la foresta del Dio Cervo, dove conosce San, la principessa Mononoke ("principessa degli spiriti", letteralmente), una ragazza allevata e cresciuta dai lupi che disprezza il genere umano, giungendo infine alla città di ferro, un'imponente fortezza all'avanguardia eretta da Lady Eboshi, la donna che ha sparato al cinghiale tramutatosi poi in demone ebbro d'odio. È quindi lei la causa della maledizione di Ashitaka. Sul personaggio di Eboshi bisogna per forza di cose soffermarsi. La donna sprizza carisma da tutti i pori e, nonostante la sua smodata volontà di sottomettere la natura la porterà a una blasfemia tale da oltraggiare un Dio, non macchierà mai quella sua aura di eleganza che la contraddistingue. Questa sorta di contrapposizione la rende uno dei villain più atipici mai realizzati. Se per la foresta infatti rappresenta un evidente pericolo, in quanto il disboscamento da lei perpetrato per ricavare minerali utili per la produzione di ferro catalizza su di sé l'odio di San e degli animali guardiani (tra cui i temibili lupi), per gli umani rappresenta un punto di riferimento, nonché un'ancora di salvezza per i lebbrosi, a cui ha curato le piaghe e dato lavoro come fabbricanti d'armi nelle sue officine. È questa sua bivalenza a renderla incredibilmente affascinante. Tra i migliori aspetti del film, quindi, è da annoverare senza dubbio la caratterizzazione dei personaggi, comprimari inclusi. Tutti credibili e perseveranti nella realizzazione dei propri scopi. Siano essi animali o uomini. Dallo spirito cinghiale Okkoto al bonzo Jiko. Il rapporto tra Ashitaka e San è inoltre tutt'altro che la classica favola principe-principessa, piuttosto un amore platonico, mai scontato, capace di maturare dolcemente durante tutto l'arco narrativo.
Un amore in grado di riequilibrare e unire anche le due forze in guerra: uomini e natura.
Che Hayao Miyazaki amasse la natura e considerasse deprecabili molte azioni umane (si guardi il mancato ritiro dell'oscar del 2003 per protesta contro la guerra in Iraq) non è certo un segreto, e "Princess Mononoke" incarna perfettamente un'ideologia che ritrae l'uomo bramoso, a tal punto da distruggere ciò che l'ha creato. La dicotomia uomo-natura è il punto focale del film, e, nonostante sia ben chiaro da che parte stia Miyazaki, l'imparzialità con cui descrive il tutto innalza ulteriormente il valore della pellicola. La natura non subisce passivamente i soprusi degli esseri umani, ma si ribella fino a trasformarsi. L'uomo crea armi, le armi sparano generando odio, l'odio muta gli animali in demoni. Emblematica in tal senso l'idiosincrasia di San per la sua stessa specie. Le critiche mosse da Studio Ghibli, mai fine a sé stesse, sono nette ma costruttive, e incentivano a riflettere sulle conseguenze ambientali che comportano determinate azioni. Evidenziando quanto sia labile il confine tra progresso e distruzione. Anche la maledizione contratta da Ashitaka potrebbe considerarsi allegorica, visto che gli donerà una forza incredibile consumandogli le carni.
Il film è una vera e propria opera d'arte, un quadro in movimento, con una cura per i dettagli che lascia letteralmente a bocca aperta. Sopratutto se si pensa che l'opera è stata realizzata nel 1997. Impressionante la scena in cui San succhia il sangue dalla ferita alla lupa che identifica come madre e, passandosi un braccio intorno alla bocca sporca di sangue, si pulisce sbafandosi il viso. È con questa potente immagine che Studio Ghibli ci presenta l'eroina del film, permeandola di una bellezza naturale e selvaggia. Lontana dalle principesse a cui siamo abituati. Le musiche magistralmente orchestrate trasmettono tutto il misticismo insito nella pellicola. I dialoghi echeggiano aulici, risultando talvolta quasi solenni.
Il film è stato nuovamente doppiato nel 2014, tuttavia son particolarmente affezionato alle voci del primo doppiaggio in italiano; nonostante il lavoro svolto sia di innegabile qualità e più fedele all'originale giapponese, ho trovato più calzanti alcune voci della prima versione. Opinabili le scelte di rinominare i Lupi "Cani" e il Dio Cervo "Dio Bestia".
Questo racconto travestito da fiaba è il più cruento e maturo di Studio Ghibli, rappresenta la magnum opus di Miyazaki e anche la sua consacrazione occidentale. Un'opera violenta come l'uomo e allo stesso tempo dolce come la natura.
Come la signora Eboshi.
Voto: 10
“Principessa Mononoke” (titolo originale “Mononoke Hime”) è un film d’animazione giapponese del 1997, scritto e diretto da Hayao Miyazaki e prodotto dallo Studio Ghibli.
Trama: quando un enorme cinghiale, tramutatosi in dio maligno, cerca di attaccare il villaggio dell’intrepido Ashitaka, il giovane, dopo aver tentato invano di placare la bestia, non vede altra soluzione che abbatterla, venendo però infettato dalla stessa maledizione che aveva colpito quest’ultima. Dopo aver saputo di non avere alcuna speranza di guarigione, Ashitaka parte dunque verso ovest, donde proveniva la divinità animale impazzita, per “discernere con pupille non offuscate” quanto stia accadendo in quelle terre lontane e per trovare una possibile cura.
Giunto a destinazione, si ritroverà coinvolto nell'aspro conflitto tra un produttivo villaggio siderurgico, comandato dalla carismatica nobile Eboshi, e gli dei protettori della foresta, che gli uomini distruggono per alimentare i fuochi delle fucine e la loro crescita. Qui incontrerà anche San, la Principessa Spettro del titolo, una ragazza inselvatichita e appartenente alla stirpe dei cani selvatici.
La bellezza di questo lungometraggio sta innanzitutto nella sua profonda maturità, che va al di là della violenza brutale e dei fiumi di sangue che scorrono copiosi su schermo e avvolge temi e personaggi nella loro interezza. Il film, anziché proporre una trita e bicromatica morale ambientalista (Natura buona, Uomo cattivo), pone l’accento sull'odio incondizionato, sull'oscurità che esso genera e sulle sue terribili conseguenze.
Gli uomini si sono espansi, i fumi della loro industria anneriscono il cielo e gli scarti della produzione inquinano le acque, ma la Somma Eboshi, ben lontana dallo stereotipo di villain crudele e insensibile, è un faro per tutti i reietti della società, un simbolo per l'emancipazione femminile e un baluardo contro le angherie di quei briganti e samurai che arrossano il suolo di un Giappone feudale turbolento. Il suo desiderio di creare una comunità florida e sicura è assolutamente condivisibile. Gli altri antagonisti, inoltre, sono spinti dalla propria sete di conoscenza, dall'intrinseca aspirazione dell’uomo a trascendere i limiti della propria natura e addentrarsi in territori ignoti.
Le divinità animali, sia cinghiali che lupi giganti, che incarnano il rispetto e la difesa dell’ecosfera e delle tradizioni minacciate dal progresso, sono forti e alteri, ma, allo stesso tempo, feroci e arroganti. La loro simbiosi spirituale con la natura, dalla cui distruzione sono toccati direttamente e dolorosamente, rende le loro sofferenze tangibili e atroci, ma non giustifica la possessività con cui si riferiscono alle foreste e alle montagne, che considerano loro dominio esclusivo, non condivisibile con nessun altro. Accecati da disprezzo e risentimento, non si dimostrano spesso migliori dei loro nemici.
A questo proposito, risulta alquanto inusuale la scelta di intitolare il film a San, la quale, sostenendo ripetutamente la propria natura ferina e professando la propria ostilità eterna nei confronti degli umani, si manifesta come il fulgido esempio degli effetti negativi di pregiudizi e rancore.
Ashitaka, al contrario, abile e coraggioso, perfetto eppure fallibile, è l'emblema del messaggio positivo del lungometraggio: abbandonando un'oasi di pace e fratellanza per un mondo in subbuglio, comprende le posizioni di tutti e, pur non avendo una risposta ad ogni problema, cerca in ogni modo di raggiungere un equilibrio e un dialogo costruttivi, ben conscio delle sofferenze che l'odio porta ad entrambe le fazioni. Ashitaka è indubbiamente un degno successore di Nausicaä, valoroso e disposto al sacrificio per un bene superiore.
Miyazaki riesce dunque a creare un cast di figure estremamente complesso e affascinante nel suo insieme, in cui ogni punto di vista è legittimo e in cui non è possibile stabilire inequivocabilmente chi abbia ragione e chi torto.
Il comparto tecnico raggiunge vette qualitative altissime e impressionanti.
Le animazioni sono fluide e dinamiche, capaci di illustrare alla perfezione sia i movimenti più semplici di personaggi umani e animali sia la concitazione delle scene d’azione. La stessa regia si dimostra calma e riflessiva o più rapida e frenetica a seconda delle circostanze.
Il character design, conservando gli storici lineamenti morbidi ed eleganti, si fa ancora più ricco, con un’attenzione maniacale anche per i minimi particolari, specialmente per quanto riguarda gli dei-bestia, imponenti e terribili. Volutamente inquietante è anche l'aspetto della metamorfosi maligna, che ben descrive la sensazione soffocante e strisciante della possessione di questi enormi animali da parte di sentimenti di pura negatività. I fondali rapiscono per l’elevato livello di dettaglio, per la maestosità dei paesaggi naturali e per la bellezza struggente e suggestiva di alcuni scorci. Semplicemente ottimi gli effetti di luce e l'utilizzo dei colori, tendenzialmente vivi senza essere brillanti.
Occorre anche sottolineare come l’animazione tradizionale si sposi alla perfezione con quella generata al computer, estremamente discreta.
La colonna sonora, ancora una volta composta da Joe Hisaishi, è magniloquente e grandiosa, perfetto sottofondo musicale per una vicenda eroica e drammatica, che accompagna con brani sempre adeguati ad ogni sequenza. Il doppiaggio italiano, rieditato nel 2014 a cura della Lucky Red, è semplicemente eccelso e il tono aulico delle espressioni utilizzate non fa che incrementare il valore epico della storia, che assurge allo status di autentica leggenda immortale.
“Principessa Mononoke”, tranquillamente inscrivibile tra i racconti mitologici e folkloristici più avvincenti ed emozionanti, non teme di sottoporre lo spettatore a una serie di eventi traumatici e negativi, esponendo con grande potenza narrativa e visiva la condanna universale verso l’odio incondizionato e il rifiuto del rapporto armonioso tra ecosistema e umanità. A differenza di “PomPoko”, tuttavia, all'evidente pessimismo per il presente viene affiancato l’ottimismo per il futuro, segno che non si è definitivamente persa la speranza per una convivenza pacifica e fruttuosa tra Natura e Uomo.
Un capolavoro e una delle opere più mature e affascinanti tra quelle dirette da Miyazaki e non solo. Da vedere.
Trama: quando un enorme cinghiale, tramutatosi in dio maligno, cerca di attaccare il villaggio dell’intrepido Ashitaka, il giovane, dopo aver tentato invano di placare la bestia, non vede altra soluzione che abbatterla, venendo però infettato dalla stessa maledizione che aveva colpito quest’ultima. Dopo aver saputo di non avere alcuna speranza di guarigione, Ashitaka parte dunque verso ovest, donde proveniva la divinità animale impazzita, per “discernere con pupille non offuscate” quanto stia accadendo in quelle terre lontane e per trovare una possibile cura.
Giunto a destinazione, si ritroverà coinvolto nell'aspro conflitto tra un produttivo villaggio siderurgico, comandato dalla carismatica nobile Eboshi, e gli dei protettori della foresta, che gli uomini distruggono per alimentare i fuochi delle fucine e la loro crescita. Qui incontrerà anche San, la Principessa Spettro del titolo, una ragazza inselvatichita e appartenente alla stirpe dei cani selvatici.
La bellezza di questo lungometraggio sta innanzitutto nella sua profonda maturità, che va al di là della violenza brutale e dei fiumi di sangue che scorrono copiosi su schermo e avvolge temi e personaggi nella loro interezza. Il film, anziché proporre una trita e bicromatica morale ambientalista (Natura buona, Uomo cattivo), pone l’accento sull'odio incondizionato, sull'oscurità che esso genera e sulle sue terribili conseguenze.
Gli uomini si sono espansi, i fumi della loro industria anneriscono il cielo e gli scarti della produzione inquinano le acque, ma la Somma Eboshi, ben lontana dallo stereotipo di villain crudele e insensibile, è un faro per tutti i reietti della società, un simbolo per l'emancipazione femminile e un baluardo contro le angherie di quei briganti e samurai che arrossano il suolo di un Giappone feudale turbolento. Il suo desiderio di creare una comunità florida e sicura è assolutamente condivisibile. Gli altri antagonisti, inoltre, sono spinti dalla propria sete di conoscenza, dall'intrinseca aspirazione dell’uomo a trascendere i limiti della propria natura e addentrarsi in territori ignoti.
Le divinità animali, sia cinghiali che lupi giganti, che incarnano il rispetto e la difesa dell’ecosfera e delle tradizioni minacciate dal progresso, sono forti e alteri, ma, allo stesso tempo, feroci e arroganti. La loro simbiosi spirituale con la natura, dalla cui distruzione sono toccati direttamente e dolorosamente, rende le loro sofferenze tangibili e atroci, ma non giustifica la possessività con cui si riferiscono alle foreste e alle montagne, che considerano loro dominio esclusivo, non condivisibile con nessun altro. Accecati da disprezzo e risentimento, non si dimostrano spesso migliori dei loro nemici.
A questo proposito, risulta alquanto inusuale la scelta di intitolare il film a San, la quale, sostenendo ripetutamente la propria natura ferina e professando la propria ostilità eterna nei confronti degli umani, si manifesta come il fulgido esempio degli effetti negativi di pregiudizi e rancore.
Ashitaka, al contrario, abile e coraggioso, perfetto eppure fallibile, è l'emblema del messaggio positivo del lungometraggio: abbandonando un'oasi di pace e fratellanza per un mondo in subbuglio, comprende le posizioni di tutti e, pur non avendo una risposta ad ogni problema, cerca in ogni modo di raggiungere un equilibrio e un dialogo costruttivi, ben conscio delle sofferenze che l'odio porta ad entrambe le fazioni. Ashitaka è indubbiamente un degno successore di Nausicaä, valoroso e disposto al sacrificio per un bene superiore.
Miyazaki riesce dunque a creare un cast di figure estremamente complesso e affascinante nel suo insieme, in cui ogni punto di vista è legittimo e in cui non è possibile stabilire inequivocabilmente chi abbia ragione e chi torto.
Il comparto tecnico raggiunge vette qualitative altissime e impressionanti.
Le animazioni sono fluide e dinamiche, capaci di illustrare alla perfezione sia i movimenti più semplici di personaggi umani e animali sia la concitazione delle scene d’azione. La stessa regia si dimostra calma e riflessiva o più rapida e frenetica a seconda delle circostanze.
Il character design, conservando gli storici lineamenti morbidi ed eleganti, si fa ancora più ricco, con un’attenzione maniacale anche per i minimi particolari, specialmente per quanto riguarda gli dei-bestia, imponenti e terribili. Volutamente inquietante è anche l'aspetto della metamorfosi maligna, che ben descrive la sensazione soffocante e strisciante della possessione di questi enormi animali da parte di sentimenti di pura negatività. I fondali rapiscono per l’elevato livello di dettaglio, per la maestosità dei paesaggi naturali e per la bellezza struggente e suggestiva di alcuni scorci. Semplicemente ottimi gli effetti di luce e l'utilizzo dei colori, tendenzialmente vivi senza essere brillanti.
Occorre anche sottolineare come l’animazione tradizionale si sposi alla perfezione con quella generata al computer, estremamente discreta.
La colonna sonora, ancora una volta composta da Joe Hisaishi, è magniloquente e grandiosa, perfetto sottofondo musicale per una vicenda eroica e drammatica, che accompagna con brani sempre adeguati ad ogni sequenza. Il doppiaggio italiano, rieditato nel 2014 a cura della Lucky Red, è semplicemente eccelso e il tono aulico delle espressioni utilizzate non fa che incrementare il valore epico della storia, che assurge allo status di autentica leggenda immortale.
“Principessa Mononoke”, tranquillamente inscrivibile tra i racconti mitologici e folkloristici più avvincenti ed emozionanti, non teme di sottoporre lo spettatore a una serie di eventi traumatici e negativi, esponendo con grande potenza narrativa e visiva la condanna universale verso l’odio incondizionato e il rifiuto del rapporto armonioso tra ecosistema e umanità. A differenza di “PomPoko”, tuttavia, all'evidente pessimismo per il presente viene affiancato l’ottimismo per il futuro, segno che non si è definitivamente persa la speranza per una convivenza pacifica e fruttuosa tra Natura e Uomo.
Un capolavoro e una delle opere più mature e affascinanti tra quelle dirette da Miyazaki e non solo. Da vedere.
"Mononoke Hime" è un altro film prodotto dallo Studio Ghibli nel lontano 1997 e firmato Hayao Miyazaki, l'ennesima storia creata con quel pizzico di fantascienza da parte del maestro che rende un film di trama semplice un capolavoro.
Trama: un normale giorno, un tranquillo villaggio viene attaccato da un demone cinghiale in preda a un maleficio; in soccorso del proprio villaggio, il nostro protagonista Ashitaka, prima di uccidere il demone, viene ferito e di conseguenza infettato dal maleficio. In seguito, l'oracolo del villaggio lo avverte che il maleficio lo porterà alla morte, perciò, alla ricerca di una possibile cura, Ashitaka lascia il proprio villaggio e si avvia verso il luogo di provenienza del demone.
Durante il viaggio Ashitaka incontra Jiko, un monaco che gli spiega che lo "spirito della foresta" potrebbe curarlo; mosso da questa possibilità, il giovane si imbatte successivamente in un convoglio diretto alla città del ferro, cui si unirà per soccorrere due feriti, e, mentre attraversa con loro la foresta, si imbatte per la prima volta in San, chiamata Principessa Mononoke. Questa ragazza è stata cresciuta dai lupi, precisamente divinità, che proteggono il bosco dagli umani. Ashitaka si incuriosisce della giovane ragazza-lupo, e scoprirà ben presto che in quella terra vige un rancore tra umani e divinità.
Sviluppo: quando si parla dello Studio Ghibli, ho sempre grandi aspettative, e devo dire che sono rimasto piuttosto soddisfatto, infatti i dialoghi tra i personaggi e le vicende mostrate non vengono mai interrotte e fluidamente proseguono sviluppando la trama più che bene. Inizia sempre così, un evento stranamente inspiegabile e subito si parte all'avventura, ma senza preoccuparsi, perché in seguito tutto verrà svelato e ogni cosa prenderà la propria posizione, senza lasciare lacune. Ciò che sorprende è come una semplice trama venga poi ampliata e riempita di vari aspetti che non sono mai di troppo, ad esempio il nostro protagonista parte per cercare una cura, invece si imbatte in una ragazza cresciuta dai lupi, in seguito scopre tante cose su quella terra, ad esempio la lotta tra umani e divinità-animali. Questo manda anche un forte messaggio, quello dell'uomo che distrugge la natura e le case di poveri animali.
Personaggi: abbiamo un ragazzo abile nei combattimenti, una principessa allevata dai lupi, un doppiogiochista e l'uomo ambizioso che vuole distruggere una divinità. I personaggi di questo film sono fondamentali a loro modo nella trama, e sono realizzati con semplicità; non vi sono delle parti riflessive sui personaggi, tranne sulla ragazza-lupo che è cresciuta diversamente da altri; diciamo che la vera parte riflessiva incide sulla trama ma non sui personaggi. Tutto sommato nessuno di loro è forzato o forza sulla trama, quindi non vi sono difetti.
Comparto visivo-sonoro: i disegni di Hayao Miyazaki saranno di vecchio stampo per alcuni, ma secondo me sono la vera essenza dello stile animato, mai precisamente reali ma con quel pizzico di fantasia del maestro che rende il tutto sempre molto piacevole; le animazioni sono davvero ottime e fluide per essere un vecchio film, e come non elogiare le ambientazioni sempre ben ritoccate?
Il sonoro è nella media, con musiche di sottofondo che rendono appieno il momento, ed effetti sonori abbastanza piacevoli. Il doppiaggio in italiano mi è piaciuto molto, è da considerare anche che nel 2014 è stato doppiato un'altra volta per mostrarlo nelle sale d'Italia.
Concludo dicendo che questo è un altro capolavoro del maestro e sicuramente lo consiglio a tutti voi, soprattutto a chi ama storie di fantascienza mischiate con azione e un po' di sentimentalismo. Voto finale: 8
Trama: un normale giorno, un tranquillo villaggio viene attaccato da un demone cinghiale in preda a un maleficio; in soccorso del proprio villaggio, il nostro protagonista Ashitaka, prima di uccidere il demone, viene ferito e di conseguenza infettato dal maleficio. In seguito, l'oracolo del villaggio lo avverte che il maleficio lo porterà alla morte, perciò, alla ricerca di una possibile cura, Ashitaka lascia il proprio villaggio e si avvia verso il luogo di provenienza del demone.
Durante il viaggio Ashitaka incontra Jiko, un monaco che gli spiega che lo "spirito della foresta" potrebbe curarlo; mosso da questa possibilità, il giovane si imbatte successivamente in un convoglio diretto alla città del ferro, cui si unirà per soccorrere due feriti, e, mentre attraversa con loro la foresta, si imbatte per la prima volta in San, chiamata Principessa Mononoke. Questa ragazza è stata cresciuta dai lupi, precisamente divinità, che proteggono il bosco dagli umani. Ashitaka si incuriosisce della giovane ragazza-lupo, e scoprirà ben presto che in quella terra vige un rancore tra umani e divinità.
Sviluppo: quando si parla dello Studio Ghibli, ho sempre grandi aspettative, e devo dire che sono rimasto piuttosto soddisfatto, infatti i dialoghi tra i personaggi e le vicende mostrate non vengono mai interrotte e fluidamente proseguono sviluppando la trama più che bene. Inizia sempre così, un evento stranamente inspiegabile e subito si parte all'avventura, ma senza preoccuparsi, perché in seguito tutto verrà svelato e ogni cosa prenderà la propria posizione, senza lasciare lacune. Ciò che sorprende è come una semplice trama venga poi ampliata e riempita di vari aspetti che non sono mai di troppo, ad esempio il nostro protagonista parte per cercare una cura, invece si imbatte in una ragazza cresciuta dai lupi, in seguito scopre tante cose su quella terra, ad esempio la lotta tra umani e divinità-animali. Questo manda anche un forte messaggio, quello dell'uomo che distrugge la natura e le case di poveri animali.
Personaggi: abbiamo un ragazzo abile nei combattimenti, una principessa allevata dai lupi, un doppiogiochista e l'uomo ambizioso che vuole distruggere una divinità. I personaggi di questo film sono fondamentali a loro modo nella trama, e sono realizzati con semplicità; non vi sono delle parti riflessive sui personaggi, tranne sulla ragazza-lupo che è cresciuta diversamente da altri; diciamo che la vera parte riflessiva incide sulla trama ma non sui personaggi. Tutto sommato nessuno di loro è forzato o forza sulla trama, quindi non vi sono difetti.
Comparto visivo-sonoro: i disegni di Hayao Miyazaki saranno di vecchio stampo per alcuni, ma secondo me sono la vera essenza dello stile animato, mai precisamente reali ma con quel pizzico di fantasia del maestro che rende il tutto sempre molto piacevole; le animazioni sono davvero ottime e fluide per essere un vecchio film, e come non elogiare le ambientazioni sempre ben ritoccate?
Il sonoro è nella media, con musiche di sottofondo che rendono appieno il momento, ed effetti sonori abbastanza piacevoli. Il doppiaggio in italiano mi è piaciuto molto, è da considerare anche che nel 2014 è stato doppiato un'altra volta per mostrarlo nelle sale d'Italia.
Concludo dicendo che questo è un altro capolavoro del maestro e sicuramente lo consiglio a tutti voi, soprattutto a chi ama storie di fantascienza mischiate con azione e un po' di sentimentalismo. Voto finale: 8
"Principessa Mononoke" è uno dei film più apprezzati tra quelli di Miyazaki... e secondo me a torto. Questo lungometraggio mi ha molto annoiata e delusa, eppure sono da sempre appassionata di opere legate al ruolo della natura nella vita dell'uomo e del rapporto di questi con la prima. Un ruolo decisivo nel farmi valutare negativamente quest'opera l'ha sicuramente giocato la sua eccessiva lunghezza in rapporto ai contenuti - ci sono troppe ripetizioni ed esasperazioni. La trama è davvero contorta e difficile da seguire, ci sono troppi salti da una situazione/scena a un'altra (in continuazione), i protagonisti sono fatti in un certo modo e la maggioranza degli altri personaggi hanno un tipo di volto e corpo che nulla ha a che vedere con il loro. E poi, va bene la fantasia... ma qui c'è un'accozzaglia degli elementi più disparati senza la minima preoccupazione di tentare di conciliarli e conferire loro un ruolo, un'importanza, un senso nel racconto (o almeno questo è ciò che si evince dal risultato finale). Il colpo di grazia arriva assieme alla conclusione: è confusionaria anch'essa e troppo "facile" rispetto alla miriade di questioni tirate fuori nel corso del film fino a quel momento. Caro Studio Ghibli, questo film nulla ha a che vedere con capolavori come "La città incantata", "Si alza il vento" e "La collina dei papaveri".
"Princess Mononoke" è un capolavoro, tappa obbligata per tutti quelli che si professano amanti degli anime. I paesaggi, la musica e il disegno sono così in armonia tra loro da produrre un effetto ipnotico in chi guarda, soprattutto per la prima volta, questo film. Il tema della brutalità della guerra, l'industrializzazione e il rispetto per la natura sono centrali, senza tuttavia cadere troppo nella banalità. Viene fatta una introspezione della società umana, portando l'osservatore a riflettere sulla possibilità di avere un'economia florida senza dover necessariamente distruggere e uccidere la natura.
Girl power! Le donne hanno quasi troppo potere, strano accostamento al tema prima citato dell'industrializzazione... non solo le donne sono necessarie per la produzione del ferro, imbracciano anche le armi, senza considerare che le due figure più sagge sono l'anziana del villaggio e Moro (da notare che non diventa uno spirito maligno!). L'unico personaggio maschile rilevate è Ashitaka.
Potrebbe sembrare un po' infantile, ma io credo sia perfetto per iniziare ad esplorare il favoloso, magico mondo dell'animazione giapponese.
Girl power! Le donne hanno quasi troppo potere, strano accostamento al tema prima citato dell'industrializzazione... non solo le donne sono necessarie per la produzione del ferro, imbracciano anche le armi, senza considerare che le due figure più sagge sono l'anziana del villaggio e Moro (da notare che non diventa uno spirito maligno!). L'unico personaggio maschile rilevate è Ashitaka.
Potrebbe sembrare un po' infantile, ma io credo sia perfetto per iniziare ad esplorare il favoloso, magico mondo dell'animazione giapponese.
"La Principessa Mononoke" è un film d'animazione scritto e diretto da Hayao Miyazaki e realizzato dallo Studio Ghibli. Il lungometraggio è ambientato nel Giappone feudale, per l'esattezza nel periodo Muromachi (1392-1573), ma con l'aggiunta di molti elementi fantastici. La storia narra della lotta tra gli esseri umani e gli spiriti della foresta, vista dagli occhi del giovane principe Ashitaka, arrivato in quelle terre per annullare la maledizione da cui è afflitto, e del suo incontro con San, una giovane ragazza cresciuta dai lupi. Il termine "Mononoke", che è il modo in cui viene chiamata la protagonista femminile della storia, può sembrare un nome proprio, ma in realtà è un soprannome che dal contesto potrebbe essere tradotto come "spirito vendicativo".
«In tempi remoti, la Terra era coperta di foreste in cui,
sotto le sembianze di mezzi animali,
si aggiravano da sempre gli spiriti della natura.
Uomini e animali, allora, vivevano in armonia.»
Cosa dire de La Principessa Mononoke... senza dubbio si tratta di un film bellissimo, uno dei più grandi capolavori dell'animazione giapponese, o semplicemente un'opera d'arte come solo un maestro del calibro di Hayao Miyazaki è in grado di realizzare. Il film in sostanza è una profonda riflessione sull'industrializzazione e su come questo processo porti alla progressiva e inesorabile distruzione della natura; di come gli uomini non si curino di salvaguardare l'ambiente che li circonda, ma siano disposti a tutto pur di ottenere i loro scopi. Miyazaki traspone questo confronto con la natura in un vero e proprio scontro con gli spiriti della foresta, personificazioni della natura stessa, che cercano di proteggere ciò che più gli è caro combattendo i malvagi esseri umani.
Ma il confine fra bene e male non è però così netto e definito. Gli uomini in realtà non sono così cattivi come sembrano, sono persone normalissime che cercano solo di sopravvivere come possono. L'autore riesce a rappresentare questi due aspetti tramite un terzo punto di vista, per l'appunto il principe Ashitaka, che riesce a comprendere le ragioni di entrambe le parti, cercando un punto d'incontro. Molto suggestivo il concetto di odio illustrato da Miyazaki. Si tratta di una forza incontrollabile che spinge gli esseri viventi a commettere atti di cui normalmente non sarebbero capaci. Ashitaka sperimenta questo odio sulla sua stessa pelle, come qualcosa a lui estraneo che gli dona una grande forza, ma a un prezzo terribile, la sua stessa vita. Il ragazzo però si oppone a questo odio con tutte le sue forze, cercando di far comprendere ad entrambe le parti che c'è sempre un'alternativa.
Per dimostrare questo, cerca di proteggere tutte le persone che gli sono care, a partire proprio da San. La ragazza all'inizio sembra completamente pervasa dall'odio per gli esseri umani, odio che non le fa temere nemmeno la morte pur di uccidere Eboshi, la donna che lei crede essere l'origine di tutti i mali. Anche Ashitaka viene travolto da questo odio incontrollato, ma riuscirà a placarlo. Ferito gravemente, con San che tenta di ucciderlo, riesce solo a dirle «Ti trovo... bellissima»; è questa semplice frase a cambiare radicalmente il loro modo di rapportarsi. Ashitaka riesce così a far breccia nel cuore indurito della ragazza, finendo per essere ricambiato. Sono proprio i due ragazzi, con questo sentimento nuovo per entrambi, a raffigurare l'amore, l'unica cosa in grado di combattere l'odio. Miyazaki riesce a realizzare una storia che coinvolge fin dalle prime battute, introducendo lo spettatore nello straordinario mondo creato dalla sua fantasia e trascinandolo per l'intera durata del film (più di due ore) con una narrazione appassionante e un'ambientazione unica.
Visivamente è stupendo. Le animazioni sono qualcosa di assolutamente spettacolare, in grado affascinare con la maestosità dei paesaggi, la ricchezza di particolari e una caratterizzazione dei personaggi talmente ben fatta che è capace di commuovere lo spettatore. Ogni singola immagine che compone questa stupenda pellicola è stata disegnata e colorata con una precisione e un livello di dettaglio maniacale. Miyazaki si avvale della collaborazione di ben cinque scenografi, che riescono a realizzare dei paesaggi stupendi. Per creare la foresta del dio-cervo, l'autore si è ispirato agli antichissimi e giganteschi alberi dell'isola di Yakushima, a sud di Kyushu, foresta che tuttora riporta un cartello con scritto "もののけ姫 の 森" (Mononoke hime no mori, Foresta della principessa Mononoke). In questo film Miyazaki utilizza la computer grafica per la prima volta nella sua carriera: è usata in minima parte, ma è amalgamata talmente bene con le animazioni tradizionali che è impossibile distinguerla.
La colonna sonora composta da Joe Hisaishi è semplicemente bellissima. Ogni brano si adatta perfettamente alle scene che accompagna ed è capace di sottolinearne il lato poetico, trasformando questo lungometraggio in un'opera indimenticabile. E' doveroso citare alcuni brani come "Ashitaka Kouki", la dolcissima "Ashitaka to San", che fa risaltare alcuni tra i momenti più poetici, e la malinconica "Mononoke Hime". E' d'obbligo far notare che, nel doppiaggio italiano, alcuni dialoghi sono stati completamente alterati, in particolar modo il finale che accentua oltre misura il messaggio ecologista. Questo però non basta a rovinarne la visione. "La Principessa Mononoke" avrebbe dovuto essere l'ultimo film della carriera di Miyazaki, ma l'enorme successo riscosso in tutto il mondo convinse l'autore a ricredersi e continuare la sua carriera, regalandoci capolavori di eguale bellezza. Ma, nonostante tutte le opere realizzate prima e dopo questa siano a loro modo bellissime, "Mononoke-hime" è permeato da un'aura di poesia, dolcezza e malinconia che lo rendono un capolavoro irripetibile.
«In tempi remoti, la Terra era coperta di foreste in cui,
sotto le sembianze di mezzi animali,
si aggiravano da sempre gli spiriti della natura.
Uomini e animali, allora, vivevano in armonia.»
Cosa dire de La Principessa Mononoke... senza dubbio si tratta di un film bellissimo, uno dei più grandi capolavori dell'animazione giapponese, o semplicemente un'opera d'arte come solo un maestro del calibro di Hayao Miyazaki è in grado di realizzare. Il film in sostanza è una profonda riflessione sull'industrializzazione e su come questo processo porti alla progressiva e inesorabile distruzione della natura; di come gli uomini non si curino di salvaguardare l'ambiente che li circonda, ma siano disposti a tutto pur di ottenere i loro scopi. Miyazaki traspone questo confronto con la natura in un vero e proprio scontro con gli spiriti della foresta, personificazioni della natura stessa, che cercano di proteggere ciò che più gli è caro combattendo i malvagi esseri umani.
Ma il confine fra bene e male non è però così netto e definito. Gli uomini in realtà non sono così cattivi come sembrano, sono persone normalissime che cercano solo di sopravvivere come possono. L'autore riesce a rappresentare questi due aspetti tramite un terzo punto di vista, per l'appunto il principe Ashitaka, che riesce a comprendere le ragioni di entrambe le parti, cercando un punto d'incontro. Molto suggestivo il concetto di odio illustrato da Miyazaki. Si tratta di una forza incontrollabile che spinge gli esseri viventi a commettere atti di cui normalmente non sarebbero capaci. Ashitaka sperimenta questo odio sulla sua stessa pelle, come qualcosa a lui estraneo che gli dona una grande forza, ma a un prezzo terribile, la sua stessa vita. Il ragazzo però si oppone a questo odio con tutte le sue forze, cercando di far comprendere ad entrambe le parti che c'è sempre un'alternativa.
Per dimostrare questo, cerca di proteggere tutte le persone che gli sono care, a partire proprio da San. La ragazza all'inizio sembra completamente pervasa dall'odio per gli esseri umani, odio che non le fa temere nemmeno la morte pur di uccidere Eboshi, la donna che lei crede essere l'origine di tutti i mali. Anche Ashitaka viene travolto da questo odio incontrollato, ma riuscirà a placarlo. Ferito gravemente, con San che tenta di ucciderlo, riesce solo a dirle «Ti trovo... bellissima»; è questa semplice frase a cambiare radicalmente il loro modo di rapportarsi. Ashitaka riesce così a far breccia nel cuore indurito della ragazza, finendo per essere ricambiato. Sono proprio i due ragazzi, con questo sentimento nuovo per entrambi, a raffigurare l'amore, l'unica cosa in grado di combattere l'odio. Miyazaki riesce a realizzare una storia che coinvolge fin dalle prime battute, introducendo lo spettatore nello straordinario mondo creato dalla sua fantasia e trascinandolo per l'intera durata del film (più di due ore) con una narrazione appassionante e un'ambientazione unica.
Visivamente è stupendo. Le animazioni sono qualcosa di assolutamente spettacolare, in grado affascinare con la maestosità dei paesaggi, la ricchezza di particolari e una caratterizzazione dei personaggi talmente ben fatta che è capace di commuovere lo spettatore. Ogni singola immagine che compone questa stupenda pellicola è stata disegnata e colorata con una precisione e un livello di dettaglio maniacale. Miyazaki si avvale della collaborazione di ben cinque scenografi, che riescono a realizzare dei paesaggi stupendi. Per creare la foresta del dio-cervo, l'autore si è ispirato agli antichissimi e giganteschi alberi dell'isola di Yakushima, a sud di Kyushu, foresta che tuttora riporta un cartello con scritto "もののけ姫 の 森" (Mononoke hime no mori, Foresta della principessa Mononoke). In questo film Miyazaki utilizza la computer grafica per la prima volta nella sua carriera: è usata in minima parte, ma è amalgamata talmente bene con le animazioni tradizionali che è impossibile distinguerla.
La colonna sonora composta da Joe Hisaishi è semplicemente bellissima. Ogni brano si adatta perfettamente alle scene che accompagna ed è capace di sottolinearne il lato poetico, trasformando questo lungometraggio in un'opera indimenticabile. E' doveroso citare alcuni brani come "Ashitaka Kouki", la dolcissima "Ashitaka to San", che fa risaltare alcuni tra i momenti più poetici, e la malinconica "Mononoke Hime". E' d'obbligo far notare che, nel doppiaggio italiano, alcuni dialoghi sono stati completamente alterati, in particolar modo il finale che accentua oltre misura il messaggio ecologista. Questo però non basta a rovinarne la visione. "La Principessa Mononoke" avrebbe dovuto essere l'ultimo film della carriera di Miyazaki, ma l'enorme successo riscosso in tutto il mondo convinse l'autore a ricredersi e continuare la sua carriera, regalandoci capolavori di eguale bellezza. Ma, nonostante tutte le opere realizzate prima e dopo questa siano a loro modo bellissime, "Mononoke-hime" è permeato da un'aura di poesia, dolcezza e malinconia che lo rendono un capolavoro irripetibile.
E' da un po' di tempo che mi sto dedicando al recupero delle opere di Hayao Miyazaki; consideravo, infatti, un vero e proprio scandalo il fatto di non aver visto praticamente nulla delle opere del grande maestro giapponese che, con i suoi lavori, ha incantato mezzo mondo. Questo recupero sta avvenendo seguendo un ordine rigorosamente cronologico, per cui ho già visto tutto ciò che era stato prodotto prima di questo film, mentre devo ancora vedere molto di quello che è stato prodotto dopo.
Devo confessare che, fino a questo momento, non ero rimasto molto impressionato: i film di Miyazaki mi erano sembrati sì tutti molto belli, ma mancava sempre quel "qualcosa in più" capace di trasformare un buon prodotto in un'opera veramente memorabile, tale cioè da strappare applausi a scena aperta. Con "Mononoke Hime", finalmente, il maestro riesce a compiere quel salto di qualità tanto atteso, superando anche l'ultimo ostacolo che gli impediva di raggiungere la perfezione: la presenza di una sceneggiatura troppo scarna.
Nonostante il loro indiscutibile fascino, i film precedenti apparivano, infatti, come dei bellissimi incompiuti, alla stregua di un quadro di Van Gogh lasciato incompleto per chissà quale motivo; con "Mononoke Hime", invece, abbiamo finalmente una sceneggiatura veramente importante, non più fatta di piccoli eventi un po' troppo fini a sé stessi da inserire in un contesto più grande che fa solo da sfondo, ma di una storia molto più articolata e non più di secondo piano. Chi si lamentava del fatto che nei film di Miyazaki "non succede mai niente" resterà sicuramente soddisfatto da questo film, in cui di cose ne accadono pure troppe.
In "Mononoke Hime", viene ripreso uno degli argomenti più cari al maestro giapponese: il rapporto fra uomo e natura. Come già in molti hanno avuto già modo di evidenziare, la visione pessimistica di Miyazaki su tale argomento, che a mio avviso si poteva intuire già dalle sue opere precedenti, trova qui la sua massima espressione. Il mondo rappresentato appare nettamente spaccato in due: da un lato troviamo la società naturale e dall'altra quella industrializzata. Non è, a mio avviso, importante il fatto che il bosco sia abitato da animali e non da esseri umani: quella rappresentata è a tutti gli effetti un tipo di società "umana", i cui attori sono solo mascherati da animali.
Ma a differenza di quanto sarebbe lecito aspettarsi, Miyazaki non sembra parteggiare per nessuno dei due modelli, ma riconosce ad entrambi dei pregi e dei difetti. A dimostrazione di ciò il principe Ashitaka, il cui ruolo è chiaramente quello di fare da arbitro in questo confronto fra i due tipi di società, non prende una posizione, ma cerca di aiutare indistintamente le due parti pur senza rinunciare a muovere le sue critiche ad entrambi i modelli. Il vero nemico, invece, è rappresentato dal potere politico: nel film, infatti, la figura che arreca più danni è quella dell'imperatore, che non persegue nessuna filosofia di vita ma solo l'interesse personale e la propria vanità.
Tornando al confronto tra i due tipi di società, vediamo che Miyazaki, contraddicendo le mie aspettative, non dipinge quella naturale come l'ideale irraggiungibile, ma sottolinea come anche in un contesto del genere non verrebbero meno alcuni dei difetti maggiori dell'uomo, come la cieca ostinazione (rappresentata dai cinghiali) o la vigliaccheria (rappresentata dalle scimmie); allo stesso tempo, pur non avendo una grande considerazione sui principi che governano una società industrializzata, ne riconosce anche i pregi (fonte di prosperità ed emancipazione e mezzo per la ricerca scientifica, specie se applicata in campo medico). Ciò che ne scaturisce è un sostanziale equilibrio che impedisce anche allo spettatore di assumere una posizione netta nella disputa. L'idea sarebbe quella di uno "sviluppo sostenibile", che accogliesse gli aspetti positivi di entrambi i modelli; ma ciò è davvero realizzabile? A questa domanda il pessimismo di Miyazaki non consente di dare una risposta.
In conclusione, "Mononoke Hime" è un film davvero bellissimo ed è diretto a un pubblico di ogni età. Ne consiglio vivamente la visione a quei pochi sciagurati che, come me, ne hanno finora rimandato inspiegabilmente la visione.
Devo confessare che, fino a questo momento, non ero rimasto molto impressionato: i film di Miyazaki mi erano sembrati sì tutti molto belli, ma mancava sempre quel "qualcosa in più" capace di trasformare un buon prodotto in un'opera veramente memorabile, tale cioè da strappare applausi a scena aperta. Con "Mononoke Hime", finalmente, il maestro riesce a compiere quel salto di qualità tanto atteso, superando anche l'ultimo ostacolo che gli impediva di raggiungere la perfezione: la presenza di una sceneggiatura troppo scarna.
Nonostante il loro indiscutibile fascino, i film precedenti apparivano, infatti, come dei bellissimi incompiuti, alla stregua di un quadro di Van Gogh lasciato incompleto per chissà quale motivo; con "Mononoke Hime", invece, abbiamo finalmente una sceneggiatura veramente importante, non più fatta di piccoli eventi un po' troppo fini a sé stessi da inserire in un contesto più grande che fa solo da sfondo, ma di una storia molto più articolata e non più di secondo piano. Chi si lamentava del fatto che nei film di Miyazaki "non succede mai niente" resterà sicuramente soddisfatto da questo film, in cui di cose ne accadono pure troppe.
In "Mononoke Hime", viene ripreso uno degli argomenti più cari al maestro giapponese: il rapporto fra uomo e natura. Come già in molti hanno avuto già modo di evidenziare, la visione pessimistica di Miyazaki su tale argomento, che a mio avviso si poteva intuire già dalle sue opere precedenti, trova qui la sua massima espressione. Il mondo rappresentato appare nettamente spaccato in due: da un lato troviamo la società naturale e dall'altra quella industrializzata. Non è, a mio avviso, importante il fatto che il bosco sia abitato da animali e non da esseri umani: quella rappresentata è a tutti gli effetti un tipo di società "umana", i cui attori sono solo mascherati da animali.
Ma a differenza di quanto sarebbe lecito aspettarsi, Miyazaki non sembra parteggiare per nessuno dei due modelli, ma riconosce ad entrambi dei pregi e dei difetti. A dimostrazione di ciò il principe Ashitaka, il cui ruolo è chiaramente quello di fare da arbitro in questo confronto fra i due tipi di società, non prende una posizione, ma cerca di aiutare indistintamente le due parti pur senza rinunciare a muovere le sue critiche ad entrambi i modelli. Il vero nemico, invece, è rappresentato dal potere politico: nel film, infatti, la figura che arreca più danni è quella dell'imperatore, che non persegue nessuna filosofia di vita ma solo l'interesse personale e la propria vanità.
Tornando al confronto tra i due tipi di società, vediamo che Miyazaki, contraddicendo le mie aspettative, non dipinge quella naturale come l'ideale irraggiungibile, ma sottolinea come anche in un contesto del genere non verrebbero meno alcuni dei difetti maggiori dell'uomo, come la cieca ostinazione (rappresentata dai cinghiali) o la vigliaccheria (rappresentata dalle scimmie); allo stesso tempo, pur non avendo una grande considerazione sui principi che governano una società industrializzata, ne riconosce anche i pregi (fonte di prosperità ed emancipazione e mezzo per la ricerca scientifica, specie se applicata in campo medico). Ciò che ne scaturisce è un sostanziale equilibrio che impedisce anche allo spettatore di assumere una posizione netta nella disputa. L'idea sarebbe quella di uno "sviluppo sostenibile", che accogliesse gli aspetti positivi di entrambi i modelli; ma ciò è davvero realizzabile? A questa domanda il pessimismo di Miyazaki non consente di dare una risposta.
In conclusione, "Mononoke Hime" è un film davvero bellissimo ed è diretto a un pubblico di ogni età. Ne consiglio vivamente la visione a quei pochi sciagurati che, come me, ne hanno finora rimandato inspiegabilmente la visione.
Purtroppo gli anime non sono molto diffusi in Italia, solo recentemente sto vedendo nelle fiere, e ora (finalmente) nei migliori cinema, degli eventi di pochi giorni per vedere questi film d'animazione giapponesi. Studio Ghibli ha deciso di riportare nei cinema tre film del maestro Miyazaki, e il primo di questi è "La principessa Mononoke". Un film davvero stupendo.
Se devo indicare l'unica cosa che potrebbe non piacere del film è che è un po' lento nella parte iniziale. Ma quella parte serve molto per capire in modo perfetto la fine, che rientra nella lista dei finali più belli.
La fantasia di Miyazaki va oltre ogni limite! La foresta da lui rappresentata ha un carattere particolare, infestata da animali e creature uniche nel loro genere. Non posso fare a meno di citare i 'pucciosissimi' Kodama, degli spiriti della foresta dalle piccole sembianze, dal colore chiaro, che emettono un rumore scuotendo la testa.
Ci tengo a dire che la colonna sonora è sensazionale, al cinema poi è tutta un'altra cosa con il Dolby Surround.
La storia parla di un ragazzo (Ashitaka) che, dopo aver difeso il suo villaggio da una bestia, viene colpito da una maledizione tramite contagio. Siccome la "malattia" è mortale, ha deciso di avventurarsi nella foresta in cerca del Dio Bestia (al cinema più volte si rideva per questo nome... ma va beh). Questo Dio Bestia è in grado di ripristinare le ferite, o nel peggiore dei casi di prendersi l'anima. Nel suo lungo viaggio incontra parecchi personaggi, tra cui San (la principessa Mononoke) e tanti altri umani. Sì, umani, perché alla fine sono proprio loro a provocare tutto. È la violenza che fanno e il voler a tutti i costi una determinata cosa che squilibra la pace della foresta. Infatti l'insegnamento di questo film è quello di valorizzare la propria vita e rispettare quelle altrui senza nuocere ad altre, ovvero coesistere.
Film da vedere assolutamente!
Se devo indicare l'unica cosa che potrebbe non piacere del film è che è un po' lento nella parte iniziale. Ma quella parte serve molto per capire in modo perfetto la fine, che rientra nella lista dei finali più belli.
La fantasia di Miyazaki va oltre ogni limite! La foresta da lui rappresentata ha un carattere particolare, infestata da animali e creature uniche nel loro genere. Non posso fare a meno di citare i 'pucciosissimi' Kodama, degli spiriti della foresta dalle piccole sembianze, dal colore chiaro, che emettono un rumore scuotendo la testa.
Ci tengo a dire che la colonna sonora è sensazionale, al cinema poi è tutta un'altra cosa con il Dolby Surround.
La storia parla di un ragazzo (Ashitaka) che, dopo aver difeso il suo villaggio da una bestia, viene colpito da una maledizione tramite contagio. Siccome la "malattia" è mortale, ha deciso di avventurarsi nella foresta in cerca del Dio Bestia (al cinema più volte si rideva per questo nome... ma va beh). Questo Dio Bestia è in grado di ripristinare le ferite, o nel peggiore dei casi di prendersi l'anima. Nel suo lungo viaggio incontra parecchi personaggi, tra cui San (la principessa Mononoke) e tanti altri umani. Sì, umani, perché alla fine sono proprio loro a provocare tutto. È la violenza che fanno e il voler a tutti i costi una determinata cosa che squilibra la pace della foresta. Infatti l'insegnamento di questo film è quello di valorizzare la propria vita e rispettare quelle altrui senza nuocere ad altre, ovvero coesistere.
Film da vedere assolutamente!
"La principessa Mononoke" è probabilmente il titolo Ghibli da cui sono stato maggiormente alla larga, un po' per i tanti pareri debolmente motivati che lo ponevano nella top di Miyazaki, un po' perché come epica ambientazione fanta-medievale non la sentivo troppo nelle mie corde. Dopo la visione posso confermare che non è esattamente il titolo Ghibli che per primo mi rimetterei a guardare, tuttavia è senza dubbio tra i lavori più impegnati dello studio giapponese. Possiede come previsto molti dei temi già visti in altri film: l'orrore della guerra, l'importanza della natura e il valore delle donne (se ci fosse l'elemento "mezzi volanti" saremmo al completo). Riguardo alla guerra... bisogna dire in tutta onestà che lo stile tipico della Ghibli non permette quella sporcizia e sofferenza necessari a renderla credibile, tuttavia "Mononoke" rimane senza dubbio un titolo drammatico. L' intreccio è stato reso non banale, con persone non annoverabili semplicemente come buone o cattive: ogni schieramento infatti sa essere nobile e crudele, perché ognuno ha la propria visione delle cose e ne è accecato sostenitore, pronto a tutto per la causa.
La città ferrosa è un elemento interessante, non mi stupirebbe se avesse ispirato una delle tribù del fuoco nella serie TV "Avatar-La leggenda di Aang".
Ashitaka è un discreto protagonista, una versione maschile di Nausicaa, forte e nobile non solo per lignaggio, indubbiamente una figura idealizzata, ma capace anch'egli di provare sentimenti umani come rabbia e odio, con la differenza di saperli controllare. Un principe capace di togliere la vita senza grandi rimorsi, ma anche uno che la ritiene un dono da non sprecare, indipendentemente dalla creatura che ha davanti, sia essa amica o nemica.
L'elemento "Natura" e le sue divinità sono, ahimè, come in altri lavori, un po' da interpretare, mentre, riguardo alle donne, "Mononoke" è probabilmente il lavoro in cui Miyazaki ha più pigiato più il pedale per valorizzarle. Se non fosse per il principe protagonista, esse dominerebbero incontrastate come forza e carisma su degli uomini che... più che lagnarsi non potrebbero fare.
Probabilmente, avendo visionato la prima versione, alcune mie perplessità saranno dovute all'adattamento disneyano, ma alcune cause sono chiaramente visibili. Ad esempio:
1) Le ferite sono inutilmente spettacolarizzate e rese grottesche (posso al limite accettare le decapitazioni, ma che sfrecci un oggetto impugnato e ti porti via le braccia di netto no: la maledizione ti dà forza al braccio, ma l'effetto Kienzan no).
2) Alcuni momenti, tra cui il finale e qualche personaggio, sono da approfondire. La vecchia veggente è inespressiva e sembra fregarsene altamente di Ashitaka e del futuro del villaggio. Oltre a ciò, che gli sia stato dato l'addio o meno, Ashitaka verso la fine ha una situazione che lo fa tornare ad avere delle responsabilità verso il suo popolo, eppure sembra dimenticarsene per motivi sentimentali. Lady Eboshi, d'altro canto, aggravata da un passato oscuro come il principe e fin troppo incrollabile come sicurezza e stoicismo al dolore, è anzi rispetto a lui ancor meno dispensatrice di piccoli segnali di fragilità umana, quindi il suo prendere coscienza di cambiare vita si percepisce solamente mal gestito. Teoricamente le battaglie non sono finite affatto, perché tanto il territorio, anche senza città, è ricco di giacimenti metalliferi e sarà ancora negli interessi dei popoli vicini. Inoltre l'imperatore potrebbe continuare a mandare mercenari, dato che la semplice scomparsa della divinità cervo non è certa né, a dire il vero, motivata in alcun modo, viene semplicemente accennata dai ragazzi in base al... nulla.
Insomma, l'ennesimo prodotto affascinante e confezionato con cura dalla Ghibli, ma anche un altro lavoro, come "La Città Incantata" o "Il castello errante di Howl", non proprio impeccabile (anche se molto migliore dei due titoli citati).
P.S. Piccola nota di lode per il comparto sonoro.
La città ferrosa è un elemento interessante, non mi stupirebbe se avesse ispirato una delle tribù del fuoco nella serie TV "Avatar-La leggenda di Aang".
Ashitaka è un discreto protagonista, una versione maschile di Nausicaa, forte e nobile non solo per lignaggio, indubbiamente una figura idealizzata, ma capace anch'egli di provare sentimenti umani come rabbia e odio, con la differenza di saperli controllare. Un principe capace di togliere la vita senza grandi rimorsi, ma anche uno che la ritiene un dono da non sprecare, indipendentemente dalla creatura che ha davanti, sia essa amica o nemica.
L'elemento "Natura" e le sue divinità sono, ahimè, come in altri lavori, un po' da interpretare, mentre, riguardo alle donne, "Mononoke" è probabilmente il lavoro in cui Miyazaki ha più pigiato più il pedale per valorizzarle. Se non fosse per il principe protagonista, esse dominerebbero incontrastate come forza e carisma su degli uomini che... più che lagnarsi non potrebbero fare.
Probabilmente, avendo visionato la prima versione, alcune mie perplessità saranno dovute all'adattamento disneyano, ma alcune cause sono chiaramente visibili. Ad esempio:
1) Le ferite sono inutilmente spettacolarizzate e rese grottesche (posso al limite accettare le decapitazioni, ma che sfrecci un oggetto impugnato e ti porti via le braccia di netto no: la maledizione ti dà forza al braccio, ma l'effetto Kienzan no).
2) Alcuni momenti, tra cui il finale e qualche personaggio, sono da approfondire. La vecchia veggente è inespressiva e sembra fregarsene altamente di Ashitaka e del futuro del villaggio. Oltre a ciò, che gli sia stato dato l'addio o meno, Ashitaka verso la fine ha una situazione che lo fa tornare ad avere delle responsabilità verso il suo popolo, eppure sembra dimenticarsene per motivi sentimentali. Lady Eboshi, d'altro canto, aggravata da un passato oscuro come il principe e fin troppo incrollabile come sicurezza e stoicismo al dolore, è anzi rispetto a lui ancor meno dispensatrice di piccoli segnali di fragilità umana, quindi il suo prendere coscienza di cambiare vita si percepisce solamente mal gestito. Teoricamente le battaglie non sono finite affatto, perché tanto il territorio, anche senza città, è ricco di giacimenti metalliferi e sarà ancora negli interessi dei popoli vicini. Inoltre l'imperatore potrebbe continuare a mandare mercenari, dato che la semplice scomparsa della divinità cervo non è certa né, a dire il vero, motivata in alcun modo, viene semplicemente accennata dai ragazzi in base al... nulla.
Insomma, l'ennesimo prodotto affascinante e confezionato con cura dalla Ghibli, ma anche un altro lavoro, come "La Città Incantata" o "Il castello errante di Howl", non proprio impeccabile (anche se molto migliore dei due titoli citati).
P.S. Piccola nota di lode per il comparto sonoro.
Prima di mettere per iscritto una recensione "professionale" solitamente ci si documenta, si chiedono pareri agli amici, si leggono i commenti degli altri utenti per farsi un'idea chiara e completa di ciò che si è visto, in modo da valutare con cognizione di causa. Questa è dunque una recensione amatoriale, scritta di getto dopo qualche giorno di visione e senza particolari pretese che non siano quelle di dare un parere personale e onesto, totalmente ignorante dei concetti di fondo che può avere il film.
"La principessa Mononoke" è il mio primo film targato Miyazaki, di cui inevitabilmente ho sentito parlare bene. Ciò che mi ha trasmesso è stata una piacevole sensazione di immersione; in tutte le due ore di visione mi sono sentito inghiottito nell'ambientazione, come se stessi seguendo i passi di Hashitaka nel suo esplorare un mondo dall'epoca e dalle usanze diverse da quelle dei giorni nostri, ma così tanto impregnate di fascino e misticismo da coinvolgermi.
Una forte disunione (barra conflitto) tra gli umani e la natura sembra essere il tema centrale su cui verte la storia, anche se questo non mi ha sinceramente colpito molto, lasciandomi invece piuttosto impassibile.
La figura di San mi è apparsa essere quella con una maggiore caratterizzazione per il fatto di credersi lupo, tanto da andare contro i principi dei suoi simili che vogliono disboscare la foresta in cui lei vive insieme ai lupi. Sentendosi minacciata dalla presunta crudeltà degli uomini, si difende con le unghie e con i denti, arrivando anche a tendere degli agguati con l'obiettivo di assassinare la figura che lei vede pericolosa per l'incolumità della natura stessa. Purtroppo però si trova in difficoltà nel suo intento, soprattutto per via delle armi da fuoco di cui gli uomini e le donne di lady Eboshi dispongono.
In tutto questo, il protagonista Hashitaka è costretto ad abbandonare il suo villaggio in cerca dello spirito in grado di curare la sua infezione provocata dal demone cinghiale e che lo porterà inevitabilmente alla morte. Sembra essere guidato da sentimenti di odio verso le presunte ingiustizie; tuttavia, con un briciolo di ragione rimasta, riesce a reprimere questo sentimento negativo che sembra essere alimentato o comunque accentuato dall'infezione. Anzi, man mano che la vicenda si sviluppa, sembra diventare particolarmente empatico e comprensivo nei confronti di entrambe le fazioni in guerra, tanto che alla fine non si schiererà davvero né con l'una e né con l'altra, facendo solo ciò che riterrà giusto.
Purtroppo i personaggi non mi hanno davvero colpito molto, e molte scene di dialogo mi sono parse piatte, al contrario invece delle personificazioni degli animali, descritti anche con una loro precisa psicologia, proprio come quando viene evidenziato il modo di ragionare dei cinghiali differentemente da quello dei lupi.
Un particolare plauso devo farlo al comparto sonoro, che personalmente mi ha coinvolto e commosso più volte, insieme all'ambientazione. A volte con scene anche abbastanza violente.
Tirando le somme di questa mia piccola e personale recensione, posso dire che non mi è davvero piaciuto molto, sebbene ne avverta il peso culturale. Sembra affrontare un argomento sempre attuale e universalmente importante, ma non sembra farlo con una grande forza comunicativa e un sano, concreto intrattenimento.
Per la sua capacità immersiva il mio voto è comunque sopra la sufficienza, tanto che lo considero un film da vedere almeno una volta.
"La principessa Mononoke" è il mio primo film targato Miyazaki, di cui inevitabilmente ho sentito parlare bene. Ciò che mi ha trasmesso è stata una piacevole sensazione di immersione; in tutte le due ore di visione mi sono sentito inghiottito nell'ambientazione, come se stessi seguendo i passi di Hashitaka nel suo esplorare un mondo dall'epoca e dalle usanze diverse da quelle dei giorni nostri, ma così tanto impregnate di fascino e misticismo da coinvolgermi.
Una forte disunione (barra conflitto) tra gli umani e la natura sembra essere il tema centrale su cui verte la storia, anche se questo non mi ha sinceramente colpito molto, lasciandomi invece piuttosto impassibile.
La figura di San mi è apparsa essere quella con una maggiore caratterizzazione per il fatto di credersi lupo, tanto da andare contro i principi dei suoi simili che vogliono disboscare la foresta in cui lei vive insieme ai lupi. Sentendosi minacciata dalla presunta crudeltà degli uomini, si difende con le unghie e con i denti, arrivando anche a tendere degli agguati con l'obiettivo di assassinare la figura che lei vede pericolosa per l'incolumità della natura stessa. Purtroppo però si trova in difficoltà nel suo intento, soprattutto per via delle armi da fuoco di cui gli uomini e le donne di lady Eboshi dispongono.
In tutto questo, il protagonista Hashitaka è costretto ad abbandonare il suo villaggio in cerca dello spirito in grado di curare la sua infezione provocata dal demone cinghiale e che lo porterà inevitabilmente alla morte. Sembra essere guidato da sentimenti di odio verso le presunte ingiustizie; tuttavia, con un briciolo di ragione rimasta, riesce a reprimere questo sentimento negativo che sembra essere alimentato o comunque accentuato dall'infezione. Anzi, man mano che la vicenda si sviluppa, sembra diventare particolarmente empatico e comprensivo nei confronti di entrambe le fazioni in guerra, tanto che alla fine non si schiererà davvero né con l'una e né con l'altra, facendo solo ciò che riterrà giusto.
Purtroppo i personaggi non mi hanno davvero colpito molto, e molte scene di dialogo mi sono parse piatte, al contrario invece delle personificazioni degli animali, descritti anche con una loro precisa psicologia, proprio come quando viene evidenziato il modo di ragionare dei cinghiali differentemente da quello dei lupi.
Un particolare plauso devo farlo al comparto sonoro, che personalmente mi ha coinvolto e commosso più volte, insieme all'ambientazione. A volte con scene anche abbastanza violente.
Tirando le somme di questa mia piccola e personale recensione, posso dire che non mi è davvero piaciuto molto, sebbene ne avverta il peso culturale. Sembra affrontare un argomento sempre attuale e universalmente importante, ma non sembra farlo con una grande forza comunicativa e un sano, concreto intrattenimento.
Per la sua capacità immersiva il mio voto è comunque sopra la sufficienza, tanto che lo considero un film da vedere almeno una volta.
Una vera e propria favola morale, l'uomo contro la natura!
Una storia stupenda come ci si aspettava dal grande Miyazaki e dallo Studio Ghibli, pura poesia! Paesaggi stupendi, sguardi fieri, cuori pieni di sentimenti, coraggio, paura e amore per gli esseri viventi e la natura. Questa favola ci fa capire che umani e natura possono convivere, se riuscissimo ad essere meno avidi e più rispettosi.
Principessa san, coprotagonista del film, è un personaggio stupendo, lotta strenuamente per difendere il suo territorio e la natura... istintiva, irruenta, forte e orgogliosa, davvero un'essenza meravigliosa, contrapposta al giovane Ashitaka, ragazzo combattente fiero, forte, determinato e rispettoso.
La magia delle musiche e dei superbi disegni, quasi magici, ti trasportano nel mondo di san e Ashitaka, fatto di natura incontaminata, acque limpide, spiriti curiosi, animali coraggiosi e dei.
Da vedere e rivedere.
Una storia stupenda come ci si aspettava dal grande Miyazaki e dallo Studio Ghibli, pura poesia! Paesaggi stupendi, sguardi fieri, cuori pieni di sentimenti, coraggio, paura e amore per gli esseri viventi e la natura. Questa favola ci fa capire che umani e natura possono convivere, se riuscissimo ad essere meno avidi e più rispettosi.
Principessa san, coprotagonista del film, è un personaggio stupendo, lotta strenuamente per difendere il suo territorio e la natura... istintiva, irruenta, forte e orgogliosa, davvero un'essenza meravigliosa, contrapposta al giovane Ashitaka, ragazzo combattente fiero, forte, determinato e rispettoso.
La magia delle musiche e dei superbi disegni, quasi magici, ti trasportano nel mondo di san e Ashitaka, fatto di natura incontaminata, acque limpide, spiriti curiosi, animali coraggiosi e dei.
Da vedere e rivedere.
Comincio subito col dire che "La principessa Mononoke" (traduzione italiana di "Mononoke Hime", che sarebbe stato più corretto tradurre con "La principessa sussurro" o "La principessa fantasma") è, a mio parere, il migliore dei lungometraggi firmati Hayao Miyazaki che mi sia capitato di vedere. Vediamo insieme il perché.
Una delle primissime cose che saltano all'occhio è la pregevolissima qualità grafica: disegni stupendi e animazioni incredibilmente fluide che non hanno assolutamente nulla da invidiare a prodotti ben più recenti (qui si parla di 1997). Calzante e decisamente azzeccata la colonna sonora.
Tuttavia, fin qua non si dice molto di più rispetto a quello a cui il buon Hayao e lo studio Ghibli ci hanno abituato. Perché dunque definirlo "il migliore"?
Perché pur conservando le caratteristiche tipiche dei lavori del maestro -è e rimane una splendida fiaba- riesce a portare avanti, con una forza e con una crudezza sorprendenti, sia la tematica del rispetto dell'ambiente sia quella della guerra, sia quella dell'ingiustizia della vita: spesso a venire "castigato" da essa non è chi lo merita. Come nel caso di Ashitaka, eroe buono che suo malgrado cade vittima di una maledizione che ha le sue origini lontano dal suo villaggio. Si deve dunque mettere in viaggio, attraverso un paese in guerra. Guerra che però non è solo tra umani: è anche guerra contro la natura. E qui si inserisce una pesante critica alla modernità e alla sua dissennata ricerca di ricchezza, che non si fa scrupoli a distruggere la natura per poterne trarre profitti di natura materiale.
Uno degli aspetti di maggior pregio è che, nonostante la chiara propensione del film a favore della natura, non si cada nella banalizzazione degli antagonisti: donna Eboshi, la signora della città del ferro (colei che sta distruggendo la foresta per poter estrarre il minerale dalla montagna), non è semplicemente "cattiva". Anzi, è una paladina dell'uomo e una icona per i più deboli, visto che nella sua città è anche celebre per aver accolto e dato cure ai lebbrosi, normalmente esclusi dalla società. Conseguentemente, il risultato è un intreccio completato di volontà, ciascuna con i propri pro e i propri contro. Il che lascia la possibilità per lo spettatore di intraprendere una pluralità di riflessioni sui temi offerti.
Ecco, forse solo il finale mi è sembrato un po' troppo buonista. Secondo me sarebbe stato perfetto lasciare un finale aperto, che avrebbe anche reso meglio il concetto di morte degli dei, che nell'era moderna non trovano più un loro spazio, lasciando di conseguenza il futuro del mondo nelle mani dell'uomo.
Una delle primissime cose che saltano all'occhio è la pregevolissima qualità grafica: disegni stupendi e animazioni incredibilmente fluide che non hanno assolutamente nulla da invidiare a prodotti ben più recenti (qui si parla di 1997). Calzante e decisamente azzeccata la colonna sonora.
Tuttavia, fin qua non si dice molto di più rispetto a quello a cui il buon Hayao e lo studio Ghibli ci hanno abituato. Perché dunque definirlo "il migliore"?
Perché pur conservando le caratteristiche tipiche dei lavori del maestro -è e rimane una splendida fiaba- riesce a portare avanti, con una forza e con una crudezza sorprendenti, sia la tematica del rispetto dell'ambiente sia quella della guerra, sia quella dell'ingiustizia della vita: spesso a venire "castigato" da essa non è chi lo merita. Come nel caso di Ashitaka, eroe buono che suo malgrado cade vittima di una maledizione che ha le sue origini lontano dal suo villaggio. Si deve dunque mettere in viaggio, attraverso un paese in guerra. Guerra che però non è solo tra umani: è anche guerra contro la natura. E qui si inserisce una pesante critica alla modernità e alla sua dissennata ricerca di ricchezza, che non si fa scrupoli a distruggere la natura per poterne trarre profitti di natura materiale.
Uno degli aspetti di maggior pregio è che, nonostante la chiara propensione del film a favore della natura, non si cada nella banalizzazione degli antagonisti: donna Eboshi, la signora della città del ferro (colei che sta distruggendo la foresta per poter estrarre il minerale dalla montagna), non è semplicemente "cattiva". Anzi, è una paladina dell'uomo e una icona per i più deboli, visto che nella sua città è anche celebre per aver accolto e dato cure ai lebbrosi, normalmente esclusi dalla società. Conseguentemente, il risultato è un intreccio completato di volontà, ciascuna con i propri pro e i propri contro. Il che lascia la possibilità per lo spettatore di intraprendere una pluralità di riflessioni sui temi offerti.
Ecco, forse solo il finale mi è sembrato un po' troppo buonista. Secondo me sarebbe stato perfetto lasciare un finale aperto, che avrebbe anche reso meglio il concetto di morte degli dei, che nell'era moderna non trovano più un loro spazio, lasciando di conseguenza il futuro del mondo nelle mani dell'uomo.
Ho guardato questo film d'animazione approfittando del recente passaggio al cinema, prima non l'avevo mai visto quindi non sono in grado di fare un confronto tra il vecchio adattamento e il nuovo, ma per quanto mi riguarda sono rimasto abbastanza soddisfatto del doppiaggio.
Pur conoscendo Miyazaki non sapevo cosa aspettarmi, ho volutamente evitato di leggere trame, recensioni e commenti per non farmi influenzare il giudizio, e sono rimasto molto positivamente colpito. Non starò a spiegare la trama perché la si può già trovare in questa pagina e un po' ovunque, lascerò solo le mie personali impressioni.
Innanzitutto una delle cose che mi ha più colpito è la complessità della storia: sono uscito dalla sala pensando: 'questo non è un film per bambini', come del resto testimoniavano le facce vagamente confuse di quei pochi che erano presenti in sala. Non è neanche un film banalmente ecologista. Sebbene questo tema sia di primaria importanza, esso non viene spiattellato in un ovvietà di buonismo, ma anzi, viene immerso in un mondo fantastico fatto di chiaroscuri e di tonalità di grigio, dove per tutto il tempo non c'è mai una chiara e netta distinzione fra bene e male, buoni e cattivi, ogni fazione ha delle ragioni e la porta avanti più o meno come riesce a farlo, spesso sbagliando. Alla fine di tutto credo che il vero vincitore sia la vita, che continua nonostante tutto, che tu sia animale o uomo fai comunque parte della stessa terra, e se dopo la guerra si riesce a riprendersi con nuovi e rinnovati intenti di comprensione reciproca, allora c'è una speranza per un futuro migliore.
La cornice dell'ambientazione mi è piaciuta molto, adoro lo stile di disegno dello studio Ghibli. Inoltre la colonna sonora la reputo riuscitissima (il buon Joe Hisaishi non sbaglia mai un colpo), la quale riesce a caricare del giusto pathos i momenti più travolgenti e a far emergere anche i momenti di silenzio in cui si è circondati dalla natura placida e dai suoi suoni.
Ho trovato i personaggi molto simpatici, caratterizzati chi più chi meno (ad esempio la principessa ha un carattere abbastanza standard, ma mi è comunque rimasta piacevolmente impressa, e le viene dato un fascino particolare che trovo irresistibile), e le varie bestie molto ben sfaccettate, molto umane nel loro modo di essere.
Se volessi proprio trovargli qualche difetto, direi il ritmo un po' lento in alcuni punti (ma bisogna anche considerare che il film è del 1997, ha più di quindici anni) e il doppiaggio degli animali: immagino sia molto difficile far parlare decentemente degli animali, ma probabilmente il loro doppiaggio poteva essere un poco più oculato.
In definitiva, credo che La Principessa Mononoke sia un must per gli appassionati di animazione nipponica, ma è caldamente consigliato a chiunque, magari non ai bambini più piccoli per via dei temi non immediati e per qualche scena non troppo all'acqua di rose. È di alto livello sia paragonato alle altre opere in patria che ai film d'animazione occidentali. Il mio voto non può essere meno di 9.
Pur conoscendo Miyazaki non sapevo cosa aspettarmi, ho volutamente evitato di leggere trame, recensioni e commenti per non farmi influenzare il giudizio, e sono rimasto molto positivamente colpito. Non starò a spiegare la trama perché la si può già trovare in questa pagina e un po' ovunque, lascerò solo le mie personali impressioni.
Innanzitutto una delle cose che mi ha più colpito è la complessità della storia: sono uscito dalla sala pensando: 'questo non è un film per bambini', come del resto testimoniavano le facce vagamente confuse di quei pochi che erano presenti in sala. Non è neanche un film banalmente ecologista. Sebbene questo tema sia di primaria importanza, esso non viene spiattellato in un ovvietà di buonismo, ma anzi, viene immerso in un mondo fantastico fatto di chiaroscuri e di tonalità di grigio, dove per tutto il tempo non c'è mai una chiara e netta distinzione fra bene e male, buoni e cattivi, ogni fazione ha delle ragioni e la porta avanti più o meno come riesce a farlo, spesso sbagliando. Alla fine di tutto credo che il vero vincitore sia la vita, che continua nonostante tutto, che tu sia animale o uomo fai comunque parte della stessa terra, e se dopo la guerra si riesce a riprendersi con nuovi e rinnovati intenti di comprensione reciproca, allora c'è una speranza per un futuro migliore.
La cornice dell'ambientazione mi è piaciuta molto, adoro lo stile di disegno dello studio Ghibli. Inoltre la colonna sonora la reputo riuscitissima (il buon Joe Hisaishi non sbaglia mai un colpo), la quale riesce a caricare del giusto pathos i momenti più travolgenti e a far emergere anche i momenti di silenzio in cui si è circondati dalla natura placida e dai suoi suoni.
Ho trovato i personaggi molto simpatici, caratterizzati chi più chi meno (ad esempio la principessa ha un carattere abbastanza standard, ma mi è comunque rimasta piacevolmente impressa, e le viene dato un fascino particolare che trovo irresistibile), e le varie bestie molto ben sfaccettate, molto umane nel loro modo di essere.
Se volessi proprio trovargli qualche difetto, direi il ritmo un po' lento in alcuni punti (ma bisogna anche considerare che il film è del 1997, ha più di quindici anni) e il doppiaggio degli animali: immagino sia molto difficile far parlare decentemente degli animali, ma probabilmente il loro doppiaggio poteva essere un poco più oculato.
In definitiva, credo che La Principessa Mononoke sia un must per gli appassionati di animazione nipponica, ma è caldamente consigliato a chiunque, magari non ai bambini più piccoli per via dei temi non immediati e per qualche scena non troppo all'acqua di rose. È di alto livello sia paragonato alle altre opere in patria che ai film d'animazione occidentali. Il mio voto non può essere meno di 9.
Nell'antico Giappone del periodo Muromachi, un villaggio Emishi viene attaccato da un cinghiale posseduto da un demone. L'ultimo principe degli Emishi, Ashitaka, riesce a sconfiggerlo prima che raggiunga il villaggio, tuttavia, durante lo scontro, il suo braccio destro viene infettato dall'energia negativa di tale misteriosa carogna infuriata. L'oracolo del villaggio invierà Ashitaka nelle terre dell'ovest, alla ricerca della cura contro la maledizione, e in questo viaggio il giovane farà la conoscenza di San, la principessa spettro, ragazza selvaggia e inquieta, abbandonata dai genitori in tenera età e cresciuta dai lupi del bosco; Eboshi, una carismatica capo villaggio che ha creato una micro-società industrializzata di stampo matriarcale (la donna fa costruire archibugi ai suoi fabbri al fine di fare la guerra ai samurai e agli animali del bosco); incontrerà il Dio bestia, lo spirito che occupa il gradino più alto nella gerarchia degli spiriti degli alberi, delle piante e della natura in sé. Ashitaka cercherà, con fare molto compromettente, di far interrompere la vera e propria guerra in corso tra Eboshi, che rappresenta il progresso della tecnica, e San, la tradizione, l'attaccamento incondizionato verso la natura, verso il passato. Tuttavia, l'accanimento di Eboshi verso il Dio bestia, al quale vuole a tutti i costi staccare la testa, complicherà ulteriormente le cose...
E' un Miyazaki "darkeggiante", quello di "Princess Mononoke". Insolitamente, il film, su ammissione stessa del regista, è rivolto a un pubblico adulto: è violento, con braccia, gambe e teste che volano qua e là appena colpite da una freccia; cupo - la stessa San è una versione "dark" e maledetta della purissima Nausicaa della valle del vento -, irriverente verso la tradizione patriarcale giapponese, ridicolizzata dalle donne della società matriarcale di Eboshi, che sfottono i mariti e uccidono samurai con molta disinvoltura - insolenza accentuata ulteriormente nel contesto del periodo storico scelto dall'autore, proibitivo più che mai nei confronti della figura femminile.
La concezione animista di Miyazaki è chiaramente ispirata allo shintoismo, in particolare la natura viene raffigurata come un'entità superiore impersonale e imparziale, nella quale si muovono, come atomi, animali che provano odio esattamente come gli uomini, fatto che li pone al loro stesso livello. Il solito tema ecologico tipico dell'autore non è così palese - il Dio bestia dà la vita, ma allo stesso tempo la toglie: quando tocca qualcosa con i suoi zoccoli, fa crescere delle piante, ma poi esse, subito dopo, appassiscono -. Penso che il film si soffermi più che altro sui problemi della guerra, dell'odio, della convivenza reciproca tra entità differenti. Detto questo, devo ammettere che le numerosissime scene di "Princess Mononoke" in cui gli spiriti del bosco si muovono, a centinaia, in mezzo al muschio e agli alberi sono assai suggestive, allo stesso modo delle numerose apparizioni del Dio bestia, sul quale la telecamera si sofferma con timore quasi reverenziale. Ovviamente le animazioni sono l'eccellenza (il film all'epoca godeva di un elevatissimo budget), e sono inserite in fondali pieni zeppi di panorami naturalistici iper dettagliati e affascinanti.
Fino allo scontro tra San e Eboshi, la sceneggiatura è veramente avvincente, ben dosata, coinvolgente al massimo. Tuttavia, successivamente, rallenta in modo troppo marcato, in quanto l'autore preferisce dilungarsi amoreggiando con la sua natura idealizzata, raffigurandola in modo molto ripetitivo, tralasciando la caratterizzazione dei personaggi (a parte Eboshi, l'unica con un minimo di personalità, tutti sembrano pupazzi prigionieri dei loro rispettivi ruoli). Due ore e mezza per un film dalla trama così semplice sono troppe, al di là della perizia tecnica del blasonato Miyazaki-san, che non si discute - anche registicamente parlando. Nota dolente è il finale, un frettoloso rush apocalittico (con tanto di Dio gigante "alla Nausicaa") che cerca in tutti i modi di salvare capre (anche in senso letterale) e cavoli nonostante gli eventi abbiano ormai assunto una piega decisamente drammatica e annichilente. Un finale a mio avviso poco efficace, che non riesce ad essere sufficientemente incisivo e chiaro nel lanciare il suo messaggio riguardante i difficili temi della guerra e dell'odio. Sicuramente il monito sulla violazione dell'equilibrio naturale è reso abbastanza bene, tuttavia le mie perplessità riguardano in particolare il cattivo dosaggio dei tempi nella sceneggiatura e il fatto che alcuni personaggi, che avrebbero ucciso la madre per denaro, diventino, dopo un certo evento, dei buoni samaritani sorridenti. Inoltre, la grandiosa novella Prometeo Eboshi poteva essere sfruttata meglio, dato il suo notevole carisma, così come tutti gli altri personaggi, la cui dipartita, nel caso di un ipotetico - e sicuramente più efficace - finale tominiano, mi sarebbe stata quanto mai indifferente, data la loro assoluta mono-caratterizzazione. Devo comunque far notare come le gelide parole finali di San mettano in chiaro che le cose non si siano affatto risolte nel migliore dei modi possibili.
La cosa che più ho apprezzato del film è il suo lato insolitamente (per gli standard dell'autore) maledetto, horrorifico: vermi posseduti da emozioni negative che dilaniano cadaveri di cinghiali dalle sembianze mostruose; gli occhi fissi del Dio bestia, resi ancora più inquietanti dall'utilizzo dosato del grandangolo e dalle scelte sagge di prospettiva, lo sguardo animalesco e pieno di odio allo stato puro dell'inquietante principessa degli spettri, che fissa un sorpreso Ashitaka con la bocca sporcata dal sangue rossastro di un cane selvatico.
Secondo la volontà di Miyazaki, i dialoghi di "Princess Mononoke" sono volutamente aulici, in modo perfettamente coerente con il parlato risalente al periodo storico in cui è ambientato il film. Pertanto è fortemente consigliato l'adattamento fedele all'originale, operato recentemente da Gualtiero Cannarsi. Il vecchio doppiaggio deve essere ignorato, in quanto presenta addirittura frasi inventate che snaturano l'opera in sé come concepita originariamente dal suo autore.
E' un Miyazaki "darkeggiante", quello di "Princess Mononoke". Insolitamente, il film, su ammissione stessa del regista, è rivolto a un pubblico adulto: è violento, con braccia, gambe e teste che volano qua e là appena colpite da una freccia; cupo - la stessa San è una versione "dark" e maledetta della purissima Nausicaa della valle del vento -, irriverente verso la tradizione patriarcale giapponese, ridicolizzata dalle donne della società matriarcale di Eboshi, che sfottono i mariti e uccidono samurai con molta disinvoltura - insolenza accentuata ulteriormente nel contesto del periodo storico scelto dall'autore, proibitivo più che mai nei confronti della figura femminile.
La concezione animista di Miyazaki è chiaramente ispirata allo shintoismo, in particolare la natura viene raffigurata come un'entità superiore impersonale e imparziale, nella quale si muovono, come atomi, animali che provano odio esattamente come gli uomini, fatto che li pone al loro stesso livello. Il solito tema ecologico tipico dell'autore non è così palese - il Dio bestia dà la vita, ma allo stesso tempo la toglie: quando tocca qualcosa con i suoi zoccoli, fa crescere delle piante, ma poi esse, subito dopo, appassiscono -. Penso che il film si soffermi più che altro sui problemi della guerra, dell'odio, della convivenza reciproca tra entità differenti. Detto questo, devo ammettere che le numerosissime scene di "Princess Mononoke" in cui gli spiriti del bosco si muovono, a centinaia, in mezzo al muschio e agli alberi sono assai suggestive, allo stesso modo delle numerose apparizioni del Dio bestia, sul quale la telecamera si sofferma con timore quasi reverenziale. Ovviamente le animazioni sono l'eccellenza (il film all'epoca godeva di un elevatissimo budget), e sono inserite in fondali pieni zeppi di panorami naturalistici iper dettagliati e affascinanti.
Fino allo scontro tra San e Eboshi, la sceneggiatura è veramente avvincente, ben dosata, coinvolgente al massimo. Tuttavia, successivamente, rallenta in modo troppo marcato, in quanto l'autore preferisce dilungarsi amoreggiando con la sua natura idealizzata, raffigurandola in modo molto ripetitivo, tralasciando la caratterizzazione dei personaggi (a parte Eboshi, l'unica con un minimo di personalità, tutti sembrano pupazzi prigionieri dei loro rispettivi ruoli). Due ore e mezza per un film dalla trama così semplice sono troppe, al di là della perizia tecnica del blasonato Miyazaki-san, che non si discute - anche registicamente parlando. Nota dolente è il finale, un frettoloso rush apocalittico (con tanto di Dio gigante "alla Nausicaa") che cerca in tutti i modi di salvare capre (anche in senso letterale) e cavoli nonostante gli eventi abbiano ormai assunto una piega decisamente drammatica e annichilente. Un finale a mio avviso poco efficace, che non riesce ad essere sufficientemente incisivo e chiaro nel lanciare il suo messaggio riguardante i difficili temi della guerra e dell'odio. Sicuramente il monito sulla violazione dell'equilibrio naturale è reso abbastanza bene, tuttavia le mie perplessità riguardano in particolare il cattivo dosaggio dei tempi nella sceneggiatura e il fatto che alcuni personaggi, che avrebbero ucciso la madre per denaro, diventino, dopo un certo evento, dei buoni samaritani sorridenti. Inoltre, la grandiosa novella Prometeo Eboshi poteva essere sfruttata meglio, dato il suo notevole carisma, così come tutti gli altri personaggi, la cui dipartita, nel caso di un ipotetico - e sicuramente più efficace - finale tominiano, mi sarebbe stata quanto mai indifferente, data la loro assoluta mono-caratterizzazione. Devo comunque far notare come le gelide parole finali di San mettano in chiaro che le cose non si siano affatto risolte nel migliore dei modi possibili.
La cosa che più ho apprezzato del film è il suo lato insolitamente (per gli standard dell'autore) maledetto, horrorifico: vermi posseduti da emozioni negative che dilaniano cadaveri di cinghiali dalle sembianze mostruose; gli occhi fissi del Dio bestia, resi ancora più inquietanti dall'utilizzo dosato del grandangolo e dalle scelte sagge di prospettiva, lo sguardo animalesco e pieno di odio allo stato puro dell'inquietante principessa degli spettri, che fissa un sorpreso Ashitaka con la bocca sporcata dal sangue rossastro di un cane selvatico.
Secondo la volontà di Miyazaki, i dialoghi di "Princess Mononoke" sono volutamente aulici, in modo perfettamente coerente con il parlato risalente al periodo storico in cui è ambientato il film. Pertanto è fortemente consigliato l'adattamento fedele all'originale, operato recentemente da Gualtiero Cannarsi. Il vecchio doppiaggio deve essere ignorato, in quanto presenta addirittura frasi inventate che snaturano l'opera in sé come concepita originariamente dal suo autore.
L'ho visto aspettandomi molto, moltissimo, non sono rimasta delusa.
La storia nasce con Ashitaka, un ragazzo che viene coinvolto in qualche cosa di più grande di lui quando un Dio maligno cinghiale, arriva nel suo pacifico villaggio. Per salvare il suo posto natale scaglia una freccia contro il Dio ma, purtroppo, viene contagiato dalla maledizione che l'animale portava con se. Per cercare di salvarsi deve andare fino alla terra dalla quale l'animale proviene e cercare di capire che cos'è capitato. Insomma, un giovane parte per un mondo che non conosce. Quasi fosse un passaggio per la crescita personale del protagonista, oltre che una corsa contro il tempo per la vita. Non voglio aggiungere molto altro per quanto riguarda la trama perché vale la pena vederlo, goderlo a pieno e non aspettarsi niente di quello che capiterà.
C'è da dire che tutta la storia ha toni fiabeschi che, però, si mischiano perfettamente in un mondo che cambia. Il doppiaggio mette in evidenza che il tempo che ci troviamo a vivere nel lungometraggio, è del tutto diverso da quello che viviamo tutti i giorni. Non è subito immediato ma, dopo poco, non è difficile entrare nel vivo. Anzi, aiuta ad immedesimarsi di più e niente è veramente così difficile da capire.
Il messaggio che poi viene dato da questo film è particolarmente profondo. La vita, la morte, tutto coesiste ed è importante che sia così. Il progresso non deve cercare di prevalere sulla natura, perché questo porta solo alla violenza.
Chi si aspettava un lungometraggio per bambini ha sbagliato posto e sala del cinema. Nella sua delicatezza, le immagini di Mononoke sanno essere incisive.
La regia stessa mi è piaciuta moltissimo, i paesaggi sono maestosi e sembra di poterli vivere davvero. La varietà di personaggi è molto ampia e vedere delle donne al potere, donne così allegre poi, mi ha fatto veramente divertire. Che altro aggiungere, un piccolo capolavoro di Myiazaki che stupisce e non delude. Guardatelo, guardatelo, guardatelo.
La storia nasce con Ashitaka, un ragazzo che viene coinvolto in qualche cosa di più grande di lui quando un Dio maligno cinghiale, arriva nel suo pacifico villaggio. Per salvare il suo posto natale scaglia una freccia contro il Dio ma, purtroppo, viene contagiato dalla maledizione che l'animale portava con se. Per cercare di salvarsi deve andare fino alla terra dalla quale l'animale proviene e cercare di capire che cos'è capitato. Insomma, un giovane parte per un mondo che non conosce. Quasi fosse un passaggio per la crescita personale del protagonista, oltre che una corsa contro il tempo per la vita. Non voglio aggiungere molto altro per quanto riguarda la trama perché vale la pena vederlo, goderlo a pieno e non aspettarsi niente di quello che capiterà.
C'è da dire che tutta la storia ha toni fiabeschi che, però, si mischiano perfettamente in un mondo che cambia. Il doppiaggio mette in evidenza che il tempo che ci troviamo a vivere nel lungometraggio, è del tutto diverso da quello che viviamo tutti i giorni. Non è subito immediato ma, dopo poco, non è difficile entrare nel vivo. Anzi, aiuta ad immedesimarsi di più e niente è veramente così difficile da capire.
Il messaggio che poi viene dato da questo film è particolarmente profondo. La vita, la morte, tutto coesiste ed è importante che sia così. Il progresso non deve cercare di prevalere sulla natura, perché questo porta solo alla violenza.
Chi si aspettava un lungometraggio per bambini ha sbagliato posto e sala del cinema. Nella sua delicatezza, le immagini di Mononoke sanno essere incisive.
La regia stessa mi è piaciuta moltissimo, i paesaggi sono maestosi e sembra di poterli vivere davvero. La varietà di personaggi è molto ampia e vedere delle donne al potere, donne così allegre poi, mi ha fatto veramente divertire. Che altro aggiungere, un piccolo capolavoro di Myiazaki che stupisce e non delude. Guardatelo, guardatelo, guardatelo.
Fantavoloso. Quale miglior complimento se non unire il fantastico e favoloso in un'unica parola che definisce questo film? Siccome non l'avevo ancora visto, ho colto l'occasione del festival del cinema per andarlo a vedere, addirittura col doppiaggio nuovo e per soli 3 euro me lo sono pure goduto al grande schermo. Meglio di così si muore, ma non dilunghiamoci troppo.
La storia vede per protagonista Ashitaka, principe del villaggio Emishi, che per proteggerlo da un attacco da parte di un dio maligno viene maledetto dopo averlo sconfitto. Quel segno gli conferisce una forza sovrumana, ma in cambio lo segnerà fino a quando non si sarà espanso per tutto il corpo provocandone la morte. Sotto consiglio della saggia del villaggio, decide di andare alla scoperta di una cura insieme al suo fido destriero Yakult. Durante il suo viaggio, Ashitaka farà la conoscenza di tre personaggi particolari che raffigurano l'essenza dell'uomo.
Madame Eboshi rappresenta la progressione, lo sviluppo della tecnologia che ha portato il genere umano a deviare il percorso dalle tradizioni per ovviare ad uno più moderno creando una società in cui le donne lavorano il ferro e sono rispettate dagli stessi uomini. Inoltre, concede un posto ai lebbrosi, emarginati sociali a cui diede il compito di produrre armi. Per la produzione del ferro ha bisogno che i boschi vengano distrutti per poterne ricavare il materiale utile fregandosene delle conseguenze, e sarà disposta a tutto pur di realizzare questa sua estrema ambizione.
San, invece, è una ragazza abbandonata che è stata allevata dagli animali nella natura selvaggia, quindi che è ancora legata alle tradizioni. Non si fida degli umani, li disprezza perché cercano di distruggere il suo luogo natio e combatte contro il loro egoismo. Si comporta come un animale, ma il suo corpo umano limita la sua anima selvaggia imprigionandola.
Il monaco Jigo Bou potrebbe passare inosservato, tuttavia è quello che tira i fili dietro le quinte. Pensa di manovrare le persone a suo piacimento e raffigura l'egoismo umano nel volere il potere tutto per sé.
Infine abbiamo Ashitaka, che viene coinvolto in tutto questo. Egli rappresenta il compromesso. Cerca di conciliare la natura e il moderno credendo di poter farli convivere entrambi, ma la sua è un'ardua impresa perché noteremo che stare nel mezzo è più difficile di quanto possa essere espresso a parole.
Miyazaki, tramite i personaggi, vuole far capire al pubblico che per legare natura e modernizzazione ci vuole sacrificio da ambo le parti. Se ci pensiamo, ancora adesso non abbiamo trovato un compromesso.
Dal punto di vista del disegno, l'autore da sfogo alla sua immaginazione nel creare creature affascinanti e allo stesso tempo misteriose, forti, rabbiose e crudeli come la natura. Una natura sconfinata, laddove in alcune scene il silenzio fa da padrone, concedendoci momenti di riflessione ed osservare quel paesaggio che ci mette in pace con noi stessi, un impatto visivo capace di togliere il fiato. Durante l'avventura verremo accompagnati dalle musiche di Joe Hisaishi, molto poetiche e riflessive e da un doppiaggio che esegue il suo lavoro egregiamente.
Però il film presenta dei difetti come un ritmo iniziale basso, l'"amore" che prova Ashitaka per San reso troppo superficiale, ed un finale troppo affrettato.
Sicuramente non è un film per bambini. Il messaggio che vuole dare potrebbe non essere compreso da loro considerandolo una mera animazione senza sostanza, per cui consiglio la visione ad un pubblico più maturo capace di cogliere quello che Miyazaki vuole lasciare ai posteri per il futuro avvenire.
La storia vede per protagonista Ashitaka, principe del villaggio Emishi, che per proteggerlo da un attacco da parte di un dio maligno viene maledetto dopo averlo sconfitto. Quel segno gli conferisce una forza sovrumana, ma in cambio lo segnerà fino a quando non si sarà espanso per tutto il corpo provocandone la morte. Sotto consiglio della saggia del villaggio, decide di andare alla scoperta di una cura insieme al suo fido destriero Yakult. Durante il suo viaggio, Ashitaka farà la conoscenza di tre personaggi particolari che raffigurano l'essenza dell'uomo.
Madame Eboshi rappresenta la progressione, lo sviluppo della tecnologia che ha portato il genere umano a deviare il percorso dalle tradizioni per ovviare ad uno più moderno creando una società in cui le donne lavorano il ferro e sono rispettate dagli stessi uomini. Inoltre, concede un posto ai lebbrosi, emarginati sociali a cui diede il compito di produrre armi. Per la produzione del ferro ha bisogno che i boschi vengano distrutti per poterne ricavare il materiale utile fregandosene delle conseguenze, e sarà disposta a tutto pur di realizzare questa sua estrema ambizione.
San, invece, è una ragazza abbandonata che è stata allevata dagli animali nella natura selvaggia, quindi che è ancora legata alle tradizioni. Non si fida degli umani, li disprezza perché cercano di distruggere il suo luogo natio e combatte contro il loro egoismo. Si comporta come un animale, ma il suo corpo umano limita la sua anima selvaggia imprigionandola.
Il monaco Jigo Bou potrebbe passare inosservato, tuttavia è quello che tira i fili dietro le quinte. Pensa di manovrare le persone a suo piacimento e raffigura l'egoismo umano nel volere il potere tutto per sé.
Infine abbiamo Ashitaka, che viene coinvolto in tutto questo. Egli rappresenta il compromesso. Cerca di conciliare la natura e il moderno credendo di poter farli convivere entrambi, ma la sua è un'ardua impresa perché noteremo che stare nel mezzo è più difficile di quanto possa essere espresso a parole.
Miyazaki, tramite i personaggi, vuole far capire al pubblico che per legare natura e modernizzazione ci vuole sacrificio da ambo le parti. Se ci pensiamo, ancora adesso non abbiamo trovato un compromesso.
Dal punto di vista del disegno, l'autore da sfogo alla sua immaginazione nel creare creature affascinanti e allo stesso tempo misteriose, forti, rabbiose e crudeli come la natura. Una natura sconfinata, laddove in alcune scene il silenzio fa da padrone, concedendoci momenti di riflessione ed osservare quel paesaggio che ci mette in pace con noi stessi, un impatto visivo capace di togliere il fiato. Durante l'avventura verremo accompagnati dalle musiche di Joe Hisaishi, molto poetiche e riflessive e da un doppiaggio che esegue il suo lavoro egregiamente.
Però il film presenta dei difetti come un ritmo iniziale basso, l'"amore" che prova Ashitaka per San reso troppo superficiale, ed un finale troppo affrettato.
Sicuramente non è un film per bambini. Il messaggio che vuole dare potrebbe non essere compreso da loro considerandolo una mera animazione senza sostanza, per cui consiglio la visione ad un pubblico più maturo capace di cogliere quello che Miyazaki vuole lasciare ai posteri per il futuro avvenire.
Se c'è un regista odierno con cui il mondo identifica la produzione cinematografica del Giappone, questo è certamente Hayao Miyazaki. Egli oggettivamente è un bravo regista, ma sino al 1992 aveva per lo più sprecato il suo talento perdendosi in pellicole di non elevato valore artistico, le quali mostravano una scarsa profondità contenutistica e una poetica reiterata sempre sugli stessi temi che finiva con il non evolversi mai. Dopo l'inversione di rotta con l'ottimo "Porco Rosso", nel 1997 Miyazaki decide di ritornare a dirigere una pellicola che risulterà essere il suo lavoro della vita e il suo apice registico, il film in questione è "Principessa Mononoke". La pellicola è stata riportata al cinema nel 2014 dalla Lucky Red, la quale confeziona un doppiaggio nuovo, accompagnato da un adattamento aulico rispettoso delle intenzioni originarie del regista.
La trama è la seguente, siamo nel Giappone dell'era Muromachi (1336-1573), dove i boschi ricoprono gran parte della superficie del paese e l'essere umano sta progredendo tecnologicamente poco a poco. Ashitaka, un giovane ragazzo, è costretto a uccidere un demone cinghiale per proteggere il suo villaggio, ma nel farlo viene maledetto al braccio. La maledizione gli conferisce grande forza, ma lo condurrà sicuramente verso morte certa. Il ragazzo deciderà di intraprendere un viaggio verso il lontano ovest, seguendo le orme lasciate dal cinghiale, ritrovandosi invischiato in una guerra tra Lady Eboshi, capo di un villaggio che produce ferro procurandosi la legna necessaria distruggendo la foresta e la "Principessa Spettro" di nome San, che è capo degli animali che proteggono la foresta.
La storia pur risultando prevedibile e lineare, viene elevata con l'inserimento di contenuti interessanti che stimolano intellettualmente lo spettatore, pur raccontando sempre del solito contrasto tra uomo e natura, il quale stavolta prenderà forma in una sanguinosa guerra dove le due fazioni sono animate dal forte odio reciproco. Lungi dall'essere un mero film sull'ambiente descrittoci dalla critica occidentale, Miyazaki cerca ambizioni ben più elevate cercando di dare una risposta al problema dello scontro tra progresso e tradizioni, confezionando un film denso di filosofia e spiritualità, così che la sua poetica possa trovare pieno sfogo.
I personaggi principali del film sono tutti e tre sfaccettati, approfonditi e l'uno ben diverso dall'altro poiché incarnano differenti temi.
Lady Eboshi rappresenta il progresso. Come una sorta di novello Prometeo, la donna porta il fuoco (archibugi) agli uomini consentendo di dar via al progresso, spazzando le opprimenti tradizioni (la foresta e le sue divinità). Eboshi, crea un interessante società matriarcale dove le donne sono rispettate dagli uomini e hanno l'esclusività sulla lavorazione del ferro (una forte componente femminista, tipica della sua poetica). La donna sfrutta i lebbrosi, emarginati sociali, per produrre armi. Il comportamento di Eboshi è disdicevole quanto meschino, ma intanto è l'unica che se ne prenda cura, seppur per un suo tornaconto personale. Comportamento molto umano, visto che nessuno a questo mondo fa niente in cambio di niente.
A farle da contraltare c'è San, la "Principessa Spettro", la quale impersona la difesa delle tradizioni. Ella è una giovane ragazza cresciuta dagli animali e che odia profondamente gli esseri umani, comportandosi, vivendo e combattendo come un animale, ma tutto ciò non basta a negare la forma umana del suo corpo, percepito come una sorta di prigione del suo spirito selvaggio.
Nel mezzo si colloca Ashitaka, giovane ragazzo che incarna il compromesso. Egli dovrà mediare tra le due parti fazioni in lotta; ci riuscirà? Miyazaki per la prima volta è scettico, visto che abbandona gli ideali utopici tipici della sua visione socialista che permeavano la sua precedente produzione. Il compromesso tra uomo e natura è possibile, ma esso è ottenibile solo al costo di duri sacrifici e l'equilibrio ottenuto si presenta fragile, visto che la forza dell'odio è difficile da annientare come è risulta dall'emblematico finale.
Tra progresso e tradizione Miyazaki non si esprime esplicitamente, ma alla luce di alcune scene chiave, si schiera decisamente a favore della tradizione. Da essa deriviamo e dobbiamo la nostra identità sociale e culturale. Per Miyazaki il popolo Giapponese (ma universalizziamo qualsiasi popolo), si è formato intorno a determinate tradizioni che hanno origini anche millenarie talvolta che non possono essere distrutte dal progresso, seppur esso risulti ammissibile a piccole dosi (vedere l'eccellente condizione femminile nel film).
Questa dicotomia tra tradizione e progresso, si evince anche dal punto di vista grafico, visto che ben il 10% delle scene del film è realizzato con l'ausilio della CGI (in gran parte usata per i demoni e le divinità). Le animazioni sono perfette, risultando fluide e curate in ogni minimo dettaglio, riuscendo a creare sequenze che si reggono in piedi anche solo per la loro impatto visivo.
La regia di Miyazaki risulta essere la migliore tra tutti i suoi film. In "Principessa Mononoke" ci si ritrova innanzi ad un enorme macro-sequenza che è storia dell'animazione dove a livello tecnico tutto è perfetto. Il regista da sfogo alla sua immensa crudeltà e cattiveria, non esitando a mostrare teste sgozzate o braccia tranciate, tutto questo non risulta spettacolarizzato poiché la guerra è mostrata a piccole dosi, con un interessante uso di ellissi che mostrano il prima e il dopo, mentre l'avvenimento centrale viene mostrato mediante flashback. Il regista fa saggio impiego di campi medi che sono densi di silenzio per contemplare la maestosità della natura.
Gli animali sono ben lungi dall'essere ritratti come creature buone, anzi sono bestie anche più dell'uomo, mostrando però una fierezza fuori dal comune e non a caso Miyazaki decide di inquadrarli dal basso verso l'alto per sottolinearne la maestosità. Il tutto è splendidamente accompagnato dalle musiche di Joe Hisaishi che permettono una contemplazione della natura rigogliosa.
Inutile dire che questo film presenta dei difetti non decisivi a minarne la grandezza, la quale resta intatta. Fondamentalmente la pellicola presenta nella prima parte dei problemi di ritmo, dovuti anche ad un montaggio non impeccabile in alcune sequenze che necessitavano di maggior coesione, il secondo problema è il finale, che risulta affrettato quando gli si poteva dedicare più tempo per sciogliere le varie vicende. Ultimo problema è la gestione non sempre impeccabile del personaggio di San, che talvolta sembra muoversi a convenienza dello sceneggiatore più che per utilità della storia, come nel caso della sua storia d'amore con Ashitaka sulla quale si ha da ridere, su come essa sbocci praticamente dal nulla nel giro di un paio di fotogrammi.
Nonostante tutto ci si ritrova innanzi ad un film che merita il suo stato di cult, capace di ammaliare qualunque spettatore ami il cinema ed è alla ricerca spasmodica di capolavori. Miyazaki abbandona finalmente le sue molte ingenuità e il suo talento sboccia definitivamente, tanto che il film è consigliato non solo ai soliti fan del maestro (visto che a loro piace tutto del regista), ma anche a chiunque cerchi il giusto punto di partenza per approcciarsi all'autore, visto che indubbiamente la pellicola si rivolge ad un target adulto.
La trama è la seguente, siamo nel Giappone dell'era Muromachi (1336-1573), dove i boschi ricoprono gran parte della superficie del paese e l'essere umano sta progredendo tecnologicamente poco a poco. Ashitaka, un giovane ragazzo, è costretto a uccidere un demone cinghiale per proteggere il suo villaggio, ma nel farlo viene maledetto al braccio. La maledizione gli conferisce grande forza, ma lo condurrà sicuramente verso morte certa. Il ragazzo deciderà di intraprendere un viaggio verso il lontano ovest, seguendo le orme lasciate dal cinghiale, ritrovandosi invischiato in una guerra tra Lady Eboshi, capo di un villaggio che produce ferro procurandosi la legna necessaria distruggendo la foresta e la "Principessa Spettro" di nome San, che è capo degli animali che proteggono la foresta.
La storia pur risultando prevedibile e lineare, viene elevata con l'inserimento di contenuti interessanti che stimolano intellettualmente lo spettatore, pur raccontando sempre del solito contrasto tra uomo e natura, il quale stavolta prenderà forma in una sanguinosa guerra dove le due fazioni sono animate dal forte odio reciproco. Lungi dall'essere un mero film sull'ambiente descrittoci dalla critica occidentale, Miyazaki cerca ambizioni ben più elevate cercando di dare una risposta al problema dello scontro tra progresso e tradizioni, confezionando un film denso di filosofia e spiritualità, così che la sua poetica possa trovare pieno sfogo.
I personaggi principali del film sono tutti e tre sfaccettati, approfonditi e l'uno ben diverso dall'altro poiché incarnano differenti temi.
Lady Eboshi rappresenta il progresso. Come una sorta di novello Prometeo, la donna porta il fuoco (archibugi) agli uomini consentendo di dar via al progresso, spazzando le opprimenti tradizioni (la foresta e le sue divinità). Eboshi, crea un interessante società matriarcale dove le donne sono rispettate dagli uomini e hanno l'esclusività sulla lavorazione del ferro (una forte componente femminista, tipica della sua poetica). La donna sfrutta i lebbrosi, emarginati sociali, per produrre armi. Il comportamento di Eboshi è disdicevole quanto meschino, ma intanto è l'unica che se ne prenda cura, seppur per un suo tornaconto personale. Comportamento molto umano, visto che nessuno a questo mondo fa niente in cambio di niente.
A farle da contraltare c'è San, la "Principessa Spettro", la quale impersona la difesa delle tradizioni. Ella è una giovane ragazza cresciuta dagli animali e che odia profondamente gli esseri umani, comportandosi, vivendo e combattendo come un animale, ma tutto ciò non basta a negare la forma umana del suo corpo, percepito come una sorta di prigione del suo spirito selvaggio.
Nel mezzo si colloca Ashitaka, giovane ragazzo che incarna il compromesso. Egli dovrà mediare tra le due parti fazioni in lotta; ci riuscirà? Miyazaki per la prima volta è scettico, visto che abbandona gli ideali utopici tipici della sua visione socialista che permeavano la sua precedente produzione. Il compromesso tra uomo e natura è possibile, ma esso è ottenibile solo al costo di duri sacrifici e l'equilibrio ottenuto si presenta fragile, visto che la forza dell'odio è difficile da annientare come è risulta dall'emblematico finale.
Tra progresso e tradizione Miyazaki non si esprime esplicitamente, ma alla luce di alcune scene chiave, si schiera decisamente a favore della tradizione. Da essa deriviamo e dobbiamo la nostra identità sociale e culturale. Per Miyazaki il popolo Giapponese (ma universalizziamo qualsiasi popolo), si è formato intorno a determinate tradizioni che hanno origini anche millenarie talvolta che non possono essere distrutte dal progresso, seppur esso risulti ammissibile a piccole dosi (vedere l'eccellente condizione femminile nel film).
Questa dicotomia tra tradizione e progresso, si evince anche dal punto di vista grafico, visto che ben il 10% delle scene del film è realizzato con l'ausilio della CGI (in gran parte usata per i demoni e le divinità). Le animazioni sono perfette, risultando fluide e curate in ogni minimo dettaglio, riuscendo a creare sequenze che si reggono in piedi anche solo per la loro impatto visivo.
La regia di Miyazaki risulta essere la migliore tra tutti i suoi film. In "Principessa Mononoke" ci si ritrova innanzi ad un enorme macro-sequenza che è storia dell'animazione dove a livello tecnico tutto è perfetto. Il regista da sfogo alla sua immensa crudeltà e cattiveria, non esitando a mostrare teste sgozzate o braccia tranciate, tutto questo non risulta spettacolarizzato poiché la guerra è mostrata a piccole dosi, con un interessante uso di ellissi che mostrano il prima e il dopo, mentre l'avvenimento centrale viene mostrato mediante flashback. Il regista fa saggio impiego di campi medi che sono densi di silenzio per contemplare la maestosità della natura.
Gli animali sono ben lungi dall'essere ritratti come creature buone, anzi sono bestie anche più dell'uomo, mostrando però una fierezza fuori dal comune e non a caso Miyazaki decide di inquadrarli dal basso verso l'alto per sottolinearne la maestosità. Il tutto è splendidamente accompagnato dalle musiche di Joe Hisaishi che permettono una contemplazione della natura rigogliosa.
Inutile dire che questo film presenta dei difetti non decisivi a minarne la grandezza, la quale resta intatta. Fondamentalmente la pellicola presenta nella prima parte dei problemi di ritmo, dovuti anche ad un montaggio non impeccabile in alcune sequenze che necessitavano di maggior coesione, il secondo problema è il finale, che risulta affrettato quando gli si poteva dedicare più tempo per sciogliere le varie vicende. Ultimo problema è la gestione non sempre impeccabile del personaggio di San, che talvolta sembra muoversi a convenienza dello sceneggiatore più che per utilità della storia, come nel caso della sua storia d'amore con Ashitaka sulla quale si ha da ridere, su come essa sbocci praticamente dal nulla nel giro di un paio di fotogrammi.
Nonostante tutto ci si ritrova innanzi ad un film che merita il suo stato di cult, capace di ammaliare qualunque spettatore ami il cinema ed è alla ricerca spasmodica di capolavori. Miyazaki abbandona finalmente le sue molte ingenuità e il suo talento sboccia definitivamente, tanto che il film è consigliato non solo ai soliti fan del maestro (visto che a loro piace tutto del regista), ma anche a chiunque cerchi il giusto punto di partenza per approcciarsi all'autore, visto che indubbiamente la pellicola si rivolge ad un target adulto.
La principessa Mononoke è uno dei film più famosi dello Studio Ghibli e diretto da Hayao Miyazaki. Tralasciando di riassumere la trama, credo nota a buona parte degli appassionati di animazione, in esso si riscontrano alcuni temi cari allo Studio Ghibli, ossia il rispetto per la natura, l'amicizia e l'ammirazione per la saggezza dei più anziani. Il principe protagonista della vicenda, Ashitaka, è il classico eroe che cerca di mettere d'accordo tutti e che, lasciato il suo villaggio, cresce lontano da esso e trova l'amore. Il titolo del film però è rivolto alla protagonista, ossia San la principessa Mononoke, che a mio avviso risalta poco a dispetto di ciò che si possa pensare prima della visione. Allevata nel mondo animale, rifiuta ogni contatto umano fino a quando incontra Ashitaka.
Se devo decretare il vero protagonista del film lo è il Dio Cervo che può dare e togliere la vita. Entrambe le sue sembianze, quella diurna e quella notturna, richiamano alla mitologia cino-giapponese. Assume un volto umano durante le ore diurne, ossia quando splende il sole che simboleggia la vita; durante le ore notturne è un gigantesco youkai, ossia un fantasma, che cammina nella notte. Questo duplice aspetto, quello diurno e quello notturno, stanno a richiamare la sua duplice capacità di dare la vita e di toglierla. In definitiva è la rappresentazione della natura stessa.
Personaggio controverso è Lady Eboshi. Il suo comportamento spiazza lo spettatore poiché appare subito ambiziosa e ambigua e allo stesso tempo capace di generosità e umanità. Ella non si fa scrupoli ad uccidere ma lo fa per proteggere ciò che ama, ossia le donne che è riuscita a riscattare dalle prepotenze ed abusi dei loro padroni, e i lebbrosi trattati con disprezzo e circospezione. Alla fine prende l'importante decisione che si può amare senza scendere a compromessi. Niente da aggiungere su Jigo, il classico cattivo che serve solo per far girare nel verso giusto tutta la vicenda.
Riguardo gli animali che incontreremo, lupi, cinghiali e scimmie, rappresentano ognuno un diverso tipo di carattere: saggezza e coraggio nei lupi, istintività e rancore nei cinghiali, vigliaccheria e meschinità nelle scimmie.
Per il comparto grafico e animato, il chara è molto buono e gradevole, le animazioni fluide e rendono molto bene le scene di battaglia. Per quanto riguarda il comparto sonoro, la colonna sonora è piuttosto classica e molto ricorrente nei film Ghibliani (non a caso il compositore è sempre lo stesso).
Tirando le somme, ho trovato questo film molto discreto ma non certo quel prodotto eccezionale tanto decantato. Un must per i fan Ghibliani, da vedere comunque per chi ama l'animazione, ma lo reputo inferiore ad altri film del famoso Studio; difatti considero Totoro il capolavoro di Miyazaki & Co. e qua non si raggiunge quell'atmosfera di favola che non dovrebbe mancare in un fantasy. Il mio voto è un 7 onesto e meritato ma che denota comunque delle qualità mal sfruttate o sfruttate in maniera insufficiente.
Se devo decretare il vero protagonista del film lo è il Dio Cervo che può dare e togliere la vita. Entrambe le sue sembianze, quella diurna e quella notturna, richiamano alla mitologia cino-giapponese. Assume un volto umano durante le ore diurne, ossia quando splende il sole che simboleggia la vita; durante le ore notturne è un gigantesco youkai, ossia un fantasma, che cammina nella notte. Questo duplice aspetto, quello diurno e quello notturno, stanno a richiamare la sua duplice capacità di dare la vita e di toglierla. In definitiva è la rappresentazione della natura stessa.
Personaggio controverso è Lady Eboshi. Il suo comportamento spiazza lo spettatore poiché appare subito ambiziosa e ambigua e allo stesso tempo capace di generosità e umanità. Ella non si fa scrupoli ad uccidere ma lo fa per proteggere ciò che ama, ossia le donne che è riuscita a riscattare dalle prepotenze ed abusi dei loro padroni, e i lebbrosi trattati con disprezzo e circospezione. Alla fine prende l'importante decisione che si può amare senza scendere a compromessi. Niente da aggiungere su Jigo, il classico cattivo che serve solo per far girare nel verso giusto tutta la vicenda.
Riguardo gli animali che incontreremo, lupi, cinghiali e scimmie, rappresentano ognuno un diverso tipo di carattere: saggezza e coraggio nei lupi, istintività e rancore nei cinghiali, vigliaccheria e meschinità nelle scimmie.
Per il comparto grafico e animato, il chara è molto buono e gradevole, le animazioni fluide e rendono molto bene le scene di battaglia. Per quanto riguarda il comparto sonoro, la colonna sonora è piuttosto classica e molto ricorrente nei film Ghibliani (non a caso il compositore è sempre lo stesso).
Tirando le somme, ho trovato questo film molto discreto ma non certo quel prodotto eccezionale tanto decantato. Un must per i fan Ghibliani, da vedere comunque per chi ama l'animazione, ma lo reputo inferiore ad altri film del famoso Studio; difatti considero Totoro il capolavoro di Miyazaki & Co. e qua non si raggiunge quell'atmosfera di favola che non dovrebbe mancare in un fantasy. Il mio voto è un 7 onesto e meritato ma che denota comunque delle qualità mal sfruttate o sfruttate in maniera insufficiente.
Mononoke Hime è un film d'animazione diretto dal maestro Hayao Miyazaki e prodotto dal celebre Studio Ghibli. Il film è ambientato nel periodo Muromachi e ha come tema fondamentale la lotta tra la natura e l'uomo, che bisognoso di risorse continua a erodere l'ambiente.
L'opera di Miyazaki segue le vicende del giovane principe Ashitaka che, colpito dalla maledizione di un cinghiale tramutato in demone, cerca il modo di capire (con "occhi non velati dall'odio") come salvarsi la vita e cosa o chi ha tramutato un animale in un demone. In questo viaggio Ashitaka, accompagnato dal suo inseparabile stambecco gigante, entrerà in contatto con numerosi personaggi e con San (la principessa Mononoke), una ragazza che vive con i lupi in una foresta minacciata dall'uomo.
Mononoke Hidme è una delle opera più apprezzate di Miyazaki, affronta mumerosi temi: il già citato conflitto tra uomo e natura (quindi il rispetto della natura), l'amore e il ripudio della guerra. Nel film si parla di una natura "viva" salvaguardata da guardiani sovrannaturali (o divinità) come per esempio il dio cinghiale o il dio della foresta.
Il film è stato proiettato nel 1997 e ha riscosso subito un enorme successo, visto come un film ambientalista attraverso la cultura giapponese. A dispetto di altri film di Miyazaki, i cosiddetti "cattivi" sono comunque esseri umani dotati di coscienza, arrivando a pentirsi delle loro azioni (aspetto assente per esempio in Laputa), Miyazaki quindi cerca di essere ottimista per quanto riguarda la natura umana.
In conclusione Mononoke Hime è un capolavoro assoluto del maestro Miyazaki, con una colonna sonora poetica e una trama eccezionale che arriva a toccare le corde dell'anima.
Consigliato non solo agli amanti dello Studio Ghibli, ma anche a tutte quelle persone che non si sono mai avvicinati ai film d'animazione.
L'opera di Miyazaki segue le vicende del giovane principe Ashitaka che, colpito dalla maledizione di un cinghiale tramutato in demone, cerca il modo di capire (con "occhi non velati dall'odio") come salvarsi la vita e cosa o chi ha tramutato un animale in un demone. In questo viaggio Ashitaka, accompagnato dal suo inseparabile stambecco gigante, entrerà in contatto con numerosi personaggi e con San (la principessa Mononoke), una ragazza che vive con i lupi in una foresta minacciata dall'uomo.
Mononoke Hidme è una delle opera più apprezzate di Miyazaki, affronta mumerosi temi: il già citato conflitto tra uomo e natura (quindi il rispetto della natura), l'amore e il ripudio della guerra. Nel film si parla di una natura "viva" salvaguardata da guardiani sovrannaturali (o divinità) come per esempio il dio cinghiale o il dio della foresta.
Il film è stato proiettato nel 1997 e ha riscosso subito un enorme successo, visto come un film ambientalista attraverso la cultura giapponese. A dispetto di altri film di Miyazaki, i cosiddetti "cattivi" sono comunque esseri umani dotati di coscienza, arrivando a pentirsi delle loro azioni (aspetto assente per esempio in Laputa), Miyazaki quindi cerca di essere ottimista per quanto riguarda la natura umana.
In conclusione Mononoke Hime è un capolavoro assoluto del maestro Miyazaki, con una colonna sonora poetica e una trama eccezionale che arriva a toccare le corde dell'anima.
Consigliato non solo agli amanti dello Studio Ghibli, ma anche a tutte quelle persone che non si sono mai avvicinati ai film d'animazione.
Distribuito nel 1997 e frutto di una lavorazione travagliata, complessa e dal costo esorbitante di 2 miliardi di yen (più o meno 15 milioni di euro), Mononoke Hime, questo il titolo originale la cui traduzione letterale sarebbe "La principessa spettro", è il film di Hayao Miyazaki che più mi ha colpito, nonché una delle poche opere animate a cui abbia dato il dieci pieno senza pensarci due volte. Il lavoro immane approntato dal regista e dai suoi collaboratori fu tale che lo stesso Miyazaki si convinse che sarebbe stato il suo canto del cigno, la sua ultima pellicola. Fortunatamente non si dovette attendere molto affinché il maestro regalasse al mondo quel gioiello che è La città incantata, ma questa è un'altra storia.
In un tranquillo villaggio del Giappone dell'era Muromachi (XIV-XVI secolo), abitato dagli ultimi discendenti del mitico popolo degli Emishi, la vita di tutti i giorni del principe Ashitaka e del suo stambecco rosso Yakul viene interrotta dall'arrivo di un cinghiale demoniaco. Il mostro, prima di essere abbattuto, riesce a ferire Ashitaka: al fine di trovare una cura per il braccio mezzo putrescente e di scoprire cosa abbia trasformato in demone quel nobile cinghiale, il giovane principe decide di lasciare il villaggio in cerca di risposte. Lungo il cammino, Ashitaka si accorge che il braccio ferito ha acquisito una forza fuori dal comune, seppur sempre più difficile da controllare. Il viaggio porta il principe a imbattersi in un bizzarro monaco dalle intenzioni ambigue e soprattutto negli arcaici spiriti animali di una foresta incontaminata. In particolare, l'incontro con San, una ragazza che vive in mezzo a lupi giganti come fosse una di loro, conferisce una decisa svolta alla sua esistenza. Poco dopo, Ashitaka fa la conoscenza della fiera Eboshi, donna tutto d'un pezzo al comando di una piccola roccaforte adibita a fornace per la produzione di armi e munizioni, ovviamente a discapito delle risorse naturali circostanti. Il ragazzo si trova dunque coinvolto in un vero e proprio conflitto tra gli esseri umani e le forze della natura, ma schierarsi dall'una o dall'altra parte non è così scontato come potrebbe sembrare; la faccenda è destinata a complicarsi di lì a breve con la comparsa del maestoso dio della foresta, l'inasprirsi degli scontri tra le due fazioni e l'inattesa amicizia di Ashitaka e San...
Questo colossale lungometraggio di due ore è una vera festa per gli occhi: le animazioni sono molto fluide e i disegni, che si tratti dei personaggi, dei costumi, delle armi, dei fondali e degli animali (il dio della foresta, ad esempio, lascia letteralmente a bocca aperta), presentano dettagli ricercati e colori sgargianti ben saturati. Da segnalare la presenza di un certo grado di violenza grafica: mutilazioni e sangue in gran quantità contribuiscono a stabilire il target maturo dell'opera. L'uso massiccio di Computer Graphics, caso primo di una lunga serie tra i film dello Studio Ghibli, si integra bene alle tecniche di animazione tradizionale, dando risultati funzionali e mai "troppo finti". L'epica colonna sonora orchestrale scritta dal solito grande Joe Hisaishi (peraltro compositore feticcio sia dei film di Miyazaki sia di quelli di Takeshi Kitano) è un tripudio di splendide sonorità popolari e drammatiche. Da un punto di vista narrativo, la trama scorre veloce da un colpo di scena all'altro e sorprende lo spettatore con creature inquietanti, battaglie mozzafiato e dialoghi d'effetto. Insomma, non c'è molto spazio per la noia. Per quanto riguarda i personaggi, ciascuno di essi detiene il proprio punto di vista ed è difficile etichettarlo tout court come "buono" o "cattivo": sia i protagonisti che gli "antagonisti" hanno le proprie ragioni. Purtroppo, tale aspetto viene meno nell'edizione italiana dei primi anni Duemila a cura della Buena Vista: il significato di alcune frasi viene infatti edulcorato e stravolto da modifiche immotivate, banalizzando di conseguenza alcuni personaggi (alla fine uno di questi addirittura sembra quasi essersi pentito delle proprie azioni, mentre nella versione originale non c'è nulla di tutto ciò) e rendendo i confini tra buoni e malvagi erroneamente netti e definiti. Tuttavia, di recente è stato prodotto un nuovo adattamento più fedele all'originale destinato alla proiezione cinematografica a opera della Lucky Red, la casa produttrice responsabile della distribuzione nelle nostre sale di parecchi lungometraggi inediti e non dello Studio Ghibli. Lo scontro eterno tra la natura e il progresso tecnologico dell'uomo, in questo caso le armi da fuoco e la devastazione degli ambienti naturali, è il punto focale del film: non si tratta certo di una tematica nuova (mi vengono in mente Quando vivevano i dinosauri, pellicola di denuncia sceneggiata dal grande Shōtarō Ishinomori, Conan il ragazzo del futuro, serie diretta proprio da Miyazaki, e Pom Poko di Isao Takahata), ma è di notevole interesse il contesto intriso di mitologia e riferimenti storico-culturali del Giappone. Ad ogni modo, mi sento di consigliare Principessa Mononoke davvero a tutti: l'arte di Hayao Miyazaki merita di essere conosciuta già solo per questo autentico capolavoro dell'animazione.
In un tranquillo villaggio del Giappone dell'era Muromachi (XIV-XVI secolo), abitato dagli ultimi discendenti del mitico popolo degli Emishi, la vita di tutti i giorni del principe Ashitaka e del suo stambecco rosso Yakul viene interrotta dall'arrivo di un cinghiale demoniaco. Il mostro, prima di essere abbattuto, riesce a ferire Ashitaka: al fine di trovare una cura per il braccio mezzo putrescente e di scoprire cosa abbia trasformato in demone quel nobile cinghiale, il giovane principe decide di lasciare il villaggio in cerca di risposte. Lungo il cammino, Ashitaka si accorge che il braccio ferito ha acquisito una forza fuori dal comune, seppur sempre più difficile da controllare. Il viaggio porta il principe a imbattersi in un bizzarro monaco dalle intenzioni ambigue e soprattutto negli arcaici spiriti animali di una foresta incontaminata. In particolare, l'incontro con San, una ragazza che vive in mezzo a lupi giganti come fosse una di loro, conferisce una decisa svolta alla sua esistenza. Poco dopo, Ashitaka fa la conoscenza della fiera Eboshi, donna tutto d'un pezzo al comando di una piccola roccaforte adibita a fornace per la produzione di armi e munizioni, ovviamente a discapito delle risorse naturali circostanti. Il ragazzo si trova dunque coinvolto in un vero e proprio conflitto tra gli esseri umani e le forze della natura, ma schierarsi dall'una o dall'altra parte non è così scontato come potrebbe sembrare; la faccenda è destinata a complicarsi di lì a breve con la comparsa del maestoso dio della foresta, l'inasprirsi degli scontri tra le due fazioni e l'inattesa amicizia di Ashitaka e San...
Questo colossale lungometraggio di due ore è una vera festa per gli occhi: le animazioni sono molto fluide e i disegni, che si tratti dei personaggi, dei costumi, delle armi, dei fondali e degli animali (il dio della foresta, ad esempio, lascia letteralmente a bocca aperta), presentano dettagli ricercati e colori sgargianti ben saturati. Da segnalare la presenza di un certo grado di violenza grafica: mutilazioni e sangue in gran quantità contribuiscono a stabilire il target maturo dell'opera. L'uso massiccio di Computer Graphics, caso primo di una lunga serie tra i film dello Studio Ghibli, si integra bene alle tecniche di animazione tradizionale, dando risultati funzionali e mai "troppo finti". L'epica colonna sonora orchestrale scritta dal solito grande Joe Hisaishi (peraltro compositore feticcio sia dei film di Miyazaki sia di quelli di Takeshi Kitano) è un tripudio di splendide sonorità popolari e drammatiche. Da un punto di vista narrativo, la trama scorre veloce da un colpo di scena all'altro e sorprende lo spettatore con creature inquietanti, battaglie mozzafiato e dialoghi d'effetto. Insomma, non c'è molto spazio per la noia. Per quanto riguarda i personaggi, ciascuno di essi detiene il proprio punto di vista ed è difficile etichettarlo tout court come "buono" o "cattivo": sia i protagonisti che gli "antagonisti" hanno le proprie ragioni. Purtroppo, tale aspetto viene meno nell'edizione italiana dei primi anni Duemila a cura della Buena Vista: il significato di alcune frasi viene infatti edulcorato e stravolto da modifiche immotivate, banalizzando di conseguenza alcuni personaggi (alla fine uno di questi addirittura sembra quasi essersi pentito delle proprie azioni, mentre nella versione originale non c'è nulla di tutto ciò) e rendendo i confini tra buoni e malvagi erroneamente netti e definiti. Tuttavia, di recente è stato prodotto un nuovo adattamento più fedele all'originale destinato alla proiezione cinematografica a opera della Lucky Red, la casa produttrice responsabile della distribuzione nelle nostre sale di parecchi lungometraggi inediti e non dello Studio Ghibli. Lo scontro eterno tra la natura e il progresso tecnologico dell'uomo, in questo caso le armi da fuoco e la devastazione degli ambienti naturali, è il punto focale del film: non si tratta certo di una tematica nuova (mi vengono in mente Quando vivevano i dinosauri, pellicola di denuncia sceneggiata dal grande Shōtarō Ishinomori, Conan il ragazzo del futuro, serie diretta proprio da Miyazaki, e Pom Poko di Isao Takahata), ma è di notevole interesse il contesto intriso di mitologia e riferimenti storico-culturali del Giappone. Ad ogni modo, mi sento di consigliare Principessa Mononoke davvero a tutti: l'arte di Hayao Miyazaki merita di essere conosciuta già solo per questo autentico capolavoro dell'animazione.
Film d'animazione del 1997, "La Principessa Mononoke" ha segnato in modo significativo la mia adolescenza. L'ho visto la prima volta quando avevo circa 15 anni, e che ci crediate o no, ha dato una bella botta all'essenza "ecologica" che ho ora.
C'è molto da dire su questo film, che rappresenta l'impegno più importante per Miyazaki; il regista aveva, difatti, deciso di lasciare le scene proprio con questa fatica. Il prodotto finale, perciò, è di altissima qualità sia per la sceneggiatura sia per la realizzazione delle animazioni.
Anche questa volta il regista riprende le tematiche del conflitto tra uomo e natura. Ashitaka, principe di un villaggio Emishi viene infettato da un demone, sotto forma di grosso cinghiale, nato dall'odio e dalla sofferenza della foresta. I soldati della Città del Ferro, capitanati dalla loro padrona Eboshi, hanno intenzione di distruggerla per costruire nuove città e industrie. E Mononoke, figlia di una famiglia di lupi, cercherà di fermare questo abominio che sta lentamente mandando nell'oblio la grande foresta. Questa, a grandi linee, la trama.
Il lungo film espone al meglio i messaggi che Miyazaki ha trasmesso negli anni passati (e futuri). La spiritualità, rappresentata in modo esplicito dai demoni e dagli spiriti della foresta, tra cui il Dio Cervo, simbolo di regalità e di grande saggezza, minacciata dalla razionalità dell'uomo. La distruzione della foresta, oltre che una perdita "naturale" di alberi e piante, rappresenta la perdita dei valori spirituali dell'uomo in favore di una nuova umanità vuota e devota al solo denaro e al potere. La soluzione di Miyazaki anche questa volta è data da due giovani, non a caso simboli del futuro, che proveranno a convincere le mentalità degli adulti. Mentalità ormai contaminate dal potere, colpevoli di aver dimenticato il valore della natura e dello spirito.
"La Principessa Mononoke" è un viaggio intenso, non un film da vedere in un pomeriggio di relax. Esso è tra i migliori rappresentanti del cinema d'animazione impegnato, non solo giapponese, che ci interroga sui nostri desideri e sull'importanza di mantenere dentro di noi un senso di responsabilità verso il nostro passato e verso il luogo in cui viviamo, trasmettendo un senso di rispetto per la natura e per la sua straordinaria eternità.
E' uno dei film più belli di sempre, secondo me, senza dubbio tra i più belli d'animazione, realizzato con grandissima cura, ottimi disegni e animazioni fluide. Caratteristiche che completano al meglio una storia significativa come questa.
C'è molto da dire su questo film, che rappresenta l'impegno più importante per Miyazaki; il regista aveva, difatti, deciso di lasciare le scene proprio con questa fatica. Il prodotto finale, perciò, è di altissima qualità sia per la sceneggiatura sia per la realizzazione delle animazioni.
Anche questa volta il regista riprende le tematiche del conflitto tra uomo e natura. Ashitaka, principe di un villaggio Emishi viene infettato da un demone, sotto forma di grosso cinghiale, nato dall'odio e dalla sofferenza della foresta. I soldati della Città del Ferro, capitanati dalla loro padrona Eboshi, hanno intenzione di distruggerla per costruire nuove città e industrie. E Mononoke, figlia di una famiglia di lupi, cercherà di fermare questo abominio che sta lentamente mandando nell'oblio la grande foresta. Questa, a grandi linee, la trama.
Il lungo film espone al meglio i messaggi che Miyazaki ha trasmesso negli anni passati (e futuri). La spiritualità, rappresentata in modo esplicito dai demoni e dagli spiriti della foresta, tra cui il Dio Cervo, simbolo di regalità e di grande saggezza, minacciata dalla razionalità dell'uomo. La distruzione della foresta, oltre che una perdita "naturale" di alberi e piante, rappresenta la perdita dei valori spirituali dell'uomo in favore di una nuova umanità vuota e devota al solo denaro e al potere. La soluzione di Miyazaki anche questa volta è data da due giovani, non a caso simboli del futuro, che proveranno a convincere le mentalità degli adulti. Mentalità ormai contaminate dal potere, colpevoli di aver dimenticato il valore della natura e dello spirito.
"La Principessa Mononoke" è un viaggio intenso, non un film da vedere in un pomeriggio di relax. Esso è tra i migliori rappresentanti del cinema d'animazione impegnato, non solo giapponese, che ci interroga sui nostri desideri e sull'importanza di mantenere dentro di noi un senso di responsabilità verso il nostro passato e verso il luogo in cui viviamo, trasmettendo un senso di rispetto per la natura e per la sua straordinaria eternità.
E' uno dei film più belli di sempre, secondo me, senza dubbio tra i più belli d'animazione, realizzato con grandissima cura, ottimi disegni e animazioni fluide. Caratteristiche che completano al meglio una storia significativa come questa.
"Mononoke Hime" è un lungometraggio dello studio Ghibli diretto dall'arcinoto guru dell'animazione giapponese Hayao Miyazaki, che ne cura anche il soggetto originale e la sceneggiatura.
Il suo zampino è nitidamente riconoscibile a prescindere dal dato tecnico e grafico, che peraltro si conforma senza ombra di variazione al classico modello "ghibliano".
Lo spettatore ormai avvezzo alla poetica del "maestro" non potrà non notare il ciclico riproporsi delle tematiche a lui più care, in questo caso la dicotomia uomo-natura, filtrata chiaramente attraverso le lenti distorte dell'idealismo ambientalista e "tecnofobo" tipico delle sue opere.
Tuttavia, considerando il quantomai vasto repertorio cinematografico di tale "incommensurabile autore", "Mononoke Hime" è destinato a essere ricordato come uno degli esemplari più singolari e atipici: se da un lato non si rischia certo di cadere nell'originalità, richiamando e riproponendo concettualmente il ben noto "Nausicaa della valle del vento", dall'altro il maestro opta per un tenore molto crudo a lui decisamente insolito, forse azzarderei dire alieno.
Il rapporto conflittuale tra l'uomo e la natura viene infatti trattato con un eccesso smodato di enfasi, tanto da rivelarsi fin troppo estremizzato ed estenuato. Si assiste a una vera e propria sovrabbondanza idiosincratica di violenza, odio e sangue che cerca di imporre a tutti i costi il dramma di tale atavico antagonismo, quasi a volerlo "sbattere" platealmente in faccia allo spettatore per (co)stringerlo in una struggente morsa di commozione.
A ben vedere si tratta di un fattore che non dovrebbe stupire del tutto, in quanto il maestro si è sempre mostrato maggiormente abile nell'entertainment e nel suscitare emozioni, più che nel lavorare di concetto. Nondimeno a mio avviso qui si perde il senso della misura tanto da rendere pesante la narrazione ed eccessivamente lungo il film.
A dispetto di quanto poc'anzi affermato, tuttavia, la problematica che l'opera si propone di rappresentare viene gestita abbastanza bene per tutto il corso del lungometraggio, sebbene si cerchi in ogni modo di gettare alle ortiche buone occasioni senza sfruttarle a dovere.
Se infatti da un lato si propongono con intelligenza degli spunti simbolici molto interessanti, come la "Città del ferro", il "Dio Cervo" e il correlativo insieme di sviluppi del conflitto (che vede la guerra come aspetto intrinseco dell'animo umano), dall'altro non si riesce a superare una visione d'insieme del tutto banale, messa nero su bianco. Si avranno quindi gli animali difensori della foresta, della natura, e l'uomo carnefice, che non esita a distruggere e ad avanzare egoisticamente le proprie pretese.
Non ci si può fingere ciechi innanzi a cotanto spreco di eccellenti possibilità, scagliate impietosamente nel fango a favore di una risoluzione essenzialmente sterile. Ciò in riferimento precipuamente alle figure dei due personaggi principali e alla conclusione.
Ed ecco che ci accingiamo quindi a considerare Ashitaka, un protagonista assolutamente anonimo e piatto, il principe eroico e puro che non sembra avere nulla di umano. La sua figura, come portatore della maledizione, sarebbe potuta risultare incredibilmente umana, colma di dubbi e incertezze relative alla sfera etico-morale, ma non si può certo chiedere a Miyazaki di venire meno alla sua ideologia indefessa. Si presenta invece un personaggio totalmente pianeggiante, un manichino nelle mani del regista che cerca di contemperare le posizioni.
Passiamo all'altro grande protagonista di questo film: la principessa degli spiriti vendicativi, San. Concederle il titolo di protagonista sembrerebbe, all'estensore di questa recensione, quantomeno eccessivo dato lo spessore della sua figura, da approssimare comodamente allo zero assoluto. Costei, lo stipite tra animale e uomo, il punto di contatto tra le due fazioni, la figura che potrebbe essere la chiave di volta per comprendere il senso dell'odio che scorre tra i due gruppi e centro della riflessione dell'intero film non si pone dilemma alcuno. Agisce viceversa solo in base alla convenienza dello sceneggiatore, il suo apporto alla tematica appare concettualmente pertanto sterile e scontato, in quanto il simbolismo che soggiace al personaggio sembra quasi involontario.
Fa sorridere inoltre l'ennesima storia d'amore tra i due protagonisti, sempiterno cliché Ghilbli, totalmente assurda in quanto scaturita nel giro di pochi fotogrammi e, per di più, tacitamente.
Arriviamo dunque alla sequenza a mio avviso peggiore: il finale.
La conclusione di "Mononoke Hime" si poteva prevedere ancora prima di accingersi alla visione. Tale non sarà altro, infatti, che l'epilogo assolutamente banale in cui vige la regola della redenzione automatica e indifferenziata compiuta a ogni costo innanzi alla sacra natura. La soluzione che viene data della problematica è quindi totalmente insoddisfacente e forse anche in antitesi rispetto al regime precedente, ben più disincantato e che non lasciava margine a grandi speranze. In ogni caso non ci si salva dal lieto fine tanto caro al regista, decisamente carente di considerazioni di un certo rilievo.
Per di più la punizione inferta dal dio all'uomo per il suo efferato crimine si rivela del tutto irrisoria, addirittura quasi inesistente.
Traspare inoltre dalla visione del film una forte condanna nei confronti "dell'odio" che sta alla base della lotta per la sopravvivenza, il che chiaramente è una conclusione del tutto contro-natura e alterata da una visione morale della medesima che va ben oltre la sacertà: ovviamente la natura stessa non può essere mossa da intenti egoistici. Chiarificatrici le ultime parole di Eboshi in merito, che lasciano poco spazio a dubbi interpretativi.
Un occhio di riguardo deve essere riserbato invece ai lati più interessanti dell'opera, quali ad esempio il "femminismo" (a dire il vero non si tratta propriamente di femminismo, ma l'espressione rende l'idea) miyazakiano: l'importanza dal regista conferita alle figure femminili in generale mi ha in verità trovato compiacente. In particolare il personaggio di Eboshi, unico raggio di luce nell'oscurità, si dimostra veramente interessante all'interno del film, senza dimenticare il gruppo di donne della città di ferro, conferiscono un sapore matriarcale alla piccola società che viene a delinearsi. La peculiarità di Eboshi è quella di essere la donna emancipata, libera da ogni vincolo e prodiga verso la sua gente. E' uno spirito libero e forte che non stenta di anelare al confronto con la divinità; si pone così un elemento che rompe lo schema bianco-nero per introdurre un' "umanizzazione" dell'uomo, un mostrare le sue ragioni di sopravvivenza. Purtroppo la sua figura si rovina nel finale.
Altro aspetto enormemente positivo è la realizzazione grafica, assolutamente eccellente, ha superato ogni mia aspettativa. La fluidità dell'animazione, la bellezza dei fondali, la cura dei dettagli, soprattutto della flora e degli ambienti: sono realizzati in modo stupefacente (ricordandoci che parliamo di un'opera datata 1997). Le musiche sono belle ed evocative e contribuiscono grandemente al lirismo di molte immagini, per un risultato oltremodo suggestivo.
Tirando le somme, "Mononoke Hime" è un film capace di un impatto emotivo molto forte, ma che manca di personaggi all'altezza e di una sceneggiatura adeguata. Personalmente credo che i fan più nostalgici del maestro non lo apprezzeranno molto, poiché viene a mancare quella leggera spensieratezza quasi magica propria di opere come Totoro, mentre soddisferà probabilmente un pubblico eterogeneo e senza molte pretese, che si accontenti di una storia piuttosto lineare e concettualmente semplice ma che si rivela poetica e suggestiva.
Il suo zampino è nitidamente riconoscibile a prescindere dal dato tecnico e grafico, che peraltro si conforma senza ombra di variazione al classico modello "ghibliano".
Lo spettatore ormai avvezzo alla poetica del "maestro" non potrà non notare il ciclico riproporsi delle tematiche a lui più care, in questo caso la dicotomia uomo-natura, filtrata chiaramente attraverso le lenti distorte dell'idealismo ambientalista e "tecnofobo" tipico delle sue opere.
Tuttavia, considerando il quantomai vasto repertorio cinematografico di tale "incommensurabile autore", "Mononoke Hime" è destinato a essere ricordato come uno degli esemplari più singolari e atipici: se da un lato non si rischia certo di cadere nell'originalità, richiamando e riproponendo concettualmente il ben noto "Nausicaa della valle del vento", dall'altro il maestro opta per un tenore molto crudo a lui decisamente insolito, forse azzarderei dire alieno.
Il rapporto conflittuale tra l'uomo e la natura viene infatti trattato con un eccesso smodato di enfasi, tanto da rivelarsi fin troppo estremizzato ed estenuato. Si assiste a una vera e propria sovrabbondanza idiosincratica di violenza, odio e sangue che cerca di imporre a tutti i costi il dramma di tale atavico antagonismo, quasi a volerlo "sbattere" platealmente in faccia allo spettatore per (co)stringerlo in una struggente morsa di commozione.
A ben vedere si tratta di un fattore che non dovrebbe stupire del tutto, in quanto il maestro si è sempre mostrato maggiormente abile nell'entertainment e nel suscitare emozioni, più che nel lavorare di concetto. Nondimeno a mio avviso qui si perde il senso della misura tanto da rendere pesante la narrazione ed eccessivamente lungo il film.
A dispetto di quanto poc'anzi affermato, tuttavia, la problematica che l'opera si propone di rappresentare viene gestita abbastanza bene per tutto il corso del lungometraggio, sebbene si cerchi in ogni modo di gettare alle ortiche buone occasioni senza sfruttarle a dovere.
Se infatti da un lato si propongono con intelligenza degli spunti simbolici molto interessanti, come la "Città del ferro", il "Dio Cervo" e il correlativo insieme di sviluppi del conflitto (che vede la guerra come aspetto intrinseco dell'animo umano), dall'altro non si riesce a superare una visione d'insieme del tutto banale, messa nero su bianco. Si avranno quindi gli animali difensori della foresta, della natura, e l'uomo carnefice, che non esita a distruggere e ad avanzare egoisticamente le proprie pretese.
Non ci si può fingere ciechi innanzi a cotanto spreco di eccellenti possibilità, scagliate impietosamente nel fango a favore di una risoluzione essenzialmente sterile. Ciò in riferimento precipuamente alle figure dei due personaggi principali e alla conclusione.
Ed ecco che ci accingiamo quindi a considerare Ashitaka, un protagonista assolutamente anonimo e piatto, il principe eroico e puro che non sembra avere nulla di umano. La sua figura, come portatore della maledizione, sarebbe potuta risultare incredibilmente umana, colma di dubbi e incertezze relative alla sfera etico-morale, ma non si può certo chiedere a Miyazaki di venire meno alla sua ideologia indefessa. Si presenta invece un personaggio totalmente pianeggiante, un manichino nelle mani del regista che cerca di contemperare le posizioni.
Passiamo all'altro grande protagonista di questo film: la principessa degli spiriti vendicativi, San. Concederle il titolo di protagonista sembrerebbe, all'estensore di questa recensione, quantomeno eccessivo dato lo spessore della sua figura, da approssimare comodamente allo zero assoluto. Costei, lo stipite tra animale e uomo, il punto di contatto tra le due fazioni, la figura che potrebbe essere la chiave di volta per comprendere il senso dell'odio che scorre tra i due gruppi e centro della riflessione dell'intero film non si pone dilemma alcuno. Agisce viceversa solo in base alla convenienza dello sceneggiatore, il suo apporto alla tematica appare concettualmente pertanto sterile e scontato, in quanto il simbolismo che soggiace al personaggio sembra quasi involontario.
Fa sorridere inoltre l'ennesima storia d'amore tra i due protagonisti, sempiterno cliché Ghilbli, totalmente assurda in quanto scaturita nel giro di pochi fotogrammi e, per di più, tacitamente.
Arriviamo dunque alla sequenza a mio avviso peggiore: il finale.
La conclusione di "Mononoke Hime" si poteva prevedere ancora prima di accingersi alla visione. Tale non sarà altro, infatti, che l'epilogo assolutamente banale in cui vige la regola della redenzione automatica e indifferenziata compiuta a ogni costo innanzi alla sacra natura. La soluzione che viene data della problematica è quindi totalmente insoddisfacente e forse anche in antitesi rispetto al regime precedente, ben più disincantato e che non lasciava margine a grandi speranze. In ogni caso non ci si salva dal lieto fine tanto caro al regista, decisamente carente di considerazioni di un certo rilievo.
Per di più la punizione inferta dal dio all'uomo per il suo efferato crimine si rivela del tutto irrisoria, addirittura quasi inesistente.
Traspare inoltre dalla visione del film una forte condanna nei confronti "dell'odio" che sta alla base della lotta per la sopravvivenza, il che chiaramente è una conclusione del tutto contro-natura e alterata da una visione morale della medesima che va ben oltre la sacertà: ovviamente la natura stessa non può essere mossa da intenti egoistici. Chiarificatrici le ultime parole di Eboshi in merito, che lasciano poco spazio a dubbi interpretativi.
Un occhio di riguardo deve essere riserbato invece ai lati più interessanti dell'opera, quali ad esempio il "femminismo" (a dire il vero non si tratta propriamente di femminismo, ma l'espressione rende l'idea) miyazakiano: l'importanza dal regista conferita alle figure femminili in generale mi ha in verità trovato compiacente. In particolare il personaggio di Eboshi, unico raggio di luce nell'oscurità, si dimostra veramente interessante all'interno del film, senza dimenticare il gruppo di donne della città di ferro, conferiscono un sapore matriarcale alla piccola società che viene a delinearsi. La peculiarità di Eboshi è quella di essere la donna emancipata, libera da ogni vincolo e prodiga verso la sua gente. E' uno spirito libero e forte che non stenta di anelare al confronto con la divinità; si pone così un elemento che rompe lo schema bianco-nero per introdurre un' "umanizzazione" dell'uomo, un mostrare le sue ragioni di sopravvivenza. Purtroppo la sua figura si rovina nel finale.
Altro aspetto enormemente positivo è la realizzazione grafica, assolutamente eccellente, ha superato ogni mia aspettativa. La fluidità dell'animazione, la bellezza dei fondali, la cura dei dettagli, soprattutto della flora e degli ambienti: sono realizzati in modo stupefacente (ricordandoci che parliamo di un'opera datata 1997). Le musiche sono belle ed evocative e contribuiscono grandemente al lirismo di molte immagini, per un risultato oltremodo suggestivo.
Tirando le somme, "Mononoke Hime" è un film capace di un impatto emotivo molto forte, ma che manca di personaggi all'altezza e di una sceneggiatura adeguata. Personalmente credo che i fan più nostalgici del maestro non lo apprezzeranno molto, poiché viene a mancare quella leggera spensieratezza quasi magica propria di opere come Totoro, mentre soddisferà probabilmente un pubblico eterogeneo e senza molte pretese, che si accontenti di una storia piuttosto lineare e concettualmente semplice ma che si rivela poetica e suggestiva.
La leggenda degli spiriti vendicativi
Giappone, periodo Muromachi (1336-1573). Ashitaka, principe guerriero della dinastia Emishi, nello scontro con Nago, un dio-cinghiale posseduto da un demone, viene ferito e colpito da una maledizione. Il giovane è costretto ad abbandonare il suo villaggio per evitare che il maleficio si estenda all'intero suo popolo e per cercare di comprendere le origini dell'odio che ha spinto il demone fino a lui. Durante il viaggio Ashitaka si imbatte in San, una ragazza allevata dai lupi che ha giurato vendetta contro Lady Eboshi, capo di un Tatara-ba (città del ferro) che basa la sua economia sulla produzione di armi da fuoco. Costei ha come obbiettivo la distruzione dell'intera foresta sacra, protetta dallo Shishigami (il dio-cervo) e tanto cara a San e agli spiriti guardiani zoomorfi, allo scopo di ricavare miniere per l'estrazione del ferro. Sarà l'inizio di un'epica battaglia fra uomini e dei in cui Ashitaka, "con occhi non velati dall'odio", avrà un ruolo determinante nel conflitto fra le due fazioni.
"Mononoke Hime", 1997, è l'opera "adulta" di Miyazaki che ha sancito la sua consacrazione al grande pubblico grazie all'enorme successo in patria e alla distribuzione internazionale, che gli ha permesso di conquistare l'America e l'Europa. Il film rappresenta uno spartiacque nella sua cinematografia per il profondo pessimismo di cui è impregnato, ma è anche una svolta stilistica per la crudezza inusitata di alcune sequenze: battaglie cruente, sangue, ferro e fuoco esordiscono nella grammatica del regista e la narrazione dal respiro epico e grandioso è impreziosita da articolate scene di massa e da un montaggio di raffinata architettura.
La pellicola, incentrata sull'eterno e irresolubile conflitto tra l'uomo e la natura, è un affascinante kolossal animato, un affresco potente ed evocativo ammantato di misticismo e imbevuto nel folklore del Sol Levante, con particolare riferimento alla leggenda degli yōkai e degli shikigami, o 'kami', della cosmogonia scintoista.
Nel suo medioevo fantastico il cineasta di Akebono sembra voler fissare il punto di rottura nell'equilibrio tra uomo e natura che è descritto come una mitica caduta degli dèi per mano dell'uomo, vista anche come metaforica scomparsa delle antiche tradizioni ancestrali sotto i colpi della modernità.
Ancora una volta Miyazaki sovverte gli schemi patriarcali regalandoci due intensi ritratti di donna che si inseriscono a pieno titolo nel suo ricco e variegato universo femminile: l'ordine e la giustizia sociale instaurati da Lady Eboshi sono in netta antitesi all'anarchica armonia del mondo naturale di San. La stessa Eboshi è una sorta di Prometeo, che ruba il "fuoco" della conoscenza agli dèi (nella fattispecie l'arte della metallurgia e della pirotecnica) per donarlo agli uomini, ed è descritta come un'illuminata guida che aiuta i lebbrosi e restituisce dignità alle donne liberandole dalla schiavitù.
San, la ragazza selvaggia, è una versione cupa e feroce di Nausicaä. Ma a differenza di quest'ultima il suo rapporto con gli umani è conflittuale, rifiuta qualsiasi pacificazione, ed è votata a distruggere il Tatara-ba, si sente figlia naturale della dea-lupo Moro, la sua vita e la sua anima appartengono alla foresta sacra e, come gli altri animali, si considera un mononoke (spirito vendicativo).
Ashitaka, che incarna il coraggio, la grinta, l'equilibrio interiore e la statura morale del classico eroe miyazakiano (Hols, Conan, Pazu), ha una forza comunicativa e un rapporto diretto con la natura che lo pongono al di sopra delle parti come unico punto di contatto fra i due mondi contrapposti.
I temi classici dell'autore nipponico - la dicotomia fra tecnologia e ambiente, il confine tra spazio dell'uomo e spazio naturale, la purezza d'animo come viatico della salvezza, il ruolo centrale delle figure femminili - sono affrontati con un approccio più critico e disincantato del solito. In particolare nel rapporto uomo/natura l'autore non assume atteggiamenti compiaciuti né verso il furore di San e la sua cieca difesa della foresta, né verso il progresso civile di Lady Eboshi. Anche se nell'immaginario narrativo 'miyazakiano' il Tatara-ba lascia trasparire il germe di quella che sarà la deriva malsana della città-stato industriale e guerrafondaia di Indastria nella serie post-apocalittica "Conan, il ragazzo del futuro".
Da un punto di vista tecnico/artistico il film è la degna coronazione di uno sforzo immane da parte dello Studio Ghibli, anche a fronte di un investimento economico senza precedenti. Il risultato è quanto di meglio si fosse visto prima per l'epoca: fondali stupefacenti per la bellezza primordiale dei paesaggi e per la ricchezza di dettagli, disegni e animazioni dalla fluida naturalezza ed eleganza, colori vividi e brillanti che esaltano il senso di immersione nell'atmosfera del film. Una messa in scena estremamente curata e rarefatta che riesce a trasmettere anche il contrasto tra le sensazioni più flebili come la dolce brezza boschiva e quelle più forti come l'odore pungente del fumo e della polvere da sparo.
Come sempre, a completare l'opera ci pensa il solito Joe Hisaishi, che dimostra una sintonia ormai collaudata con il regista e la sua colonna sonora forma un tutt'uno con le immagini: ispirandosi direttamente al retaggio musicale popolare, le sue melodie sono suggestive e a tratti maestose e si avvalgono dell'esecuzione dell'orchestra filarmonica di Tokyo con grande profusione di strumenti tradizionali dall'irresistibile fascino esotico.
Nel grande libro delle visioni del "dio degli anime", "Mononoke Hime" rappresenta una delle pagine più intense e drammatiche, in grado di stupire con le sue invenzioni fantastiche ma anche di far riflettere con il suo potente monito ecologista. E' anche un inno, appassionato e disperato, alla sacralità della vita in ogni sua forma: "Gli alberi gridano quando vengono abbattuti, ma gli uomini non possono udire i loro gemiti…" è un passaggio chiave del film.
La filosofia di Miyazaki è mutata negli anni e il suo ottimismo si è gradualmente offuscato, il suo ambientalismo idealista si è impregnato di maturo umanesimo che, ammettendo l'impossibilità di un perfetto equilibrio tra uomo e natura, afferma comunque il valore assoluto dell'esistenza.
«Non stiamo tentando di risolvere i problemi globali. Non può esserci un lieto fine nella battaglia tra la schiera degli dèi e quella degli uomini» Hayao Miyazaki.
Giappone, periodo Muromachi (1336-1573). Ashitaka, principe guerriero della dinastia Emishi, nello scontro con Nago, un dio-cinghiale posseduto da un demone, viene ferito e colpito da una maledizione. Il giovane è costretto ad abbandonare il suo villaggio per evitare che il maleficio si estenda all'intero suo popolo e per cercare di comprendere le origini dell'odio che ha spinto il demone fino a lui. Durante il viaggio Ashitaka si imbatte in San, una ragazza allevata dai lupi che ha giurato vendetta contro Lady Eboshi, capo di un Tatara-ba (città del ferro) che basa la sua economia sulla produzione di armi da fuoco. Costei ha come obbiettivo la distruzione dell'intera foresta sacra, protetta dallo Shishigami (il dio-cervo) e tanto cara a San e agli spiriti guardiani zoomorfi, allo scopo di ricavare miniere per l'estrazione del ferro. Sarà l'inizio di un'epica battaglia fra uomini e dei in cui Ashitaka, "con occhi non velati dall'odio", avrà un ruolo determinante nel conflitto fra le due fazioni.
"Mononoke Hime", 1997, è l'opera "adulta" di Miyazaki che ha sancito la sua consacrazione al grande pubblico grazie all'enorme successo in patria e alla distribuzione internazionale, che gli ha permesso di conquistare l'America e l'Europa. Il film rappresenta uno spartiacque nella sua cinematografia per il profondo pessimismo di cui è impregnato, ma è anche una svolta stilistica per la crudezza inusitata di alcune sequenze: battaglie cruente, sangue, ferro e fuoco esordiscono nella grammatica del regista e la narrazione dal respiro epico e grandioso è impreziosita da articolate scene di massa e da un montaggio di raffinata architettura.
La pellicola, incentrata sull'eterno e irresolubile conflitto tra l'uomo e la natura, è un affascinante kolossal animato, un affresco potente ed evocativo ammantato di misticismo e imbevuto nel folklore del Sol Levante, con particolare riferimento alla leggenda degli yōkai e degli shikigami, o 'kami', della cosmogonia scintoista.
Nel suo medioevo fantastico il cineasta di Akebono sembra voler fissare il punto di rottura nell'equilibrio tra uomo e natura che è descritto come una mitica caduta degli dèi per mano dell'uomo, vista anche come metaforica scomparsa delle antiche tradizioni ancestrali sotto i colpi della modernità.
Ancora una volta Miyazaki sovverte gli schemi patriarcali regalandoci due intensi ritratti di donna che si inseriscono a pieno titolo nel suo ricco e variegato universo femminile: l'ordine e la giustizia sociale instaurati da Lady Eboshi sono in netta antitesi all'anarchica armonia del mondo naturale di San. La stessa Eboshi è una sorta di Prometeo, che ruba il "fuoco" della conoscenza agli dèi (nella fattispecie l'arte della metallurgia e della pirotecnica) per donarlo agli uomini, ed è descritta come un'illuminata guida che aiuta i lebbrosi e restituisce dignità alle donne liberandole dalla schiavitù.
San, la ragazza selvaggia, è una versione cupa e feroce di Nausicaä. Ma a differenza di quest'ultima il suo rapporto con gli umani è conflittuale, rifiuta qualsiasi pacificazione, ed è votata a distruggere il Tatara-ba, si sente figlia naturale della dea-lupo Moro, la sua vita e la sua anima appartengono alla foresta sacra e, come gli altri animali, si considera un mononoke (spirito vendicativo).
Ashitaka, che incarna il coraggio, la grinta, l'equilibrio interiore e la statura morale del classico eroe miyazakiano (Hols, Conan, Pazu), ha una forza comunicativa e un rapporto diretto con la natura che lo pongono al di sopra delle parti come unico punto di contatto fra i due mondi contrapposti.
I temi classici dell'autore nipponico - la dicotomia fra tecnologia e ambiente, il confine tra spazio dell'uomo e spazio naturale, la purezza d'animo come viatico della salvezza, il ruolo centrale delle figure femminili - sono affrontati con un approccio più critico e disincantato del solito. In particolare nel rapporto uomo/natura l'autore non assume atteggiamenti compiaciuti né verso il furore di San e la sua cieca difesa della foresta, né verso il progresso civile di Lady Eboshi. Anche se nell'immaginario narrativo 'miyazakiano' il Tatara-ba lascia trasparire il germe di quella che sarà la deriva malsana della città-stato industriale e guerrafondaia di Indastria nella serie post-apocalittica "Conan, il ragazzo del futuro".
Da un punto di vista tecnico/artistico il film è la degna coronazione di uno sforzo immane da parte dello Studio Ghibli, anche a fronte di un investimento economico senza precedenti. Il risultato è quanto di meglio si fosse visto prima per l'epoca: fondali stupefacenti per la bellezza primordiale dei paesaggi e per la ricchezza di dettagli, disegni e animazioni dalla fluida naturalezza ed eleganza, colori vividi e brillanti che esaltano il senso di immersione nell'atmosfera del film. Una messa in scena estremamente curata e rarefatta che riesce a trasmettere anche il contrasto tra le sensazioni più flebili come la dolce brezza boschiva e quelle più forti come l'odore pungente del fumo e della polvere da sparo.
Come sempre, a completare l'opera ci pensa il solito Joe Hisaishi, che dimostra una sintonia ormai collaudata con il regista e la sua colonna sonora forma un tutt'uno con le immagini: ispirandosi direttamente al retaggio musicale popolare, le sue melodie sono suggestive e a tratti maestose e si avvalgono dell'esecuzione dell'orchestra filarmonica di Tokyo con grande profusione di strumenti tradizionali dall'irresistibile fascino esotico.
Nel grande libro delle visioni del "dio degli anime", "Mononoke Hime" rappresenta una delle pagine più intense e drammatiche, in grado di stupire con le sue invenzioni fantastiche ma anche di far riflettere con il suo potente monito ecologista. E' anche un inno, appassionato e disperato, alla sacralità della vita in ogni sua forma: "Gli alberi gridano quando vengono abbattuti, ma gli uomini non possono udire i loro gemiti…" è un passaggio chiave del film.
La filosofia di Miyazaki è mutata negli anni e il suo ottimismo si è gradualmente offuscato, il suo ambientalismo idealista si è impregnato di maturo umanesimo che, ammettendo l'impossibilità di un perfetto equilibrio tra uomo e natura, afferma comunque il valore assoluto dell'esistenza.
«Non stiamo tentando di risolvere i problemi globali. Non può esserci un lieto fine nella battaglia tra la schiera degli dèi e quella degli uomini» Hayao Miyazaki.
Mi rendo conto che per guardare un anime che porta la firma dello studio Ghibli e del maestro Miyazaki bisogna prima di tutto lavarsi l'anima da ogni possibile inibizione umana. Si deve diventare ombra, con l'unico scopo di vivere alla luce dei colori e delle emozioni che dallo schermo escono e illuminano ciò che le osserva.
Si devono togliere gli occhiali del tempo, ed estraniarsi dal presente, lasciando al fluire del cosmo ogni mossa, lasciandosi trascinare dalle parole e dalla poesia che l'anime rappresenta, che Miyazaki ha accennato nei suoi tratti leggeri.
Poi si vivono i dettagli, le ombre, i sussurrati e minuziosi particolari dei fondali, i delicati tratteggi del vento, della pioggia, là dove anche la foglia che cade leggera sulla pelle del nostro eroe diventa protagonista silenziosa di una soave certezza che doveva cadere lì, che il destino desiderava ciò, che la divinità voleva quello.
In realtà poi ci si emoziona per il sussurro delle parole, per la follia dell'uomo, per l'istinto animale del cinghiale, per la precocità dell'infanzia, per l'eccentricità d'un mondo invertito, in una favola d'un tempo remoto che ricalca fedelmente, tra spade e cavalli, la società moderna, in una continua lotta tra bene e male, tra follia e buonsenso, tra umanità e natura, sempre alla ricerca del proprio spazio in questo mondo, sempre meno disposti a condividerlo e sempre più propensi a dominarlo.
Esseri umani carnefici e difensori del misterioso essere che si chiama natura, e che ancora una volta Miyazaki dipinge con la soave certezza che la Madre Natura è neutrale, l'essenza della natura è pacifica osservatrice del mondo, che lascia ai suoi figli uomini lo spazio che chiedono cercando di limitare il danno, di circoscrivere la follia di questi figli disobbedienti, credendo fermamente in ciò che gli stessi uomini dimostrano possedere, e che non la tradiscono mai.
Non sto parlando di trame complesse, ma di emozioni senza tempo. Il film è di una linearità sconvolgente, le azioni e gli eventi si susseguono come naturale conseguenza gli uni delle altre, lasciando quasi una sensazione di ovvietà che cela, in realtà, un susseguirsi di eventi mai così ovvi, e mai così scontati, anzi. Si arriva alla strofa finale con addosso l'emozione di aver scoperto la bellezza solo in quell'istante, e di non averla mai vista prima.
Ecco come finisce l'ode che la Principessa Mononoke canta al cuore di chi la guarda, ecco come l'amore trionfa ancora una volta e Miyazaki regala al mondo una speranza nuova, così, con un tripudio alla bellezza, alla sensibilità, al coraggio, all'incredibile. E si resta sospesi, ci si accorge che forse non si respira da un po', che il cuore galleggia in quel mare di delicate contrapposizioni che solo nell'ultimo istante trovano ragione, e che solo in quell'ultimo istante trovano risposte.
E ci si scuote da questo torpore silenzioso e permanente, trascinandosi addosso l'emozione di tutto un film che è trascorso come attimo, restando allibiti davanti un'opera che dal primo all'ultimo minuto ha tenuto un passo da corsa, e che pure non è mai restata senza fiato.
Ci si sveglia, in un mondo moderno, si spegne il televisore, e si sorride, consapevoli che forse qualcosa è cambiato, magari non fuori dalla finestra, ma dentro noi.
Piccolo grande sogno di Miyazaki, gemma preziosa che si deve conservare.
Si devono togliere gli occhiali del tempo, ed estraniarsi dal presente, lasciando al fluire del cosmo ogni mossa, lasciandosi trascinare dalle parole e dalla poesia che l'anime rappresenta, che Miyazaki ha accennato nei suoi tratti leggeri.
Poi si vivono i dettagli, le ombre, i sussurrati e minuziosi particolari dei fondali, i delicati tratteggi del vento, della pioggia, là dove anche la foglia che cade leggera sulla pelle del nostro eroe diventa protagonista silenziosa di una soave certezza che doveva cadere lì, che il destino desiderava ciò, che la divinità voleva quello.
In realtà poi ci si emoziona per il sussurro delle parole, per la follia dell'uomo, per l'istinto animale del cinghiale, per la precocità dell'infanzia, per l'eccentricità d'un mondo invertito, in una favola d'un tempo remoto che ricalca fedelmente, tra spade e cavalli, la società moderna, in una continua lotta tra bene e male, tra follia e buonsenso, tra umanità e natura, sempre alla ricerca del proprio spazio in questo mondo, sempre meno disposti a condividerlo e sempre più propensi a dominarlo.
Esseri umani carnefici e difensori del misterioso essere che si chiama natura, e che ancora una volta Miyazaki dipinge con la soave certezza che la Madre Natura è neutrale, l'essenza della natura è pacifica osservatrice del mondo, che lascia ai suoi figli uomini lo spazio che chiedono cercando di limitare il danno, di circoscrivere la follia di questi figli disobbedienti, credendo fermamente in ciò che gli stessi uomini dimostrano possedere, e che non la tradiscono mai.
Non sto parlando di trame complesse, ma di emozioni senza tempo. Il film è di una linearità sconvolgente, le azioni e gli eventi si susseguono come naturale conseguenza gli uni delle altre, lasciando quasi una sensazione di ovvietà che cela, in realtà, un susseguirsi di eventi mai così ovvi, e mai così scontati, anzi. Si arriva alla strofa finale con addosso l'emozione di aver scoperto la bellezza solo in quell'istante, e di non averla mai vista prima.
Ecco come finisce l'ode che la Principessa Mononoke canta al cuore di chi la guarda, ecco come l'amore trionfa ancora una volta e Miyazaki regala al mondo una speranza nuova, così, con un tripudio alla bellezza, alla sensibilità, al coraggio, all'incredibile. E si resta sospesi, ci si accorge che forse non si respira da un po', che il cuore galleggia in quel mare di delicate contrapposizioni che solo nell'ultimo istante trovano ragione, e che solo in quell'ultimo istante trovano risposte.
E ci si scuote da questo torpore silenzioso e permanente, trascinandosi addosso l'emozione di tutto un film che è trascorso come attimo, restando allibiti davanti un'opera che dal primo all'ultimo minuto ha tenuto un passo da corsa, e che pure non è mai restata senza fiato.
Ci si sveglia, in un mondo moderno, si spegne il televisore, e si sorride, consapevoli che forse qualcosa è cambiato, magari non fuori dalla finestra, ma dentro noi.
Piccolo grande sogno di Miyazaki, gemma preziosa che si deve conservare.
"La Principessa Mononoke" è la migliore opera di Miyazaki, senza alcun dubbio.
In "La principessa Mononoke", il protagonista sarà Ashitaka, principe del suo villaggio di appartenenza, che un giorno verrà attaccato da un cinghiale gigante, posseduto da un demone malvagio. Durante quest'attacco Ashitaka viene ferito dal demone, e quindi viene maledetto. A questo punto Ahitaka sarà costretto ad abbandonare il villaggio in cerca di una cura. La sua ricerca lo porterà alla Città del Ferro, in cui è in corso una guerra contro gli animali della foresta.
I temi di questo film sono molto interessanti, si comincia dal tanto caro tema della guerra, e dell'odio, che è sempre all'interno dell'animo umano, fino ad arrivare al rapporto uomo-natura. Nel film assistiamo al trionfo della natura sull'uomo, quasi a farci capire quanto sia piccolo l'uomo al suo confronto, e quanto molte azioni dell'uomo siano crudeli nei confronti della natura.
Ho apprezzato molto la maturità del film, e, a differenza di tutti gli altri film di Miyazaki, le scene cruente di certo non mancano. Da questo punto di vista il film è indirizzato agli adulti, sebbene qualche nota stonata ancora è presente, ad esempio il solito happy ending forzato, con annessa redenzione di tutti i personaggi, o la leggerezza con cui viene trattato il rapporto tra Ashitaka e San, cioè la principessa Mononoke. Tolto questo, il film rimane godibilissimo, sia tecnicamente sia a livello di storia, veramente bello.
In "La principessa Mononoke", il protagonista sarà Ashitaka, principe del suo villaggio di appartenenza, che un giorno verrà attaccato da un cinghiale gigante, posseduto da un demone malvagio. Durante quest'attacco Ashitaka viene ferito dal demone, e quindi viene maledetto. A questo punto Ahitaka sarà costretto ad abbandonare il villaggio in cerca di una cura. La sua ricerca lo porterà alla Città del Ferro, in cui è in corso una guerra contro gli animali della foresta.
I temi di questo film sono molto interessanti, si comincia dal tanto caro tema della guerra, e dell'odio, che è sempre all'interno dell'animo umano, fino ad arrivare al rapporto uomo-natura. Nel film assistiamo al trionfo della natura sull'uomo, quasi a farci capire quanto sia piccolo l'uomo al suo confronto, e quanto molte azioni dell'uomo siano crudeli nei confronti della natura.
Ho apprezzato molto la maturità del film, e, a differenza di tutti gli altri film di Miyazaki, le scene cruente di certo non mancano. Da questo punto di vista il film è indirizzato agli adulti, sebbene qualche nota stonata ancora è presente, ad esempio il solito happy ending forzato, con annessa redenzione di tutti i personaggi, o la leggerezza con cui viene trattato il rapporto tra Ashitaka e San, cioè la principessa Mononoke. Tolto questo, il film rimane godibilissimo, sia tecnicamente sia a livello di storia, veramente bello.
Con "Princess Mononoke" il maestro dell'animazione Hayao Miyazaki si impone sulla scena internazionale con un film di grande impatto, ma non è la migliore occasione per celebrarlo, anzi il film è probabilmente il meno buono del celebre regista.
L'anime è ambientato in un'epoca medievale imprecisata, e racconta di un guerriero colpito dalla maledizione dell'odio, e di una ragazza lupo, Mononoke appunto, che con non poche esitazioni lo aiuterà a liberarsi dal sortilegio e cercherà di impedire alla regina di un villaggio di uccidere il dio della foresta.
Forte della disciplina shintoista, Miyazaki regala più di una suggestione a livello visivo e sonoro - bellissime sono anche le musiche -, ma la storia è narrativamente altalenante, confusa ed eccessivamente prolissa.
Per chi si intende di soli anime, "La principessa Mononoke" sarà un capolavoro, ma chi ha uno sguardo più cinematografico, vi troverà tutti i difetti che ho elencato. Insomma, il film è una memorabile perla del maestro Miyazaki, ma egli ha fatto di molto meglio.
L'anime è ambientato in un'epoca medievale imprecisata, e racconta di un guerriero colpito dalla maledizione dell'odio, e di una ragazza lupo, Mononoke appunto, che con non poche esitazioni lo aiuterà a liberarsi dal sortilegio e cercherà di impedire alla regina di un villaggio di uccidere il dio della foresta.
Forte della disciplina shintoista, Miyazaki regala più di una suggestione a livello visivo e sonoro - bellissime sono anche le musiche -, ma la storia è narrativamente altalenante, confusa ed eccessivamente prolissa.
Per chi si intende di soli anime, "La principessa Mononoke" sarà un capolavoro, ma chi ha uno sguardo più cinematografico, vi troverà tutti i difetti che ho elencato. Insomma, il film è una memorabile perla del maestro Miyazaki, ma egli ha fatto di molto meglio.
Senza dubbio "La Principessa Mononoke" è il film di Miyazaki in cui il tema ambientale è più forte, tragico e pervadente, ben più del noto Nausicaa.
Mononoke-hime è uno dei migliori film dello Studio Ghibli, a mio parere, e questo perché non solo tratta il tema importantissimo come la mancanza di rispetto dell'uomo verso la natura in un modo lirico e poetico, ma perché possiede quel qualcosa che normalmente nei film di Miyazaki manca, cioè la crudeltà, la violenza, il cruento, il sangue.
Il tema ambientale, difatti, può servirsi dell'aspetto favolistico, rose e fiori, semplicemente se si vuole descrivere in un modo più dolce la natura, ma tutto qui. Per descrivere, invece, la lotta fra uomo e Terra bisogna adoperare scene forti, che rimangano impresse, che lascino un marchio, cosa che accade solamente in questo film, fra tutti quelli che ho guardato.
Lo scontro natura-uomo, tra l'altro, non viene mostrato in modo manicheo, non v'è una parte benigna e una parte maligna - anche se immagino che qualsiasi spettatore tenderebbe nel parteggiare contro l'uomo - e questo lo si può notare nel fatto che i lupi che rappresentano per buona parte del film la natura sono mostrati come esseri violenti e istintivi, idem per i cinghiali, quindi al pari degli uomini.
La lotta, di conseguenza, è semplicemente dovuta a interessi differenti da parte di esseri simili, cosa che si esprime anche nella guerra intra-specifica fra uomini di differenti fazioni.
La storia, che si conclude in modo epico anche graficamente, va a braccetto con la colonna sonora, che termina in un'ending che penetra nelle ossa.
C'è, comunque, da dire che i personaggi non sono un granché. Ashitaka, infatti, è il reale protagonista, che per tutta la durata dell'opera non assume alcuna presa di posizione, non si schiera, aiuta chi trova nel suo cammino, senza provare una palese empatia per alcuno dei due schieramenti. San, invece, pur essendo nel titolo dell'anime, si vedrà per all'incirca 20 minuti totali, facendo sì che dare un parere su di lri sia un'impresa abbastanza ardua.
Anche Eboshi, che inizialmente appare come un personaggio che avrebbe contribuito in modo fondamentale alla storia, pian piano si eclissa sotto un velo oscuro e serioso che improvvisamente viene lacerato nella scena finale; un qualcosa abbastanza forzato un finale di questo tipo.
Difatti il finale è l'unica cosa che non ho affatto gradito, troppo lieto, troppo "alla Miyazaki". Nello scontro natura-uomo non c'è lieto fine, non ci sono sorrisi e redenzioni; sarebbe, a mio parere, stato meglio continuare a usare l'atmosfera dura e graffiante di cui è pervaso l'intero lungometraggio, tranne, per l'appunto, che per il finale.
Il punto, però, è che queste pecche, nel mio punto di vista, non inficiano il tutto, perché sono stato ugualmente pervaso da una grande quantità di sentimenti guardando Mononoke-hime, seppur con personaggi di scarsa qualità e con un finale opinabile. Gli animali-dèi, le raffigurazioni degli spiriti e della natura fanno sì che la storia risulti ottima e da alto voto anche con pecche vistose come quelle descritte.
Mononoke-hime è uno dei migliori film dello Studio Ghibli, a mio parere, e questo perché non solo tratta il tema importantissimo come la mancanza di rispetto dell'uomo verso la natura in un modo lirico e poetico, ma perché possiede quel qualcosa che normalmente nei film di Miyazaki manca, cioè la crudeltà, la violenza, il cruento, il sangue.
Il tema ambientale, difatti, può servirsi dell'aspetto favolistico, rose e fiori, semplicemente se si vuole descrivere in un modo più dolce la natura, ma tutto qui. Per descrivere, invece, la lotta fra uomo e Terra bisogna adoperare scene forti, che rimangano impresse, che lascino un marchio, cosa che accade solamente in questo film, fra tutti quelli che ho guardato.
Lo scontro natura-uomo, tra l'altro, non viene mostrato in modo manicheo, non v'è una parte benigna e una parte maligna - anche se immagino che qualsiasi spettatore tenderebbe nel parteggiare contro l'uomo - e questo lo si può notare nel fatto che i lupi che rappresentano per buona parte del film la natura sono mostrati come esseri violenti e istintivi, idem per i cinghiali, quindi al pari degli uomini.
La lotta, di conseguenza, è semplicemente dovuta a interessi differenti da parte di esseri simili, cosa che si esprime anche nella guerra intra-specifica fra uomini di differenti fazioni.
La storia, che si conclude in modo epico anche graficamente, va a braccetto con la colonna sonora, che termina in un'ending che penetra nelle ossa.
C'è, comunque, da dire che i personaggi non sono un granché. Ashitaka, infatti, è il reale protagonista, che per tutta la durata dell'opera non assume alcuna presa di posizione, non si schiera, aiuta chi trova nel suo cammino, senza provare una palese empatia per alcuno dei due schieramenti. San, invece, pur essendo nel titolo dell'anime, si vedrà per all'incirca 20 minuti totali, facendo sì che dare un parere su di lri sia un'impresa abbastanza ardua.
Anche Eboshi, che inizialmente appare come un personaggio che avrebbe contribuito in modo fondamentale alla storia, pian piano si eclissa sotto un velo oscuro e serioso che improvvisamente viene lacerato nella scena finale; un qualcosa abbastanza forzato un finale di questo tipo.
Difatti il finale è l'unica cosa che non ho affatto gradito, troppo lieto, troppo "alla Miyazaki". Nello scontro natura-uomo non c'è lieto fine, non ci sono sorrisi e redenzioni; sarebbe, a mio parere, stato meglio continuare a usare l'atmosfera dura e graffiante di cui è pervaso l'intero lungometraggio, tranne, per l'appunto, che per il finale.
Il punto, però, è che queste pecche, nel mio punto di vista, non inficiano il tutto, perché sono stato ugualmente pervaso da una grande quantità di sentimenti guardando Mononoke-hime, seppur con personaggi di scarsa qualità e con un finale opinabile. Gli animali-dèi, le raffigurazioni degli spiriti e della natura fanno sì che la storia risulti ottima e da alto voto anche con pecche vistose come quelle descritte.
Forse andrò controcorrente, ma questo film mi ha lasciato solo angoscia e inquietudine, nonostante il lieto fine.
"Mononoke Hime": la storia narra di Ashitaka, ultimo principe degli Emishi, che un giorno per difendere il proprio villaggio combatte contro un maestoso cinghiale, tramutato in demone a causa di un banale proiettile. Ashitaka lo uccide, ma nel frattempo viene ferito a un braccio, e riscontra la stessa maledizione del cinghiale. Se non trova una cura, farà la stessa fine dell'animale. Così decide di abbandonare tutti e di partire verso le terre dominate dagli animali per cercare un modo per sopravvivere, con la sola compagnia del suo fedelissimo stambecco Yakkul. Durante il viaggio nota con grande amarezza che la maledizione che ha colpito il suo braccio lo fa diventare forte e potente, tanto da abbattere i nemici che troverà lungo il cammino con un sol colpo. Parallelamente al viaggio di Ashitaka, l'attenzione si rivolge a un gruppo di abitanti della Città del Ferro che faticano a portare il riso a destinazione, dato che vengono attaccati da tre lupi giganteschi, accompagnati da un'umana. Questa ragazza è San, detta anche "Principessa Mononoke", proprio quella del titolo.
Ashitaka comprende ben presto che la fragile coesistenza degli umani e degli déi della foresta non durerà ancora a lungo, e la sua sola salvezza passa in secondo piano. E' attirato da San, e dalla sua scelta di vivere assieme agli animali. Dal canto loro, gli abitanti della Città del Ferro, comandati dall'autoritaria Eboshi, non fanno che rovinare la natura per avere maggiore ferro, da cui costruiranno armi da fuoco.
"La principessa Mononoke" è la tipica lotta esistenziale fra la natura e l'uomo.
Ora, perché il film non è stato di mio gradimento, sebbene ami a dismisura lo Studio Ghibli e il suo regista più affermato Hayao Miyazaki?
La risposta è semplice: trovo il film troppo cruento e animalesco. Ci sono certe scene che mi hanno fatto rabbrividire. Nessuno mette in dubbio che l'epica lotta è spesso palcoscenico delle più crudeli azioni, ma quando è troppo è troppo.
L'animazione è fin troppo perfetta (per essere un film del 1997), i colori vividi trapassano gli occhi dello spettatore e lo spaventano - a me è successo questo.
Unica nota positiva che assegna la sufficienza a quest'opera è la splendida colonna sonora, davvero emozionante e coinvolgente. Ecco, giacché le musiche catturano molto l'attenzione, perché infierire con scene che si potrebbero immaginare?
Eppure ho visto questo film apposta, dato che era una delle poche opere di Miyazaki che ancora non avevo visto. Molti saranno in disaccordo con me, ma "La Principessa Mononoke" non mi è piaciuto. Punto.
"Mononoke Hime": la storia narra di Ashitaka, ultimo principe degli Emishi, che un giorno per difendere il proprio villaggio combatte contro un maestoso cinghiale, tramutato in demone a causa di un banale proiettile. Ashitaka lo uccide, ma nel frattempo viene ferito a un braccio, e riscontra la stessa maledizione del cinghiale. Se non trova una cura, farà la stessa fine dell'animale. Così decide di abbandonare tutti e di partire verso le terre dominate dagli animali per cercare un modo per sopravvivere, con la sola compagnia del suo fedelissimo stambecco Yakkul. Durante il viaggio nota con grande amarezza che la maledizione che ha colpito il suo braccio lo fa diventare forte e potente, tanto da abbattere i nemici che troverà lungo il cammino con un sol colpo. Parallelamente al viaggio di Ashitaka, l'attenzione si rivolge a un gruppo di abitanti della Città del Ferro che faticano a portare il riso a destinazione, dato che vengono attaccati da tre lupi giganteschi, accompagnati da un'umana. Questa ragazza è San, detta anche "Principessa Mononoke", proprio quella del titolo.
Ashitaka comprende ben presto che la fragile coesistenza degli umani e degli déi della foresta non durerà ancora a lungo, e la sua sola salvezza passa in secondo piano. E' attirato da San, e dalla sua scelta di vivere assieme agli animali. Dal canto loro, gli abitanti della Città del Ferro, comandati dall'autoritaria Eboshi, non fanno che rovinare la natura per avere maggiore ferro, da cui costruiranno armi da fuoco.
"La principessa Mononoke" è la tipica lotta esistenziale fra la natura e l'uomo.
Ora, perché il film non è stato di mio gradimento, sebbene ami a dismisura lo Studio Ghibli e il suo regista più affermato Hayao Miyazaki?
La risposta è semplice: trovo il film troppo cruento e animalesco. Ci sono certe scene che mi hanno fatto rabbrividire. Nessuno mette in dubbio che l'epica lotta è spesso palcoscenico delle più crudeli azioni, ma quando è troppo è troppo.
L'animazione è fin troppo perfetta (per essere un film del 1997), i colori vividi trapassano gli occhi dello spettatore e lo spaventano - a me è successo questo.
Unica nota positiva che assegna la sufficienza a quest'opera è la splendida colonna sonora, davvero emozionante e coinvolgente. Ecco, giacché le musiche catturano molto l'attenzione, perché infierire con scene che si potrebbero immaginare?
Eppure ho visto questo film apposta, dato che era una delle poche opere di Miyazaki che ancora non avevo visto. Molti saranno in disaccordo con me, ma "La Principessa Mononoke" non mi è piaciuto. Punto.
Premetto: questo non è né sarà mai il mio genere. Giù il cappello in ogni caso, d'altronde quando si tratta di Miyazaki è difficile sbagliare.
Leggendo distrattamente la trama temevo di incappare in un anime troppo "pesante" (tendenzialmente preferisco cose molto frivole per staccare il cervello e rilassarmi), ma sono rimasto piacevolmente sorpreso dal mix che il maestro Miyazaki ha saputo creare.
La trama è lineare e davvero molto bella, i personaggi splendidi (anche se il rapporto Ashitaka-San mi lascia un po' perplesso nel finale), il disegno è il solito capolavoro firmato Studio Ghibli, le musiche davvero azzeccate. Pur essendo un prodotto decisamente "impegnato" e che vuole sollevare delle tematiche, "La principessa Mononole" sa essere leggero e godibilissimo dall'inizio alla fine.
Il punto forte? Secondo me sta nelle ambientazioni. Gli splendidi disegni uniti agli scenari quasi "mitologici" creati da Miyazaki ti fanno sentire quasi "dentro" all'anime. Il personaggio più bello? Ovviamente San, soprattutto nella scena in cui guarda Ashitaka con la bocca sporca del sangue del lupo. Favolosa.
Leggendo distrattamente la trama temevo di incappare in un anime troppo "pesante" (tendenzialmente preferisco cose molto frivole per staccare il cervello e rilassarmi), ma sono rimasto piacevolmente sorpreso dal mix che il maestro Miyazaki ha saputo creare.
La trama è lineare e davvero molto bella, i personaggi splendidi (anche se il rapporto Ashitaka-San mi lascia un po' perplesso nel finale), il disegno è il solito capolavoro firmato Studio Ghibli, le musiche davvero azzeccate. Pur essendo un prodotto decisamente "impegnato" e che vuole sollevare delle tematiche, "La principessa Mononole" sa essere leggero e godibilissimo dall'inizio alla fine.
Il punto forte? Secondo me sta nelle ambientazioni. Gli splendidi disegni uniti agli scenari quasi "mitologici" creati da Miyazaki ti fanno sentire quasi "dentro" all'anime. Il personaggio più bello? Ovviamente San, soprattutto nella scena in cui guarda Ashitaka con la bocca sporca del sangue del lupo. Favolosa.
In una società che sempre più spesso tende a dimenticare o semplicemente a non tenere conto che l'uomo su questo pianeta non è la sola specie vivente, opere che come fine ultimo abbiano il far riflettere come al giorno d'oggi, ai livelli di consumismo a cui siamo arrivati, la nostra specie possa ancora trovare un modo per coesistere con la natura, sono sempre ben accette. Il difficile consiste nel come i realizzatori di queste opere decidano di trattare il tema e se alla fine del processo produttivo siano concretamente riusciti a dare vita a un prodotto che possa veramente raccontare qualcosa di innovativo: un artista d'altronde deve possedere la capacità, della quale la gente comune non è dotata, di vedere oltre per poi proporre la propria creazione e stare tranquillamente a guardare quanti e in quale modo riescono a coglierla e a interpretarla. Quello dell'interpretazione del pubblico è comunque un secondo passo; il concetto fondamentale è che se si deve fare finta di fare arte - di presupposto alto livello (non si capisce da chi, forse da quella parte di pubblico totalmente non dotata di capacità, come l'intuizione e l'istinto, che portano a discriminare il bello dal banale) - spacciando un lungometraggio insipido, scontato e con un target non definito tra il pubblico, perché semplicemente è un'accozzaglia delle solite trite e ritrite idee sull'importante tema del rapporto uomo/natura, ma qui trattato egregiamente in malo modo, per uno dei più grandi e commoventi lavori della cinematografia animata giapponese, tanto vale andare a fare il lavoratore subordinato. Perché, a incollare insieme una serie di luoghi comuni cresciuti in questa nostra società nel tempo, siamo capaci tutti e un prodotto nato da questo, ma che si spaccia o viene spacciato per un'opera di alto livello, non ha il diritto di essere anche solo lontanamente paragonato, secondo la mia personale sensibilità, a un capolavoro.
Ma andiamo più a fondo nel capire di cosa racconta "La Principessa Mononoke". Il lungometraggio di Miyazaki si apre introducendo allo spettatore uno dei protagonisti principali: il giovane Ashitaka. Principe Emishi di un piccolo villaggio, si vede costretto a uccidere uno sconosciuto demone che attacca la sua comunità per poi scoprire che si stratta in verità di Nago, un dio-cinghiale proveniente da terre lontane, contaminato e maledetto da quello che sembra un rudimentale proiettile che ha avvelenato la divinità. Colpito dalla stessa maledizione, Ashitaka dovrà abbandonare il suo villaggio e iniziare un viaggio per scoprire ciò che sta succedendo nelle terre natali di Nago e soprattutto per capire come guarire dall'anatema che dalla sua mano inizia a espandersi in tutto il corpo.
Dopo un lungo peregrinare il ragazzo giunge alla Città del Ferro sorta per mano dell'intraprendente Eboshi e capisce che la sorgente della maledizione di Nago non era nient'altro che l'odio provato dal cinghiale verso gli umani che, per procurarsi le materie prime per la creazione di metalli e armi, disboscano e distruggono la grande foresta limitrofa alla città. Qui Ashitaka incontra San, ragazza umana, allevata dalle divinità lupo della foresta che combatte per difendere gli abitanti di quest'ultima.
Ashitaka e San sono inoltre protagonisti di un'ovvia e inspiegabile, ma allo stesso tempo classica e inevitabile, storia d'amore della quale avrei fatto volentieri a meno, considerato che il personaggio di San non riesce a essere caratterizzato in modo decente da permettere l'aggiunta di un ulteriore elemento come una relazione sentimentale. Ma dato che ci troviamo di fronte a una versione alquanto sanguinosa giapponese di un film Disney, anche la canonica storia d'amore fra i protagonisti era da immaginarsi.
Nonostante il visibile peggioramento del film che avanza pari passo con lo scorrere dei minuti, la parte riguardante Eboshi e gli abitanti della città si rivela la migliore di tutto il lungometraggio. Eboshi è invero una donna dal carattere deciso e intransigente con chi ostacola il suo cammino, decisa nel fare qualsiasi cosa per raggiungere i suoi obiettivi e fermamente credente nella forza di ognuno dei suoi sottoposti. Peccato che anche questo personaggio subisca alla fine un cambiamento innaturale figlio dell'inevitabile battaglia finale tra gli uomini e gli spiriti della foresta.
Ora, un'ulteriore motivo per il quale non apprezzo questo lungometraggio di casa Ghibli è la totale assenza di un vero messaggio. Ma come? "Mononoke-hime" non parla in fondo del rispetto che l'essere umano deve sempre portare alla natura? Sì, ne parla, ma solo in modo distruttivo e non costruttivo. L'apice del film è costituito da una violenta battaglia; la stessa parola "mononoke" indica la vendetta degli yōkai contro gli esseri umani e tutto, alla fine, viene distrutto. Questo non è il messaggio che dovrebbe dare un film che viene spacciato come coinvolgente, avventuroso ma allo stesso tempo educativo. Il peggio comunque viene quando lo spirito del Re Cervo della foresta fa rinascere ciò che era stato distrutto: totalmente assurdo, dato che tutto ritorna come prima della costruzione della Città del Ferro. Se questo prodotto fosse stato veramente realizzato per trasmettere un messaggio, la foresta sarebbe dovuta rimanere senza vita così che i personaggi si rendessero conto delle conseguenze delle loro azioni. Invece no: viene data a tutti una seconda possibilità e, anche se questo nella nostra realtà e sul nostro pianeta non potrà mai accadere, sarebbe stato allora interessante vedere concretamente la ricostruzione della Città del Ferro, simbolo della società umana sfruttatrice della natura, coesistere con quest'ultima. Ma Miyazaki, invece di scegliere di narrare il difficile e certamente più impegnativo momento della costruzione, ha scelto quello della distruzione, che non ha certamente bisogno di molta invettiva, soprattutto se raccontato in modo così ordinario, e che fa sempre più spettacolo perché drammatico quando raggiunge il suo apice.
Infine l'unico punto di forza di "Mononke-hime" è a mio parere rappresentato dalle animazioni e dalle musiche, queste sì accurate e che immergono lo spettatore nell'ambientazione del lungometraggio, ma quando un dolce è per vari motivi, che vanno dalla miscelazione degli ingredienti ai tempi di cottura, venuto male, non basta certamente una spolverata di zucchero a velo per modificarne lo spiacevole sapore.
Ma andiamo più a fondo nel capire di cosa racconta "La Principessa Mononoke". Il lungometraggio di Miyazaki si apre introducendo allo spettatore uno dei protagonisti principali: il giovane Ashitaka. Principe Emishi di un piccolo villaggio, si vede costretto a uccidere uno sconosciuto demone che attacca la sua comunità per poi scoprire che si stratta in verità di Nago, un dio-cinghiale proveniente da terre lontane, contaminato e maledetto da quello che sembra un rudimentale proiettile che ha avvelenato la divinità. Colpito dalla stessa maledizione, Ashitaka dovrà abbandonare il suo villaggio e iniziare un viaggio per scoprire ciò che sta succedendo nelle terre natali di Nago e soprattutto per capire come guarire dall'anatema che dalla sua mano inizia a espandersi in tutto il corpo.
Dopo un lungo peregrinare il ragazzo giunge alla Città del Ferro sorta per mano dell'intraprendente Eboshi e capisce che la sorgente della maledizione di Nago non era nient'altro che l'odio provato dal cinghiale verso gli umani che, per procurarsi le materie prime per la creazione di metalli e armi, disboscano e distruggono la grande foresta limitrofa alla città. Qui Ashitaka incontra San, ragazza umana, allevata dalle divinità lupo della foresta che combatte per difendere gli abitanti di quest'ultima.
Ashitaka e San sono inoltre protagonisti di un'ovvia e inspiegabile, ma allo stesso tempo classica e inevitabile, storia d'amore della quale avrei fatto volentieri a meno, considerato che il personaggio di San non riesce a essere caratterizzato in modo decente da permettere l'aggiunta di un ulteriore elemento come una relazione sentimentale. Ma dato che ci troviamo di fronte a una versione alquanto sanguinosa giapponese di un film Disney, anche la canonica storia d'amore fra i protagonisti era da immaginarsi.
Nonostante il visibile peggioramento del film che avanza pari passo con lo scorrere dei minuti, la parte riguardante Eboshi e gli abitanti della città si rivela la migliore di tutto il lungometraggio. Eboshi è invero una donna dal carattere deciso e intransigente con chi ostacola il suo cammino, decisa nel fare qualsiasi cosa per raggiungere i suoi obiettivi e fermamente credente nella forza di ognuno dei suoi sottoposti. Peccato che anche questo personaggio subisca alla fine un cambiamento innaturale figlio dell'inevitabile battaglia finale tra gli uomini e gli spiriti della foresta.
Ora, un'ulteriore motivo per il quale non apprezzo questo lungometraggio di casa Ghibli è la totale assenza di un vero messaggio. Ma come? "Mononoke-hime" non parla in fondo del rispetto che l'essere umano deve sempre portare alla natura? Sì, ne parla, ma solo in modo distruttivo e non costruttivo. L'apice del film è costituito da una violenta battaglia; la stessa parola "mononoke" indica la vendetta degli yōkai contro gli esseri umani e tutto, alla fine, viene distrutto. Questo non è il messaggio che dovrebbe dare un film che viene spacciato come coinvolgente, avventuroso ma allo stesso tempo educativo. Il peggio comunque viene quando lo spirito del Re Cervo della foresta fa rinascere ciò che era stato distrutto: totalmente assurdo, dato che tutto ritorna come prima della costruzione della Città del Ferro. Se questo prodotto fosse stato veramente realizzato per trasmettere un messaggio, la foresta sarebbe dovuta rimanere senza vita così che i personaggi si rendessero conto delle conseguenze delle loro azioni. Invece no: viene data a tutti una seconda possibilità e, anche se questo nella nostra realtà e sul nostro pianeta non potrà mai accadere, sarebbe stato allora interessante vedere concretamente la ricostruzione della Città del Ferro, simbolo della società umana sfruttatrice della natura, coesistere con quest'ultima. Ma Miyazaki, invece di scegliere di narrare il difficile e certamente più impegnativo momento della costruzione, ha scelto quello della distruzione, che non ha certamente bisogno di molta invettiva, soprattutto se raccontato in modo così ordinario, e che fa sempre più spettacolo perché drammatico quando raggiunge il suo apice.
Infine l'unico punto di forza di "Mononke-hime" è a mio parere rappresentato dalle animazioni e dalle musiche, queste sì accurate e che immergono lo spettatore nell'ambientazione del lungometraggio, ma quando un dolce è per vari motivi, che vanno dalla miscelazione degli ingredienti ai tempi di cottura, venuto male, non basta certamente una spolverata di zucchero a velo per modificarne lo spiacevole sapore.
<i>La Principessa Mononoke</i> è un lungometraggio del 1997 firmato dal maestro Hayao Miyazaki e dallo studio Ghibli.
Poche parole descrivono quest'opera meglio di <i>capolavoro</i>, una parola tanto abusata ultimamente, ma che mai meglio che in questo caso calza a pennello.
La storia narrata è di quelle antiche e senza tempo, come antica è la battaglia tra l'uomo e la natura, una guerra intrapresa dall'uomo stesso per motivi di puro egoismo e menefreghismo contro una natura che molto gli ha dato, senza chiedere nulla in cambio.
L'uomo non nasce malvagio, ma durante la sua vita si perde e ha bisogno di qualcuno come il principe Ashitaka che gli faccia capire quanto sia bello convivere con la natura, piuttosto che cercare di distruggerla a tutti i costi.
Gli animali non sono però molto diversi dall'uomo: anche loro agiscono senza pensare, anche loro vogliono sterminare gli umani per difendere la loro foresta. I cinghiali sono il lato aggressivo della natura, che la difendono a spada tratta senza pensare alle conseguenze, le scimmie sono il lato viscido e opportunistico, stanno in disparte bacchettando e dando ordini salvo poi scappare quando serve aiuto e, per finire, i lupi sono il lato selvaggio della natura, quella parte di essa che l'uomo non può domare e che può solo lasciare vivere in pace e solitudine.
Sono passati 14 anni dalla sua realizzazione, ma sembra che nemmeno un giorno sia trascorso: la foresta e tutti i suoi abitanti sembrano quasi vivere, abbandonando lo status di disegni.
A tutto ciò si aggiunge una colonna sonora firmata Joe Hisaishi (già Nausicaa, Totoro, Porco Rosso e il futuro Castello errante di Howl), mai banale e sempre coinvolgente.
Oltre che per la trama questo film si fa apprezzare per il contesto storico in cui è ambientato, che permette di capire la situazione della donna, molto simile a quella occidentale, relegata a ruoli minori, a lavori faticosi al mantice. Emblematico è ciò che afferma un operaio su di loro: "Adesso credono pure di essere migliori degli uomini!". Una frase che parla da sé.
Alle donne si affiancano i lebbrosi, emarginati dalla società e che solo Eboshi sembra accogliere ma non come una buona Madre Teresa, bensì per puro opportunismo e per sfruttarli.
<i>La principessa Mononoke</i> è un magnifico inno alla bellezza e alla fragilità della natura, dargli 10 sarebbe come dire "La cappella sistina è un capolavoro", una cosa tanto ovvia che dirlo sembra quasi ne sminuisca il suo valore.
<i>La principessa Mononoke</i> non è né un anime né un film d'animazione, è arte.
Poche parole descrivono quest'opera meglio di <i>capolavoro</i>, una parola tanto abusata ultimamente, ma che mai meglio che in questo caso calza a pennello.
La storia narrata è di quelle antiche e senza tempo, come antica è la battaglia tra l'uomo e la natura, una guerra intrapresa dall'uomo stesso per motivi di puro egoismo e menefreghismo contro una natura che molto gli ha dato, senza chiedere nulla in cambio.
L'uomo non nasce malvagio, ma durante la sua vita si perde e ha bisogno di qualcuno come il principe Ashitaka che gli faccia capire quanto sia bello convivere con la natura, piuttosto che cercare di distruggerla a tutti i costi.
Gli animali non sono però molto diversi dall'uomo: anche loro agiscono senza pensare, anche loro vogliono sterminare gli umani per difendere la loro foresta. I cinghiali sono il lato aggressivo della natura, che la difendono a spada tratta senza pensare alle conseguenze, le scimmie sono il lato viscido e opportunistico, stanno in disparte bacchettando e dando ordini salvo poi scappare quando serve aiuto e, per finire, i lupi sono il lato selvaggio della natura, quella parte di essa che l'uomo non può domare e che può solo lasciare vivere in pace e solitudine.
Sono passati 14 anni dalla sua realizzazione, ma sembra che nemmeno un giorno sia trascorso: la foresta e tutti i suoi abitanti sembrano quasi vivere, abbandonando lo status di disegni.
A tutto ciò si aggiunge una colonna sonora firmata Joe Hisaishi (già Nausicaa, Totoro, Porco Rosso e il futuro Castello errante di Howl), mai banale e sempre coinvolgente.
Oltre che per la trama questo film si fa apprezzare per il contesto storico in cui è ambientato, che permette di capire la situazione della donna, molto simile a quella occidentale, relegata a ruoli minori, a lavori faticosi al mantice. Emblematico è ciò che afferma un operaio su di loro: "Adesso credono pure di essere migliori degli uomini!". Una frase che parla da sé.
Alle donne si affiancano i lebbrosi, emarginati dalla società e che solo Eboshi sembra accogliere ma non come una buona Madre Teresa, bensì per puro opportunismo e per sfruttarli.
<i>La principessa Mononoke</i> è un magnifico inno alla bellezza e alla fragilità della natura, dargli 10 sarebbe come dire "La cappella sistina è un capolavoro", una cosa tanto ovvia che dirlo sembra quasi ne sminuisca il suo valore.
<i>La principessa Mononoke</i> non è né un anime né un film d'animazione, è arte.
Ashitaka è un giovane principe Emishi che nel corso di una battaglia con un demone viene maledetto da esso e che, a causa di questa maledizione, è prossimo a morire. Per salvarsi deve mettersi in viaggio per trovare una cura. Questo è l'inizio di un lungo viaggio in una terra fantasy popolata da bestie e demoni.
"La Principessa Mononoke" è un film animato in maniera sublime, Miyazaki dà libero sfogo alla fantasia e alla bellezza delle scene e delle ambientazioni.
La trama in sé è interessante, anche se il tema del rapporto tra uomo e natura non è dei più originali. Mi affascina poi la figura della principessa Mononoke, mi sono sempre piaciute le storie di ragazzi allevati dagli animali; quest'ultimi poi sono presentati benissimo - anche meglio dei personaggi umani forse -, eppure al film manca quel qualcosa che serviva a farlo diventare un vero capolavoro.
Il film poteva durare anche solo 90 o 100 minuti anziché 128; alcuni momenti, ad esempio il viaggio di Ashitaka fino alla Città di Metallo, mi sono sembrati un po' lenti. Mononoke e Ashitaka potevano, a parer mio, essere approfonditi meglio, sopratutto Mononoke; il finale è veramente troppo sbrigativo.
Il vero problema è, dunque, proprio questo: tanta spettacolarità nelle animazioni, ma poca cura nella trama che è troppo lunga e, sopratutto, lenta; molti punti potevano essere accorciati o sostituiti con qualcosa di più utile, come ad esempio un finale migliore, per non parlare dei personaggi, che sono sì, affascinanti, ma poco approfonditi; la coppia Ashitaka-Mononoke sembra più messa lì giusto per mettercela, è tutto troppo sbrigativo e poco approfondito. Ecco da dove arriva la mia delusione.
Il mio 7 è più per le animazioni e per il fascino dei personaggi sia umani sia animali, ma ho come una strana sensazione che "La Principessa Mononke" sarebbe potuto benissimo essere un film da 10.
"La Principessa Mononoke" è un film animato in maniera sublime, Miyazaki dà libero sfogo alla fantasia e alla bellezza delle scene e delle ambientazioni.
La trama in sé è interessante, anche se il tema del rapporto tra uomo e natura non è dei più originali. Mi affascina poi la figura della principessa Mononoke, mi sono sempre piaciute le storie di ragazzi allevati dagli animali; quest'ultimi poi sono presentati benissimo - anche meglio dei personaggi umani forse -, eppure al film manca quel qualcosa che serviva a farlo diventare un vero capolavoro.
Il film poteva durare anche solo 90 o 100 minuti anziché 128; alcuni momenti, ad esempio il viaggio di Ashitaka fino alla Città di Metallo, mi sono sembrati un po' lenti. Mononoke e Ashitaka potevano, a parer mio, essere approfonditi meglio, sopratutto Mononoke; il finale è veramente troppo sbrigativo.
Il vero problema è, dunque, proprio questo: tanta spettacolarità nelle animazioni, ma poca cura nella trama che è troppo lunga e, sopratutto, lenta; molti punti potevano essere accorciati o sostituiti con qualcosa di più utile, come ad esempio un finale migliore, per non parlare dei personaggi, che sono sì, affascinanti, ma poco approfonditi; la coppia Ashitaka-Mononoke sembra più messa lì giusto per mettercela, è tutto troppo sbrigativo e poco approfondito. Ecco da dove arriva la mia delusione.
Il mio 7 è più per le animazioni e per il fascino dei personaggi sia umani sia animali, ma ho come una strana sensazione che "La Principessa Mononke" sarebbe potuto benissimo essere un film da 10.
Questo film è un altro mirabile capolavoro del maestro Miyazaki. Bando all'ipocrisia, non mi sono mai piaciute le opere dello studio Ghibli e se non posso negare che Miyazaki sia un magistrale narratore di fiabe i cui lavori sono più che eccellenti se rivolti a un pubblico infantile, nondimeno posso fingermi cieco dinnanzi all'assoluta e devastante banalità di questo lungometraggio.
Come già detto, non ho in simpatia le doti registiche del direttore del film, ma fra tutta la sua produzione "Mononoke-hime" rappresenta l'apice dello scontato ed è l'opera che maggiormente si salva presso il grande pubblico solo in virtù del buon nome del suo creatore.
Tanta è la sua ovvietà che, non fosse per lo sbigottimento che si prova nel seguire lo svolgersi di una trama così prevedibile, lo spettatore proverebbe un'ilarità sconfinata nel vedere realizzarsi gli eventi tanto linearmente e improbabilmente, come in ogni storia di bassa lena.
Scrivendo questo non posso fare a meno di ridere, tanto l'idea che qualcuno possa avere apprezzato quest'accozzaglia di idee mi diverte; ad ogni modo, andiamo a riassumere la trama.
Mi sono sbagliato, riassumere non è il vocabolo adatto, perché la trama è così misera che le poche righe che mi serviranno la descriveranno per filo e per segno: abbiamo il protagonista di turno, il nobile, fiero e idealista giovane con tutti i tipici tratti somatici che Miyazaki riserva sempre al personaggio principale maschile limitandosi a cambiargli acconciatura e colore dei capelli, il paladino dal buon cuore che combattendo contro un feroce demone-cinghiale scagliatosi contro il proprio villaggio rimane ferito.
Il suo male però è talmente pernicioso da poter condurre Ashitaka, questo il nome del nostro eroe, alla morte entro breve tempo. Egli decide dunque, su consiglio della vecchia saggia del villaggio, di seguire l'unico indizio a sua disposizione, un proiettile trovato conficcato nel corpo della bestia abbattuta, in quanto forse il fato vuole che lui vada a vedere cosa accade a occidente; cambiando il pronome personale alla seconda persona singolare si ottiene la citazione dall'anime, un espediente che oserei definire a dir poco brillante data la sua originalità.
Dopo un breve peregrinare, il giovane giunge alla Città del Metallo, all'interno della quale viene ammesso come merito per avere salvato un soldato proveniente dalla stessa e rimasto ferito in battaglia, altro artificio mirabile per pilotare la vicenda.
In questo luogo, simbolo della corruzione apportata dalla società e dalla tecnologia, nel più tipico stile "tecnofobo" e rousseauiano dello studio Ghibli, viene perfezionata l'arte della metallurgia e si sviluppano armi da fuoco, una delle quali ha ferito proprio il cinghiale che ha poi maledetto Ashitaka.
Qui il giovane conosce Eboshi, la signora della città, che lo porta a conoscenza della guerra in corso tra il suo insediamento e la foresta, i cui spiriti combattono per difenderla dall'esaurimento a cui viene sottoposta dalla Città del Ferro.
Viene così in scena San, la principessa titolare del lungometraggio, che avrà il ruolo di umana fra gli spiriti, essendo stata da questi ultimi allevata.
Non rivelerò il seguito perché violerebbe le regole di questa sede ed effettivamente non sarebbe giusto verso coloro che desiderano vedere per la prima volta l'opera, ma vi assicuro che con ben poca fantasia e, avendo visto un altro film del regista, giungerete rapidamente alla soluzione della vicenda.
E tirando le somme, cosa ci rimane? Il solito lieto fine, la comune fratellanza reciproca, la pace sempiterna e l'innalzamento delle lodi alla natura e alla benevolenza, che ancora una volta hanno salvato tutti, tanto che ognuno ha imparato la lezione ed è ora un candido spirito magnanimo.
E non dimentichiamo l'innamoramento, il magico sentimento che si instaura fra tutte le coppie protagoniste dei lavori di Miyazaki indipendentemente dall'intervallo di tempo intercorso fra il primo incontro dei due giovinetti e la fine del film. In "Mononoke-hime" ciò ha del paradossale, considerando che Ashitaka e San condivideranno poco più di una decina di minuti di tempo in privato, ma si sa che quando si è buoni nell'animo anche l'amore è rapido a cogliere i cuori dei virtuosi.
E ora l'analisi dei personaggi, considerandoli al di là del ridicolo aspetto artistico, chiaro sintomo di mancanza d'inventiva, una vera presa in giro se si nota che in ogni film di Miyazaki vengono riciclati il volto della giovane che viene affidato a ogni personaggio femminile in età inferiore ai vent'anni, il volto del giovane che segue regole simili, anche se la presenza maschile è considerevolmente meno preponderante, e poi i volti adulti di entrambi i sessi, che si basano anch'essi su standard precisi ai quali è possibili incollare comodamente da casa la pettinatura che più si preferisce.
Prima di canzonare stavo parlando dei personaggi. Questi possono essere considerati nel loro aspetto simbolico, per non dovere rigirare il coltello nella piaga e studiarne la deplorevole caratterizzazione.
Dunque, cominciamo con Ashitaka, il giovane ardimentoso che cerca di agire sempre per il meglio tentando di ridurre al minimo i danni, che tuttavia si trova a essere oggetto della maledizione d'odio che affliggeva lo spirito del cinghiale e quindi ora lui stesso si troverà mosso nell'intimo delle proprie pulsioni da un deciso impulso distruttivo, frutto del rancore che la natura serba per l'uomo.
Si potrebbe così avere una figura dilemmatica che si trova a condividere il rancore di due mondi nonostante il suo animo virtuoso e che rischia di essere travolto da tali terribili sentimenti, tanto da poter diventare uno strumento di morte, ma il buon Hayao non ha voluto turbare il pubblico con questioni morali e quindi la storia è filata liscia tralasciando interessanti spunti tragici.
Abbiamo poi Eboshi, personaggio che a tutta prima poteva apparire carismatico e fascinoso, che, dopo un'iniziale diffidenza da parte dello spettatore, si rivela non essere spietata ma anzi una salvatrice per molte persone, costretta in una guerra di sopravvivenza. Devo ammettere che mi è piaciuta di prima battuta, mi faceva sperare nell'introduzione del relativismo morale, nella possibilità che si rendesse evidente che nessuno era nel bene ma che ognuno aveva dei validi motivi, seppur possibilmente fondati su presupposti falsi, per continuare nell'estenuante guerra. Ma, come già detto, non vogliamo mica che si creda che il mondo si muova fra scale di grigi, non sia mai, e al contempo è blasfemo per il panismo miyazakiano affermare che la natura sia mossa da intenti vili e meschini, oserei dire umani, e quindi anche qua la storia viene mandata avanti senza troppe preoccupazioni.
Passiamo a San, figura di certo non benedetta da una particolare originalità, la quale però poteva essere il cardine della vicenda. Lei è un'umana che vive fra gli spiriti, non è accettata dal suo mondo adottivo ma non può nemmeno tornare sui propri passi, verso il mondo umano che tanto odia. Potrebbe così essere il fulcro emotivo ed etico della vicenda, essendo colei che partecipa di entrambi i mondi, colei che ne può intuire le motivazioni, una ragazza che avrebbe occasione di lacerarsi a risolvere importanti dilemmi morali sul senso del combattere e sulla natura di questi sentimenti di ostilità e repulsione reciproche.
Ed è così che San passò alla storia come una delle figure più mentecatte mai ideate.
La fanciulla non si pone una singola domanda nel corso del lungometraggio, anzi, spesso non parla proprio, rivelandosi il più patetico dei personaggi. In realtà è erroneo chiamarla personaggio, men che meno protagonista, in quanto lei non decide mai le proprie azioni, ma si muove seguendo il proprio istinto, come un preciso e forzato copione, esattamente lo stile affidato a una comparsa o a un carattere secondario e minore; forse è una scelta voluta per rappresentare la sua appartenenza ormai sancita con il mondo animale, tuttavia così viene abbandonata una figura dal potenziale eccellente.
Gli altri personaggi non sono fondamentali per l'analisi dell'opera, studio che si ferma comunque al livello narrativo, avendo dimostrato che il simbolismo è tralasciato e probabilmente di natura accidentale.
Adesso, perché questo lungometraggio è probabilmente il peggiore di tutta la florida e ripetitiva produzione dello studio Ghibli? La risposta è semplice: perché non è adatto a nessun pubblico.
Non si presta alla visione da parte di ragazzi perché è troppo banale e mosso dalle solite morali fiabesche, buoniste e semplicistiche; non è adatto ai bambini perché non appare essere una favola com'è solito fare Miyazaki, trattando, seppure con tutta la leggerezza di questo mondo, temi quali la guerra e la sua intrinseca origine nell'animo umano e nemmeno c'è la spensieratezza che in genere si riserva a titoli destinati ai più giovani. Per estensione di quanto detto per i ragazzi, a nessuna persona matura è rivolta quest'opera che, per quanto possa piacere agli amanti delle storie classiche e scontate, appare chiaramente non scritta per un pubblico adulto.
Come uscire da questo inghippo? Forse si tratta di un film destinato ai bambini con esattamente sette anni e solo a loro? Improbabile, direi piuttosto che "Mononoke-hime" è un completo fallimento carico di gravosi errori concettuali già nella sua genesi progettuale, basti pensare che altro non è se non un rifacimento del più meritevole "Nausicaä della Valle del Vento", facendo così scadere lo studio Ghibli in un deplorevole e pesante autocitazionismo.
Per il resto non rimane molto altro da aggiungere: pregi di questo lavoro sono sicuramente gli scenari estremamente evocativi e tipicamente orientali mentre la regia è un po' sgraziata, non sapendo ben destreggiarsi con i tempi, ma il tema leggero del film ne rende la visione rapida e scorrevole. La sceneggiatura è come al solito sconclusionata, ma con un soggetto simile era arduo trarne granché.
L'aspetto tecnico è come sempre eccellente, sebbene dal punto di vista artistico sia la solita ripetizione di volti e forme già viste.
Emotivamente parlando l'opera è povera, priva di personaggi ben caratterizzati, dalla scarsa presenza scenica e impossibilitati a coinvolgere lo spettatore dato l'eccessivo carattere folkloristico e astratto del contesto, che si sarebbe ben prestato a veicolare differenti emozioni stanti le sue caratteristiche, e il primo esempio che mi sovviene è un anime come "Mushishi", che come ambienti fortemente ricorda il lavoro in esame e che a mio avviso rappresenta ciò che "Mononoke-hime" ha presunto di inscenare, dove però il primo, facendo leva sul forte sentimento di malinconia e sulla grande umanità dei personaggi, ha saputo essere emozionalmente superbo.
Per concludere, l'aspetto morale, quello che rappresenta sempre il più grande di tutti i limiti di Miyazaki, immancabilmente ricade nei soliti cliché, con l'imperante buonismo a guidare le sue schiere di sentimenti di bontà e fratellanza alle quali questa volta si aggiunge la sorella in genere tralasciata di questi, ossia la redenzione.
Come se non bastasse, andando per altro in aperto contrasto con ciò che sembrava essere stato caldeggiato durante il film, ossia che l'odio fosse connaturato all'animo umano e inestirpabile, abbiamo il classico miglior finale possibile, dove persino coloro che per la morale del bene universale e sempiterno predicata da Miyazaki sembravano ormai essere anime perdute, trovano l'assoluzione dai propri peccati comprendendo le proprie colpe contro la santissima natura.
E questo è ciò che corona il tutto, la natura, altro tema carissimo all' "ecofilo" - perdonate il neologismo ma è quanto mai appropriato - studio Ghibli, che non solo dimostra la sua immancabile superiorità innanzi alla tecnologia, esecrabile strumento di perdizione, ma giunge a redimere e convertire anche coloro che l'osteggiavano maggiormente ed erano impossibilitati a comprenderla, che apre un chiaro controsenso con quanto è avvenuto durante lo svolgimento della trama e posso giustificarlo solo in virtù di qualche dannunziana metamorfosi panica.
Si chiude così la mia invettiva. Di sicuro sono stato in buona parte guidato dal mio astio per le opere di Miyazaki, sentimento che ha pregiudicato la visione di questa e di tante altre opere, nel guardare le quali ho assunto indubbiamente un atteggiamento molto severo e non risulterò esente da accuse d'eccesso di puntiglio, stanti i piccoli dettagli imperfetti che ho portato all'attenzione. Devo necessariamente convenire sulla fondatezza di tale colpa, tuttavia ritengo che la somma di tutti questi contributi infinitesimi vada a inficiare grandemente la qualità dell'opera.
Infine ritengo di possedere comunque una pur minima capacità di giudizio, e posso affermare a cuor leggero come quest'opera non abbia nessun particolare pregio che la esalti fra le file dei lungometraggi meritevoli d'essere ricordati.
Devo porgere però delle scuse, perché ho offeso una persona nella mia analisi dell'opera e si tratta del filosofo francese Rousseau, le cui idee, per quanto non condivise da me, sono state pur sempre brillanti e degne di essere ricordate dalla storia e nulla hanno a che spartire con il gretto moralismo conservatore e con l'ostentato buonismo dello studio Ghibli al quale ho osato paragonarle.
Come già detto, non ho in simpatia le doti registiche del direttore del film, ma fra tutta la sua produzione "Mononoke-hime" rappresenta l'apice dello scontato ed è l'opera che maggiormente si salva presso il grande pubblico solo in virtù del buon nome del suo creatore.
Tanta è la sua ovvietà che, non fosse per lo sbigottimento che si prova nel seguire lo svolgersi di una trama così prevedibile, lo spettatore proverebbe un'ilarità sconfinata nel vedere realizzarsi gli eventi tanto linearmente e improbabilmente, come in ogni storia di bassa lena.
Scrivendo questo non posso fare a meno di ridere, tanto l'idea che qualcuno possa avere apprezzato quest'accozzaglia di idee mi diverte; ad ogni modo, andiamo a riassumere la trama.
Mi sono sbagliato, riassumere non è il vocabolo adatto, perché la trama è così misera che le poche righe che mi serviranno la descriveranno per filo e per segno: abbiamo il protagonista di turno, il nobile, fiero e idealista giovane con tutti i tipici tratti somatici che Miyazaki riserva sempre al personaggio principale maschile limitandosi a cambiargli acconciatura e colore dei capelli, il paladino dal buon cuore che combattendo contro un feroce demone-cinghiale scagliatosi contro il proprio villaggio rimane ferito.
Il suo male però è talmente pernicioso da poter condurre Ashitaka, questo il nome del nostro eroe, alla morte entro breve tempo. Egli decide dunque, su consiglio della vecchia saggia del villaggio, di seguire l'unico indizio a sua disposizione, un proiettile trovato conficcato nel corpo della bestia abbattuta, in quanto forse il fato vuole che lui vada a vedere cosa accade a occidente; cambiando il pronome personale alla seconda persona singolare si ottiene la citazione dall'anime, un espediente che oserei definire a dir poco brillante data la sua originalità.
Dopo un breve peregrinare, il giovane giunge alla Città del Metallo, all'interno della quale viene ammesso come merito per avere salvato un soldato proveniente dalla stessa e rimasto ferito in battaglia, altro artificio mirabile per pilotare la vicenda.
In questo luogo, simbolo della corruzione apportata dalla società e dalla tecnologia, nel più tipico stile "tecnofobo" e rousseauiano dello studio Ghibli, viene perfezionata l'arte della metallurgia e si sviluppano armi da fuoco, una delle quali ha ferito proprio il cinghiale che ha poi maledetto Ashitaka.
Qui il giovane conosce Eboshi, la signora della città, che lo porta a conoscenza della guerra in corso tra il suo insediamento e la foresta, i cui spiriti combattono per difenderla dall'esaurimento a cui viene sottoposta dalla Città del Ferro.
Viene così in scena San, la principessa titolare del lungometraggio, che avrà il ruolo di umana fra gli spiriti, essendo stata da questi ultimi allevata.
Non rivelerò il seguito perché violerebbe le regole di questa sede ed effettivamente non sarebbe giusto verso coloro che desiderano vedere per la prima volta l'opera, ma vi assicuro che con ben poca fantasia e, avendo visto un altro film del regista, giungerete rapidamente alla soluzione della vicenda.
E tirando le somme, cosa ci rimane? Il solito lieto fine, la comune fratellanza reciproca, la pace sempiterna e l'innalzamento delle lodi alla natura e alla benevolenza, che ancora una volta hanno salvato tutti, tanto che ognuno ha imparato la lezione ed è ora un candido spirito magnanimo.
E non dimentichiamo l'innamoramento, il magico sentimento che si instaura fra tutte le coppie protagoniste dei lavori di Miyazaki indipendentemente dall'intervallo di tempo intercorso fra il primo incontro dei due giovinetti e la fine del film. In "Mononoke-hime" ciò ha del paradossale, considerando che Ashitaka e San condivideranno poco più di una decina di minuti di tempo in privato, ma si sa che quando si è buoni nell'animo anche l'amore è rapido a cogliere i cuori dei virtuosi.
E ora l'analisi dei personaggi, considerandoli al di là del ridicolo aspetto artistico, chiaro sintomo di mancanza d'inventiva, una vera presa in giro se si nota che in ogni film di Miyazaki vengono riciclati il volto della giovane che viene affidato a ogni personaggio femminile in età inferiore ai vent'anni, il volto del giovane che segue regole simili, anche se la presenza maschile è considerevolmente meno preponderante, e poi i volti adulti di entrambi i sessi, che si basano anch'essi su standard precisi ai quali è possibili incollare comodamente da casa la pettinatura che più si preferisce.
Prima di canzonare stavo parlando dei personaggi. Questi possono essere considerati nel loro aspetto simbolico, per non dovere rigirare il coltello nella piaga e studiarne la deplorevole caratterizzazione.
Dunque, cominciamo con Ashitaka, il giovane ardimentoso che cerca di agire sempre per il meglio tentando di ridurre al minimo i danni, che tuttavia si trova a essere oggetto della maledizione d'odio che affliggeva lo spirito del cinghiale e quindi ora lui stesso si troverà mosso nell'intimo delle proprie pulsioni da un deciso impulso distruttivo, frutto del rancore che la natura serba per l'uomo.
Si potrebbe così avere una figura dilemmatica che si trova a condividere il rancore di due mondi nonostante il suo animo virtuoso e che rischia di essere travolto da tali terribili sentimenti, tanto da poter diventare uno strumento di morte, ma il buon Hayao non ha voluto turbare il pubblico con questioni morali e quindi la storia è filata liscia tralasciando interessanti spunti tragici.
Abbiamo poi Eboshi, personaggio che a tutta prima poteva apparire carismatico e fascinoso, che, dopo un'iniziale diffidenza da parte dello spettatore, si rivela non essere spietata ma anzi una salvatrice per molte persone, costretta in una guerra di sopravvivenza. Devo ammettere che mi è piaciuta di prima battuta, mi faceva sperare nell'introduzione del relativismo morale, nella possibilità che si rendesse evidente che nessuno era nel bene ma che ognuno aveva dei validi motivi, seppur possibilmente fondati su presupposti falsi, per continuare nell'estenuante guerra. Ma, come già detto, non vogliamo mica che si creda che il mondo si muova fra scale di grigi, non sia mai, e al contempo è blasfemo per il panismo miyazakiano affermare che la natura sia mossa da intenti vili e meschini, oserei dire umani, e quindi anche qua la storia viene mandata avanti senza troppe preoccupazioni.
Passiamo a San, figura di certo non benedetta da una particolare originalità, la quale però poteva essere il cardine della vicenda. Lei è un'umana che vive fra gli spiriti, non è accettata dal suo mondo adottivo ma non può nemmeno tornare sui propri passi, verso il mondo umano che tanto odia. Potrebbe così essere il fulcro emotivo ed etico della vicenda, essendo colei che partecipa di entrambi i mondi, colei che ne può intuire le motivazioni, una ragazza che avrebbe occasione di lacerarsi a risolvere importanti dilemmi morali sul senso del combattere e sulla natura di questi sentimenti di ostilità e repulsione reciproche.
Ed è così che San passò alla storia come una delle figure più mentecatte mai ideate.
La fanciulla non si pone una singola domanda nel corso del lungometraggio, anzi, spesso non parla proprio, rivelandosi il più patetico dei personaggi. In realtà è erroneo chiamarla personaggio, men che meno protagonista, in quanto lei non decide mai le proprie azioni, ma si muove seguendo il proprio istinto, come un preciso e forzato copione, esattamente lo stile affidato a una comparsa o a un carattere secondario e minore; forse è una scelta voluta per rappresentare la sua appartenenza ormai sancita con il mondo animale, tuttavia così viene abbandonata una figura dal potenziale eccellente.
Gli altri personaggi non sono fondamentali per l'analisi dell'opera, studio che si ferma comunque al livello narrativo, avendo dimostrato che il simbolismo è tralasciato e probabilmente di natura accidentale.
Adesso, perché questo lungometraggio è probabilmente il peggiore di tutta la florida e ripetitiva produzione dello studio Ghibli? La risposta è semplice: perché non è adatto a nessun pubblico.
Non si presta alla visione da parte di ragazzi perché è troppo banale e mosso dalle solite morali fiabesche, buoniste e semplicistiche; non è adatto ai bambini perché non appare essere una favola com'è solito fare Miyazaki, trattando, seppure con tutta la leggerezza di questo mondo, temi quali la guerra e la sua intrinseca origine nell'animo umano e nemmeno c'è la spensieratezza che in genere si riserva a titoli destinati ai più giovani. Per estensione di quanto detto per i ragazzi, a nessuna persona matura è rivolta quest'opera che, per quanto possa piacere agli amanti delle storie classiche e scontate, appare chiaramente non scritta per un pubblico adulto.
Come uscire da questo inghippo? Forse si tratta di un film destinato ai bambini con esattamente sette anni e solo a loro? Improbabile, direi piuttosto che "Mononoke-hime" è un completo fallimento carico di gravosi errori concettuali già nella sua genesi progettuale, basti pensare che altro non è se non un rifacimento del più meritevole "Nausicaä della Valle del Vento", facendo così scadere lo studio Ghibli in un deplorevole e pesante autocitazionismo.
Per il resto non rimane molto altro da aggiungere: pregi di questo lavoro sono sicuramente gli scenari estremamente evocativi e tipicamente orientali mentre la regia è un po' sgraziata, non sapendo ben destreggiarsi con i tempi, ma il tema leggero del film ne rende la visione rapida e scorrevole. La sceneggiatura è come al solito sconclusionata, ma con un soggetto simile era arduo trarne granché.
L'aspetto tecnico è come sempre eccellente, sebbene dal punto di vista artistico sia la solita ripetizione di volti e forme già viste.
Emotivamente parlando l'opera è povera, priva di personaggi ben caratterizzati, dalla scarsa presenza scenica e impossibilitati a coinvolgere lo spettatore dato l'eccessivo carattere folkloristico e astratto del contesto, che si sarebbe ben prestato a veicolare differenti emozioni stanti le sue caratteristiche, e il primo esempio che mi sovviene è un anime come "Mushishi", che come ambienti fortemente ricorda il lavoro in esame e che a mio avviso rappresenta ciò che "Mononoke-hime" ha presunto di inscenare, dove però il primo, facendo leva sul forte sentimento di malinconia e sulla grande umanità dei personaggi, ha saputo essere emozionalmente superbo.
Per concludere, l'aspetto morale, quello che rappresenta sempre il più grande di tutti i limiti di Miyazaki, immancabilmente ricade nei soliti cliché, con l'imperante buonismo a guidare le sue schiere di sentimenti di bontà e fratellanza alle quali questa volta si aggiunge la sorella in genere tralasciata di questi, ossia la redenzione.
Come se non bastasse, andando per altro in aperto contrasto con ciò che sembrava essere stato caldeggiato durante il film, ossia che l'odio fosse connaturato all'animo umano e inestirpabile, abbiamo il classico miglior finale possibile, dove persino coloro che per la morale del bene universale e sempiterno predicata da Miyazaki sembravano ormai essere anime perdute, trovano l'assoluzione dai propri peccati comprendendo le proprie colpe contro la santissima natura.
E questo è ciò che corona il tutto, la natura, altro tema carissimo all' "ecofilo" - perdonate il neologismo ma è quanto mai appropriato - studio Ghibli, che non solo dimostra la sua immancabile superiorità innanzi alla tecnologia, esecrabile strumento di perdizione, ma giunge a redimere e convertire anche coloro che l'osteggiavano maggiormente ed erano impossibilitati a comprenderla, che apre un chiaro controsenso con quanto è avvenuto durante lo svolgimento della trama e posso giustificarlo solo in virtù di qualche dannunziana metamorfosi panica.
Si chiude così la mia invettiva. Di sicuro sono stato in buona parte guidato dal mio astio per le opere di Miyazaki, sentimento che ha pregiudicato la visione di questa e di tante altre opere, nel guardare le quali ho assunto indubbiamente un atteggiamento molto severo e non risulterò esente da accuse d'eccesso di puntiglio, stanti i piccoli dettagli imperfetti che ho portato all'attenzione. Devo necessariamente convenire sulla fondatezza di tale colpa, tuttavia ritengo che la somma di tutti questi contributi infinitesimi vada a inficiare grandemente la qualità dell'opera.
Infine ritengo di possedere comunque una pur minima capacità di giudizio, e posso affermare a cuor leggero come quest'opera non abbia nessun particolare pregio che la esalti fra le file dei lungometraggi meritevoli d'essere ricordati.
Devo porgere però delle scuse, perché ho offeso una persona nella mia analisi dell'opera e si tratta del filosofo francese Rousseau, le cui idee, per quanto non condivise da me, sono state pur sempre brillanti e degne di essere ricordate dalla storia e nulla hanno a che spartire con il gretto moralismo conservatore e con l'ostentato buonismo dello studio Ghibli al quale ho osato paragonarle.
Visto e rivisto decine di volte, ho consigliato "La Principessa Mononoke" a molti amici e non mi stancherò mai di vederlo. Non sono amante del genere, ma Princess Mononoke è degno della mia stima.
Per il finale mi aspettavo qualcosa di più, ma in fin dei conti la storia è bella così com'è. Inoltre Ashitaka è stata una delle mie cotte tra i personaggi anime/manga.
Il messaggio credo sia questo: la natura non è nostra nemica, ci ha sempre sostenuto ed è il meccanismo perfetto della vita; il progresso tecnologico spasmodico e senza pietà, invece, ci porterà alla distruzione. Dopo Nausicaa della Valle del Vento, Miyazaki ha creato l'ennesimo capolavoro che insegna i veri valori e fa riflettere su dove stiamo veramente andando.
Per il finale mi aspettavo qualcosa di più, ma in fin dei conti la storia è bella così com'è. Inoltre Ashitaka è stata una delle mie cotte tra i personaggi anime/manga.
Il messaggio credo sia questo: la natura non è nostra nemica, ci ha sempre sostenuto ed è il meccanismo perfetto della vita; il progresso tecnologico spasmodico e senza pietà, invece, ci porterà alla distruzione. Dopo Nausicaa della Valle del Vento, Miyazaki ha creato l'ennesimo capolavoro che insegna i veri valori e fa riflettere su dove stiamo veramente andando.
Amo La Principessa Mononoke più di tutti quanti gli altri film della Ghibli - e li ho visti quasi tutti.
Allora, ci troviamo dinanzi al solito andamento lento e suggestivo che caratterizza le opere di questo famoso studio d'animazione giapponese. Ma La Principessa Mononoke si distingue da tutti gli altri in quanto la sua trama è ben decisa, forte e sentita. Non si perde nella narrazione di null'altro che non sia ai fini della narrazione.
Spesso con i film di Miyazaki mi sono ritrovata dinanzi ad alcuni "buonismi" o semplicemente a trame di cui non sapevo quale fosse lo scopo finale, come fossero delle esperienze passeggere, pur essendo tutte affascinanti. Adesso invece vedo una testa e una coda.
Una maledizione da spezzare: così inizia il viaggio di Ashitaka, dove arriverà alla fonte di questa maledizione che potrebbe ucciderlo. In seguito si intersecano vicende di guerra tra i popoli confinanti, di personaggi avari che vogliono predominare sulla natura, e di altri che pregiudicano dall'aspetto. Ma non è su questi importanti temi morali che mi voglio soffermare, perché Princess Mononoke vi rapirà con il suo essere "quasi un'anti-eroina" e soprattutto dal suo essere sopra le righe. E' selvaggia e quindi stupenda, e attraverso gli occhi del giovane che tenta di dissipare l'astio tra i due mondi, anche noi ci innamoreremo di lei.
Il film non si risparmia di colpi di scena e di situazioni coinvolgenti.
Concludo il mio sproloquio con una citazione dal film: "A quanto pare, la natura stavolta ha avuto la meglio".
Allora, ci troviamo dinanzi al solito andamento lento e suggestivo che caratterizza le opere di questo famoso studio d'animazione giapponese. Ma La Principessa Mononoke si distingue da tutti gli altri in quanto la sua trama è ben decisa, forte e sentita. Non si perde nella narrazione di null'altro che non sia ai fini della narrazione.
Spesso con i film di Miyazaki mi sono ritrovata dinanzi ad alcuni "buonismi" o semplicemente a trame di cui non sapevo quale fosse lo scopo finale, come fossero delle esperienze passeggere, pur essendo tutte affascinanti. Adesso invece vedo una testa e una coda.
Una maledizione da spezzare: così inizia il viaggio di Ashitaka, dove arriverà alla fonte di questa maledizione che potrebbe ucciderlo. In seguito si intersecano vicende di guerra tra i popoli confinanti, di personaggi avari che vogliono predominare sulla natura, e di altri che pregiudicano dall'aspetto. Ma non è su questi importanti temi morali che mi voglio soffermare, perché Princess Mononoke vi rapirà con il suo essere "quasi un'anti-eroina" e soprattutto dal suo essere sopra le righe. E' selvaggia e quindi stupenda, e attraverso gli occhi del giovane che tenta di dissipare l'astio tra i due mondi, anche noi ci innamoreremo di lei.
Il film non si risparmia di colpi di scena e di situazioni coinvolgenti.
Concludo il mio sproloquio con una citazione dal film: "A quanto pare, la natura stavolta ha avuto la meglio".
Il tema ambientalista è sempre stato bene o male al centro dei film di Miyazaki, ma qui forse è dove riveste il ruolo più grande, più importante.
Questo film datato 1997 racconta del continuo conflitto tra Natura ed Essere Umano, qui rappresentati dalla Città del Ferro e dagli spiriti che abitano la Foresta circostante, e di come il principe Ashitaka sia finito in mezzo a questa battaglia. Difatti, quando un “Dio-Cinghiale”, impazzito e divenuto demone, attacca il suo villaggio, lui è costretto a ucciderlo, finendo però per essere maledetto dalla creatura, che si scopre essere stata corrotta da un proiettile che lo stava uccidendo. Così il giovane decide di lasciare il suo villaggio per recarsi al luogo di provenienza del Cinghiale, in cerca di una cura al male che lentamente lo logora. Arriverà così nella Città del Ferro, che da tempo cerca di distruggere la foresta che la circonda per estrarre del ferro dalle miniere sottostanti, allo scopo di costruire armi da fuoco.
La Città è “gestita” da Eboshi, figura che nonostante sia introdotta come antagonista principale ci mostra come spesso il male sia solo un punto di vista, comportandosi spesso in modo onorevole e, sopratutto, facendo spesso atti di “carità” nei confronti degli abitanti della città e non cercando vane giustificazioni per ciò che fa. Eboshi invece agisce semplicemente per il bene di chi gli sta attorno.
Dall'altra parte dello schieramento riveste il ruolo principale San, colei che dà il titolo al film, e che come unico “essere umano” nello schieramento degli spiriti è anche la prima a cui si rivolge Ashikata quando comincia il suo difficile ruolo di mediazione tra i due schieramenti. San è vendicativa, selvaggia, imprevedibile e schiva, ma Ashikata continua lentamente ad avvicinarsi alla ragazza fino a innamorarsene.
Anni e anni prima di Avatar, la Principessa Mononoke presenta il tema della natura contro l'essere umano, riuscendo però a creare personaggi carismatici in tutti e due gli schieramenti e regalandoci una storia che contiene tutti gli ingredienti che fanno di un film un capolavoro.
Purtroppo ho visto la versione italiana che, ho scoperto poi, non ha i dialoghi fedeli all'originale, ma se mi è piaciuto così tanto con dei dialoghi sfalsati, non oso immaginare quanto lo apprezzerò quando riuscirò a recuperarlo in originale.
In conclusione questo film è consigliatissimo ad adulti e a bambini e ad anziani, e a chiunque conosca almeno un lavoro di Miyazaki e voglia bissare con questo fantastico lungometraggio.
Questo film datato 1997 racconta del continuo conflitto tra Natura ed Essere Umano, qui rappresentati dalla Città del Ferro e dagli spiriti che abitano la Foresta circostante, e di come il principe Ashitaka sia finito in mezzo a questa battaglia. Difatti, quando un “Dio-Cinghiale”, impazzito e divenuto demone, attacca il suo villaggio, lui è costretto a ucciderlo, finendo però per essere maledetto dalla creatura, che si scopre essere stata corrotta da un proiettile che lo stava uccidendo. Così il giovane decide di lasciare il suo villaggio per recarsi al luogo di provenienza del Cinghiale, in cerca di una cura al male che lentamente lo logora. Arriverà così nella Città del Ferro, che da tempo cerca di distruggere la foresta che la circonda per estrarre del ferro dalle miniere sottostanti, allo scopo di costruire armi da fuoco.
La Città è “gestita” da Eboshi, figura che nonostante sia introdotta come antagonista principale ci mostra come spesso il male sia solo un punto di vista, comportandosi spesso in modo onorevole e, sopratutto, facendo spesso atti di “carità” nei confronti degli abitanti della città e non cercando vane giustificazioni per ciò che fa. Eboshi invece agisce semplicemente per il bene di chi gli sta attorno.
Dall'altra parte dello schieramento riveste il ruolo principale San, colei che dà il titolo al film, e che come unico “essere umano” nello schieramento degli spiriti è anche la prima a cui si rivolge Ashikata quando comincia il suo difficile ruolo di mediazione tra i due schieramenti. San è vendicativa, selvaggia, imprevedibile e schiva, ma Ashikata continua lentamente ad avvicinarsi alla ragazza fino a innamorarsene.
Anni e anni prima di Avatar, la Principessa Mononoke presenta il tema della natura contro l'essere umano, riuscendo però a creare personaggi carismatici in tutti e due gli schieramenti e regalandoci una storia che contiene tutti gli ingredienti che fanno di un film un capolavoro.
Purtroppo ho visto la versione italiana che, ho scoperto poi, non ha i dialoghi fedeli all'originale, ma se mi è piaciuto così tanto con dei dialoghi sfalsati, non oso immaginare quanto lo apprezzerò quando riuscirò a recuperarlo in originale.
In conclusione questo film è consigliatissimo ad adulti e a bambini e ad anziani, e a chiunque conosca almeno un lavoro di Miyazaki e voglia bissare con questo fantastico lungometraggio.
Il mio voto è più un 7 e mezzo. Che dire, la storia ruota intorno al rapporto uomo-natura, cercando quindi di fare capire quanto la natura sia importante e potente, e quanto l'uomo, guidato dalla sete di potere, voglia continuamente sovrastarla. I disegni, a parte alcune cose che non mi piacciono mai nelle opere di Miyazaki, sono bellissimi. Soprattutto la natura e la trasformazione del dio della foresta lasciano di stucco. Le musiche sono belle. Insomma la realizzazione tecnica è degna di nota.
I personaggi, beh, sono tutti abbastanza ben caratterizzati tranne secondo me colei che dà il nome al titolo: la principessa Mononoke. E' caratterizzata ma in maniera superficiale per me, come personaggio dava spunti molto interessanti per un possibile sviluppo più approfondito. Anche il finale mi ha lasciato un po' con la bocca storta, perché mi sarebbe piaciuto vedere un po' di più. Però vabbé, è un film gradevolissimo e piacevole, bello per i disegni e interessante per la trama. Lo consiglio.
P.S.: ma possibile che nei film di Miyazaki i protagonisti s'innamorano subito, con un solo sguardo? Quest'aspetto non mi fa impazzire, lo trovo un po' infantile.
I personaggi, beh, sono tutti abbastanza ben caratterizzati tranne secondo me colei che dà il nome al titolo: la principessa Mononoke. E' caratterizzata ma in maniera superficiale per me, come personaggio dava spunti molto interessanti per un possibile sviluppo più approfondito. Anche il finale mi ha lasciato un po' con la bocca storta, perché mi sarebbe piaciuto vedere un po' di più. Però vabbé, è un film gradevolissimo e piacevole, bello per i disegni e interessante per la trama. Lo consiglio.
P.S.: ma possibile che nei film di Miyazaki i protagonisti s'innamorano subito, con un solo sguardo? Quest'aspetto non mi fa impazzire, lo trovo un po' infantile.
Ho intrapreso la visione di questo film subito dopo avere visto "Il castello errante di Howl" e "La città incantata" e ciò forse me lo ha fatto apprezzare molto meno.
Secondo lo stile Miyazaki i personaggi sono definibili solo attraverso un lungo processo introspettivo che lo spettatore scopre insieme al personaggio stesso con il susseguirsi delle scene e dunque del film.
Il film si basa sempre su un fondamento di guerra che è proprio quello che dà quel tocco in più al film e ci coinvolge in modo anche da sensibilizzare la nostra morale.
E' proprio questo infatti che il regista cerca di esprimere in questo film, che a mio parere è quello più adatto e che si avvicina maggiormente ai problemi ambientali e non che viviamo in questo periodo.
Il protagonista comunque è colui in cui tutti gli spettatori, o quasi, si immedesimano, poiché è lui il mediatore fra una protezione e un'integrazione con la natura in maniera totale (la principessa Monoke, appunto) e un abuso e un'indifferenza assoluti nei confronti della natura dettati dall'avidità e probabilmente dall'ignoranza, poiché alla fine del film <b>
Dunque sono convinta che, seppur per me venga dopo i suddetti film dello stesso regista, questo resta uno dei suoi lavori che preferisco.
Secondo lo stile Miyazaki i personaggi sono definibili solo attraverso un lungo processo introspettivo che lo spettatore scopre insieme al personaggio stesso con il susseguirsi delle scene e dunque del film.
Il film si basa sempre su un fondamento di guerra che è proprio quello che dà quel tocco in più al film e ci coinvolge in modo anche da sensibilizzare la nostra morale.
E' proprio questo infatti che il regista cerca di esprimere in questo film, che a mio parere è quello più adatto e che si avvicina maggiormente ai problemi ambientali e non che viviamo in questo periodo.
Il protagonista comunque è colui in cui tutti gli spettatori, o quasi, si immedesimano, poiché è lui il mediatore fra una protezione e un'integrazione con la natura in maniera totale (la principessa Monoke, appunto) e un abuso e un'indifferenza assoluti nei confronti della natura dettati dall'avidità e probabilmente dall'ignoranza, poiché alla fine del film <b>
Attenzione :: Spoiler! (clicca per visualizzarlo)
</b> la cattiva Eboshi infatti, dopo avere scoperto i sentimenti, le azioni e tutto ciò che si celava dentro la foresta che lei tanto voleva distruggere, si ravvede. <b>[FINE SPOILER]</b>Dunque sono convinta che, seppur per me venga dopo i suddetti film dello stesso regista, questo resta uno dei suoi lavori che preferisco.
Che dire, secondo me basterebbero due piccole parole per spiegare il valore incommensurabile di questo anime, "Hayao Miyazaki", un nome una leggenda. La Principessa Mononoke è un'altra perla del famigerato autore di fumetti, animatore, sceneggiatore, regista e produttore giapponese di anime. Il film ha una tematica molto importante, il rapporto tra uomo e natura. In una scenografia situata nel mezzo tra realtà e immaginazione, è ambientata la storia del giovane principe Ashitaka, colpito da una grave malattia, trasmessagli da un cinghiale furibondo che stava cercando di attaccare il suo villaggio.
Ashitaka, su consiglio della saggia madre, si mette in viaggio per trovare una soluzione alla malattia mortale infertogli durante lo scontro. Durante il suo viaggio scopre che la maledizione che aveva afflitto il Dio-Cinghiale aveva avuto origine dal suo odio verso gli umani, scaturito dal dolore causatogli dal proiettile di ferro che gli era stato sparato con un cannone artigianale prodotto nella Città del Ferro, in guerra contro gli spiriti della foresta per impossessarsi delle risorse necessarie, e non solo.
In tutto questo, la principessa Mononoke, figlia adottiva di un gruppo di lupi, cerca di proteggere la Sacra Montagna dall'ingordigia degli uomini.
La storia si evolve secondo canoni imprevedibili, vantando un disegno magnifico e una trama a mio avviso perfetta. Consiglio vivamente la visione di quest'anime a chi, se esiste, non ha ancora potuto guardare questo epico capolavoro.
Ashitaka, su consiglio della saggia madre, si mette in viaggio per trovare una soluzione alla malattia mortale infertogli durante lo scontro. Durante il suo viaggio scopre che la maledizione che aveva afflitto il Dio-Cinghiale aveva avuto origine dal suo odio verso gli umani, scaturito dal dolore causatogli dal proiettile di ferro che gli era stato sparato con un cannone artigianale prodotto nella Città del Ferro, in guerra contro gli spiriti della foresta per impossessarsi delle risorse necessarie, e non solo.
In tutto questo, la principessa Mononoke, figlia adottiva di un gruppo di lupi, cerca di proteggere la Sacra Montagna dall'ingordigia degli uomini.
La storia si evolve secondo canoni imprevedibili, vantando un disegno magnifico e una trama a mio avviso perfetta. Consiglio vivamente la visione di quest'anime a chi, se esiste, non ha ancora potuto guardare questo epico capolavoro.
Personalmente non credo sia tutta quest'immensità di anime, anzi, tutt'altro, specie se si considera l'occidentalizzazione che ha non poco castrato il lavoro, rendendolo molto "italiano" e così disperdendo l'aura di folklore che invece si poteva ben notare leggendo l'anime comic, che tutto sommato era gradevole.
No, non ci siamo, rispetto Miyazaki come un grandissimo autore, forse il numero uno, ma obiettivamente ho trovato il film lungo e noioso, lo vidi al cinema a suo tempo quando uscì nelle sale, e credo proprio faccia parte di quei titoli che visti una volta, bastano poi per un bel pezzo. L'unica cosa che potrebbe farmi ritrattare sarebbe la visione in lingua originale, e quando mi capiterà in mano chi lo sa, potrei anche sorbirmela. In ogni caso, doppiaggio a parte (che è una questione, mettiamola così, "laterale") mi ripeto, affermando che il problema è proprio il film stesso, una classica grande opera mancata, che sia stato il fatto di voler far le cose troppo in grande? Non so, ma credo sia una pessima scelta per il pubblico più giovane che voglia conoscere l'animazione giapponese tramite Miyazaki, che ha di ben meglio da offrire. Che devo farci, a me non ha detto nulla.
No, non ci siamo, rispetto Miyazaki come un grandissimo autore, forse il numero uno, ma obiettivamente ho trovato il film lungo e noioso, lo vidi al cinema a suo tempo quando uscì nelle sale, e credo proprio faccia parte di quei titoli che visti una volta, bastano poi per un bel pezzo. L'unica cosa che potrebbe farmi ritrattare sarebbe la visione in lingua originale, e quando mi capiterà in mano chi lo sa, potrei anche sorbirmela. In ogni caso, doppiaggio a parte (che è una questione, mettiamola così, "laterale") mi ripeto, affermando che il problema è proprio il film stesso, una classica grande opera mancata, che sia stato il fatto di voler far le cose troppo in grande? Non so, ma credo sia una pessima scelta per il pubblico più giovane che voglia conoscere l'animazione giapponese tramite Miyazaki, che ha di ben meglio da offrire. Che devo farci, a me non ha detto nulla.
Film davvero bello, ben realizzato. Si sente anche il tocco di Hisaishi nella colonna sonora, davvero splendida e sempre in tema con la situazione. Opera fedele alle tematiche tanto care al Maestro Miyazaki, anche se in quest'opera è diverso. Non c'è un "cattivo" assoluto. Ovviamente la narrazione porta a farne apparire uno o forse più, ma se ci si pensa è proprio questo il punto forte di quest'opera; la realtà.
Nella realtà non esiste il bene assoluto e il male assoluto, esistono solo vari punti di vista discordanti tra loro per 1000 o 1 ragione. Dal punto di vista del messaggio credo che sia l'opera più importante del Maestro e dello studio Ghibli. C'è anche da dire che è particolarmente violento e anche inquietante in certi punti (il volto del Dio cervo e la tribu delle scimmie in una delle loro prime apparizioni), cosa che ho apprezzato tantissimo. Ottima opera, consigliata a tutti.
Nella realtà non esiste il bene assoluto e il male assoluto, esistono solo vari punti di vista discordanti tra loro per 1000 o 1 ragione. Dal punto di vista del messaggio credo che sia l'opera più importante del Maestro e dello studio Ghibli. C'è anche da dire che è particolarmente violento e anche inquietante in certi punti (il volto del Dio cervo e la tribu delle scimmie in una delle loro prime apparizioni), cosa che ho apprezzato tantissimo. Ottima opera, consigliata a tutti.
Nel quindicesimo secolo, in un mondo ricoperto da grandi foreste protette da divine bestie e da spiriti, l’ultimo principe degli Emishi, Ashitaka, combatte contro un gigantesco demone cinghiale che attacca il suo villaggio. Durante lo scontro il giovane è ferito a un braccio; dopo che la bestia viene uccisa si scopre che ciò che l’aveva trasformata in demone era un proiettile, e che la ferita al braccio del principe è maledetta, e una volta che si sarà diffusa su tutto il corpo lo ucciderà.
Ashitaka decide quindi di viaggiare a ovest, verso le terre da cui proveniva il dio cinghiale, così da trovare una cura. Si taglia i capelli, a significare che non appartiene più a quella comunità, e parte con Yakkul, uno stambecco suo fedele compagno d’avventure.
Qualche tempo dopo, passando per un villaggio attaccato da dei samurai, il giovane è costretto a difendersi: il suo braccio maledetto gli ha conferito una forza sovrumana, tanto che con una sola freccia riesce a mozzare di netto vari arti.
Il giovane arriverà in una comunità, chiamata Città del Ferro, che disbosca la foresta per sfruttare le risorse ferrose del suolo al fine di produrre armi da fuoco; ciò non piace affatto alle bestie protettrici, infatti attaccano spesso la cittadina o la sua gente. In una di queste battaglie, tre lupi giganti attaccano gli abitanti che trasportano il riso; con questi dèi c’è anche San, una ragazza umana soprannominata Principessa Mononoke, ovvero “principessa delle bestie/spiriti”.
Ashitaka si ritroverà quindi inevitabilmente invischiato in una guerra ben più grande di lui e di non facile risoluzione.
La tematica principale del film è chiaramente quella del rispetto e della convivenza con la natura, resa sacra e magica attingendo a varie leggende della religione scintoista: ci sono dei clan di dèi-animali, come i lupi, i cinghiali, le scimmie, nonché un dio superiore dalla forma di cervo, chiamato Spirito della Foresta, a cui si dice appartengano sia la vita che la morte. Oltre a queste onnipotenti bestie ci sono degli esserini molto graziosi chiamati kodama: essi sono spiriti degli alberi, e guideranno Ashitaka verso il cuore della foresta.
Se viene minacciata, la natura si difende, e ciò può portare a conseguenza catastrofiche.
Ma non basta il conflitto con la natura, perché l’uomo non è capace di convivere nemmeno con se stesso: gli Emishi, la tribù di Ashitaka, erano i pochi rimasti da uno sterminio avvenuto centinaia di anni prima; il primo villaggio che il protagonista trova sulla sua strada è devastato da dei samurai; la Città del Ferro è minacciata dai signori feudali e dall’imperatore. Come possono quindi gli uomini convivere con specie diverse se non riescono nemmeno a trovare stabilità tra di loro? La causa di ciò è la sete di potere, il tentativo di affermare se stessi, di superare i propri limiti; da qui nasce l’invidia di chi sta meglio, in questo caso le immortali bestie divine, che colpite dalle armi da fuoco si trasformano in demoni perché sopraffatti dall’odio che consuma la carne e il cuore.
Non a caso sono dei mostri orrendi, spaventosi e terribili, ricoperti di viscidissimi vermi, che distruggono indistintamente tutto ciò che trovano sulla loro strada, accecati e istupiditi dalla rabbia.
Ashitaka rischia di diventare un essere senza cuore, infatti più volte dovrà reprimere l’intento omicida e il desiderio di vendetta trasmessogli dalla ferita al braccio; la sua vera indole è buona, generosa, pronta sempre ad aiutare le persone in difficoltà, anche i nemici. Lo considero lo stereotipo dell’eroe coraggioso.
La situazione di San è molto particolare: lei è un’umana, ma è stata abbandonata ancora in fasce dai genitori mentre scappavano da Moro, la grande lupa, che l’ha cresciuta come fosse sua figlia nella foresta. San ha il corpo da umana ma la mentalità da lupo, infatti vuole difendere la foresta; purtroppo non appartiene pienamente a nessuno dei due mondi, ma è a cavallo tra essi.
Eboshi, la donna a capo della Città del Ferro, ha una forza d’animo notevole, tanto da riuscire a fare assumere alle donne della città un ruolo predominante; si può affermare che abbia fondato una società matriarcale: le donne sono delle lavoratrici stacanoviste, hanno molto più carisma degli uomini, rappresentati quasi tutti come degli stupidotti.
Eboshi viene presentata inizialmente come malvagia, in quanto cerca incessantemente di procurarsi il ferro per le micidiali armi da fuoco e di costruirne di più potenti; è lei la causa della maledizione di Ashitaka, e prova una sincera pietà nei suoi confronti, capisce che il demone cinghiale avrebbe dovuto attaccare lei. In seguito viene mostrato anche il suo lato buono: infatti ha curato dei lebbrosi che non erano nemmeno considerati umani, ha dato loro lavoro come fabbri, e vuole trovare un modo per curarli, anche se si tratta di uccidere lo Spirito della Foresta per ottenere il suo sangue miracoloso.
Lei è quindi l’esempio di come le persone non siano assolutamente buone o assolutamente cattive, ma di come le azioni siano dovute dalle circostanze del momento.
Con due personaggi femminili forti come San e Eboshi non si può non pensare alla scelta voluta di mostrare la donna superiore all’uomo; in fondo anche la Natura è considerata femmina, quindi è evidente che si sia voluto mettere l’accento sul gentil sesso, che qui è tutt’altro che debole e indifeso. Sono le donne che fanno andare avanti tutta la storia.
Nel film ci sono scene molto violente, e il sangue sgorgherà copioso; ho persino trovato horror il momento in cui il corpo del demone cinghiale marcisce. Comunque è chiaro che tutto è stato fatto per mostrare in maniera cruda e diretta l’orrore e l’insensatezza della guerra.
In conclusione, questo è un ottimo film con tutte le tematiche care a Miyazaki, ma a differenza degli altri suoi lungometraggi non mi sembra tanto adatto ai bambini più piccoli.
Ashitaka decide quindi di viaggiare a ovest, verso le terre da cui proveniva il dio cinghiale, così da trovare una cura. Si taglia i capelli, a significare che non appartiene più a quella comunità, e parte con Yakkul, uno stambecco suo fedele compagno d’avventure.
Qualche tempo dopo, passando per un villaggio attaccato da dei samurai, il giovane è costretto a difendersi: il suo braccio maledetto gli ha conferito una forza sovrumana, tanto che con una sola freccia riesce a mozzare di netto vari arti.
Il giovane arriverà in una comunità, chiamata Città del Ferro, che disbosca la foresta per sfruttare le risorse ferrose del suolo al fine di produrre armi da fuoco; ciò non piace affatto alle bestie protettrici, infatti attaccano spesso la cittadina o la sua gente. In una di queste battaglie, tre lupi giganti attaccano gli abitanti che trasportano il riso; con questi dèi c’è anche San, una ragazza umana soprannominata Principessa Mononoke, ovvero “principessa delle bestie/spiriti”.
Ashitaka si ritroverà quindi inevitabilmente invischiato in una guerra ben più grande di lui e di non facile risoluzione.
La tematica principale del film è chiaramente quella del rispetto e della convivenza con la natura, resa sacra e magica attingendo a varie leggende della religione scintoista: ci sono dei clan di dèi-animali, come i lupi, i cinghiali, le scimmie, nonché un dio superiore dalla forma di cervo, chiamato Spirito della Foresta, a cui si dice appartengano sia la vita che la morte. Oltre a queste onnipotenti bestie ci sono degli esserini molto graziosi chiamati kodama: essi sono spiriti degli alberi, e guideranno Ashitaka verso il cuore della foresta.
Se viene minacciata, la natura si difende, e ciò può portare a conseguenza catastrofiche.
Ma non basta il conflitto con la natura, perché l’uomo non è capace di convivere nemmeno con se stesso: gli Emishi, la tribù di Ashitaka, erano i pochi rimasti da uno sterminio avvenuto centinaia di anni prima; il primo villaggio che il protagonista trova sulla sua strada è devastato da dei samurai; la Città del Ferro è minacciata dai signori feudali e dall’imperatore. Come possono quindi gli uomini convivere con specie diverse se non riescono nemmeno a trovare stabilità tra di loro? La causa di ciò è la sete di potere, il tentativo di affermare se stessi, di superare i propri limiti; da qui nasce l’invidia di chi sta meglio, in questo caso le immortali bestie divine, che colpite dalle armi da fuoco si trasformano in demoni perché sopraffatti dall’odio che consuma la carne e il cuore.
Non a caso sono dei mostri orrendi, spaventosi e terribili, ricoperti di viscidissimi vermi, che distruggono indistintamente tutto ciò che trovano sulla loro strada, accecati e istupiditi dalla rabbia.
Ashitaka rischia di diventare un essere senza cuore, infatti più volte dovrà reprimere l’intento omicida e il desiderio di vendetta trasmessogli dalla ferita al braccio; la sua vera indole è buona, generosa, pronta sempre ad aiutare le persone in difficoltà, anche i nemici. Lo considero lo stereotipo dell’eroe coraggioso.
La situazione di San è molto particolare: lei è un’umana, ma è stata abbandonata ancora in fasce dai genitori mentre scappavano da Moro, la grande lupa, che l’ha cresciuta come fosse sua figlia nella foresta. San ha il corpo da umana ma la mentalità da lupo, infatti vuole difendere la foresta; purtroppo non appartiene pienamente a nessuno dei due mondi, ma è a cavallo tra essi.
Eboshi, la donna a capo della Città del Ferro, ha una forza d’animo notevole, tanto da riuscire a fare assumere alle donne della città un ruolo predominante; si può affermare che abbia fondato una società matriarcale: le donne sono delle lavoratrici stacanoviste, hanno molto più carisma degli uomini, rappresentati quasi tutti come degli stupidotti.
Eboshi viene presentata inizialmente come malvagia, in quanto cerca incessantemente di procurarsi il ferro per le micidiali armi da fuoco e di costruirne di più potenti; è lei la causa della maledizione di Ashitaka, e prova una sincera pietà nei suoi confronti, capisce che il demone cinghiale avrebbe dovuto attaccare lei. In seguito viene mostrato anche il suo lato buono: infatti ha curato dei lebbrosi che non erano nemmeno considerati umani, ha dato loro lavoro come fabbri, e vuole trovare un modo per curarli, anche se si tratta di uccidere lo Spirito della Foresta per ottenere il suo sangue miracoloso.
Lei è quindi l’esempio di come le persone non siano assolutamente buone o assolutamente cattive, ma di come le azioni siano dovute dalle circostanze del momento.
Con due personaggi femminili forti come San e Eboshi non si può non pensare alla scelta voluta di mostrare la donna superiore all’uomo; in fondo anche la Natura è considerata femmina, quindi è evidente che si sia voluto mettere l’accento sul gentil sesso, che qui è tutt’altro che debole e indifeso. Sono le donne che fanno andare avanti tutta la storia.
Nel film ci sono scene molto violente, e il sangue sgorgherà copioso; ho persino trovato horror il momento in cui il corpo del demone cinghiale marcisce. Comunque è chiaro che tutto è stato fatto per mostrare in maniera cruda e diretta l’orrore e l’insensatezza della guerra.
In conclusione, questo è un ottimo film con tutte le tematiche care a Miyazaki, ma a differenza degli altri suoi lungometraggi non mi sembra tanto adatto ai bambini più piccoli.
Amore, amore, amore. "La Principessa Mononoke" è un tale capolavoro che non si può che amare. A mio parere, l'opera migliore dello Studio Ghibli insieme a "Il mio vicino Totoro" e "Only yesterday". Tre film cosi diversi che racchiudono in loro la grandezza della fabbrica di sogni giapponese. Fuori categoria: da patrimonio dell'UNESCO.
Il Miyazaki più particolare, più ambizios ci racconta a modo suo l'eterna lotta tra uomo e natura. Senza schierarsi nitidamente dalla parte dell'ambiente e regalandoci uno dei personaggi non protagonisti migliori della storia dell'animazione: Eboshi.
Lei, la padrona della città del ferro, che per alcuni è la "cattivona" di turno (prendo in prestito l'aggettivo usato da un bambino durante una visione pubblica a cui ho assistito) bisogna ricordare che libera dalla schiavitù le donne e tratta con dignità i lebbrosi. Rappresenta l'uomo moderno - e qui è mitico Miyazaki a scegliere una donna e per giunta nel medioevo, seppur fantastico - che cerca di sfruttare le risorse naturali per il benessere della sua gente. Lei libera, emancipata - non ha marito - che usa armi maschili. Lei che se ne infischia delle credenze, della religione ed è pronta a sfidare un dio.
"La Principessa Mononoke" è un film che deve la sua grandezza alla caratterizzazione dei personaggi, a cominciare da Eboshi appunto, ma anche all'epica grandiosa che si respira nelle oltre due ore di durata del lungometraggio. Un'epica che, messa da parte nelle altre opere di Miyazaki per lasciar spazio a storie più singolari, spesso di formazione, trova alimento nella meravigliosa musica dell'immenso Joe Hisaishi che si sposa benissimo, come sempre, alle immagini.
Immagini che lasciano il segno. Che sono straordinarie, per fare un esempio, nella descrizione della foresta. Un'animazione di livello super come dimostrano le scene di azione, di movimento.
Ma al di là delle cose più tecniche quel che conta sono le emozioni che lascia la visione di "La Principessa Mononoke". Emozioni anche forti, dure. Perché c'è la guerra a sfondo di tutto. E se il tema non è nuovo per Miyazaki, bisogna considerare che qui la guerra c'è veramente. Con scene non adattissime ai più piccoli. C'è la morte sempre dietro l'angolo. Con il buono Ashitaka che anche lui uccide. Che fa saltare teste con arco e frecce. C'è odio, vendetta. Tante cose per un film straordinario. Grande cinema.
Da vedere e rivedere, rivedere, rivedere, rivedere... e rivedere ancora.
Il Miyazaki più particolare, più ambizios ci racconta a modo suo l'eterna lotta tra uomo e natura. Senza schierarsi nitidamente dalla parte dell'ambiente e regalandoci uno dei personaggi non protagonisti migliori della storia dell'animazione: Eboshi.
Lei, la padrona della città del ferro, che per alcuni è la "cattivona" di turno (prendo in prestito l'aggettivo usato da un bambino durante una visione pubblica a cui ho assistito) bisogna ricordare che libera dalla schiavitù le donne e tratta con dignità i lebbrosi. Rappresenta l'uomo moderno - e qui è mitico Miyazaki a scegliere una donna e per giunta nel medioevo, seppur fantastico - che cerca di sfruttare le risorse naturali per il benessere della sua gente. Lei libera, emancipata - non ha marito - che usa armi maschili. Lei che se ne infischia delle credenze, della religione ed è pronta a sfidare un dio.
"La Principessa Mononoke" è un film che deve la sua grandezza alla caratterizzazione dei personaggi, a cominciare da Eboshi appunto, ma anche all'epica grandiosa che si respira nelle oltre due ore di durata del lungometraggio. Un'epica che, messa da parte nelle altre opere di Miyazaki per lasciar spazio a storie più singolari, spesso di formazione, trova alimento nella meravigliosa musica dell'immenso Joe Hisaishi che si sposa benissimo, come sempre, alle immagini.
Immagini che lasciano il segno. Che sono straordinarie, per fare un esempio, nella descrizione della foresta. Un'animazione di livello super come dimostrano le scene di azione, di movimento.
Ma al di là delle cose più tecniche quel che conta sono le emozioni che lascia la visione di "La Principessa Mononoke". Emozioni anche forti, dure. Perché c'è la guerra a sfondo di tutto. E se il tema non è nuovo per Miyazaki, bisogna considerare che qui la guerra c'è veramente. Con scene non adattissime ai più piccoli. C'è la morte sempre dietro l'angolo. Con il buono Ashitaka che anche lui uccide. Che fa saltare teste con arco e frecce. C'è odio, vendetta. Tante cose per un film straordinario. Grande cinema.
Da vedere e rivedere, rivedere, rivedere, rivedere... e rivedere ancora.
L'accoppiata vincente Studio Ghibli-Hayao Miyazaki nel 1997 sforna un altro capolavoro che rimarrà alla storia come uno dei migliori film di Miyazaki, nonché dell'animazione in generale: stiamo parlando di "Mononoke-hime": La Principessa Mononoke.
Da allora il film ha vinto decine di premi, e ha aumentato la sua fama fino a entrare nella top 3 di oggi (2010) dei film più popolari in Giappone, preceduto soltanto da 2 produzioni dello stesso autore.
Questo film dalla durata di più di due ore raccoglie antichi miti e leggende popolari giapponesi, che Miyazaki ha saputo rimodernizzare e trasformare in un vero e proprio "manifesto" ecologico. L'anime è ambientato in un Giappone medievale, nel quale la gente sta iniziando per la prima volta a distruggere la natura per i propri scopi, dove sta iniziando l'era delle armi da fuoco, e dove miti e leggende iniziano a essere sfatati per dar posto a una nuova visione delle cose.
Il protagonista dell'opera è il giovane principe Ashitaka, che uccidendo un demone, nato a causa della cattiveria delle persone, raccoglie una maledizione. Gli viene allora suggerito di andare nell'unico luogo dove può liberarsi da questa: sui monti dove risiede la divinità della natura che può curare ogni male. All'arrivo in quel luogo, Ashitaka rimane sorpreso, poiché quello che trova è solo una guerra tra animali e persone che vogliono rispettivamente proteggere e distruggere la natura; qui avviene anche l'incontro con San (Mononoke, che non è il nome proprio, ma sta a indicare "spirito vendicativo"), una giovane ragazza che vive con i Lupi immersa nella natura. Lei è in lotta con le persone che vogliono distruggere la natura, casa degli animali.
Qui inizia il vero è proprio film, colmo di poesia quando si vede la natura, e quasi di odio quando si tratta delle persone che vogliono distruggerla. Anche se proprio odio non è, in quanto Miyazaki non ha mai usato qualcosa del genere, visto che è amante solo dei buoni sentimenti.
Per le 2 ore del film le scene si susseguono veloci e con pause brevi, accadano un mucchio di avvenimenti, l'anime è accompagnato persino da una componente violenta che non avevo mai visto nelle opere del maestro; tutti i personaggi vengono sfruttati molto bene, primari e secondari si scambiano i ruoli sino alla fine quasi inaspettata.
Il neo del film potrebbe essere trovato proprio nel finale forse un po' sbrigativo, ma va bene anche cosi, probabilmente è stata solo una mia impressione.
Credo sia inutile parlare della parte tecnica, che è eccelsa in tutto e per tutto.
Detto questo consiglio - anzi dovrei dire obbligo - la visione a tutti.
Da allora il film ha vinto decine di premi, e ha aumentato la sua fama fino a entrare nella top 3 di oggi (2010) dei film più popolari in Giappone, preceduto soltanto da 2 produzioni dello stesso autore.
Questo film dalla durata di più di due ore raccoglie antichi miti e leggende popolari giapponesi, che Miyazaki ha saputo rimodernizzare e trasformare in un vero e proprio "manifesto" ecologico. L'anime è ambientato in un Giappone medievale, nel quale la gente sta iniziando per la prima volta a distruggere la natura per i propri scopi, dove sta iniziando l'era delle armi da fuoco, e dove miti e leggende iniziano a essere sfatati per dar posto a una nuova visione delle cose.
Il protagonista dell'opera è il giovane principe Ashitaka, che uccidendo un demone, nato a causa della cattiveria delle persone, raccoglie una maledizione. Gli viene allora suggerito di andare nell'unico luogo dove può liberarsi da questa: sui monti dove risiede la divinità della natura che può curare ogni male. All'arrivo in quel luogo, Ashitaka rimane sorpreso, poiché quello che trova è solo una guerra tra animali e persone che vogliono rispettivamente proteggere e distruggere la natura; qui avviene anche l'incontro con San (Mononoke, che non è il nome proprio, ma sta a indicare "spirito vendicativo"), una giovane ragazza che vive con i Lupi immersa nella natura. Lei è in lotta con le persone che vogliono distruggere la natura, casa degli animali.
Qui inizia il vero è proprio film, colmo di poesia quando si vede la natura, e quasi di odio quando si tratta delle persone che vogliono distruggerla. Anche se proprio odio non è, in quanto Miyazaki non ha mai usato qualcosa del genere, visto che è amante solo dei buoni sentimenti.
Per le 2 ore del film le scene si susseguono veloci e con pause brevi, accadano un mucchio di avvenimenti, l'anime è accompagnato persino da una componente violenta che non avevo mai visto nelle opere del maestro; tutti i personaggi vengono sfruttati molto bene, primari e secondari si scambiano i ruoli sino alla fine quasi inaspettata.
Il neo del film potrebbe essere trovato proprio nel finale forse un po' sbrigativo, ma va bene anche cosi, probabilmente è stata solo una mia impressione.
Credo sia inutile parlare della parte tecnica, che è eccelsa in tutto e per tutto.
Detto questo consiglio - anzi dovrei dire obbligo - la visione a tutti.
Princess Mononoke... Beh, se devo essere sincero, dopo aver letto diverse recensioni e visto i rispettivi 10 dati come voto su questo sito, mi aspettavo qualcosa di eccezionale, anche per l'alto posto in classifica. Non dico certo che il film mi abbia deluso, ma mi aspettavo di più dal celeberrimo Hayao Miyazaki.
Per quanto riguarda la trama, essa non mi sembra nulla di così innovativo o originale, anzi il film nella sua interezza mi pare quasi una "bella copia" di "Nausicaa della valle del vento" (dello stesso autore, fu uno dei suoi primi lungometraggi), tuttavia il modo in cui vengono affrontati i temi della natura e della vita umana e animale è abbastanza apprezzabile.
Infatti i disegni e le animazioni sono davvero superlativi, perché gli ambienti, i fondali e le bestie sono colorati e animati in un mix splendido, così come splendida è la colonna sonora, e anche la sceneggiatura non è da meno. Ottimo inoltre è anche il doppiaggio italiano.
La storia parte velocemente, però dopo diventa, magari a tratti, un po' lenta, anche se ciò non dispiace.
Bellissime e fluide le scene d'azione, sia i combattimenti degli esseri umani che degli animali, anche se a volte sono presenti scene alquanto violente, che personalmente ritengo stonino un po' con l'atmosfera che si viene a creare; non sono certo il tipo che rifugge la violenza, anzi, tuttavia penso che qualche braccio e testa tagliati di troppo gli autori potevano risparmiarseli, ma questa può essere benissimo anche solo una mia impressione.
Non mancano momenti densi di atmosfera e poesia.
I personaggi sono caratterizzati in maniera molto pregevole, sia la principessa Mononoke che la sua antagonista, ma anche qualche animale come la madre dei lupi o il re dei cinghiali può risultare gradevole. Al contrario invece del protagonista Ashitaka: davvero piatto e poco originale, salvo nelle scene d'azione dove dimostra un po' di personalità.
Non c'è quindi un motivo preciso per cui non abbia apprezzato appieno questo film, ma credo che la ragione principale risieda nel fatto che la regia si sarebbe potuta soffermare per più tempo su alcune scene (in particolare il finale, che ho trovato un po' sbrigativo) invece che su altre su cui si poteva sorvolare o comunque abbreviare leggermente.
Ciononostante si tratta di un film decisamente sopra la media e che riesce a trasmettere non poche emozioni.
Forse non un capolavoro, ma sicuramente un bellissimo film che vale la pena di vedere, poiché non si fa dimenticare facilmente.
Per quanto riguarda la trama, essa non mi sembra nulla di così innovativo o originale, anzi il film nella sua interezza mi pare quasi una "bella copia" di "Nausicaa della valle del vento" (dello stesso autore, fu uno dei suoi primi lungometraggi), tuttavia il modo in cui vengono affrontati i temi della natura e della vita umana e animale è abbastanza apprezzabile.
Infatti i disegni e le animazioni sono davvero superlativi, perché gli ambienti, i fondali e le bestie sono colorati e animati in un mix splendido, così come splendida è la colonna sonora, e anche la sceneggiatura non è da meno. Ottimo inoltre è anche il doppiaggio italiano.
La storia parte velocemente, però dopo diventa, magari a tratti, un po' lenta, anche se ciò non dispiace.
Bellissime e fluide le scene d'azione, sia i combattimenti degli esseri umani che degli animali, anche se a volte sono presenti scene alquanto violente, che personalmente ritengo stonino un po' con l'atmosfera che si viene a creare; non sono certo il tipo che rifugge la violenza, anzi, tuttavia penso che qualche braccio e testa tagliati di troppo gli autori potevano risparmiarseli, ma questa può essere benissimo anche solo una mia impressione.
Non mancano momenti densi di atmosfera e poesia.
I personaggi sono caratterizzati in maniera molto pregevole, sia la principessa Mononoke che la sua antagonista, ma anche qualche animale come la madre dei lupi o il re dei cinghiali può risultare gradevole. Al contrario invece del protagonista Ashitaka: davvero piatto e poco originale, salvo nelle scene d'azione dove dimostra un po' di personalità.
Non c'è quindi un motivo preciso per cui non abbia apprezzato appieno questo film, ma credo che la ragione principale risieda nel fatto che la regia si sarebbe potuta soffermare per più tempo su alcune scene (in particolare il finale, che ho trovato un po' sbrigativo) invece che su altre su cui si poteva sorvolare o comunque abbreviare leggermente.
Ciononostante si tratta di un film decisamente sopra la media e che riesce a trasmettere non poche emozioni.
Forse non un capolavoro, ma sicuramente un bellissimo film che vale la pena di vedere, poiché non si fa dimenticare facilmente.
"Mononoke Hime" è senza dubbio uno dei migliori film dello Studio Ghibli, un titolo di quelli realizzati impeccabilmente, in ogni minimo aspetto, e in grado di garantire ore di grande animazione. Dopo aver incantato il Giappone nel 1997, battendo ogni record d’incassi e collezionando numerosi premi, il lungometraggio sbarca in Italia tre anni dopo, grazie a Buena Vista, e ha il "piacere" di essere proprio il primo lavoro del "dio degli anime" a varcare i nostri confini, fino ad allora troppo "raffinati" e intenti a ricoprire d'oro i gioielli Disney per farsi destare dal nome "Miyazaki".
Si tratta di un film miracoloso anche per questo...
A prescindere dal successo e dai nomi blasonati, che non determinano, come sappiamo, il valore delle opere, "Princess Mononoke" è un vero e proprio "must". Si tratta del "solito capolavoro" dalla morale inestimabile, corredato da una stupenda sceneggiatura e da personaggi esemplari (per quanto appaiano stereotipati e rievochino le figure già presenti in "Nausicaä della Valle del Vento"), coinvolgente dal primo all'ultimo minuto e tecnicamente superlativo.
Anche questo film, come "Totoro", "Omohide Poro Poro" o "Porco Rosso", è ambientato in un contesto storico farcito di numerosi elementi fantastici, ma stavolta il salto temporale riguarda epoche molto più lontane: ci troviamo nella tarda fase dell'era Muromachi (1333-1587 circa), quando il Giappone subisce notevoli capovolgimenti politici. Si tratta di un periodo di cambiamenti e di crescita, durante il quale intere foreste spariscono per fare posto a fucine per la lavorazione del ferro. Su questo sfondo si inserisce la storia del giovane Ashitaka, discendente della stirpe degli Emishi, che si scontra con una creatura mitica: il Tatarigami, animale sacro, impazzito e dominato dal male, che attacca il villaggio del giovane, costringendolo a ucciderlo.
Ashitaka rimane però ferito, e parte alla volta delle terre dell'Ovest per trovare una cura. La ricerca lo porta fino a Tatari-ba, cittadella al centro di un conflitto tra esseri umani e animali guidati da San, una ragazza allevata dai lupi...
Insomma, questa esperienza non va assolutamente persa se siete dei veri appassionati dell'animazione, altrimenti lasciate perdere questo sensibilizzante e drammatico esempio di come progresso e natura possano giungere a dolorosi conflitti, se desiderate rimanere ancorati alle favolette occidentali.
Si tratta di un film miracoloso anche per questo...
A prescindere dal successo e dai nomi blasonati, che non determinano, come sappiamo, il valore delle opere, "Princess Mononoke" è un vero e proprio "must". Si tratta del "solito capolavoro" dalla morale inestimabile, corredato da una stupenda sceneggiatura e da personaggi esemplari (per quanto appaiano stereotipati e rievochino le figure già presenti in "Nausicaä della Valle del Vento"), coinvolgente dal primo all'ultimo minuto e tecnicamente superlativo.
Anche questo film, come "Totoro", "Omohide Poro Poro" o "Porco Rosso", è ambientato in un contesto storico farcito di numerosi elementi fantastici, ma stavolta il salto temporale riguarda epoche molto più lontane: ci troviamo nella tarda fase dell'era Muromachi (1333-1587 circa), quando il Giappone subisce notevoli capovolgimenti politici. Si tratta di un periodo di cambiamenti e di crescita, durante il quale intere foreste spariscono per fare posto a fucine per la lavorazione del ferro. Su questo sfondo si inserisce la storia del giovane Ashitaka, discendente della stirpe degli Emishi, che si scontra con una creatura mitica: il Tatarigami, animale sacro, impazzito e dominato dal male, che attacca il villaggio del giovane, costringendolo a ucciderlo.
Ashitaka rimane però ferito, e parte alla volta delle terre dell'Ovest per trovare una cura. La ricerca lo porta fino a Tatari-ba, cittadella al centro di un conflitto tra esseri umani e animali guidati da San, una ragazza allevata dai lupi...
Insomma, questa esperienza non va assolutamente persa se siete dei veri appassionati dell'animazione, altrimenti lasciate perdere questo sensibilizzante e drammatico esempio di come progresso e natura possano giungere a dolorosi conflitti, se desiderate rimanere ancorati alle favolette occidentali.
Non esistono parole per descriverlo, quindi mi limito a dire che è semplicemente stupendo! La trama è davvero coinvolgente e non sono solo i tratti caratteristici di Miyazaki a emergere, cioè l'odio per la guerra, il rispetto per la natura eccetera, ma anche il fatto che non ci siano né dei veri e propri buoni né dei veri e propri cattivi, poiché vi è il rispetto e la difesa delle loro necessità e dei loro sentimenti da difendere. I disegni io li ritengo perfetti, ricchi di particolari, e i colori sono davvero eccelsi.
E' il primo film di Miyazaki che vedo, e l'impressione è stata semplicemente ottima.
Il conflitto tra uomo e natura non è certo una novità, ma a mio parere questo è il migliore tra i film con questa tematica.
Graficamente è un lavoro maestoso, fantasioso e realistico allo stesso tempo. Raramente negli anime si vedono animazioni ed effetti speciali di questo livello.
Molto bello l'aspetto storico, ovvero la cura con cui viene rappresentata la civiltà giapponese dell'epoca, e anche se in genere non apprezzo titoli che mescolano lo storico col fantasy, qui ci si passa sopra.
Tra i punti di forza del film poi ci sono i personaggi, difficile non affezionarsi a ognuno di loro per come sono ben caratterizzati, impossibile trovare un vero "cattivo".
L'unico aspetto che mi ha lasciato perplesso è il finale, troppo frettoloso e confusionario, inoltre mi dà l'idea che tutti si redimano un po' troppo in fretta.
Voto: 8,5
Il conflitto tra uomo e natura non è certo una novità, ma a mio parere questo è il migliore tra i film con questa tematica.
Graficamente è un lavoro maestoso, fantasioso e realistico allo stesso tempo. Raramente negli anime si vedono animazioni ed effetti speciali di questo livello.
Molto bello l'aspetto storico, ovvero la cura con cui viene rappresentata la civiltà giapponese dell'epoca, e anche se in genere non apprezzo titoli che mescolano lo storico col fantasy, qui ci si passa sopra.
Tra i punti di forza del film poi ci sono i personaggi, difficile non affezionarsi a ognuno di loro per come sono ben caratterizzati, impossibile trovare un vero "cattivo".
L'unico aspetto che mi ha lasciato perplesso è il finale, troppo frettoloso e confusionario, inoltre mi dà l'idea che tutti si redimano un po' troppo in fretta.
Voto: 8,5
Ottimo film, anche se non dei migliori di Miyazaki: la trama è buona e non troppo articolata, così come la realizzazione tecnica, che è semplice e godibile, tipica delle produzioni Ghibli. I concetti sono ben studiati, la realizzazione dei paesaggi è davvero ottima e si fonde con la colonna sonora più bella che io abbia mai sentito, un'opera del compositore Joe Hisaishi.
Il finale è un po' deludente e la narrazione non particolarmente curata, ma consiglio la visione a chi abbia voglia di avvicinarsi alle opere di Miyazaki.
Il finale è un po' deludente e la narrazione non particolarmente curata, ma consiglio la visione a chi abbia voglia di avvicinarsi alle opere di Miyazaki.
TRAMA
Il principe Ashitaka per salvare il suo villaggio da un cinghiale trasformatosi in demone è costretto ad ucciderlo. Quest'azione però gli costerà caro: il demone infatti, toccandolo con uno dei suoi "tentacoli", gli lancia una maledizione che lo ucciderà pian piano. Quindi il ragazzo decide di partire nella speranza di scoprire il motivo della trasformazione del cinghiale in demone, e quindi trovare il modo di annullare la maledizione.
Arrivato alla città del Ferro, luogo dove viene organizzata l'estrazione del ferro nella montagna circostante, scoprirà la causa che portò il cinghiale a trasformarsi in demone.
Si troverà invischiato nella guerra tra animali e uomini per la lotta del territorio. Compare così la principessa Mononoke, una ragazza che è stata allevata dai lupi, dal comportamento animale ma pur sempre umana, che esprime in se tutta la magia della foresta.
OPINIONE PERSONALE
La principessa Mononoke è una fiaba dai toni crudi.
E' una fiaba perché la rappresentazione degli spiriti della foresta e del loro Dio ti proietta in un mondo magico. Anche i lupi giganteschi fanno la loro bella figura. Infine Mononoke, che con o senza maschera sembra appartenere a un altro mondo... mentre cavalca i lupi è davvero affascinate. Cruda perché là si vede la morte senza filtri (non manca il sangue) e il demone è agghiacciante. E anche perché, nonostante il tema sia già sfruttato da altre narrazioni, vedere l'uomo che distrugge tutto quello che gli sta attorno senza esitare nemmeno un secondo è davvero triste.
L'animazione è veramente fluida, così bella che potrebbe essere visto anche solo per quello.
Forse quello che sto per dire è un mio svarione mentale ma essendo una recensione sono "obbligata" a dire ciò che penso: in un certo qual modo mi ricorda Bambi. Quale bambino non è stato colpito dalla morte della madre di Bambi? Dall'incendio nella foresta?
Ecco, la principessa Mononoke mi ha colpito in quello stesso modo perché ai miei occhi appare una fiaba, e i lungometraggi della Disney per me sono un po' come delle vecchie fiabe. Entrambi ci raccontano un mondo magnifico che rischia di svanire per sempre.
La cosa che appunto mi ha colpito è il mix dolcezza/crudezza. Nessun filtro, né nel bene né nel male.
Unico neo è il troppo buonismo da parte del protagonista, che però può essere giustificato appunto da questo clima da fiaba che nella conclusione ci deve insegnare qualcosa. Quindi a parte questo mio pensiero la cosa ha comunque senso.
Se avete voglia di rifarvi gli occhi e di essere intrattenuti da una bella storia, guardatelo!
Il principe Ashitaka per salvare il suo villaggio da un cinghiale trasformatosi in demone è costretto ad ucciderlo. Quest'azione però gli costerà caro: il demone infatti, toccandolo con uno dei suoi "tentacoli", gli lancia una maledizione che lo ucciderà pian piano. Quindi il ragazzo decide di partire nella speranza di scoprire il motivo della trasformazione del cinghiale in demone, e quindi trovare il modo di annullare la maledizione.
Arrivato alla città del Ferro, luogo dove viene organizzata l'estrazione del ferro nella montagna circostante, scoprirà la causa che portò il cinghiale a trasformarsi in demone.
Si troverà invischiato nella guerra tra animali e uomini per la lotta del territorio. Compare così la principessa Mononoke, una ragazza che è stata allevata dai lupi, dal comportamento animale ma pur sempre umana, che esprime in se tutta la magia della foresta.
OPINIONE PERSONALE
La principessa Mononoke è una fiaba dai toni crudi.
E' una fiaba perché la rappresentazione degli spiriti della foresta e del loro Dio ti proietta in un mondo magico. Anche i lupi giganteschi fanno la loro bella figura. Infine Mononoke, che con o senza maschera sembra appartenere a un altro mondo... mentre cavalca i lupi è davvero affascinate. Cruda perché là si vede la morte senza filtri (non manca il sangue) e il demone è agghiacciante. E anche perché, nonostante il tema sia già sfruttato da altre narrazioni, vedere l'uomo che distrugge tutto quello che gli sta attorno senza esitare nemmeno un secondo è davvero triste.
L'animazione è veramente fluida, così bella che potrebbe essere visto anche solo per quello.
Forse quello che sto per dire è un mio svarione mentale ma essendo una recensione sono "obbligata" a dire ciò che penso: in un certo qual modo mi ricorda Bambi. Quale bambino non è stato colpito dalla morte della madre di Bambi? Dall'incendio nella foresta?
Ecco, la principessa Mononoke mi ha colpito in quello stesso modo perché ai miei occhi appare una fiaba, e i lungometraggi della Disney per me sono un po' come delle vecchie fiabe. Entrambi ci raccontano un mondo magnifico che rischia di svanire per sempre.
La cosa che appunto mi ha colpito è il mix dolcezza/crudezza. Nessun filtro, né nel bene né nel male.
Unico neo è il troppo buonismo da parte del protagonista, che però può essere giustificato appunto da questo clima da fiaba che nella conclusione ci deve insegnare qualcosa. Quindi a parte questo mio pensiero la cosa ha comunque senso.
Se avete voglia di rifarvi gli occhi e di essere intrattenuti da una bella storia, guardatelo!
Se avessi deciso di scrivere la mia recensione appena visto, avrei detto che non mi era piaciuto come anime per il semplice fatto che il cervo con la faccia umana mi terrorizzava (e mi terrorizza) tutt'ora, perchè la lupa era impressionante con il suo ghigno e i cinghiali morti mi facevano venire al naso la puzza di morte.
Poi ho inziato a pensarci su e a ripensarci, confrontando questo con altri anime di Miyazaki e rendendomi sempre più conto che il messaggio era lì evidente e che bastava seguire i personaggi per vedere in ognuno di essi qualcosa: il mantenere le tradizioni seppur da parte di un giovane, il legame quasi di sangue con la natura, la ricerca del potere da parte di un uomo e della ricchezza da parte di un altro, l'indifferenza e la corsa a rincorrere il più forte della situazione, la lotta per quello in cui si crede giusto o sbagliato che sia. Attascinante ogni volta che lo si riguarda.
La storia ha un senso e segue un percorso abbastanza lineare e semplice da seguire, il tratto è riconoscibilissimo, preciso e dettagliato.
Ho apprezzato molto questo anime che tutti dovrebbero vedere e far vedere ai propri figli, un ottimo spunto per riflettere utilizzando un metodo non per forza scolastico.
Poi ho inziato a pensarci su e a ripensarci, confrontando questo con altri anime di Miyazaki e rendendomi sempre più conto che il messaggio era lì evidente e che bastava seguire i personaggi per vedere in ognuno di essi qualcosa: il mantenere le tradizioni seppur da parte di un giovane, il legame quasi di sangue con la natura, la ricerca del potere da parte di un uomo e della ricchezza da parte di un altro, l'indifferenza e la corsa a rincorrere il più forte della situazione, la lotta per quello in cui si crede giusto o sbagliato che sia. Attascinante ogni volta che lo si riguarda.
La storia ha un senso e segue un percorso abbastanza lineare e semplice da seguire, il tratto è riconoscibilissimo, preciso e dettagliato.
Ho apprezzato molto questo anime che tutti dovrebbero vedere e far vedere ai propri figli, un ottimo spunto per riflettere utilizzando un metodo non per forza scolastico.
Anime del 1997, Mononoke Hime è uno dei titoli maggiormente conosciuti del regista nipponico Hayao Miyazaki, ovviamente presso lo studio di produzione Ghibli.
La storia racconta del viaggio di un giovane principe di una remota tribù, il quale, dopo essere stato "infettato" dalla rabbia di un "dio animale" è costretto a tagliarsi i capelli e partire per cercare la fonte dell'odio dell'animale guardando tutto "con occhi non velati dall'odio".
Ashitaka, questo il nome del giovane, insieme a Yakul, il suo stambecco, giungerà, infine, presso la Città del Ferro e qui scoprirà lo scontro in corso tra umani, la foresta e i suoi spiriti guardiani.
Il titolo "Mononoke Hime" si rifà al personaggio co-protagonista di Ashitaka, la giovane San, chiamata dagli abitanti della Città del Ferro "Mononoke". Adottata da piccola da una grossa lupa, Maro, è divenuta sua figlia adottiva e l'aiuta a difendere, o a vendicare, la foresta che sta morendo per mano degli uomini.
Il titolo è permeato di tematiche ambientaliste, il tutto attorniato da personaggi mitologici quali il "dio della foresta" o gli animali parlanti che si ribellano all'uomo o dai piccoli Kodama, spiriti della foresta stessa.
Parlando di questioni più puramente tecniche, il disegno, in particolare delle ambientazioni, è dettagliatissimo come nelle altre opere di Miyazaki, e pulito nel delineare i personaggi; le colorazioni risultano particolarmente curate ed esaltano i colori vivaci della foresta dove è ambientato il titolo stesso; l'animazione risulta fluida e pulita anche nelle scene di grande azione, permettendo di seguire il tutto con chiarezza; menzione speciale per la colonna sonora che accompagna il titolo, davvero splendida.
Un ultimo punto a favore del titolo è la caratterizzazione dei personaggi: utilizzando più le azioni che le parole per descriversi, Miyazaki riesce in due ore di film a raccontare la vita di tutti gli attori coinvolti, benchè si soffermi maggiormente sul protagonista Ashitaka. In questo titolo il regista sfrutta ogni singolo movimento, ogni singolo gesto per raccontare qualcosa del personaggio che lo compie: così abbiamo le donne di Eboshi, la signora della Città del Ferro, che lavorano senza fermarsi anche in tarda serata o che sono pronte ad uccidere chiunque pur di proteggere la loro signora, tutti atti a dimostrare la gratitudine e la stima che hanno per lei; oppure San si mostra incuriosita e sprezzante nei confronti del personaggio-uomo di Ashitaka, simbolo che non si è mai avvicinata troppo ad un uomo se non per ucciderlo.
A fronte di tutto questo, possiamo dire che il Maestro Miyazaki e il suo Studio Ghibli non sfigurano certo al fianco di questo titolo, che risulta essere una delle pietre miliari dell'animazione nipponica, forse uno dei migliori realizzati dal maestro stesso, se non il migliore!
VOTO: 10
La storia racconta del viaggio di un giovane principe di una remota tribù, il quale, dopo essere stato "infettato" dalla rabbia di un "dio animale" è costretto a tagliarsi i capelli e partire per cercare la fonte dell'odio dell'animale guardando tutto "con occhi non velati dall'odio".
Ashitaka, questo il nome del giovane, insieme a Yakul, il suo stambecco, giungerà, infine, presso la Città del Ferro e qui scoprirà lo scontro in corso tra umani, la foresta e i suoi spiriti guardiani.
Il titolo "Mononoke Hime" si rifà al personaggio co-protagonista di Ashitaka, la giovane San, chiamata dagli abitanti della Città del Ferro "Mononoke". Adottata da piccola da una grossa lupa, Maro, è divenuta sua figlia adottiva e l'aiuta a difendere, o a vendicare, la foresta che sta morendo per mano degli uomini.
Il titolo è permeato di tematiche ambientaliste, il tutto attorniato da personaggi mitologici quali il "dio della foresta" o gli animali parlanti che si ribellano all'uomo o dai piccoli Kodama, spiriti della foresta stessa.
Parlando di questioni più puramente tecniche, il disegno, in particolare delle ambientazioni, è dettagliatissimo come nelle altre opere di Miyazaki, e pulito nel delineare i personaggi; le colorazioni risultano particolarmente curate ed esaltano i colori vivaci della foresta dove è ambientato il titolo stesso; l'animazione risulta fluida e pulita anche nelle scene di grande azione, permettendo di seguire il tutto con chiarezza; menzione speciale per la colonna sonora che accompagna il titolo, davvero splendida.
Un ultimo punto a favore del titolo è la caratterizzazione dei personaggi: utilizzando più le azioni che le parole per descriversi, Miyazaki riesce in due ore di film a raccontare la vita di tutti gli attori coinvolti, benchè si soffermi maggiormente sul protagonista Ashitaka. In questo titolo il regista sfrutta ogni singolo movimento, ogni singolo gesto per raccontare qualcosa del personaggio che lo compie: così abbiamo le donne di Eboshi, la signora della Città del Ferro, che lavorano senza fermarsi anche in tarda serata o che sono pronte ad uccidere chiunque pur di proteggere la loro signora, tutti atti a dimostrare la gratitudine e la stima che hanno per lei; oppure San si mostra incuriosita e sprezzante nei confronti del personaggio-uomo di Ashitaka, simbolo che non si è mai avvicinata troppo ad un uomo se non per ucciderlo.
A fronte di tutto questo, possiamo dire che il Maestro Miyazaki e il suo Studio Ghibli non sfigurano certo al fianco di questo titolo, che risulta essere una delle pietre miliari dell'animazione nipponica, forse uno dei migliori realizzati dal maestro stesso, se non il migliore!
VOTO: 10
Devo dire tra tutti i film di Miyazaki questo è quello che non mi ha fatto per nulla impazzire. Eppure preferisco sempre gli anime con protagonista delle ragazze. Tuttavia questo perde molto rispetto ad altri sia per la storia che non trovo particolarmente coinvolgente sia per la realizzazione. Eppure la tematica di fondo e il messaggio sull'importanza della natura sono temi molto interessanti, ma secondo me non realizzati con la stessa semplicità e raffinatezza di altri film. Non è un film che lascia indifferenti, ma neanche che rimane nel cuore.
Un film davvero molto bello ed emozionante! Una storia davvero accattivante e coinvolgente che sa trascinarti in un ambiente fantasy.
Ottima è anche la realizzazione, la storia è davvero ben fatta e i personaggi sono caratterizzati in modo davvero unico! Oltre l'ambientazione fantasy questo film riesce a far emergere anche emozioni e sentimenti che ti toccano il cuore. Un'opera assolutamente da vedere!
Ottima è anche la realizzazione, la storia è davvero ben fatta e i personaggi sono caratterizzati in modo davvero unico! Oltre l'ambientazione fantasy questo film riesce a far emergere anche emozioni e sentimenti che ti toccano il cuore. Un'opera assolutamente da vedere!
Mi distacco dalla massa, infatti questo film m'è piaciuto veramente poco.
Miyazaki definì La principessa Mononoke "la somma dei suoi lavori". Ed in effetti, Mononoke sembra contenere molti dei temi cari a Miyazaki: animali parlanti che si rivelano migliori degli uomini, spiriti, battaglie, un certo spazio dedicato ai vari personaggi femminili, e soprattutto il tema della protezione dell'ambiente e dell'assoluto non rispetto riservatogli dall'uomo, completamente preso dalle sue ambizioni e dalla sua presunzione.
Ma a tale ricchezza di temi (forse anche troppi per essere trattati in un film solo) fa fronte una trama che io ho trovato assolutamente insufficiente, mal strutturata, a tratti banale e con un finale che.. quasi non è un finale. Decisamente troppo aperto e.. beh, ho visto anche finali aperti che erano perlomeno resi in modo interessante... ma questo è stato una cosa tipo: "Tutto quel casino, tutte quelle morti, quei feriti e quei cimenti.. e poi ci lasciano così?"
Ammetto comunque che i personaggi, sia positivi, sia negativi, sia "così-così" sono molto 'buoni', cioè, ben caratterizzati e pensati.
Miyazaki definì La principessa Mononoke "la somma dei suoi lavori". Ed in effetti, Mononoke sembra contenere molti dei temi cari a Miyazaki: animali parlanti che si rivelano migliori degli uomini, spiriti, battaglie, un certo spazio dedicato ai vari personaggi femminili, e soprattutto il tema della protezione dell'ambiente e dell'assoluto non rispetto riservatogli dall'uomo, completamente preso dalle sue ambizioni e dalla sua presunzione.
Ma a tale ricchezza di temi (forse anche troppi per essere trattati in un film solo) fa fronte una trama che io ho trovato assolutamente insufficiente, mal strutturata, a tratti banale e con un finale che.. quasi non è un finale. Decisamente troppo aperto e.. beh, ho visto anche finali aperti che erano perlomeno resi in modo interessante... ma questo è stato una cosa tipo: "Tutto quel casino, tutte quelle morti, quei feriti e quei cimenti.. e poi ci lasciano così?"
Ammetto comunque che i personaggi, sia positivi, sia negativi, sia "così-così" sono molto 'buoni', cioè, ben caratterizzati e pensati.
Scopro subito le mie carte: si tratta senza alcun dubbio del film di Miyazaki che più amo.
La ricerca e le avventure del principe Ashitaka rientrano in un gusto per la storia e la mitologia giapponese che il Maestro in precedenza aveva affrontato solamente di sfuggita, quasi per caso, e sicuramente non con il tono intenso e talvolta quasi solenne che traspira da quest'anime. Le leggende intorno allo scomparso popolo degli Emishi (conosciuto anche come "Ainu") a cui appartiene Ashitaka, la presenza di divinità dei boschi tipiche della cultura Shintô, le guerre di conquista degli shôgun: tutti elementi che contribuiscono a formare un grandioso affresco, i cui temi fondamentali (nel miglior stile-Miyazaki) sono il rapporto uomo-natura e il rapporto uomo-divinità.
San/Mononoke pare quasi far rivivere uno stereotipo della letteratura, l'essere umano allevato dagli animali che ne diventa poi alleato contro altri esseri umani. Eppure la sua forza nasconde anche le debolezza di un'adolescente, nel suo cieco rancore verso Eboshi, nella sua ostinazione a credersi "lupo", nell'emozione che non riesce a nascondere quando Ashitaka le regala il suo stiletto, o nel pianto a cui cede tra le braccia di lui quando ormai ogni speranza sembra svanita.
Ma l'anime regala molti altri personaggi indimenticabili: da Ashitaka, il classico eroe d'onore, a Eboshi, la "signora del ferro" ambiziosa ma umana; dallo strano e ambiguo monaco viaggiatore Jigo, all'energica Toki; dal fiero Okoto, Signore dei Cinghiali, allo scansafatiche Kororu...
Tecnicamente l'opera è eccellente. Forse il livello non è quello de "La Città Incantata", ma viaggia comunque su standard eccezionali, soprattutto grazie ad una regia superiore (a mio avviso perfino migliore di quella del film che ha vinto l'Oscar) e a delle realizzazioni di valore indubbio, partendo dalle animazioni fino ai fondali (spettacolari le ambientazioni della Foresta del Dio Cervo e della Città del Ferro).
L'opera si segnala anche per la migliore colonna sonora realizzata da Joe Hisaishi per lo Studio Ghibli. Magnifica, di grande energia, a tratti quasi viva e sacrale, come se racchiudesse la linfa di un gigantesco e secolare albero dei boschi. Si possono notare influenze della tradizione popolare giapponese (come nella canzone "Mononoke hime" e nella nenia delle lavoratrici della città, "Eboshi tatara uta"), ma anche di musica occidentale (il carattere del tema principale, "Ashitaka sekki", ricorda molto quello di un altra colonna sonora, "L'ultimo dei Mohicani").
Non mi dilungo oltre. Personalmente ritengo questo film un capolavoro assoluto.
La ricerca e le avventure del principe Ashitaka rientrano in un gusto per la storia e la mitologia giapponese che il Maestro in precedenza aveva affrontato solamente di sfuggita, quasi per caso, e sicuramente non con il tono intenso e talvolta quasi solenne che traspira da quest'anime. Le leggende intorno allo scomparso popolo degli Emishi (conosciuto anche come "Ainu") a cui appartiene Ashitaka, la presenza di divinità dei boschi tipiche della cultura Shintô, le guerre di conquista degli shôgun: tutti elementi che contribuiscono a formare un grandioso affresco, i cui temi fondamentali (nel miglior stile-Miyazaki) sono il rapporto uomo-natura e il rapporto uomo-divinità.
San/Mononoke pare quasi far rivivere uno stereotipo della letteratura, l'essere umano allevato dagli animali che ne diventa poi alleato contro altri esseri umani. Eppure la sua forza nasconde anche le debolezza di un'adolescente, nel suo cieco rancore verso Eboshi, nella sua ostinazione a credersi "lupo", nell'emozione che non riesce a nascondere quando Ashitaka le regala il suo stiletto, o nel pianto a cui cede tra le braccia di lui quando ormai ogni speranza sembra svanita.
Ma l'anime regala molti altri personaggi indimenticabili: da Ashitaka, il classico eroe d'onore, a Eboshi, la "signora del ferro" ambiziosa ma umana; dallo strano e ambiguo monaco viaggiatore Jigo, all'energica Toki; dal fiero Okoto, Signore dei Cinghiali, allo scansafatiche Kororu...
Tecnicamente l'opera è eccellente. Forse il livello non è quello de "La Città Incantata", ma viaggia comunque su standard eccezionali, soprattutto grazie ad una regia superiore (a mio avviso perfino migliore di quella del film che ha vinto l'Oscar) e a delle realizzazioni di valore indubbio, partendo dalle animazioni fino ai fondali (spettacolari le ambientazioni della Foresta del Dio Cervo e della Città del Ferro).
L'opera si segnala anche per la migliore colonna sonora realizzata da Joe Hisaishi per lo Studio Ghibli. Magnifica, di grande energia, a tratti quasi viva e sacrale, come se racchiudesse la linfa di un gigantesco e secolare albero dei boschi. Si possono notare influenze della tradizione popolare giapponese (come nella canzone "Mononoke hime" e nella nenia delle lavoratrici della città, "Eboshi tatara uta"), ma anche di musica occidentale (il carattere del tema principale, "Ashitaka sekki", ricorda molto quello di un altra colonna sonora, "L'ultimo dei Mohicani").
Non mi dilungo oltre. Personalmente ritengo questo film un capolavoro assoluto.
Devo dire che è una delle opere di Miyazaki che mi piace di più. Mi ha veramente emozionato, inoltre trovo una bellissima idea il fatto della bambina allevata dai lupi e dal fatto che gli animali cerchino in tutti i modi di tutelare la foresta... Peccato che gli uomini pensino solo ai propri interessi infischiandosene di tutto il resto, fortunatamente alla fine capiscono i loro errori e vedranno di rispettare la natura. Il mio personaggio preferito è la mamma lupa che dimostra di essere saggia, buona e anche comprensiva e non esita a morire... Davvero un bellissimo anime con un grande messaggio...
Questo è un film di animazione molto poetico, a tratti magico e a tratti onirico. A dire il vero, in certi punti è anche un pò troppo poetico, nel senso che indugia, con un certo autocompiacimento, sulla magnificenza di alcune sequenze. Questo rende il film, a mio parere, un pò lento in certi momenti ma rimane una sensazione che si avverte appena e che non pregiudica affatto la piacevolezza della visione. E' realizzato molto bene, i movimenti e i personaggi sono ben caratterizzati e piuttosto realistici e la natura viene esaltata nella sua poeticità! La mia critica particolare invece si concentra sul finale perchè il protagonista rischia più volte la sua vita per proteggere San, rendendo evidente e manifesto il suo amore per lei. Molto bello! Uno dei migliori film del grande Miyazaky!
Altro ennesimo capolavoro di Miyazaki. Penso si siano spesi ormai tutti gli aggettivi possibili per osannare il genio di quest'artista che secondo il mio modesto parere ha ormai sostituito l'icona della Disney per i lungometraggi animati sia per grandi che piccini, un vero poeta in grado di incantare, spaventare, far sognare e commuovere chiunque con le sue opere che paiono davvero magiche, veramente intrise di quella magia che mostra in questi capolavori.
La principessa Mononoke parla di un giovane nobile che viene a conoscenza di qualche strano potere maligno che ha contaminato degli animali a cui dava la caccia, e mettendosi in marcia per risalire a tale mistero, in un susseguirsi di situazioni sempre più incalzanti con un ritmo sempre più sostenuto, scoprirà il perchè di questo inquietante enigma, e sarà costretto a confrontarsi con una amara realtà, dove, come nel mondo reale, non vi sono cattivi e buoni etichettati e facilmente identificabili, ma un universo di sfumature caratteriali e di doveri, eccessi e conseguenze che le varie civiltà umane e non subiscono, entrando in conflitto fra di loro. Come spesso predilige, il Maestro Miyazaki preferisce narrare la vicenda in un mondo surreale e fantastico, profondo da esplorare e arcaicamente tribale, ricco di tradizioni e situazioni identiche alle nostre, e sono proprio questi spunti che pongono lo spettatore di fronte a tematiche odierne e problemi di tutti i giorni: la continua devastazione del'uomo nei confronti della natura, lo sfruttamento degli animali e la loro involontaria mutazione sia nello stile di vita che nella innaturalezza delle loro azioni, costretti ad adattarsi ad un mondo profondamente cambiato da ciò che noi chiamiamo progresso. Ogni fondale è un quadro che sarebbe possibile ammirare per ore, i colori brillanti, le sfumature cromatiche e le animazioni, tutto contribuisce a rendere ancor più bello questo capolavoro, che però non giudico il migliore del Maestro, ma sicuramente uno dei più interessanti.
Adatto ai più piccoli, ma anche a gente adulta per le tematiche trasversalmente affrontate, Princess Mononoke è sicuramente un masterpiece da non perdere.
La principessa Mononoke parla di un giovane nobile che viene a conoscenza di qualche strano potere maligno che ha contaminato degli animali a cui dava la caccia, e mettendosi in marcia per risalire a tale mistero, in un susseguirsi di situazioni sempre più incalzanti con un ritmo sempre più sostenuto, scoprirà il perchè di questo inquietante enigma, e sarà costretto a confrontarsi con una amara realtà, dove, come nel mondo reale, non vi sono cattivi e buoni etichettati e facilmente identificabili, ma un universo di sfumature caratteriali e di doveri, eccessi e conseguenze che le varie civiltà umane e non subiscono, entrando in conflitto fra di loro. Come spesso predilige, il Maestro Miyazaki preferisce narrare la vicenda in un mondo surreale e fantastico, profondo da esplorare e arcaicamente tribale, ricco di tradizioni e situazioni identiche alle nostre, e sono proprio questi spunti che pongono lo spettatore di fronte a tematiche odierne e problemi di tutti i giorni: la continua devastazione del'uomo nei confronti della natura, lo sfruttamento degli animali e la loro involontaria mutazione sia nello stile di vita che nella innaturalezza delle loro azioni, costretti ad adattarsi ad un mondo profondamente cambiato da ciò che noi chiamiamo progresso. Ogni fondale è un quadro che sarebbe possibile ammirare per ore, i colori brillanti, le sfumature cromatiche e le animazioni, tutto contribuisce a rendere ancor più bello questo capolavoro, che però non giudico il migliore del Maestro, ma sicuramente uno dei più interessanti.
Adatto ai più piccoli, ma anche a gente adulta per le tematiche trasversalmente affrontate, Princess Mononoke è sicuramente un masterpiece da non perdere.
Probabilmente il film più bello che abbia mai visto, con la storia e i personaggi più... fantastici... che abbia mai "letto". Il finale è semplicemente sbagliato. Più del fatto che tutti si redimono lampo, ho odiato la frettolosità nel concludere il rapporto tra i protagonisti. Se togliete gli ultimi due minuti di film e ve li riscrivete, oppure li lasciate e fantasticate sul resto, avrete a mio parere il più bel film di Miyazaki e probabilmente la più bella pellicola di sempre.
Una storia meravigliosa, oltre il tempo, oltre i confini del cuore, oltre il mondo. La storia narrata ne "La principessa Mononoke" è una delle più belle narrazioni che abbia mai preso vita. Vengono narrate le vicende di Ashitaka un giovane principe di un paesino isolato dal resto del mondo. Egli durante un combattimento contro un demone cinghiale viene ferito ad un braccio, rimanendo così vittima di una maledizione generata dall'odio del cinghiale verso la razza umana, che gli aveva procurato pene e dolori insopportabili. Ashitaka intraprende un lungo viaggio per scoprire la fonte di tanto odi che gli ha fatto si che il cinghiale si tramutasse in un demone. Una volta giunto nel paese del ferro egli comprende quali atroci delitti stessero commettendo gli umani di quel luogo: essi per poter estrarre il ferro dalle montagne stavo distruggendo la foresta sacra e tutti i suoi abitanti. Scopre inoltre che una giovane ragazza, tale Mononoke, allevata da una tribù di lupi, sta combattendo tale disboscamento.
Ha così inizio l'avventura di Ashitaka nel mondo della natura e degli animali che ne fanno parte.
Egli riuscirà a guadagnarsi la loro fiducia e quella di Mononoke. Senza svelare oltre la bellissima trama che sorregge questo capolavoro dell'animazione, parliamo delle tematiche trattate. Queste, oramai molto trattate da un genio creatore come Miyazaki, sono lo sfruttamento della terra da parte dell'uomo e i delitti verso gli animali.
Questi due elementi sono espressi benissimo in questo capolavoro d'animazione, che ne esalta le problematiche a livello base, riuscendo a sensibilizzare e a toccare i sentimenti più profondi dello spettatore. Questo è reso possibile anche e soprattutto grazie ad una grafica d'altri tempi, eccezionalmente curata, dettagliata, con cura quasi maniacale, che risulta colpire estremamente soprattutto per i paesaggi interni alla foresta. Il comparto audio è altrettanto alto, anzi sublime! La colonna sonora è eccezionale, suggestiva e coinvolgente; mentre il doppiaggio e li effetti sono a dir poco eccellenti: mentre il primo è effettuato con passione, fedeltà e buon senso, i secondi sono molto espressivi soprattutto in alcuni frangenti della foresta e dei suoi abitanti. La trama e le sue tematiche sono esplicate come non mai, con leggerezza ma minuziosità, rendendo il tutto una miscela di piacere per tutti i sensi del proprio corpo nonché per l’animo dello spettatore. In definitiva questo è un film da non perdere, adatto a qualunque tipo di pubblico più o meno esigente e con qualsiasi tipo di gusti.
Un successo senza precedenti, senza dubbio una, se non la, migliore opera di Miyazaki. Imperdibile! Assolutamente fantastico!
Ha così inizio l'avventura di Ashitaka nel mondo della natura e degli animali che ne fanno parte.
Egli riuscirà a guadagnarsi la loro fiducia e quella di Mononoke. Senza svelare oltre la bellissima trama che sorregge questo capolavoro dell'animazione, parliamo delle tematiche trattate. Queste, oramai molto trattate da un genio creatore come Miyazaki, sono lo sfruttamento della terra da parte dell'uomo e i delitti verso gli animali.
Questi due elementi sono espressi benissimo in questo capolavoro d'animazione, che ne esalta le problematiche a livello base, riuscendo a sensibilizzare e a toccare i sentimenti più profondi dello spettatore. Questo è reso possibile anche e soprattutto grazie ad una grafica d'altri tempi, eccezionalmente curata, dettagliata, con cura quasi maniacale, che risulta colpire estremamente soprattutto per i paesaggi interni alla foresta. Il comparto audio è altrettanto alto, anzi sublime! La colonna sonora è eccezionale, suggestiva e coinvolgente; mentre il doppiaggio e li effetti sono a dir poco eccellenti: mentre il primo è effettuato con passione, fedeltà e buon senso, i secondi sono molto espressivi soprattutto in alcuni frangenti della foresta e dei suoi abitanti. La trama e le sue tematiche sono esplicate come non mai, con leggerezza ma minuziosità, rendendo il tutto una miscela di piacere per tutti i sensi del proprio corpo nonché per l’animo dello spettatore. In definitiva questo è un film da non perdere, adatto a qualunque tipo di pubblico più o meno esigente e con qualsiasi tipo di gusti.
Un successo senza precedenti, senza dubbio una, se non la, migliore opera di Miyazaki. Imperdibile! Assolutamente fantastico!
Certo, prima di mettersi a dire qualsiasi cosa su Miyazaki bisogna prima inchinarsi 10 volte (per quello che ha fatto e per quello che rappresenta) e ringraziarlo 100 volte per la magia che ci ha regalato. Detto ciò, posso, credo, dire che quest’opera è assolutamente meravigliosa sotto quasi tutti gli aspetti, ma che non è purtroppo esente da una grave colpa. I disegni e le animazioni sono nel classico stile dei suoi film; sempre curatissimi e particolareggiati i primi e incredibilmente fluide e precise le seconde. Colori azzeccatissimi sia per i personaggi che soprattutto per gli sfondi e gli ambienti – ispirati, suggestivi, magici – , sempre vividi e brillanti. La storia (per chi ancora non la conoscesse – ma chi?) è incentrata sul viaggio lontano dal suo villaggio del giovane principe Ashitaka, in cerca di un modo per espiare la maledizione trasmessagli dal demone cinghiale che ha ucciso; sul suo arrivo in una foresta magica abitata da spiriti e divinità zoomorfe e sulla lotta intrapresa con una ragazza allevata dai lupi (la Mononoke del titolo, appunto) per salvare quello che resta della foresta dalla distruzione perpetrata dagli uomini del ferro e della polvere da sparo. Le tematiche ambientaliste (sempre purtroppo d’attualità) su cui si incentra tutta la storia sono mescolate alla riflessione sull’integrazione e sulla coesistenza problematica di diverse specie, sull’identità umana contrasta dei due protagonisti – divisi e uniti dall’appartenenza ad una condizione esistenziale incerta –, sulla brama di potere che non guarda in faccia nessuno, sul profondo simbolismo percepibile nella natura e in tutte le sue forme, sulla lotta disperata per la sopravvivenza, sulla crudeltà ottusa sino all’autodistruzione, sul desiderio irrealizzabile di pace, sulla violenza di guerre insensate, sulla colpa, sulla redenzione e sul valore del sacrificio e della vita. Molto altro ancora si può leggere tra le righe e non, in un’opera a tratti torrenziale e sempre e comunque ricchissima. Come pure ricchissima è la varietà di personaggi, tutti particolarissimi e tratteggiati in modo magistrale, e come chara e come profondità psicologica (sia animali che umani). Forse non originalissimi (ragazza lupo=Mowgli), ma mai piatti o scontati.
E allora: che cosa manca?
Manca il coraggio. Manca la forza di andare fino in fondo nel giudizio che ha preso forma ed è diventato palese. A prescindere dall’happy-end, bisognava avere il coraggio di punire con giustizia la blasfemia dell’uomo (in questo caso di una donna) contro la divinità della natura e quindi contro la stessa vita. Ci voleva il coraggio e la forza di imporre una sentenza pesante come le montagne, senza redenzione; perché dopo quello che era stato fatto, la redenzione era impossibile. E invece è stata possibile, e si è ricascati di nuovo nel buonismo, dopo che il film era stato per gran parte duro e a tratti anche crudo. Doveva spingersi ancora oltre; doveva essere amaro; doveva essere un capolavoro. Non lo ha fatto, – resta un Grande film lo stesso.
E allora: che cosa manca?
Manca il coraggio. Manca la forza di andare fino in fondo nel giudizio che ha preso forma ed è diventato palese. A prescindere dall’happy-end, bisognava avere il coraggio di punire con giustizia la blasfemia dell’uomo (in questo caso di una donna) contro la divinità della natura e quindi contro la stessa vita. Ci voleva il coraggio e la forza di imporre una sentenza pesante come le montagne, senza redenzione; perché dopo quello che era stato fatto, la redenzione era impossibile. E invece è stata possibile, e si è ricascati di nuovo nel buonismo, dopo che il film era stato per gran parte duro e a tratti anche crudo. Doveva spingersi ancora oltre; doveva essere amaro; doveva essere un capolavoro. Non lo ha fatto, – resta un Grande film lo stesso.
Un film di bell'aspetto si può definire. Una donna può vivere nella natura allevata dai lupi? il solo vivere nella natura la rende una donna selvaggia? O meglio la rende più vicino a quel qualcosa di più grande che vive insieme a lei ed a tutti noi, la terra.
Mononoke è legata alla selva , la vive, la protegge e guarda con astio all'umanità capace solo di creare fornaci metallurgiche. Della trama non vi svelo molto perché è bene dire che ha una sceneggiatura molto bella, però l'umanità del progresso è qui rappresentata nel ruolo di un'altra donna, mentre il legame più intenso con la natura per Mononoke sta nella lupa. Capito? La femminilità è il sacro voto alla natura perché solo la donna ha qualcosa di divino che si vede e si tocca, cioè può generare la vita! E' il sacro dono divino. Mentre gli uomini come il principe Ashitaka sono gli spettatori della natura offesa dall'uomo e vi dovrà trovare rimedio con grande dolore. Mentre gli altri personaggi maschili diventano aggressori della natura. Quindi è un binomio Natura (femminile e generatrice di vita) contro l'umanità (capace di amare il proprio mondo, ma anche capace di distruggere se stesso). Il Dio Cervo è il ruolo d'eccellenza, un Dio sceso in Terra non può esistere per gli umani, ed è quello che accade a questa divinità che può essere meno generosa di madre Natura. Interessante la fotografia poiché i colori del verde, azzurro e marrone terra sono significativi del concetto di speranza (l'umanità dai propri errori può maturare), accoglienza (la natura è benevole con tutti i buoni), sacrificio (la natura per essere così bella ha bisogno di tempo e del ciclo naturale del pianeta). Insomma anche le inquadrature stupiscono per la nitidezza visiva, l'angolazione che è pervia di significati (il primo piano ed il piano americano sono sempre a favore di monologhi , dialoghi o riflessioni intraRuolo molto mature ed emotive). Montaggio al di sopra delle righe in cui lo stacco tra una scena e l'altra è addolcito da movimenti continuo di camera o del soggetto o dal continuum della musica. Insomma fantastico lavoro .
Mononoke è legata alla selva , la vive, la protegge e guarda con astio all'umanità capace solo di creare fornaci metallurgiche. Della trama non vi svelo molto perché è bene dire che ha una sceneggiatura molto bella, però l'umanità del progresso è qui rappresentata nel ruolo di un'altra donna, mentre il legame più intenso con la natura per Mononoke sta nella lupa. Capito? La femminilità è il sacro voto alla natura perché solo la donna ha qualcosa di divino che si vede e si tocca, cioè può generare la vita! E' il sacro dono divino. Mentre gli uomini come il principe Ashitaka sono gli spettatori della natura offesa dall'uomo e vi dovrà trovare rimedio con grande dolore. Mentre gli altri personaggi maschili diventano aggressori della natura. Quindi è un binomio Natura (femminile e generatrice di vita) contro l'umanità (capace di amare il proprio mondo, ma anche capace di distruggere se stesso). Il Dio Cervo è il ruolo d'eccellenza, un Dio sceso in Terra non può esistere per gli umani, ed è quello che accade a questa divinità che può essere meno generosa di madre Natura. Interessante la fotografia poiché i colori del verde, azzurro e marrone terra sono significativi del concetto di speranza (l'umanità dai propri errori può maturare), accoglienza (la natura è benevole con tutti i buoni), sacrificio (la natura per essere così bella ha bisogno di tempo e del ciclo naturale del pianeta). Insomma anche le inquadrature stupiscono per la nitidezza visiva, l'angolazione che è pervia di significati (il primo piano ed il piano americano sono sempre a favore di monologhi , dialoghi o riflessioni intraRuolo molto mature ed emotive). Montaggio al di sopra delle righe in cui lo stacco tra una scena e l'altra è addolcito da movimenti continuo di camera o del soggetto o dal continuum della musica. Insomma fantastico lavoro .
Nonostante non fossi amante né del genere fantasy né dello studio Ghibli, spinto dalla noia, decisi di vederlo.
gran bella storia raccontata in maniera intrigante con personaggi ottimamente definiti, belle musiche e ottime.
Ma la cosa che più mi colpì, fu la tematica trattata e il come venne presentata: a memoria mia, era la prima volta che lo studio Ghibli sfornava un film condito con scene così violente (comunque saggiamente presentate e dosate).
Una volta conclusa l'opera, non mi rimase altro che rivalutare Miyazaki, nonché lo stesso studio Ghibli.
Per me, in assoluto, l'opera migliore di Miyazaki assiame alla Città Incantata!
DA VEDERE!
gran bella storia raccontata in maniera intrigante con personaggi ottimamente definiti, belle musiche e ottime.
Ma la cosa che più mi colpì, fu la tematica trattata e il come venne presentata: a memoria mia, era la prima volta che lo studio Ghibli sfornava un film condito con scene così violente (comunque saggiamente presentate e dosate).
Una volta conclusa l'opera, non mi rimase altro che rivalutare Miyazaki, nonché lo stesso studio Ghibli.
Per me, in assoluto, l'opera migliore di Miyazaki assiame alla Città Incantata!
DA VEDERE!
Uno dei tanti capolavori di Miyazaki. In esso si ritrovano alcuni elementi cari al maestro, con tema centrale la natura, lo definirei quasi un anime ecologista. Ma il tema è trattato alla maniera miyazakiana, con la solita e stupenda aria da favola, in modo da trasmettere il messaggio in modo semplice ai bambini (ma soprattutto agli adulti). L'anime è sensazionale come tutti quelli dell'autore: chara design semplice ma efficace (ho adorato il design d tutti gli animali che compaiono), storia coinvolgente e commovente, animazioni stupende. Forse ciò che lo distingue dagli altri lavori di Miyazaki è la violenza (non esagerata) che per la prima volta trova il suo spazio in una "favola" dello Studio Ghibli. Un capolavoro da vedere assolutamente, come tutti gli altri.
Un'altro capovaloro di Miyazaki. Rispetto alle altre opere del regista ci sono alcune differenze: intanto una maggiore crudezza delle immagini e delle situazioni, ed inoltre un certo tono epico che altrove mancava (magari compensato da una maggiore poesia e delicatezza); è inoltre un lungometraggio dove i ruoli buono-cattivo sono più sfumati: per questi motivi, il film sembra rivolto più ad un pubblico adulto piuttosto che ai più giovani.
I temi trattati sono quelli tipici del maestro: la contrapposizione, più o meno violenta, tra gli uomini e la natura: in questo caso, la "città del ferro" rappresenta la civilizzazione e la tecnologia che avanzano (infatti il lavoro in questa città è organizzato come in una moderna fabbrica) non solo in contrapposizione con la natura, ma anche con la società più tradizionale degli altri villaggi. La "Signora", che dirige questa città, rappresenta il dinamismo di una umanità sempre più protesa verso la "conquista" e la trasformazione dell'ambiente che la circonda; tuttavia, le sue non sono intenzioni del tutto malvagie, anzi. Miyazaki evita di fare di lei un personaggio negativo a tutto tondo, mostrando quasi comprensione nei riguardi dei di lei progetti (che hanno anche qualche risvolto positivo), anche se alla fine la "Signora" dubiterà di ciò che è stato fatto fino a quel momento.
Da vedere.
I temi trattati sono quelli tipici del maestro: la contrapposizione, più o meno violenta, tra gli uomini e la natura: in questo caso, la "città del ferro" rappresenta la civilizzazione e la tecnologia che avanzano (infatti il lavoro in questa città è organizzato come in una moderna fabbrica) non solo in contrapposizione con la natura, ma anche con la società più tradizionale degli altri villaggi. La "Signora", che dirige questa città, rappresenta il dinamismo di una umanità sempre più protesa verso la "conquista" e la trasformazione dell'ambiente che la circonda; tuttavia, le sue non sono intenzioni del tutto malvagie, anzi. Miyazaki evita di fare di lei un personaggio negativo a tutto tondo, mostrando quasi comprensione nei riguardi dei di lei progetti (che hanno anche qualche risvolto positivo), anche se alla fine la "Signora" dubiterà di ciò che è stato fatto fino a quel momento.
Da vedere.
Un mondo misterioso e atemporale, una mistica maledizione, una battaglia epica... ma soprattutto una storia. Una storia stupenda, per intendere. Una storia di uomini, una storia di Dei, una storia d' amore e di rispetto per la natura. Questo è la Principessa Mononoke, film d' animazione del Walt Disney d'oriente, il geniale (e forse meglio di Mister Walt) Hayao Myazaki. Una grafica d'animazione spettacolare che unisce parti di computer grafica, per esprimere al massimo la fantasia del Maestro. Un principe maledetto, costretto ad affrontare un lungo viaggio. E' proprio il destino dell'abile Ashitaka, che incontra quello di un villaggio, di un Dio, di una ragazza.
Ci troviamo nel bel mezzo di una battaglia epica tra la stoltezza dell'uomo e la sacralità della natura. Il tutto espresso da visioni oniriche, musiche eccezionali e dialoghi intensi, che ti schiudono emozioni ataviche.
Un messaggio potente che spinge a pensare, e a porsi domande sulla natura della coscienza umana. Non poteva mancare la storia d'amore, non del tutto espressa poiché al contempo centro e cornice del film. Un uomo destinato a morire, e una donna dal passato tragico. Emozionante fino alla fine, che ti lascia una sensazione strana "che intender non la può chi non la prova".
Magico, poetico, storico.
Un conflitto sia interiore che esteriore dove non ci sono cattivi, ma solo obiettivi.
Un film da vedere, anche per chi non apprezza gli anime.
Per ricordare che la vita è fatta di dolore e sofferenza, ma che nonostante ciò ogni uomo lotta per viverla fino all'ultimo istante.
E allora continuiamo a lottare, come Mononoke per la sua foresta, come Eboshi per il suo villaggio e come Ashitaka per la verità.
Alla prossima, signori...
Ci troviamo nel bel mezzo di una battaglia epica tra la stoltezza dell'uomo e la sacralità della natura. Il tutto espresso da visioni oniriche, musiche eccezionali e dialoghi intensi, che ti schiudono emozioni ataviche.
Un messaggio potente che spinge a pensare, e a porsi domande sulla natura della coscienza umana. Non poteva mancare la storia d'amore, non del tutto espressa poiché al contempo centro e cornice del film. Un uomo destinato a morire, e una donna dal passato tragico. Emozionante fino alla fine, che ti lascia una sensazione strana "che intender non la può chi non la prova".
Magico, poetico, storico.
Un conflitto sia interiore che esteriore dove non ci sono cattivi, ma solo obiettivi.
Un film da vedere, anche per chi non apprezza gli anime.
Per ricordare che la vita è fatta di dolore e sofferenza, ma che nonostante ciò ogni uomo lotta per viverla fino all'ultimo istante.
E allora continuiamo a lottare, come Mononoke per la sua foresta, come Eboshi per il suo villaggio e come Ashitaka per la verità.
Alla prossima, signori...
E' l'opera di Miyazaki che mi è piaciuta meno. Nella narrazione sembra mancare qualcosa, la storia va avanti un po' a tentoni... Ci sono troppi inutili spargimenti di sangue e il film s'interrompe quasi bruscamente. Essenzialmente, la trovo strutturata male, come se avessero cercato di far entrare un racconto molto lungo in sessanta minuti di video.
Il tema è il rispetto e l' "amore" per la natura che è tra l'altro molto attuale. Al di là di inutili e stupidi moralismi davvero fuori luogo che si sentono oggi. Il film eleva questi 2 concetti a universali e "deifica" la Natura rendendola un assoluto. In un mondo rurale un villaggio particolarmente avanzato e ambizioso cerca di imporre la volontà umana a quella della Natura e su gli altri villaggi. La storia quindi è molto semplice e per nulla originale, ma la forza portante dell'anime è sicuramente il significato puramente "filosofico" che contiene. Da vedere e possibilmente rivedere!
Dopo Tonari no Totoro, Mononoke è decisamente il lavoro di Miyazaki che preferisco. E' il giusto passaggio tra lo stile "conan" e il nuovo di disegno e racconti del maestro. La storia è coivolgente, cruda e fa riflettere su quanto importante sia la natura e quanto viene ignorata e distrutta dall'uomo. Un vero capolavoro di animazione, ambientazione, storia e disegno con una caratterizzazione dei personaggi sublime.
E' stato il primo film che ho visto del maestro Miyazaki e devo dire che ogni volta che lo rivedo mi convinco sempre più che sia un capolavoro. Caratterizzato da una realizzazione tecnica stupefacente riesce ad unire azione e sentimento intrecciati con problematiche inerenti l'ambiente e l'inquinamento. Un vero e proprio film culto nel panorama dell'animazione.
Mononoke Hime (La principessa Mononoke o La principessa fantasma) è il titolo di un film di animazione giapponese. Realizzato dal grande regista Hayao Miyazaki, nel 1997 esso ha avuto in Giappone un successo straordinario, stabilendo il record di spettatori di tutti i tempi. Il successo di pubblico ha coinciso anche con il successo presso i critici, tanto che il film è stato il candidato giapponese al premio Oscar per il miglior film straniero, e ha avuto un'ottima accoglienza al festival di Berlino nel 1998.
Ma, al di là del suo successo, Mononoke Hime è soprattutto un film straordinario, che nasconde dentro una storia ambientata nel Giappone medioevale momenti di grande lirismo e messaggi esplicitamente diretti allo spettatore di oggi. Questa pagina è dedicata a diffondere la conoscenza del film nel pubblico italiano e a celebrare uno dei capolavori del cinema mondiale.
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Ashitaka, un principe Emishi, per salvare il suo villaggio dal dio-cinghiale Nago, trasformatosi in demone, si vede costretto ad ucciderlo, attirando su di se una maledizione nel processo. Mentre la maledizione si espande, Ashitaka deve trovare una cura il più in fretta possibile, prima che venga ucciso dall'anatema. Durante il suo viaggio scopre che la maledizione che aveva afflitto il dio era stata causata da un proiettile di ferro sparato da un cannone artigianale prodotto nella Città del Ferro, in guerra contro gli spiriti della foresta per riuscire a procurarsi le risorse necessarie. Le tribù dei cinghiali, delle scimmie e dei lupi, insieme a San (la Principessa Mononoke del titolo), una ragazza cresciuta da questi ultimi, difendono la foresta. Ashitaka, durante il processo di mediazione, si innamora di San. E' un film la cui bellezza e importanza tematica è commovente. Miyazaki è sempre il migliore
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Sicuramente il miglior film d'animazione mai visto in vita mia. Poesia allo stato puro con realizzazioni tecniche impressionanti. Un capolavoro assoluto con delle tematiche molto adulte
Ma, al di là del suo successo, Mononoke Hime è soprattutto un film straordinario, che nasconde dentro una storia ambientata nel Giappone medioevale momenti di grande lirismo e messaggi esplicitamente diretti allo spettatore di oggi. Questa pagina è dedicata a diffondere la conoscenza del film nel pubblico italiano e a celebrare uno dei capolavori del cinema mondiale.
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Ashitaka, un principe Emishi, per salvare il suo villaggio dal dio-cinghiale Nago, trasformatosi in demone, si vede costretto ad ucciderlo, attirando su di se una maledizione nel processo. Mentre la maledizione si espande, Ashitaka deve trovare una cura il più in fretta possibile, prima che venga ucciso dall'anatema. Durante il suo viaggio scopre che la maledizione che aveva afflitto il dio era stata causata da un proiettile di ferro sparato da un cannone artigianale prodotto nella Città del Ferro, in guerra contro gli spiriti della foresta per riuscire a procurarsi le risorse necessarie. Le tribù dei cinghiali, delle scimmie e dei lupi, insieme a San (la Principessa Mononoke del titolo), una ragazza cresciuta da questi ultimi, difendono la foresta. Ashitaka, durante il processo di mediazione, si innamora di San. E' un film la cui bellezza e importanza tematica è commovente. Miyazaki è sempre il migliore
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Sicuramente il miglior film d'animazione mai visto in vita mia. Poesia allo stato puro con realizzazioni tecniche impressionanti. Un capolavoro assoluto con delle tematiche molto adulte
Una tale uniformità nei voti ricevuti parla da se. A mio parere il film più bello del genio dell'animazione. Come tutti i prodotti del Maestro (e in realtà più di molti altri) riesce a far riflettere su tanti temi, in primis sul dilemma di tezukiana memoria "sei tu in grado di dire cos'è giusto?". Differisce dal solito Miyazaki per alcuni punti interessanti: protagonisti atipici (non bambini), finale aperto, senso di oppressione (e morte) spesso incombente, dregrado della carne che imputridisce.
Semplicemente bellissimo! Animazioni veramente spettacolari per un film di dieci anni fa'. Trama molto intensa, a un certo punto della storia non riuscivo neanche a distinguere i buoni dai cattivi, accorgendomi che non era giusto che sia gli spiriti che gli umani combattessero una guerra morendo. L'unico anime che io abbia mai visto in cui mostrano la guerra a 365 gradi.
Come del resto anche tutti i film di questo autore, La principessa Mononoke è un anime bello e delicato. La cosa che ho trovato veramente piacevole è che non finisce come fanno di solito i film: "... e vissero tutti felici e contenti.", ma ti lascia sognare, perchè l'eroe né torna al suo paese né si bacia mai con San, benchè si capisca che sono innamorati.
Se fossi una giornalista scriverei: "Da non perdere"!! ^__^
Se fossi una giornalista scriverei: "Da non perdere"!! ^__^
Tra tutte le opere di Miyazaki è sicuramente la migliore nonchè quella a lui più cara ( almeno così ho letto). é una storia stupenda sotto tutti i punti di vista e le atmosfere sono davvero misteriose ed intriganti.
Come tutte le opere del maestro fa sognare e commuove, oltre a lanciare un messaggio ambientalista in modo delicato e per nulla banale.
Ottimo, da vedere e da collezionare.
Come tutte le opere del maestro fa sognare e commuove, oltre a lanciare un messaggio ambientalista in modo delicato e per nulla banale.
Ottimo, da vedere e da collezionare.
Mi associo decisamente al coro dei "il più bel lungometraggio mai visto". L'unica pecca deriva dal doppiaggio italiano (uno dei vecchi del villaggio di Ashitaka è il nonno Simpson e, mi dispiace per lui ma devo dirlo, il lupo è veramente inascoltabile). Il resto è bellissimo, la profondità psicologica dei personaggi, la cura del dettaglio (il principe ashitaka che lava la ciotola per dare da bere al ferito nella foresta magica per es.), i paesaggi stupendi, la complessità della storia, la regia studiata in ogni inquadratura, sono doti impareggiabili. Senza contare che il numero degli "attori", in questione è impressionante, ogniuno con la sua parte precisa e la sua storia, quanti film o cartoni possono contare un tale numero di coprimari così importanti e complessi?
Un cartone che non farò mai vedere a mia figlia finchè non compirà almeno 14 anni...
Non pensavo che dall'autore di Totoro potesse scaturire una vicenda tanto ebbra di sangue e violenza - e questo dapprima mi ha sconvolto - però è un gran bell'anime... con il solito finale alla Miyazaki che ti lascia come minimo l'amaro in bocca...
Ma ho una mia teoria: che sia forse per sottolineare che la vita, comunque la guardi, non si esaurisce dopo un qualche accadimento, ma è una ricerca continua, aperta a mille e mille interpretazioni quanti sono gli esseri umani sulla terra?
Se la penso così allora un senso c'è ai finali "aperti" proposti dal Maestro, altrimenti... comunque è da vedere^_^
Non pensavo che dall'autore di Totoro potesse scaturire una vicenda tanto ebbra di sangue e violenza - e questo dapprima mi ha sconvolto - però è un gran bell'anime... con il solito finale alla Miyazaki che ti lascia come minimo l'amaro in bocca...
Ma ho una mia teoria: che sia forse per sottolineare che la vita, comunque la guardi, non si esaurisce dopo un qualche accadimento, ma è una ricerca continua, aperta a mille e mille interpretazioni quanti sono gli esseri umani sulla terra?
Se la penso così allora un senso c'è ai finali "aperti" proposti dal Maestro, altrimenti... comunque è da vedere^_^
Che dire? Da vedere ASSOLUTAMENTE!!! Splendido mi sembra ancora poco... perchè è un anime davvero spettacolare ^^ E dopotutto nn potevamo aspettarci di meno dal grande Miyazaki, che per quanto mi riguarda è il mio regista preferito! Come non sentirsi in colpa per la sorte della foresta? Come nn provare rabbia nei confronti degli uomini? E come non commuoversi di fronte alla storia d'amore di San e Ashitaka? Personalmente io, che sono una dal cuore tenero, sono stata col fiato sospeso fino alla fine. E forse è questa l'unica pecca del film: la fine mi ha stroncato tutto, anche se non poteva andare diversamente! Però non posso fare a meno di pensare "e se Ashitaka avesse seguito San??". Tuttavia questa caratteristica la troviamo in tutti i film firmati Miyazaki. Altra cosa che colpisce di "Mononoke Hime" è che nessuno è completamente cattivo nè completamente buono: sono tutti esseri umani^^ Detto questo, vi consiglio di vederlo, perchè è assolutamente da non perdere!!!!
Mmmm...il film è tecnicamente spettacolare, del resto sotto questo aspetto Miyazaki non delude mai. Gli ingredienti sono tutti amalgamati abbastanza bene, i vari significati e sottosignificati tutti ben sviluppati, la pellicola scorre liscia dall' inizio alla fine. Troppo liscia però. A mio parere questo film, paragonato ad altre opere del maestro, manca di un elemento essenziale: la magia. Parlo di quella magia che mi costringeva a ritornare indietro per vedere una scena, PRIMA ANCORA DI AVER VISTO LA FINE DEL FILM! Parlo di quella magia che mi faceva camminare per strada per giorni e giorni pensando a due bambine che fanno nascere un albero (mi riferisco al capolavoro, Totoro, ovviamente!).
In questo film il regista è talmente impegnato nello sviluppare la trama e i suoi significati (che in effetti sono tutti abbastanza..."tosti"!) che non ha tempo per dedicarsi al divertimento, al gioco. Manca, quindi, quel pizzico in più di "polvere magica" che distingue un bel film da un' opera d' arte.
In questo film il regista è talmente impegnato nello sviluppare la trama e i suoi significati (che in effetti sono tutti abbastanza..."tosti"!) che non ha tempo per dedicarsi al divertimento, al gioco. Manca, quindi, quel pizzico in più di "polvere magica" che distingue un bel film da un' opera d' arte.
Credo anche io che questa sia l'opera migliore del maestro miyazaki... il problema dell'ambiente, la mancanza di verità assolute (anche la padrona della città del ferro, che da altri sarebbe stata dipinta come un strega cattiva, lotta per la salvezza e il benessere della sua gente) la regia e le animazioni splendide fanno a mio parere di questo film il lungometraggio d'animazione più bello che sia mai stato realizzato
Un sogno, un'inondazione d'immagini meravigliose, un film straordinario...forse il più bel film d'animazione che abbia mai visto e, a mio parere, ancora il capolavoro assoluto di Miyazaki (certo un buon palmo al di sopra di Howl e un pelino sopra la Città Incantata che, peraltro, 'un gli'è da meno, per citare le sue realizzazioni successive).
Inutile dilungarsi sulla trama splendida, i personaggi ricchi e profondi, i continui messaggi veicolati dal film, la grafica da mascella spezzata, le animazioni addirittura ....turbinose, la sinfonia dei colori, la colonna sonora di una bellezza sublime....Mononoke Hime è più un film, è un'opera di poesia di una tale bellezza che l'unico aggettivo possibile a definirla è....semplicemente struggente.
Inutile dilungarsi sulla trama splendida, i personaggi ricchi e profondi, i continui messaggi veicolati dal film, la grafica da mascella spezzata, le animazioni addirittura ....turbinose, la sinfonia dei colori, la colonna sonora di una bellezza sublime....Mononoke Hime è più un film, è un'opera di poesia di una tale bellezza che l'unico aggettivo possibile a definirla è....semplicemente struggente.
Miyazaki è Miyazaki. Uomo di profondissima sensibilità, ci ha regalato un capolavoro -perchè davvero lo è- con questo lungometraggio. Mononoke Hime è realizzato magnificamente,ogni aspetto, dalla regia, alla sceneggiatura, alla colonna sonora, all'animazione, è superbo. Lo stile ricorda l'altra perla del sensei, Nausicaa della Valle del Vento, ed oltre al disegno vantano in comune il tema nodale del rapporto uomo/ambiente. Mononoke è avvicente, commovente, e regala certe immagini a dir poco splendide. Per chi ama titoli di un certo spessore, vedere questo film è doveroso :)
Un film bellissimo che ha avuto il merito di riportare l'animazione d'autore nei cinema italiani. Il comparto tecnico è assolutamente spettacolare e anche la sceneggiatura non lascia delusi. Probabilmente non ha la stessa espressività, ne la complessità di Sen to Chihiro e forse non approfondisce a sufficienza i personaggi principali (a parte Ashitaka), ma rimane cmq un must per tutti gli appassionati di animazione.
Non riesco a pensare ad un solo lavoro di Miyazaki senza che possa dargli un 10. Mononoke Hime tra l'altro è stato uno dei pochi che ha avuto l'onore di arrivare in modo ufficiale in Italia in tempi ragionevoli dalla sua uscita in Jap. Tanto per cambiare è un capolavoro epico. E'di gran lunga il più violento di tutti i film del maestro ed è anche quello con più azione. La trama che fonde moltissimi elementi della mitologia del giappone antico (anche se non in modo così profondo come in Sen To Chihiro/La città incantata) ad una trama profondamente ecologista. Tutto il film è il continuo scontro tra l'uomo che tenta di piegare intorno a sé l'ambiente e la natura che risponde colpo su colpo. Come Sen To Chihiro poi, Mononoke ha delle chiavi di lettura che si dipanano su molti livelli. La realizzazione tecnica, oltre ad essere eccelsa, vanta anche una produzione da Kolossal hollywoodiano. Semplicemente imperdibile.