Laputa, il castello nel cielo
Un argomento che per vent’anni di vita vissuta ha costantemente suscitato il mio interesse è, strano a dirsi, la caduta dell’Impero Romano. Non solo perché, più in generale, la Storia Romana, dalle origini di Roma fino al suo lento declino, rappresenta una delle materie da me studiate con maggior interesse, ma anche perché, entrando proprio nello specifico, mi ha sempre affascinato il racconto delle vicende che hanno portato alla caduta di una delle potenze più forti mai esistite, che governava su buona parte del mondo allora conosciuto. Eppure, soltanto all’università, quando lo studio diventa comprensione vera e propria, ne ho scoperto le cause, che, al netto di ciò che pensavo fino a qualche tempo fa, non risiedono nella venuta delle popolazioni barbariche e la presa di potere di Odoacre, o almeno, non solo in queste. Le motivazioni risalgono molto più addietro e riguardano la storia più antica del mondo, l’uomo contro sé stesso. Già, perché se i Romani erano riusciti a conquistare e sottomettere chiunque non obbedisse loro, lo dovevano solo ed esclusivamente alla loro forza e all’incessante bramosia di potere e ricchezze. Quella stessa bramosia che, di lì a poco, avrebbe portato alla loro rovina. D’altronde, come dicevo prima, questa è la storia più vecchia del mondo. L’uomo non è mai soddisfatto di ciò che ha e cerca sempre di avere di più. Il risultato lo conosciamo tutti. Ecco che, in “Laputa - Il castello nel cielo”, il buon vecchio Miyazaki, allora appena trentacinquenne, riprende questi insegnamenti così cari all’uomo, perché li conosce, ma non li mette in pratica, e dà vita a un’opera che esenta completamente dai lungometraggi Ghibli a cui ho preso visione più di recente.
Proiettati in questo mondo fantastico, grande marchio di fabbrica Ghibli, e a tratti distopico, facciamo la conoscenza dei due protagonisti. Pazu è un aiutante che lavora nella vicina miniera di carbone, dove la fatica è tanta e la soddisfazione poca. Orfano di entrambi i genitori, Pazu è un ragazzo umile, ma ambizioso, che vive nel mito del padre, colui che qualche tempo prima aveva visto Laputa, il mitico castello fluttuante nel cielo. Nonostante i continui racconti che se ne facevano, però, nessuno dette credito alle sue parole, tranne il figlio. Deriso da tutti e morto senza poter provare ciò che affermava, quest’uomo lascia al figlio un’eredità importantissima, ancor più del mero denaro. Il sogno di Pazu, che non ha mai messo in dubbio le parole del padre, infatti, è trovare la leggendaria Laputa. Una speranza, simile a una fiammella, che alimenta la sua vita monotona. Sheeta, come il piccolo Pazu, ha perso entrambi i genitori in tenera età e l’esercito l’ha presa sotto custodia. Un giorno, però, mettendo a repentaglio la sua stessa vita, riesce a fuggire e, del tutto casualmente, mentre la cercano sia i soldati che i pirati del cielo, giunge presso la casa di Pazu. Da qui nasce il sodalizio e la promessa che li terrà legati insieme, così come il destino ha voluto: trovare Laputa, il mitico castello nel cielo, ed entrarvi mano nella mano. Le peripezie da affrontare saranno tante, ma grazie all’aiuto di Mama Dola e alla sua strampalata ciurma di pirati, sarà tutto più divertente e avventuroso.
Il cielo è il palcoscenico che ospita la nostra storia. Immersi in questo blu immenso, che ricorda molto il mare, attraversato da nuvole bianche e grigie, dominano mezzi di locomozione volanti di varia grandezza. Tra questi, il Goliath, che, quando solca il cielo tra le nubi, assomiglia tanto a un’orca in mezzo al mare. Tutti elementi che strizzano l’occhio alla narrativa fantastica steampunk e ci ricordano della passione per l'aviazione, esternata in "Si alza il vento", di Miyazaki. Al volante i nostri protagonisti, artefici di un’avventura unica, che cambierà per sempre le loro vite. Un’avventura per certi versi innovativa e che fa da preludio ad opere di più grande fama come “Il castello errante di Howl” e “La città incantata”. L’avventura è tutto e contribuisce a rendere la narrazione alquanto movimentata. Il ritmo è serrato e, tra un colpo di scena e l’altro, non c’è tempo per pensare. In questo, siamo molto lontani dal passo lento di un capolavoro come “Il mio vicino Totoro”. Molti rivolgimenti sono telefonati, ma lo stupore è sempre pronto a palesarsi sul volto dello spettatore, perché le animazioni sono stupende e di gran lunga superiori a tutto ciò che l’industria dell’animazione giapponese produceva in quegli anni, e le musiche, di strumenti a corda, tra cui il violino, e a fiato, come il flauto, riescono sempre a colpire nel segno. A dirigere l’orchestra il grandissimo Joe Hisaishi, icona dell’animazione giapponese anni ’80 - '90. L’arrivo a Laputa è magico. Il verde e il blu dominano i fondali, e ciò che più stupisce è la maturità dell’allora non ancora sensei, Hayao Miyazaki. Un talento senza pari, che riesce a dare il meglio di sé sia nelle animazioni, che nella sceneggiatura. Il finale è il carico da novanta e lascia due insegnamenti che non andrebbero mai dimenticati. Quando l’uomo è mosso dalla bramosia di potere e ricchezze, nulla di buono potrà accadere, come diceva il buon Lucrezio, e da allora sono intercorsi circa ventuno secoli. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, e questi poteri, materiali o immateriali che siano, l’uomo non è in grado di maneggiarli. Ancora una volta, Miyazaki riesce a fare centro.
In conclusione, “Laputa - Il castello nel cielo” è un film che ho apprezzato tantissimo. Trasuda Ghibli da ogni poro, nella scelta di puntare sulla componente amorosa e, ancor di più, su quella fantastica e, ovviamente, nelle animazioni. Specialità della casa, destinate a rimanere un must delle opere di Miyazaki. Adatto a tutti, ma soprattutto a chi cerca una storia avventurosa, verso una terra lontana.
Proiettati in questo mondo fantastico, grande marchio di fabbrica Ghibli, e a tratti distopico, facciamo la conoscenza dei due protagonisti. Pazu è un aiutante che lavora nella vicina miniera di carbone, dove la fatica è tanta e la soddisfazione poca. Orfano di entrambi i genitori, Pazu è un ragazzo umile, ma ambizioso, che vive nel mito del padre, colui che qualche tempo prima aveva visto Laputa, il mitico castello fluttuante nel cielo. Nonostante i continui racconti che se ne facevano, però, nessuno dette credito alle sue parole, tranne il figlio. Deriso da tutti e morto senza poter provare ciò che affermava, quest’uomo lascia al figlio un’eredità importantissima, ancor più del mero denaro. Il sogno di Pazu, che non ha mai messo in dubbio le parole del padre, infatti, è trovare la leggendaria Laputa. Una speranza, simile a una fiammella, che alimenta la sua vita monotona. Sheeta, come il piccolo Pazu, ha perso entrambi i genitori in tenera età e l’esercito l’ha presa sotto custodia. Un giorno, però, mettendo a repentaglio la sua stessa vita, riesce a fuggire e, del tutto casualmente, mentre la cercano sia i soldati che i pirati del cielo, giunge presso la casa di Pazu. Da qui nasce il sodalizio e la promessa che li terrà legati insieme, così come il destino ha voluto: trovare Laputa, il mitico castello nel cielo, ed entrarvi mano nella mano. Le peripezie da affrontare saranno tante, ma grazie all’aiuto di Mama Dola e alla sua strampalata ciurma di pirati, sarà tutto più divertente e avventuroso.
Il cielo è il palcoscenico che ospita la nostra storia. Immersi in questo blu immenso, che ricorda molto il mare, attraversato da nuvole bianche e grigie, dominano mezzi di locomozione volanti di varia grandezza. Tra questi, il Goliath, che, quando solca il cielo tra le nubi, assomiglia tanto a un’orca in mezzo al mare. Tutti elementi che strizzano l’occhio alla narrativa fantastica steampunk e ci ricordano della passione per l'aviazione, esternata in "Si alza il vento", di Miyazaki. Al volante i nostri protagonisti, artefici di un’avventura unica, che cambierà per sempre le loro vite. Un’avventura per certi versi innovativa e che fa da preludio ad opere di più grande fama come “Il castello errante di Howl” e “La città incantata”. L’avventura è tutto e contribuisce a rendere la narrazione alquanto movimentata. Il ritmo è serrato e, tra un colpo di scena e l’altro, non c’è tempo per pensare. In questo, siamo molto lontani dal passo lento di un capolavoro come “Il mio vicino Totoro”. Molti rivolgimenti sono telefonati, ma lo stupore è sempre pronto a palesarsi sul volto dello spettatore, perché le animazioni sono stupende e di gran lunga superiori a tutto ciò che l’industria dell’animazione giapponese produceva in quegli anni, e le musiche, di strumenti a corda, tra cui il violino, e a fiato, come il flauto, riescono sempre a colpire nel segno. A dirigere l’orchestra il grandissimo Joe Hisaishi, icona dell’animazione giapponese anni ’80 - '90. L’arrivo a Laputa è magico. Il verde e il blu dominano i fondali, e ciò che più stupisce è la maturità dell’allora non ancora sensei, Hayao Miyazaki. Un talento senza pari, che riesce a dare il meglio di sé sia nelle animazioni, che nella sceneggiatura. Il finale è il carico da novanta e lascia due insegnamenti che non andrebbero mai dimenticati. Quando l’uomo è mosso dalla bramosia di potere e ricchezze, nulla di buono potrà accadere, come diceva il buon Lucrezio, e da allora sono intercorsi circa ventuno secoli. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, e questi poteri, materiali o immateriali che siano, l’uomo non è in grado di maneggiarli. Ancora una volta, Miyazaki riesce a fare centro.
In conclusione, “Laputa - Il castello nel cielo” è un film che ho apprezzato tantissimo. Trasuda Ghibli da ogni poro, nella scelta di puntare sulla componente amorosa e, ancor di più, su quella fantastica e, ovviamente, nelle animazioni. Specialità della casa, destinate a rimanere un must delle opere di Miyazaki. Adatto a tutti, ma soprattutto a chi cerca una storia avventurosa, verso una terra lontana.
Incredibile e sbalorditivo.
A differenza di altri suoi film, qui Miyazaki comincia subito a narrare la vicenda con un impeto di avventura, e questo lo manifesta con spettacoli aerei acrobatici pieni di inseguimenti, combattimenti e pedinamenti. Qui emerge la passione di Miyazaki per il volo e l'aviazione, e la fa manifestare, crescere e poi esplodere in modo travolgente. A questo si unisce il desiderio di scoperta (soprattutto delle proprie origini), di riscatto e di trascendenza dei propri limiti che affascina l'essere umano e che lo porta a voler "aprire le ali" verso la propria libertà. Ma il Maestro ci mette in guardia e ci fa capire che tale desiderio deve essere esplorato a mano a mano che si esplora la realtà circostante e che bisogna tornare con i "piedi per terra" ("perché dalla terra veniamo e ad essa dobbiamo tornare", come spiegato dall'anziano della caverna). Questo ci viene fatto capire attraverso le vicende della trama che si dirama nei suoi molteplici aspetti e nei nuclei tematici tanto cari e importanti al Maestro, quale il disprezzo per la guerra e le conseguenze di un uso errato della scienza, della tecnologia e di un potere di cui non si conosce la vera natura e la vera funzione, mostrandoci come gli stessi abitanti di Laputa avessero deciso di abbandonare la città fluttuante perché consapevoli di tale sciagura. Il messaggio è la necessità di preservare l'equilibrio della natura, in questo caso di cielo e terra.
I personaggi sono a dir poco straordinari, pieni di vitalità e di fascino, così come di sottigliezza. I paesaggi sono stupendi e affascinanti e danno l'idea dell'immensità della natura e della minutezza dell'essere umano, che pretende di volerla assoggettare, controllare, dominare. Aggiungiamo poi che la colonna sonora è sublime; essa ci trasporta dalla terra al cielo e dà un senso di quiete e di pace unici.
Una fusione di avventura e di fantascienza, storia, mito, leggenda. Un capolavoro.
A differenza di altri suoi film, qui Miyazaki comincia subito a narrare la vicenda con un impeto di avventura, e questo lo manifesta con spettacoli aerei acrobatici pieni di inseguimenti, combattimenti e pedinamenti. Qui emerge la passione di Miyazaki per il volo e l'aviazione, e la fa manifestare, crescere e poi esplodere in modo travolgente. A questo si unisce il desiderio di scoperta (soprattutto delle proprie origini), di riscatto e di trascendenza dei propri limiti che affascina l'essere umano e che lo porta a voler "aprire le ali" verso la propria libertà. Ma il Maestro ci mette in guardia e ci fa capire che tale desiderio deve essere esplorato a mano a mano che si esplora la realtà circostante e che bisogna tornare con i "piedi per terra" ("perché dalla terra veniamo e ad essa dobbiamo tornare", come spiegato dall'anziano della caverna). Questo ci viene fatto capire attraverso le vicende della trama che si dirama nei suoi molteplici aspetti e nei nuclei tematici tanto cari e importanti al Maestro, quale il disprezzo per la guerra e le conseguenze di un uso errato della scienza, della tecnologia e di un potere di cui non si conosce la vera natura e la vera funzione, mostrandoci come gli stessi abitanti di Laputa avessero deciso di abbandonare la città fluttuante perché consapevoli di tale sciagura. Il messaggio è la necessità di preservare l'equilibrio della natura, in questo caso di cielo e terra.
I personaggi sono a dir poco straordinari, pieni di vitalità e di fascino, così come di sottigliezza. I paesaggi sono stupendi e affascinanti e danno l'idea dell'immensità della natura e della minutezza dell'essere umano, che pretende di volerla assoggettare, controllare, dominare. Aggiungiamo poi che la colonna sonora è sublime; essa ci trasporta dalla terra al cielo e dà un senso di quiete e di pace unici.
Una fusione di avventura e di fantascienza, storia, mito, leggenda. Un capolavoro.
Sono passati tanti anni, ma l’impressione è rimasta immutata: il primissimo film dello Studio Ghibli corrisponde a uno dei suoi migliori lavori in assoluto, un classico senza tempo, meraviglioso quarant’anni fa, come oggi.
Miyazaki sensei - grazie alla sofisticata e originale fantasia che da sempre lo contraddistingue - ci prende delicatamente per mano, portandoci ad ammirare paesaggi suggestivi dotati d’un tocco prettamente steampunk filtrato all’iconico setaccio degli anni ’80: le animazioni, fluide e piacevoli, strizzano l’occhio all’animalesco, avventuroso “Il fiuto di Sherlock Holmes”, anch’esso di matrice miyazakiana, ricche di rimandi al suo talento e al suo stile. Mezzi di locomozione meccanici e cigolanti, rotaie sospese, immense aeronavi a dominare i cieli, un avveniristico retrò dove tardo Ottocento e uno steam-style sofisticato degno del miglior Akira Toriyama (e dei suoi studi cartoon-meccanico-ingegneristici) riescono a dar vita a una fiaba a cavallo fra antichi misteri e qualcosa di simile a un precursore dei JRPG a cui si rifaranno, volendo, grandi capolavori videoludici come “Grandia”, i primi “Final Fantasy” e “Legend of Dragoon”.
In questo mondo ipoteticamente post-apocalittico, arcano, mesmerizzante e semi-desertico, troviamo i più classici dei protagonisti, una coppia di adolescenti pieni di coraggio pronti a sfidare sia il mondo intero sia le oscure avversità che continuano a braccarli, avvolti da un segreto celato in un’antica pietra azzurra (...) e in cerca di un ancestrale impero perso nelle nebbie dei tempi: un plot talmente eccitante e magico che la giovane e talentuosissima Gainax - al seguito di un gagliardo Hideaki Anno - sfrutterà rivisitandolo ampiamente e vestendolo d’una virtuosa uniforme jules-verniana, dando alla luce, circa cinque anni più avanti, il celebre e ancor più iconico “Nadia of Blue Seas”, conosciuto in terra nostra col titolo de “Il mistero della pietra azzurra”.
Venti mila leghe sopra i cieli, quindi.
Circondati da treni a vapore, oscure caverne, spaccati urbani a strapiombo nel vuoto e marchingegni volanti rappresentati con estrema perizia, troviamo Pazu, giovanissimo aiutante in una miniera di carbone e stagno, che una sera vede letteralmente piovere dal cielo una ragazza (probabilmente) coetanea, priva di sensi, capace di cadere lentamente come se stesse planando, ignorando la forza di gravità!
Il suo nome è Sheeta, graziosa fanciulla dalle lunghe trecce castane in fuga sia dall’esercito che da una banda di pirati tanto squinternata da ricordare il mitologico trio Drombo (e che ispirerà Grandis & compagnia in “Nadia of Blue Seas”); le forze in gioco, quindi, si ritrovano a caccia della ragazzina che al collo porta un antico e portentoso oggetto chiamato “aeropietra”, capace di far levitare nei cieli chi la indossi, contro le leggi della fisica.
La giovane, in compagnia del suo nuovo amichetto, come nelle più classiche epopee fantastiche intraprenderà così più una fuga che un vero e proprio viaggio, attraversando miniere arcaiche scavate in luoghi tanto antichi quanto consapevoli, lungo pendii scoscesi, fra nuvole di tempesta, fino a raggiungere luoghi leggendari che si pensavano perduti.
È un racconto di vuoti sterminati e cieli immensi, confusi in sfumature di azzurri audaci e indaco, riempiti da vapore, leggende terribili e lontane, nuvole infinite e strizzatine d’occhio alle mirabolanti invenzioni di Leonardo Da Vinci (l’ornitottero, l’uomo volante!), macchinari ad elica e similari. Si accenna addirittura ai viaggi di Gulliver e a un ipotetico mondo andato (poiché Laputa viene davvero citata nei celebri racconti di Jonathan Swift), ma le reali cause del declino delle civiltà precedenti sono invero ignote, mai narrate chiaramente, e il viaggio dei due giovanissimi avventurieri necessita di altre risposte.
Laputa è quindi il prototipo animato dell’agognata chimera atlantidea, la famosa, misteriosa città da qualche parte lassù nei cieli al di sopra di una terra desertica, devastata, che Pazu, figlio di un aviatore deceduto, cerca con tutte le sue forze per realizzare il sogno perduto del padre esploratore: un’eredità inevitabile e quasi spilberghiana che si rifà ai più canonici “Indiana Jones” o alle adolescenziali avventure in perfetto stile anni ’80 che hanno colorato l’infanzia di molti di noi. In questo scenario a metà fra concreto e astratto, oltre ai protagonisti al centro dell’azione e dell’evolversi della trama, menzioni particolari vanno senza dubbio a taluni personaggi secondari di un certo spessore come nonno Pom, decano minatore, colui che comprende più di ogni altro la pietra in quanto tale e i suoi poteri quasi sovrannaturali, esploratore e portatore d’antichi segreti che aiuterà i due ragazzi all’inizio dell’ardua epopea; ma, più di altri, saranno Dola e la sua cricca di aeropirati a tingere vividamente la tela di “Laputa”, character formidabili che rimarranno nel cuore degli spettatori per sempre.
Dalle animazioni all’attento studio dei fondali e dei paesaggi, ogni elemento di quest’opera d’arte rivela una grande qualità e minuziosità di rappresentazione, decisamente incredibili per l’epoca (alcune sequenze animate appaiono a dir poco superbe, tre spanne sopra la media animata del periodo e che non sfigurano neanche oggi), una vera gioia per gli occhi.
La storia, verso la parte finale, prende il volo in tutti i sensi, decolla all’indirizzo d’un ultimo terzo animato davvero favoloso, emotivamente intenso e accompagnato da una colonna sonora che nella sua interezza non è niente di eccezionale, ma, a sostegno del lungo, malinconico epilogo, regala comunque il meglio di sé, prendendo a braccetto scene memorabili e valorizzandole con note indimenticabili, da pelle d’oca, fino alla catarsi di un finale dolceamaro, non stupefacente bensì severo, eppure di grande impatto emotivo: un finale “giusto”, corretto, trasognante, una lezione di saggezza macchiata dalla sempiterna avidità umana.
Provate a godervelo in lingua originale sottotitolata, evitando accuratamente il demoniaco adattamento di Cannarsi: ne vale davvero la pena.
Tanti anni sono passati, ma i capolavori, se ancora servissero delle prove, rimangono immortali.
Miyazaki sensei - grazie alla sofisticata e originale fantasia che da sempre lo contraddistingue - ci prende delicatamente per mano, portandoci ad ammirare paesaggi suggestivi dotati d’un tocco prettamente steampunk filtrato all’iconico setaccio degli anni ’80: le animazioni, fluide e piacevoli, strizzano l’occhio all’animalesco, avventuroso “Il fiuto di Sherlock Holmes”, anch’esso di matrice miyazakiana, ricche di rimandi al suo talento e al suo stile. Mezzi di locomozione meccanici e cigolanti, rotaie sospese, immense aeronavi a dominare i cieli, un avveniristico retrò dove tardo Ottocento e uno steam-style sofisticato degno del miglior Akira Toriyama (e dei suoi studi cartoon-meccanico-ingegneristici) riescono a dar vita a una fiaba a cavallo fra antichi misteri e qualcosa di simile a un precursore dei JRPG a cui si rifaranno, volendo, grandi capolavori videoludici come “Grandia”, i primi “Final Fantasy” e “Legend of Dragoon”.
In questo mondo ipoteticamente post-apocalittico, arcano, mesmerizzante e semi-desertico, troviamo i più classici dei protagonisti, una coppia di adolescenti pieni di coraggio pronti a sfidare sia il mondo intero sia le oscure avversità che continuano a braccarli, avvolti da un segreto celato in un’antica pietra azzurra (...) e in cerca di un ancestrale impero perso nelle nebbie dei tempi: un plot talmente eccitante e magico che la giovane e talentuosissima Gainax - al seguito di un gagliardo Hideaki Anno - sfrutterà rivisitandolo ampiamente e vestendolo d’una virtuosa uniforme jules-verniana, dando alla luce, circa cinque anni più avanti, il celebre e ancor più iconico “Nadia of Blue Seas”, conosciuto in terra nostra col titolo de “Il mistero della pietra azzurra”.
Venti mila leghe sopra i cieli, quindi.
Circondati da treni a vapore, oscure caverne, spaccati urbani a strapiombo nel vuoto e marchingegni volanti rappresentati con estrema perizia, troviamo Pazu, giovanissimo aiutante in una miniera di carbone e stagno, che una sera vede letteralmente piovere dal cielo una ragazza (probabilmente) coetanea, priva di sensi, capace di cadere lentamente come se stesse planando, ignorando la forza di gravità!
Il suo nome è Sheeta, graziosa fanciulla dalle lunghe trecce castane in fuga sia dall’esercito che da una banda di pirati tanto squinternata da ricordare il mitologico trio Drombo (e che ispirerà Grandis & compagnia in “Nadia of Blue Seas”); le forze in gioco, quindi, si ritrovano a caccia della ragazzina che al collo porta un antico e portentoso oggetto chiamato “aeropietra”, capace di far levitare nei cieli chi la indossi, contro le leggi della fisica.
La giovane, in compagnia del suo nuovo amichetto, come nelle più classiche epopee fantastiche intraprenderà così più una fuga che un vero e proprio viaggio, attraversando miniere arcaiche scavate in luoghi tanto antichi quanto consapevoli, lungo pendii scoscesi, fra nuvole di tempesta, fino a raggiungere luoghi leggendari che si pensavano perduti.
È un racconto di vuoti sterminati e cieli immensi, confusi in sfumature di azzurri audaci e indaco, riempiti da vapore, leggende terribili e lontane, nuvole infinite e strizzatine d’occhio alle mirabolanti invenzioni di Leonardo Da Vinci (l’ornitottero, l’uomo volante!), macchinari ad elica e similari. Si accenna addirittura ai viaggi di Gulliver e a un ipotetico mondo andato (poiché Laputa viene davvero citata nei celebri racconti di Jonathan Swift), ma le reali cause del declino delle civiltà precedenti sono invero ignote, mai narrate chiaramente, e il viaggio dei due giovanissimi avventurieri necessita di altre risposte.
Laputa è quindi il prototipo animato dell’agognata chimera atlantidea, la famosa, misteriosa città da qualche parte lassù nei cieli al di sopra di una terra desertica, devastata, che Pazu, figlio di un aviatore deceduto, cerca con tutte le sue forze per realizzare il sogno perduto del padre esploratore: un’eredità inevitabile e quasi spilberghiana che si rifà ai più canonici “Indiana Jones” o alle adolescenziali avventure in perfetto stile anni ’80 che hanno colorato l’infanzia di molti di noi. In questo scenario a metà fra concreto e astratto, oltre ai protagonisti al centro dell’azione e dell’evolversi della trama, menzioni particolari vanno senza dubbio a taluni personaggi secondari di un certo spessore come nonno Pom, decano minatore, colui che comprende più di ogni altro la pietra in quanto tale e i suoi poteri quasi sovrannaturali, esploratore e portatore d’antichi segreti che aiuterà i due ragazzi all’inizio dell’ardua epopea; ma, più di altri, saranno Dola e la sua cricca di aeropirati a tingere vividamente la tela di “Laputa”, character formidabili che rimarranno nel cuore degli spettatori per sempre.
Dalle animazioni all’attento studio dei fondali e dei paesaggi, ogni elemento di quest’opera d’arte rivela una grande qualità e minuziosità di rappresentazione, decisamente incredibili per l’epoca (alcune sequenze animate appaiono a dir poco superbe, tre spanne sopra la media animata del periodo e che non sfigurano neanche oggi), una vera gioia per gli occhi.
La storia, verso la parte finale, prende il volo in tutti i sensi, decolla all’indirizzo d’un ultimo terzo animato davvero favoloso, emotivamente intenso e accompagnato da una colonna sonora che nella sua interezza non è niente di eccezionale, ma, a sostegno del lungo, malinconico epilogo, regala comunque il meglio di sé, prendendo a braccetto scene memorabili e valorizzandole con note indimenticabili, da pelle d’oca, fino alla catarsi di un finale dolceamaro, non stupefacente bensì severo, eppure di grande impatto emotivo: un finale “giusto”, corretto, trasognante, una lezione di saggezza macchiata dalla sempiterna avidità umana.
Provate a godervelo in lingua originale sottotitolata, evitando accuratamente il demoniaco adattamento di Cannarsi: ne vale davvero la pena.
Tanti anni sono passati, ma i capolavori, se ancora servissero delle prove, rimangono immortali.
Guardando "Laputa", ho avuto l'impressione che Miyazaki sia più abile nel raccontare fiabe che nel fare l'educatore. Senza nulla togliere a titoli come "Nausicaä della Valle del Vento" e "La Principessa Mononoke", i quali sono film emozionanti e di tutto rispetto, ho idea che il famoso regista giapponese scopra molto di più il fianco creando lungometraggi di pura denuncia sociale come quelli.
Del resto, creare un racconto divertente e disimpegnato come questo è più facile. "Laputa" non ci lascia nessun messaggio particolarmente profondo, e non pretende di farlo. Due ore di film per dire che, quando l'essere umano ha imparato a dominare l'aria è diventato molto più distruttivo di prima, e che perdere il legame con la Terra è la nostra rovina? Non proprio. Quello è solo il dessert, prima c'è tutta una serie di acrobazie rocambolesche per raggiungere l'isola che fluttua nel cielo.
Rispetto al suo predecessore "Nausicaä", questo film intrattiene molto di più, astenendosi dal creare molte aspettative. Qui allo Studio Ghibli fanno molto più i simpaticoni. Dopo averlo visto, ho immaginato Miyazaki come il Babbo Natale dell'animazione giapponese. Una specie di Walt Disney un po' più smaliziato e ingegnoso.
E come zio Walt usava prendere spunto da romanzi per creare molti dei suoi film, così ha fatto anche il nostro Hayao: "Laputa" richiama ai famosi viaggi di Gulliver, però il film del pluripremiato regista giapponese non ha nulla a che vedere con la satira di Jonathan Swift. Dal romanzo attinge solo l'idea esteriore di una città sospesa in aria, modus operandi tipico di molti autori giapponesi quando si ispirano alla letteratura occidentale.
La trama è piena zeppa di deus ex machina, ovviamente, e in questo genere di prodotto cinematografico i deus ex machina funzionano alla grande.
Interessante l'ambientazione, t'immerge in un'epoca di piena Rivoluzione Industriale. Il film inquadra uno stadio specifico del progresso tecnologico e, sul piano figurativo, gli eventi sono contestualizzati davvero bene. Sembra quasi creare delle atmosfere fantascientifiche alla Jules Verne.
Però, come in tutti i film di questo tipo, è più affascinante il viaggio stesso dell'arrivo. Nella sua fase finale, il film perde lievemente di attrattiva e s'incarta un po' su sé stesso.
Quindi è tutt'altro che un capolavoro, però è stato un piacere guardarlo. È come un buon piatto di pastasciutta con il sale, il pomodoro, il basilico e una spolverata di parmigiano. Saporito e facile da preparare: un sano momento di goduria che è lì solo per edonismo, senza toccare corde particolarmente profonde.
Del resto, creare un racconto divertente e disimpegnato come questo è più facile. "Laputa" non ci lascia nessun messaggio particolarmente profondo, e non pretende di farlo. Due ore di film per dire che, quando l'essere umano ha imparato a dominare l'aria è diventato molto più distruttivo di prima, e che perdere il legame con la Terra è la nostra rovina? Non proprio. Quello è solo il dessert, prima c'è tutta una serie di acrobazie rocambolesche per raggiungere l'isola che fluttua nel cielo.
Rispetto al suo predecessore "Nausicaä", questo film intrattiene molto di più, astenendosi dal creare molte aspettative. Qui allo Studio Ghibli fanno molto più i simpaticoni. Dopo averlo visto, ho immaginato Miyazaki come il Babbo Natale dell'animazione giapponese. Una specie di Walt Disney un po' più smaliziato e ingegnoso.
E come zio Walt usava prendere spunto da romanzi per creare molti dei suoi film, così ha fatto anche il nostro Hayao: "Laputa" richiama ai famosi viaggi di Gulliver, però il film del pluripremiato regista giapponese non ha nulla a che vedere con la satira di Jonathan Swift. Dal romanzo attinge solo l'idea esteriore di una città sospesa in aria, modus operandi tipico di molti autori giapponesi quando si ispirano alla letteratura occidentale.
La trama è piena zeppa di deus ex machina, ovviamente, e in questo genere di prodotto cinematografico i deus ex machina funzionano alla grande.
Interessante l'ambientazione, t'immerge in un'epoca di piena Rivoluzione Industriale. Il film inquadra uno stadio specifico del progresso tecnologico e, sul piano figurativo, gli eventi sono contestualizzati davvero bene. Sembra quasi creare delle atmosfere fantascientifiche alla Jules Verne.
Però, come in tutti i film di questo tipo, è più affascinante il viaggio stesso dell'arrivo. Nella sua fase finale, il film perde lievemente di attrattiva e s'incarta un po' su sé stesso.
Quindi è tutt'altro che un capolavoro, però è stato un piacere guardarlo. È come un buon piatto di pastasciutta con il sale, il pomodoro, il basilico e una spolverata di parmigiano. Saporito e facile da preparare: un sano momento di goduria che è lì solo per edonismo, senza toccare corde particolarmente profonde.
Nel 1985 Miyazaki fonda insieme ad Isao Takahata lo Studio Ghibli. Nonostante già il precedente “Nausicaa della valle del vento” fu concepito da quella che potremmo definire la formazione fondatrice del progetto, Studio Ghibli esordì ufficialmente nel 1986, quando, il 2 agosto delle stesso anno, nelle sale uscì “Laputa, il castello nel cielo”.
Sheeta si trova in un’aeronave, quando il velivolo viene attaccato da un gruppo di pirati dei cieli. La bambina, per sfuggire dalle grinfie dei predatori, precipita dal finestrino. Miracolosamente la pietra che porta al collo si illumina, facendola planare agiatamente tra le braccia del giovane Pazu. Il piccolo minatore ha un sogno: visitare Laputa, la misteriosa isola nel cielo di cui raccontava il suo defunto padre.
L’arcana pietra di Sheeta proviene proprio dalla misteriosa isola celeste, ed è per questo che ha catalizzato su di sé la bramosia del perfido Muska, comandante dei servizi segreti pronto a tutto pur di impossessarsi della gemma. È questo l’incipit della prima avventura targata Studio Ghibli, che nella sua semplicità “lirica” e complessità artistica riesce a coinvolgere trasversalmente qualsivoglia spettatore.
Nella sua classicità, la storia, liberamente ispirata a “L’isola del tesoro”, con rimandi a Jules Verne ed a “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift (Il nome Laputa è preso proprio da un’isola volante presente nel romanzo di Gulliver) funziona bene, non a caso ha a sua volta ispirato opere come “Nadia, il mistero della pietra azzurra”; tuttavia ho trovato alcuni passaggi decisamente precipitosi (come quando Sheeta riacquisisce i ricordi) e, nonostante la linearità della trama, il rischio di rimanere un tantino confusi è sempre dietro l’angolo. Il film supera ampiamente le due ore, il tempo di spalmare meglio alcune vicissitudini c’era tutto e si poteva/doveva far meglio da questo punto di vista, ma per fortuna, grazie a un ritmo convulso e ad una spettacolarità visiva sbalorditiva per l’epoca (e non solo), queste piccole sbavature hanno un peso specifico relativo sulla totalità dell’opera.
Le critiche che Miyazaki e Takahata elargiscono al genere umano sono al solito intelligenti e, pur muovendosi in campi già ampiamente sondati, non cadono mai nel becero moralismo. “Laputa, il castello nel cielo” è un tassello fondamentale dell’infinita sequenza miyazakiana basata sulla dicotomia uomo-natura, iniziata nel lontano 1979 con “Conan”, proseguita e innalzata dal monumentale “Princess Mononoke” nel 1997 e tuttora ancora in corso. I temi trattati quindi, dall’antimilitarismo all’ecologismo, dalla sete di potere alla regressione del progresso, portano avanti i vessilli già issati da “Conan il ragazzo del futuro” e “Nausicaa della valle del vento”.
A colpo d’occhio infatti il richiamo alla serie anime cult degli anni ‘80 “Conan il ragazzo del futuro” è scontato, d’altronde la produsse proprio il duo Miyazaki-Takahata. I protagonisti Sheeta e Pazu “ricordano” (per usare un eufemismo) Conan e Lana, e l’ambientazione post- apocalittica è praticamente la medesima, a metà tra fantasy e fantascienza. In questo limbo l’estro visionario di Miyazaki dà sfoggio di tutta la sua irrefrenabile ispirazione, danzando da buie e claustrofobiche miniere a luminosi scorci di etere. La perfetta fotografia di questo armonico contrasto è tutta in un’immagine: un gigantesco robot di ferraglia porge un fiore a Sheeta, alle loro spalle i raggi del sole trafiggono le rigogliose chiome verdi del bosco, illuminando di luce tenue il prato che calpestano; il chiarore mostra sull’armatura ferrea del robot del florido muschio. A differenza della natura ostile presente in “Mononoke Hime”, dove le azioni dell’uomo portavano spesso conseguenze catastrofiche (animali che mutavano in demoni), qui la natura si limita a modellarsi, conformandosi adeguatamente alle contaminazioni umane senza opporre resistenza. Un approccio meno maturo se vogliamo, ma, anche se in versione beta, la corrente filosofica abbracciata dall’autore è la stessa di “Princess Mononoke”:
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
L’elogio al lato artistico-tecnico è come sempre doveroso. La minuziosità con cui Miyazaki ha realizzato il tutto, dalle animazioni ai fondali, dai velivoli ai robot, è, al solito, maniacale. Memorabile la scena in cui Pazu e Sheeta, lanciati a bordo di un aliante malmesso, attraversano la tempesta per giungere a Laputa: sferzanti saette rosse reticolano lo schermo in un mosaico di impetuosa bellezza, incorniciato da una regia virtuosa. A risaltare il tutto la colonna sonora di Joe Hisashi, storico collaboratore di Hayao, che alterna motivi orecchiabili e leggeri ad altri più intensi e profondi. Su tutti spiccano le struggenti note di piano del tema “Laputa”.
Leggermente deficitaria la caratterizzazione dei personaggi. Se i più riusciti sono il vecchio Pom e indubbiamente Dola e il suo scapestrato equipaggio di pirati, a deludere è su tutti il villain. Soprattutto per gli standard a cui Miyazaki negli anni ci ha poi abituato. Muska risulta artificialmente malvagio, e la sua personalità non è approfondita al punto da giustificare cotanta perfidia, risultando poco più che una macchietta utile a non far andare tutto liscio.
Il cielo, tanto caro a Miyazaki, si rivela stavolta anche luogo ove apprendere oscure verità. Di Laputa infatti altro non resta che un immenso giardino e un robot che lo cura con ammirevole e poetica dedizione. Della popolazione tecnologicamente all’avanguardia nessuna traccia, solo una sconfinata tomba d’alberi.
A livello interpretativo, potremmo intendere la scomparsa della popolazione “celeste” come una sorta di presa di coscienza dell’essere terreno.
Avvicinarsi a dio e costruire città in cielo serve a poco, se non a soccombere soverchiato dalla tua stessa bramosia; il cielo affascina, ma per ora è la Terra il luogo dell’uomo.
“Laputa, il castello nel cielo” ha messo in atto una vera e propria rivoluzione tecnico-artistica nel cinema nipponico, spingendosi oltre la semplice animazione, resettando gli standard di qualità visiva. Ripreso e se vogliamo “superato” dai capolavori successivi dello Studio Ghibli, rappresenta, insieme ad “Akira” di Katsuhiro Otomo, il più influente anime della sua epoca.
Da recuperare.
Voto: 8
Sheeta si trova in un’aeronave, quando il velivolo viene attaccato da un gruppo di pirati dei cieli. La bambina, per sfuggire dalle grinfie dei predatori, precipita dal finestrino. Miracolosamente la pietra che porta al collo si illumina, facendola planare agiatamente tra le braccia del giovane Pazu. Il piccolo minatore ha un sogno: visitare Laputa, la misteriosa isola nel cielo di cui raccontava il suo defunto padre.
L’arcana pietra di Sheeta proviene proprio dalla misteriosa isola celeste, ed è per questo che ha catalizzato su di sé la bramosia del perfido Muska, comandante dei servizi segreti pronto a tutto pur di impossessarsi della gemma. È questo l’incipit della prima avventura targata Studio Ghibli, che nella sua semplicità “lirica” e complessità artistica riesce a coinvolgere trasversalmente qualsivoglia spettatore.
Nella sua classicità, la storia, liberamente ispirata a “L’isola del tesoro”, con rimandi a Jules Verne ed a “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift (Il nome Laputa è preso proprio da un’isola volante presente nel romanzo di Gulliver) funziona bene, non a caso ha a sua volta ispirato opere come “Nadia, il mistero della pietra azzurra”; tuttavia ho trovato alcuni passaggi decisamente precipitosi (come quando Sheeta riacquisisce i ricordi) e, nonostante la linearità della trama, il rischio di rimanere un tantino confusi è sempre dietro l’angolo. Il film supera ampiamente le due ore, il tempo di spalmare meglio alcune vicissitudini c’era tutto e si poteva/doveva far meglio da questo punto di vista, ma per fortuna, grazie a un ritmo convulso e ad una spettacolarità visiva sbalorditiva per l’epoca (e non solo), queste piccole sbavature hanno un peso specifico relativo sulla totalità dell’opera.
Le critiche che Miyazaki e Takahata elargiscono al genere umano sono al solito intelligenti e, pur muovendosi in campi già ampiamente sondati, non cadono mai nel becero moralismo. “Laputa, il castello nel cielo” è un tassello fondamentale dell’infinita sequenza miyazakiana basata sulla dicotomia uomo-natura, iniziata nel lontano 1979 con “Conan”, proseguita e innalzata dal monumentale “Princess Mononoke” nel 1997 e tuttora ancora in corso. I temi trattati quindi, dall’antimilitarismo all’ecologismo, dalla sete di potere alla regressione del progresso, portano avanti i vessilli già issati da “Conan il ragazzo del futuro” e “Nausicaa della valle del vento”.
A colpo d’occhio infatti il richiamo alla serie anime cult degli anni ‘80 “Conan il ragazzo del futuro” è scontato, d’altronde la produsse proprio il duo Miyazaki-Takahata. I protagonisti Sheeta e Pazu “ricordano” (per usare un eufemismo) Conan e Lana, e l’ambientazione post- apocalittica è praticamente la medesima, a metà tra fantasy e fantascienza. In questo limbo l’estro visionario di Miyazaki dà sfoggio di tutta la sua irrefrenabile ispirazione, danzando da buie e claustrofobiche miniere a luminosi scorci di etere. La perfetta fotografia di questo armonico contrasto è tutta in un’immagine: un gigantesco robot di ferraglia porge un fiore a Sheeta, alle loro spalle i raggi del sole trafiggono le rigogliose chiome verdi del bosco, illuminando di luce tenue il prato che calpestano; il chiarore mostra sull’armatura ferrea del robot del florido muschio. A differenza della natura ostile presente in “Mononoke Hime”, dove le azioni dell’uomo portavano spesso conseguenze catastrofiche (animali che mutavano in demoni), qui la natura si limita a modellarsi, conformandosi adeguatamente alle contaminazioni umane senza opporre resistenza. Un approccio meno maturo se vogliamo, ma, anche se in versione beta, la corrente filosofica abbracciata dall’autore è la stessa di “Princess Mononoke”:
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
L’elogio al lato artistico-tecnico è come sempre doveroso. La minuziosità con cui Miyazaki ha realizzato il tutto, dalle animazioni ai fondali, dai velivoli ai robot, è, al solito, maniacale. Memorabile la scena in cui Pazu e Sheeta, lanciati a bordo di un aliante malmesso, attraversano la tempesta per giungere a Laputa: sferzanti saette rosse reticolano lo schermo in un mosaico di impetuosa bellezza, incorniciato da una regia virtuosa. A risaltare il tutto la colonna sonora di Joe Hisashi, storico collaboratore di Hayao, che alterna motivi orecchiabili e leggeri ad altri più intensi e profondi. Su tutti spiccano le struggenti note di piano del tema “Laputa”.
Leggermente deficitaria la caratterizzazione dei personaggi. Se i più riusciti sono il vecchio Pom e indubbiamente Dola e il suo scapestrato equipaggio di pirati, a deludere è su tutti il villain. Soprattutto per gli standard a cui Miyazaki negli anni ci ha poi abituato. Muska risulta artificialmente malvagio, e la sua personalità non è approfondita al punto da giustificare cotanta perfidia, risultando poco più che una macchietta utile a non far andare tutto liscio.
Il cielo, tanto caro a Miyazaki, si rivela stavolta anche luogo ove apprendere oscure verità. Di Laputa infatti altro non resta che un immenso giardino e un robot che lo cura con ammirevole e poetica dedizione. Della popolazione tecnologicamente all’avanguardia nessuna traccia, solo una sconfinata tomba d’alberi.
A livello interpretativo, potremmo intendere la scomparsa della popolazione “celeste” come una sorta di presa di coscienza dell’essere terreno.
Avvicinarsi a dio e costruire città in cielo serve a poco, se non a soccombere soverchiato dalla tua stessa bramosia; il cielo affascina, ma per ora è la Terra il luogo dell’uomo.
“Laputa, il castello nel cielo” ha messo in atto una vera e propria rivoluzione tecnico-artistica nel cinema nipponico, spingendosi oltre la semplice animazione, resettando gli standard di qualità visiva. Ripreso e se vogliamo “superato” dai capolavori successivi dello Studio Ghibli, rappresenta, insieme ad “Akira” di Katsuhiro Otomo, il più influente anime della sua epoca.
Da recuperare.
Voto: 8
Questo è il film d'animazione che avrebbe voluto fare Giulio Verne dopo aver letto "L'isola del tesoro", magari affidando il mecha design ad Albert Robida! Ma ai tempi di questi signori, i pionieri della fantascienza, il cinema non era ancora nato o vi erano stati posti solamente i primi rudimenti, e così la palla passa nelle mani di Hayao Miyazaki, spinto dalla Tokuma a realizzare un secondo lungometraggio, pregandolo però di lasciare da parte futuri distopici e insetti giganti; ma non perdendo l'occasione per condannare - per l'ennesima volta - l'uso bellico dell'energia nucleare. L'intento di Miya-san, Paku-san e Toru Hara era quello di sfornare film d'animazione interessanti: non cartoons per adulti come quelli di Bakshi, non zuccherose fiabe per famiglie come soleva fare Walt Disney, e neppure opere cariche di retorica come quelle concepite dal connazionale Osamu Tezuka; ma solo film interessanti. La componente esplorativa, gli inseguimenti mozzafiato con veicoli sferraglianti e i numerosi richiami ai fondamenti dell'ecologia ne fanno un must sia per gli amanti del genere avventuroso sia per gli idolatri del fantasy, così come per i palati delicati che elevano lo steampunk nel novero delle maggiori correnti artistiche nate nel corso del millennio appena passato. Sebbene il titolo prenda il nome dall'isola fluttuante visitata da Gulliver, più che dal ciclo romanzesco di Robert L. Stevenson, l'idea di un misterioso monile dai poteri incontrollabili e devastanti, e ricercato da chi vuol conquistare il mondo, sembra essere stata certamente ispirata dalla saga della Compagnia dell'anello: le suggestive immagini della sigla d'apertura (rese come antiche stampe ottocentesche) che mostrano la maestosa città volante nel pieno del suo splendore, ricordano in tutto e per tutto la Minas Tirith descritta nella Terra di Mezzo; anche la visione delle miniere sotterranee riportano alla mente l'oscuro capitolo della creazione delle fucine di Saruman, che rappresentano l'industrializzazione su larga scala e la conseguente devastazione delle foreste circostanti. Ma non solo, Sheeta dice di provenire da un regno dal nome molto famigliare e riconosciuto al primo colpo dallo stuolo di tolkieniani sparsi per il mondo: Gondoa (translitterazione alla giapponese di Gondor). Parte dei magnifici fondali, dalle tinte calde e rassicuranti, si rifanno ai ridenti paesaggi collinari del Galles e ai decadenti villaggi dormitorio abbandonati dai minatori, visitati e fotografati da Miyazaki stesso (e qui il regista comincia a chiedersi se ne è valsa la pena violentare la natura fino a quel punto, spianando montagne e radendo al suolo prati e boschi, pur sapendo che, prima o poi, i filoni sarebbero andati a esaurirsi).
L'età dei protagonisti viene abbassata rispetto a quelli di "Nausicaä" e il chara di Tsukasa Tannai nel complesso si rivela un po' più basilare di quello di Komatsubara, ma comunque fedele ai settei preparati da Miyazaki. La qualità dell'animazione ha subito invece un netto miglioramento, e le scenografie di Nizo Yamamoto, in taluni casi, raggiungono la quintessenza. Le nuvole di Katsu Hisamura appaiono talmente realistiche e soffici da volerle quasi toccare con mano. Yoshinori Kanada realizza una delle sequenze cult del patrimonio cinematografico nipponico: la tempesta magnetica di fulmini, montata inframezzando i segmenti a colori con i suoi tradizionali flash in bianco e nero, trasuda di dinamismo e tensione. Come dimenticare, inoltre, la forsennata fuga tra ponti pericolanti ad altezze vertiginose e gallerie in disuso usate dalle maestranze, con i baldanzosi pirati dell'aria (gemellati con la scapestrata ciurma del Barracuda di "Conan") da una parte e le truppe corazzate dell'esercito dall'altra (comandati da un losco individuo megalomane, se vogliamo ancor più odioso di Lepka). Vi sono decine e decine di codeste e altre non meno memorabili scene d'azione, azione pura che non si vedrà più, nemmeno nelle ultime fatiche dello studio, summa e tripudio di un decennio dove imperavano sfumature fluo, colori marcati, esagerazioni stilistiche e personalismi che sfoceranno nella nascita del convulsissimo mercato dei famigerati Original Anime Video. (I virtuosismi di Kanada andarono via via rarefacendosi sempre più, fino a scomparire del tutto in "Mononoke Hime": la sua mano si dovette adeguare ai gusti della massa). Anche nella ricerca storica per rendere al meglio oggettistica e armi dell'epoca il Maestro non scherza affatto: questa dimensione alternativa dell'800 mette in bella mostra squadroni di aeronavi e mezzi di locomozione a vapore che sembrano essere usciti da un padiglione dell'Esposizione Universale di Parigi o dai fantastici viaggi dell'eroe/inventore Frank Reade; gli automi a guardia dei giardini della città volante sono stati presi in prestito da un vetusto cortometraggio (ma assai noto tra i cultori della sci-fi anni '50) di Superman a opera dei Fleischer. I centinaia di ingranaggi che fanno muovere i velivoli sono stati riprodotti in maniera così minuziosa che, osservandoli bene, si potrebbe costruire un vero e proprio aeroplano fatto in casa.
Come sia riuscito a incastrare alla perfezione tutti questi tasselli in un image-board in poco più di un anno, nessuno lo sa. Ogni volta che lo si riguarda si scopre qualche particolare che nelle precedenti visioni era passato inosservato.
Il finale segue la classica liturgia di Miyazaki, pessimista come sempre, e come lo erano Verne e H.G. Wells. La cattiva tecnologia che viene distrutta e la natura che continua il suo corso sono da sempre il suo "Andate in pace".
L'età dei protagonisti viene abbassata rispetto a quelli di "Nausicaä" e il chara di Tsukasa Tannai nel complesso si rivela un po' più basilare di quello di Komatsubara, ma comunque fedele ai settei preparati da Miyazaki. La qualità dell'animazione ha subito invece un netto miglioramento, e le scenografie di Nizo Yamamoto, in taluni casi, raggiungono la quintessenza. Le nuvole di Katsu Hisamura appaiono talmente realistiche e soffici da volerle quasi toccare con mano. Yoshinori Kanada realizza una delle sequenze cult del patrimonio cinematografico nipponico: la tempesta magnetica di fulmini, montata inframezzando i segmenti a colori con i suoi tradizionali flash in bianco e nero, trasuda di dinamismo e tensione. Come dimenticare, inoltre, la forsennata fuga tra ponti pericolanti ad altezze vertiginose e gallerie in disuso usate dalle maestranze, con i baldanzosi pirati dell'aria (gemellati con la scapestrata ciurma del Barracuda di "Conan") da una parte e le truppe corazzate dell'esercito dall'altra (comandati da un losco individuo megalomane, se vogliamo ancor più odioso di Lepka). Vi sono decine e decine di codeste e altre non meno memorabili scene d'azione, azione pura che non si vedrà più, nemmeno nelle ultime fatiche dello studio, summa e tripudio di un decennio dove imperavano sfumature fluo, colori marcati, esagerazioni stilistiche e personalismi che sfoceranno nella nascita del convulsissimo mercato dei famigerati Original Anime Video. (I virtuosismi di Kanada andarono via via rarefacendosi sempre più, fino a scomparire del tutto in "Mononoke Hime": la sua mano si dovette adeguare ai gusti della massa). Anche nella ricerca storica per rendere al meglio oggettistica e armi dell'epoca il Maestro non scherza affatto: questa dimensione alternativa dell'800 mette in bella mostra squadroni di aeronavi e mezzi di locomozione a vapore che sembrano essere usciti da un padiglione dell'Esposizione Universale di Parigi o dai fantastici viaggi dell'eroe/inventore Frank Reade; gli automi a guardia dei giardini della città volante sono stati presi in prestito da un vetusto cortometraggio (ma assai noto tra i cultori della sci-fi anni '50) di Superman a opera dei Fleischer. I centinaia di ingranaggi che fanno muovere i velivoli sono stati riprodotti in maniera così minuziosa che, osservandoli bene, si potrebbe costruire un vero e proprio aeroplano fatto in casa.
Come sia riuscito a incastrare alla perfezione tutti questi tasselli in un image-board in poco più di un anno, nessuno lo sa. Ogni volta che lo si riguarda si scopre qualche particolare che nelle precedenti visioni era passato inosservato.
Il finale segue la classica liturgia di Miyazaki, pessimista come sempre, e come lo erano Verne e H.G. Wells. La cattiva tecnologia che viene distrutta e la natura che continua il suo corso sono da sempre il suo "Andate in pace".
“Laputa - Castello nel cielo” (titolo originale “Tenkū no shiro Laputa”), film d’animazione del 1986, è il terzo lungometraggio diretto da Hayao Miyazaki e il primo prodotto dallo Studio Ghibli.
Trama: in seguito a un attacco di pirati all'aeronave di cui è passeggera, la piccola Sheeta cade fuoribordo, ma, grazie ai misteriosi poteri del cristallo che porta al collo, fluttua lentamente verso la terraferma, fino ad adagiarsi dolcemente tra le braccia di Pazu, giovane meccanico in una miniera.
Tuttavia, non trascorrerà molto tempo prima che i due ragazzini siano costretti a intraprendere uno spericolato viaggio, la cui forza motrice è rappresentata proprio da Laputa, un’immensa isola volante considerata una leggenda dai più, i cui tesori e le cui avanzatissime tecnologie perdute fanno gola a uno stuolo di determinati inseguitori.
A differenza del precedente “Nausicaä della Valle del vento”, quest’opera è strutturata come una avventura di stampo più classico, di cui mantiene alcuni stilemi cari al genere: l’incontro fortuito tra i protagonisti, la tematica del viaggio, sia fisico che spirituale, una narrazione più dinamica e rocambolesca e dei veri e propri antagonisti che contendono agli eroi il premio finale.
Si ripresentano, in maniera meno spudorata e insistente, anche gli argomenti di riflessione tipici di Miyazaki, affrontati stavolta con un focus meno generico: la condanna al genere umano, alla sua sete di potere e alla sua volontà di predominio su tutte le forme di vita perde i toni di universalità, per concentrarsi su quegli individui dotati di rara arroganza e incapaci di apprezzare il valore di ogni esistenza, anche la più minuta.
Laputa stessa, patria di una civiltà ormai estinta, è il tragico simbolo di un popolo che si è elevato al di sopra di tutti gli altri, governando il mondo con il proprio devastante potere. Il tema del volo, del potersi librare nel cielo a proprio piacimento per raggiungere una dimensione nuova e superiore, con tutte le conseguenze che questo comporta, è portato agli estremi: da un lato, possiamo assaporare l'adrenalinica sensazione di libertà dovuta allo sferzare del vento sul viso e all'oltrepassare ogni limite biologico, dall'altro, si afferma la necessità che l’uomo non si separi mai completamente dalle proprie radici, dalla Terra e dalla natura. Quest’ultima, inoltre, è talmente forte e inarrestabile da riuscire a riappropriarsi, in un modo o nell'altro, del proprio spazio nel mondo, arrivando a sopraffare anche il più elaborato dei templi della scienza.
Non ultimo, si affaccia anche il ripudio del militarismo esasperato e dell’avidità, in grado di portare solo distruzione e morte all'uomo, il quale, vanaglorioso e accecato dalla cupidigia, aspira a innalzarsi sempre più in alto, quasi a raggiungere uno stadio di divinità, ignaro che siano proprio i suoi desideri terreni a incatenarlo a un abisso di malvagità e perdizione da cui è impossibile sfuggire.
“Laputa - Castello nel cielo” è un’opera sensibilmente più corale di “Nausicaä della Valle del vento”: non si cerca di concentrare tutte le doti positive in un unico personaggio e vi sono molte figure leggermente più approfondite psicologicamente, anche se il livello di introspezione resta superficiale.
Sheeta è una bambina molto dolce e affettuosa, ma viene sovente evidenziato come sia anche molto spaventata e pronta a scappare dalle proprie responsabilità, pur di vivere una vita serena e lontana da ogni male e dall'angoscia. Pazu è un giovanotto determinato e coraggioso, spinto dal desiderio di riabilitare il nome del proprio padre. Le interazioni tra i due protagonisti sono incredibilmente dolci e genuine, capaci di smuovere persino l’inaridito cuore di una banda di simpatici pirati. Gli antagonisti, al contrario, sebbene mossi da obiettivi opposti, sono spietati, irredimibili e terribilmente credibili.
Da sottolineare la maestria nel mostrare le emozioni dei personaggi, sia principali che secondari, capace di conferire una straziante umanità anche ad automi progettati come armi di distruzione di massa.
Il film è tecnicamente superbo: le animazioni sono di alto livello e al delicato design dei personaggi, molto più vario che in precedenza, sono affiancati fondali ricchi di dettagli ed estremamente variegati: il setting, ad esclusione delle immancabili aeronavi, è realistico e ispirato all'Europa del primo Novecento, e contrappone i piccoli casolari in legno e pietra dei villaggi minerari a cupe fortezze militari e, soprattutto, alla grandiosa e magnifica Laputa, una città fluttuante caratterizzata da ambienti futuristici, cupi e lineari, e rovine ricoperte di piante e rampicanti, che le donano un tocco di pura poesia visiva, oltre a rafforzare la sensazione di una dimensione temporale sospesa, indefinita ed eterna. Vi è anche una grande cura per gli effetti di luce.
La colonna sonora asseconda ogni sequenza alla perfezione, orecchiabile e scherzosa nei momenti più prettamente comici e solenne e maestosa nei momenti più drammatici ed emozionanti. Il doppiaggio e l'adattamento italiani del 2012 sono ottimi, precisi ed espressivi. La regia, ancora una volta, concede allo spettatore il tempo necessario per lasciarsi incantare dalle meravigliose scenografie, per preferire un ritmo più elevato nelle scene d’azione, davvero esplosive e spettacolari.
“Laputa - Castello nel cielo” è una storia semplice e lineare, ma che mostra tutta la propria forza nella realizzazione di uno stupefacente coinvolgimento emotivo, nel presentare su schermo un insieme di personaggi interessanti e simpatici, con cui è facile creare un rapporto empatico, e nell'esprimere un messaggio di fondo forse banale, ma non per questo non valido. Lontano dall'essere un’opera destinata unicamente a un pubblico di infanti, non risparmia scene molto dure e oscure e dichiarazioni di pura crudeltà e megalomania. Il mistero che si cela dietro la fine della civiltà di Laputa non fa altro che aumentare il fascino di questo lungometraggio, che rapisce lo spettatore fin dal primo momento con la propria magia.
Trama: in seguito a un attacco di pirati all'aeronave di cui è passeggera, la piccola Sheeta cade fuoribordo, ma, grazie ai misteriosi poteri del cristallo che porta al collo, fluttua lentamente verso la terraferma, fino ad adagiarsi dolcemente tra le braccia di Pazu, giovane meccanico in una miniera.
Tuttavia, non trascorrerà molto tempo prima che i due ragazzini siano costretti a intraprendere uno spericolato viaggio, la cui forza motrice è rappresentata proprio da Laputa, un’immensa isola volante considerata una leggenda dai più, i cui tesori e le cui avanzatissime tecnologie perdute fanno gola a uno stuolo di determinati inseguitori.
A differenza del precedente “Nausicaä della Valle del vento”, quest’opera è strutturata come una avventura di stampo più classico, di cui mantiene alcuni stilemi cari al genere: l’incontro fortuito tra i protagonisti, la tematica del viaggio, sia fisico che spirituale, una narrazione più dinamica e rocambolesca e dei veri e propri antagonisti che contendono agli eroi il premio finale.
Si ripresentano, in maniera meno spudorata e insistente, anche gli argomenti di riflessione tipici di Miyazaki, affrontati stavolta con un focus meno generico: la condanna al genere umano, alla sua sete di potere e alla sua volontà di predominio su tutte le forme di vita perde i toni di universalità, per concentrarsi su quegli individui dotati di rara arroganza e incapaci di apprezzare il valore di ogni esistenza, anche la più minuta.
Laputa stessa, patria di una civiltà ormai estinta, è il tragico simbolo di un popolo che si è elevato al di sopra di tutti gli altri, governando il mondo con il proprio devastante potere. Il tema del volo, del potersi librare nel cielo a proprio piacimento per raggiungere una dimensione nuova e superiore, con tutte le conseguenze che questo comporta, è portato agli estremi: da un lato, possiamo assaporare l'adrenalinica sensazione di libertà dovuta allo sferzare del vento sul viso e all'oltrepassare ogni limite biologico, dall'altro, si afferma la necessità che l’uomo non si separi mai completamente dalle proprie radici, dalla Terra e dalla natura. Quest’ultima, inoltre, è talmente forte e inarrestabile da riuscire a riappropriarsi, in un modo o nell'altro, del proprio spazio nel mondo, arrivando a sopraffare anche il più elaborato dei templi della scienza.
Non ultimo, si affaccia anche il ripudio del militarismo esasperato e dell’avidità, in grado di portare solo distruzione e morte all'uomo, il quale, vanaglorioso e accecato dalla cupidigia, aspira a innalzarsi sempre più in alto, quasi a raggiungere uno stadio di divinità, ignaro che siano proprio i suoi desideri terreni a incatenarlo a un abisso di malvagità e perdizione da cui è impossibile sfuggire.
“Laputa - Castello nel cielo” è un’opera sensibilmente più corale di “Nausicaä della Valle del vento”: non si cerca di concentrare tutte le doti positive in un unico personaggio e vi sono molte figure leggermente più approfondite psicologicamente, anche se il livello di introspezione resta superficiale.
Sheeta è una bambina molto dolce e affettuosa, ma viene sovente evidenziato come sia anche molto spaventata e pronta a scappare dalle proprie responsabilità, pur di vivere una vita serena e lontana da ogni male e dall'angoscia. Pazu è un giovanotto determinato e coraggioso, spinto dal desiderio di riabilitare il nome del proprio padre. Le interazioni tra i due protagonisti sono incredibilmente dolci e genuine, capaci di smuovere persino l’inaridito cuore di una banda di simpatici pirati. Gli antagonisti, al contrario, sebbene mossi da obiettivi opposti, sono spietati, irredimibili e terribilmente credibili.
Da sottolineare la maestria nel mostrare le emozioni dei personaggi, sia principali che secondari, capace di conferire una straziante umanità anche ad automi progettati come armi di distruzione di massa.
Il film è tecnicamente superbo: le animazioni sono di alto livello e al delicato design dei personaggi, molto più vario che in precedenza, sono affiancati fondali ricchi di dettagli ed estremamente variegati: il setting, ad esclusione delle immancabili aeronavi, è realistico e ispirato all'Europa del primo Novecento, e contrappone i piccoli casolari in legno e pietra dei villaggi minerari a cupe fortezze militari e, soprattutto, alla grandiosa e magnifica Laputa, una città fluttuante caratterizzata da ambienti futuristici, cupi e lineari, e rovine ricoperte di piante e rampicanti, che le donano un tocco di pura poesia visiva, oltre a rafforzare la sensazione di una dimensione temporale sospesa, indefinita ed eterna. Vi è anche una grande cura per gli effetti di luce.
La colonna sonora asseconda ogni sequenza alla perfezione, orecchiabile e scherzosa nei momenti più prettamente comici e solenne e maestosa nei momenti più drammatici ed emozionanti. Il doppiaggio e l'adattamento italiani del 2012 sono ottimi, precisi ed espressivi. La regia, ancora una volta, concede allo spettatore il tempo necessario per lasciarsi incantare dalle meravigliose scenografie, per preferire un ritmo più elevato nelle scene d’azione, davvero esplosive e spettacolari.
“Laputa - Castello nel cielo” è una storia semplice e lineare, ma che mostra tutta la propria forza nella realizzazione di uno stupefacente coinvolgimento emotivo, nel presentare su schermo un insieme di personaggi interessanti e simpatici, con cui è facile creare un rapporto empatico, e nell'esprimere un messaggio di fondo forse banale, ma non per questo non valido. Lontano dall'essere un’opera destinata unicamente a un pubblico di infanti, non risparmia scene molto dure e oscure e dichiarazioni di pura crudeltà e megalomania. Il mistero che si cela dietro la fine della civiltà di Laputa non fa altro che aumentare il fascino di questo lungometraggio, che rapisce lo spettatore fin dal primo momento con la propria magia.
"Laputa, il castello nel cielo" non è, a mio avviso, una delle opere migliori create dal maestro Hayao Miyazaki. Per carità, non si tratta un brutto film, ma stavolta la montagna sembra aver partorito il classico topolino, cosa che nella pratica si sostanzia in un lavoro che, per personaggi e temi trattati, non riesce a colpire particolarmente lo spettatore, come succede, invece, in altri film dello stesso Miyazaki. Si tratta, quindi, di un ottimo prodotto per famiglie, che piacerà particolarmente ai bambini; ma, se vogliamo trovarci di più, dobbiamo davvero impegnarci tanto, per ottenere comunque davvero molto poco dalla nostra ricerca.
"Laputa, il castello nel cielo" narra la fuga avventurosa di Sheeta e Pazu, braccati dall'esercito e da una stramba banda di banditi. Il motivo di questa caccia è uno strano medaglione che la ragazzina porta sempre con sé e che sembra essere legato, in qualche modo, a Laputa, una leggendaria fortezza volante che diversi secoli prima avrebbe dominato il mondo sottostante. Pazu, da parte sua, è sempre stato affascinato dal mito del castello nel cielo, da quando suo padre ne aveva scattato una fotografia anni addietro, e ambisce a raggiungerlo per provare al mondo la sua esistenza; prima di ogni cosa, però, viene la sicurezza di Sheeta, e il ragazzo farà letteralmente i salti mortali per garantire la sua incolumità.
In "Laputa" vengono riproposti molti dei temi cari al maestro Miyazaki: l'amore per la natura e per il volo, il pessimismo verso la natura dell'uomo, specie se adulto, i messaggi di pace e speranza. Molti di questi, però, sono appena abbozzati e non hanno la profondità che invece abbiamo ammirato altrove. Le sue idee ecologiste, ad esempio, erano già state trattate da Miyazaki in "Nausicaa della valle del vento", ma avevano un impatto sullo spettatore decisamente superiore rispetto a quanto accade in questo caso.
Ma il vero tasto dolente, a mio avviso, è rappresentato dai personaggi: se si eccettua la banda di banditi, tutti sembrano assomigliare un po' troppo a quelli già visti in "Conan, il ragazzo del futuro"; Pazu e Sheeta, in particolare, sono delle figure molto simili, per comportamento, agilità e situazioni in cui vengono coinvolti, a Conan e Lana. Questo non significa che siano personaggi terribili, ma solo che non aggiungono nessun elemento di novità a quanto prodotto fino a quel momento dal grande autore giapponese.
Qualcuno ha, inoltre, affermato che tra i difetti di questo film ci sarebbe anche quello di possedere una sceneggiatura molto scarna; personalmente non la penso così, in quanto, obiettivamente, nel corso del film accadono tante cose e lo spettatore sicuramente non si annoierà a guardarlo. E' solo che "Laputa" non stuzzica la mente, non lancia grandi messaggi su cui riflettere; questo però, come dicevo all'inizio, non ne fa un brutto film, ma solo un film piacevole da guardare e basta. E da Miyazaki, in genere, ci si aspetta più di questo.
Sono stato molto combattuto in sede di valutazione, proprio per i motivi che ho spiegato in precedenza; alla fine ho scelto di attribuirgli un voto moderatamente positivo, perché il film si lascia comunque guardare, ha delle delle qualità che altri film dello stesso genere non hanno e per la stima che nutro nei confronti di questo grande maestro dell'animazione. Ogni volta che si guarda un film di Miyazaki, questo lo si confronta sempre con gli altri film dello stesso autore e, sebbene questo sia naturale, ciò finisce per diventare un metro troppo severo di giudizio: se guardiamo oltre Miyazaki, difficilmente troviamo cinema d'animazione di qualità dello stesso livello. E questo anche se quello che si sta giudicando non è una delle sue opere meglio riuscite.
"Laputa, il castello nel cielo" narra la fuga avventurosa di Sheeta e Pazu, braccati dall'esercito e da una stramba banda di banditi. Il motivo di questa caccia è uno strano medaglione che la ragazzina porta sempre con sé e che sembra essere legato, in qualche modo, a Laputa, una leggendaria fortezza volante che diversi secoli prima avrebbe dominato il mondo sottostante. Pazu, da parte sua, è sempre stato affascinato dal mito del castello nel cielo, da quando suo padre ne aveva scattato una fotografia anni addietro, e ambisce a raggiungerlo per provare al mondo la sua esistenza; prima di ogni cosa, però, viene la sicurezza di Sheeta, e il ragazzo farà letteralmente i salti mortali per garantire la sua incolumità.
In "Laputa" vengono riproposti molti dei temi cari al maestro Miyazaki: l'amore per la natura e per il volo, il pessimismo verso la natura dell'uomo, specie se adulto, i messaggi di pace e speranza. Molti di questi, però, sono appena abbozzati e non hanno la profondità che invece abbiamo ammirato altrove. Le sue idee ecologiste, ad esempio, erano già state trattate da Miyazaki in "Nausicaa della valle del vento", ma avevano un impatto sullo spettatore decisamente superiore rispetto a quanto accade in questo caso.
Ma il vero tasto dolente, a mio avviso, è rappresentato dai personaggi: se si eccettua la banda di banditi, tutti sembrano assomigliare un po' troppo a quelli già visti in "Conan, il ragazzo del futuro"; Pazu e Sheeta, in particolare, sono delle figure molto simili, per comportamento, agilità e situazioni in cui vengono coinvolti, a Conan e Lana. Questo non significa che siano personaggi terribili, ma solo che non aggiungono nessun elemento di novità a quanto prodotto fino a quel momento dal grande autore giapponese.
Qualcuno ha, inoltre, affermato che tra i difetti di questo film ci sarebbe anche quello di possedere una sceneggiatura molto scarna; personalmente non la penso così, in quanto, obiettivamente, nel corso del film accadono tante cose e lo spettatore sicuramente non si annoierà a guardarlo. E' solo che "Laputa" non stuzzica la mente, non lancia grandi messaggi su cui riflettere; questo però, come dicevo all'inizio, non ne fa un brutto film, ma solo un film piacevole da guardare e basta. E da Miyazaki, in genere, ci si aspetta più di questo.
Sono stato molto combattuto in sede di valutazione, proprio per i motivi che ho spiegato in precedenza; alla fine ho scelto di attribuirgli un voto moderatamente positivo, perché il film si lascia comunque guardare, ha delle delle qualità che altri film dello stesso genere non hanno e per la stima che nutro nei confronti di questo grande maestro dell'animazione. Ogni volta che si guarda un film di Miyazaki, questo lo si confronta sempre con gli altri film dello stesso autore e, sebbene questo sia naturale, ciò finisce per diventare un metro troppo severo di giudizio: se guardiamo oltre Miyazaki, difficilmente troviamo cinema d'animazione di qualità dello stesso livello. E questo anche se quello che si sta giudicando non è una delle sue opere meglio riuscite.
<b>Attenzione: la recensione contiene spoiler</b>
"L'uomo deve restare legato alla terra."
Curioso come proprio un appassionato di macchine volanti faccia dire questa frase a Sheeta. Nel breve, grandioso, incipit di "Laputa", dove vengono mostrati i titoli di testa, viene anche dipinta sommariamente un'umanità che cresce imbrigliando la forza del vento. La presentazione, grazie anche a una colonna sonora particolarmente ispirata, è estremamente suggestiva e si assiste con fascino a questo breve e intenso mito della fondazione. Con la forza del vento gli uomini cominciarono a semplificarsi la vita e a costruire case e città man mano sempre più grandi. Poi arrivarono gli aerei e il cielo si riempì di macchine volanti. Infine, anche le città degli uomini cominciarono a fluttuare tra le nuvole, quasi come se quest'ultimo si fosse elevato al pari degli dei, sovrastando la natura.
Ovviamente l'uomo, come nella più tipica concezione orientale che trova particolare riscontro nella sensibilità di Miyazaki, è al centro della natura, non sopra di essa. Questa arroganza viene quindi punita e le fluttuanti città dell'uomo si schiantano al suolo. Tutte meno una: Laputa. La leggendaria città che è rimasta sospesa nel cielo, nascosta nelle nubi, simbolo e aspirazione per un'umanità spenta che sta nuovamente perdendo il contatto con la terra.
Molti dei detrattori di Miyazaki tendono a criticare il "buonismo" delle opere, con un'etica che all'apparenza può sembrare sempliciotta e contadina, e dei personaggi che in fondo hanno sempre qualcosa di buono (anche se in quest'opera assistiamo a uno dei pochissimi "cattivi puri" di Miyazaki). Io ritengo che non vada confusa la semplicità dei personaggi e dei temi con qualcosa come la banalità e la superficialità, poiché i film di Miyazaki (e nello specifico anche "Laputa") non hanno nessuno di questi due difetti. Non posseggono né la "banalità", in quanto i temi trattati sono esposti in maniera intima e spontanea, senza filtri o finto sentimentalismo; né tantomeno di "superficialità". Soprattutto su quest'ultimo termine vale la pena soffermarsi, dal momento che sia le storie, sia i personaggi di Miyazaki sono sempre piuttosto semplici. Tuttavia è proprio nella loro semplice e pura dedizione che questi personaggi vengono tratteggiati con una sensibilità unica e fiabesca, rendendo i comprimari veri e propri "portatori di valori" dell'umanità. Quindi ben venga se i temi trattati sono quelli universali, semplici e a volte abusati dell'amore, dell'amicizia e della morte, dal momento che vengono riportati con una cura e un amore unici. In questo senso nulla di questo film è superficiale e il senso di stupore e meraviglia che accompagna lo spettatore permane dall'inizio alla fine del lungometraggio.
Incredibile anche il finale, dove Laputa, il sogno dell'umanità, ripulita e privata delle sozzure che la rendevano accessibile all'uomo, svanisce definitivamente nei cieli come una magnifica ed eterea visione.
Forse è questo il più grande pregio di "Laputa": riportare chi lo guarda con i piedi per terra facendolo sognare.
"L'uomo deve restare legato alla terra."
Curioso come proprio un appassionato di macchine volanti faccia dire questa frase a Sheeta. Nel breve, grandioso, incipit di "Laputa", dove vengono mostrati i titoli di testa, viene anche dipinta sommariamente un'umanità che cresce imbrigliando la forza del vento. La presentazione, grazie anche a una colonna sonora particolarmente ispirata, è estremamente suggestiva e si assiste con fascino a questo breve e intenso mito della fondazione. Con la forza del vento gli uomini cominciarono a semplificarsi la vita e a costruire case e città man mano sempre più grandi. Poi arrivarono gli aerei e il cielo si riempì di macchine volanti. Infine, anche le città degli uomini cominciarono a fluttuare tra le nuvole, quasi come se quest'ultimo si fosse elevato al pari degli dei, sovrastando la natura.
Ovviamente l'uomo, come nella più tipica concezione orientale che trova particolare riscontro nella sensibilità di Miyazaki, è al centro della natura, non sopra di essa. Questa arroganza viene quindi punita e le fluttuanti città dell'uomo si schiantano al suolo. Tutte meno una: Laputa. La leggendaria città che è rimasta sospesa nel cielo, nascosta nelle nubi, simbolo e aspirazione per un'umanità spenta che sta nuovamente perdendo il contatto con la terra.
Molti dei detrattori di Miyazaki tendono a criticare il "buonismo" delle opere, con un'etica che all'apparenza può sembrare sempliciotta e contadina, e dei personaggi che in fondo hanno sempre qualcosa di buono (anche se in quest'opera assistiamo a uno dei pochissimi "cattivi puri" di Miyazaki). Io ritengo che non vada confusa la semplicità dei personaggi e dei temi con qualcosa come la banalità e la superficialità, poiché i film di Miyazaki (e nello specifico anche "Laputa") non hanno nessuno di questi due difetti. Non posseggono né la "banalità", in quanto i temi trattati sono esposti in maniera intima e spontanea, senza filtri o finto sentimentalismo; né tantomeno di "superficialità". Soprattutto su quest'ultimo termine vale la pena soffermarsi, dal momento che sia le storie, sia i personaggi di Miyazaki sono sempre piuttosto semplici. Tuttavia è proprio nella loro semplice e pura dedizione che questi personaggi vengono tratteggiati con una sensibilità unica e fiabesca, rendendo i comprimari veri e propri "portatori di valori" dell'umanità. Quindi ben venga se i temi trattati sono quelli universali, semplici e a volte abusati dell'amore, dell'amicizia e della morte, dal momento che vengono riportati con una cura e un amore unici. In questo senso nulla di questo film è superficiale e il senso di stupore e meraviglia che accompagna lo spettatore permane dall'inizio alla fine del lungometraggio.
Incredibile anche il finale, dove Laputa, il sogno dell'umanità, ripulita e privata delle sozzure che la rendevano accessibile all'uomo, svanisce definitivamente nei cieli come una magnifica ed eterea visione.
Forse è questo il più grande pregio di "Laputa": riportare chi lo guarda con i piedi per terra facendolo sognare.
Di grandi capolavori Hayao Miyazaki ce ne ha regalati molti e in tante forme differenti ma "Laputa, il castello nel cielo" non è uno di questi; nel 1985 venne fondato lo Studio e Ghibli e questa fu la sua prima e, a mio avviso, peggior opera prodotta.
La storia inizia col presentarci Sheeta, una bambina che sta scappando da un gruppo di criminali; durante la fuga la piccola cade da una nave volante, ma miracolosamente viene salvata dalla pietra che porta al collo, la gravipietra, un bottino di inestimabile valore e il motivo per cui i briganti le erano alle calcagna. Una volta atterrata la ragazza viene soccorsa da Pazu, un ragazzino che decide di aiutarla nella sua fuga dopo aver scoperto che Sheeta è una discendente del popolo di Laputa, una leggendaria città volante sulla quale suo padre aveva passato la vita a fare delle ricerche. Pazu decide quindi di aiutare Sheeta ad arrivare a Laputa, spinto anche dal voler continuare le ricerche del padre ormai defunto.
La trama, seppur possa sembrare ben costruita, non mi ha minimamente coinvolto; le situazioni che si vengono a creare durante tutto il corso del film sono tremendamente semplicistiche e prevedibili, e come se questo non bastasse contornate da un ritmo a dir poco lento. Mi sono annoiato per gran parte del film e mi sarei quindi aspettato un gran finale che mi avrebbe fatto cambiare idea, ma sfortunatamente non è arrivato; un miglioramento, nel momento in cui i nostri protagonisti giungono finalmente nella tanto attesa Laputa vi è stato, ma mi sarei aspettato molto di più. Il finale è stato scontatissimo: il cattivo di turno, stereotipato al massimo e ovviamente guidato dall'intento di dominare il mondo, viene sconfitto dai due protagonisti in favore della pace. Fine. Questo film non è riuscito a farmi riflettere praticamente su nulla, così come non è riuscito ad emozionarmi; probabilmente, avendo visionato prima altre opere dello Studio Ghibli prodotte successivamente le mie aspettative erano troppo alte.
Dal punto di vista tecnico tuttavia è stato fatto come sempre un buon lavoro, anche se per quanto mi riguarda sotto i soliti standard; il character design è quello tipico e non proprio esaltante di Miyazaki, e fortunatamente sempre tipicamente suoi sono gli incredibili sfondi e paesaggi, per lo più caratterizzanti la natura. Purtroppo mi sento di dovere anche criticare parzialmente la sceneggiatura, troppo lenta (e noiosa in alcuni punti), e soprattutto parte dei dialoghi fra i personaggi, che molte volte ho trovato inverosimili e buttati lì senza un senso.
Anche le tematiche trattate sono state scarse rispetto al solito; personalmente non mi hanno toccato e non ne ho individuate poi così tante, se non il classico accenno del rapporto Uomo-natura che Miyazaki è solito inserire in ogni suo film. Dico accenno perché a dispetto di altre opere dove questo tema è preponderante e di spessore, in "Laputa" viene lievemente toccato nel finale e basta.
Reputo quest'opera la peggiore dello Studio Ghibli e ne sconsiglio la visione, soprattutto per chi nutre in questo nome grandi aspettative.
La storia inizia col presentarci Sheeta, una bambina che sta scappando da un gruppo di criminali; durante la fuga la piccola cade da una nave volante, ma miracolosamente viene salvata dalla pietra che porta al collo, la gravipietra, un bottino di inestimabile valore e il motivo per cui i briganti le erano alle calcagna. Una volta atterrata la ragazza viene soccorsa da Pazu, un ragazzino che decide di aiutarla nella sua fuga dopo aver scoperto che Sheeta è una discendente del popolo di Laputa, una leggendaria città volante sulla quale suo padre aveva passato la vita a fare delle ricerche. Pazu decide quindi di aiutare Sheeta ad arrivare a Laputa, spinto anche dal voler continuare le ricerche del padre ormai defunto.
La trama, seppur possa sembrare ben costruita, non mi ha minimamente coinvolto; le situazioni che si vengono a creare durante tutto il corso del film sono tremendamente semplicistiche e prevedibili, e come se questo non bastasse contornate da un ritmo a dir poco lento. Mi sono annoiato per gran parte del film e mi sarei quindi aspettato un gran finale che mi avrebbe fatto cambiare idea, ma sfortunatamente non è arrivato; un miglioramento, nel momento in cui i nostri protagonisti giungono finalmente nella tanto attesa Laputa vi è stato, ma mi sarei aspettato molto di più. Il finale è stato scontatissimo: il cattivo di turno, stereotipato al massimo e ovviamente guidato dall'intento di dominare il mondo, viene sconfitto dai due protagonisti in favore della pace. Fine. Questo film non è riuscito a farmi riflettere praticamente su nulla, così come non è riuscito ad emozionarmi; probabilmente, avendo visionato prima altre opere dello Studio Ghibli prodotte successivamente le mie aspettative erano troppo alte.
Dal punto di vista tecnico tuttavia è stato fatto come sempre un buon lavoro, anche se per quanto mi riguarda sotto i soliti standard; il character design è quello tipico e non proprio esaltante di Miyazaki, e fortunatamente sempre tipicamente suoi sono gli incredibili sfondi e paesaggi, per lo più caratterizzanti la natura. Purtroppo mi sento di dovere anche criticare parzialmente la sceneggiatura, troppo lenta (e noiosa in alcuni punti), e soprattutto parte dei dialoghi fra i personaggi, che molte volte ho trovato inverosimili e buttati lì senza un senso.
Anche le tematiche trattate sono state scarse rispetto al solito; personalmente non mi hanno toccato e non ne ho individuate poi così tante, se non il classico accenno del rapporto Uomo-natura che Miyazaki è solito inserire in ogni suo film. Dico accenno perché a dispetto di altre opere dove questo tema è preponderante e di spessore, in "Laputa" viene lievemente toccato nel finale e basta.
Reputo quest'opera la peggiore dello Studio Ghibli e ne sconsiglio la visione, soprattutto per chi nutre in questo nome grandi aspettative.
Uno dei miei film preferiti di Hayao Miyazaki con cui esordisce lo Studio Ghibli!
Azione, commedia, avventura, fantascienza, drammaticità... c'è un po' di tutto, ben miscelato, in questa terza pellicola del celebre regista d'animazione giapponese che prende spunto, come già scritto, da Laputa, l'isola volante che compare ne "I viaggi di Gulliver".
A livello di personaggi diciamo che Sheeta ricorda molto Lana mentre Pasu un po' Conan di "Conan, il ragazzo del futuro", ma entrambi sono ben caratterizzati, così come la simpatica banda di pirati dell'aria capitanati dalla energica e combattiva Dola e l'ambiguo Muska, un personaggio che parte piano e che esce fuori mano a mano. Anche il resto del cast fa la sua figura.
Visivamente tra le scene più spettacolari penso ci siano la corsa sui binari, del robot in azione, del nido dei draghi e quando viene mostrato il tremendo potere della tecnologia di Laputa! Vien quasi da chiedersi se questo film sia veramente uscito nell' 86!
Anche quì Miyazaki e co. affrontano il tema del rapporto tra l'uomo, la tecnologia e la natura. Come ha già scritto qualcuno, dopo "Lupin - il castello di Cagliostro" in cui è un po' "imbrigliato" nella struttura del personaggio, della serie e qualche incertezza narrativa con un forte riecheggio di CIRDF in "Nausicaa della valle del vento" (che comunque dovrei rivedere), con quest'opera il regista spicca completamente il volo.
I robot penso siano un omaggio a quelli apparsi nel corto di Superman dei Fleisher degli anni '40, "I mostri meccanici" già visti nell'ultimo episodio della seconda serie di Lupin, "I ladri amano la pace", sempre diretto da Miyazaki.
Questo lungometraggio farà da spunto alla famosa serie "Nadia - il mistero della pietra azzurra" (anche se di recente ho letto che il regista aveva sviluppato un soggetto per la NHK che poi questa ha ripreso e che è diventato Nadia realizzato poi dallo studio Gainax, vincitore del bando indetto dalla rete!) e, non ufficialmente, ad "Atlantis - l'impero perduto".
Come si sa esistono ben due edizioni italiane che hanno in comune alcuni doppiatori.
Per concludere non si possono non citare i titoli di testa: proprio belli!
Azione, commedia, avventura, fantascienza, drammaticità... c'è un po' di tutto, ben miscelato, in questa terza pellicola del celebre regista d'animazione giapponese che prende spunto, come già scritto, da Laputa, l'isola volante che compare ne "I viaggi di Gulliver".
A livello di personaggi diciamo che Sheeta ricorda molto Lana mentre Pasu un po' Conan di "Conan, il ragazzo del futuro", ma entrambi sono ben caratterizzati, così come la simpatica banda di pirati dell'aria capitanati dalla energica e combattiva Dola e l'ambiguo Muska, un personaggio che parte piano e che esce fuori mano a mano. Anche il resto del cast fa la sua figura.
Visivamente tra le scene più spettacolari penso ci siano la corsa sui binari, del robot in azione, del nido dei draghi e quando viene mostrato il tremendo potere della tecnologia di Laputa! Vien quasi da chiedersi se questo film sia veramente uscito nell' 86!
Anche quì Miyazaki e co. affrontano il tema del rapporto tra l'uomo, la tecnologia e la natura. Come ha già scritto qualcuno, dopo "Lupin - il castello di Cagliostro" in cui è un po' "imbrigliato" nella struttura del personaggio, della serie e qualche incertezza narrativa con un forte riecheggio di CIRDF in "Nausicaa della valle del vento" (che comunque dovrei rivedere), con quest'opera il regista spicca completamente il volo.
I robot penso siano un omaggio a quelli apparsi nel corto di Superman dei Fleisher degli anni '40, "I mostri meccanici" già visti nell'ultimo episodio della seconda serie di Lupin, "I ladri amano la pace", sempre diretto da Miyazaki.
Questo lungometraggio farà da spunto alla famosa serie "Nadia - il mistero della pietra azzurra" (anche se di recente ho letto che il regista aveva sviluppato un soggetto per la NHK che poi questa ha ripreso e che è diventato Nadia realizzato poi dallo studio Gainax, vincitore del bando indetto dalla rete!) e, non ufficialmente, ad "Atlantis - l'impero perduto".
Come si sa esistono ben due edizioni italiane che hanno in comune alcuni doppiatori.
Per concludere non si possono non citare i titoli di testa: proprio belli!
Il 1986 è un anno importante per Miyazaki ed il suo collega Takahata, infatti lo Studio Ghibli era stato fondato da poco più di un anno dai due registi, per poter avere mano libera sulle loro opere senza dover sottostare a nessuno. Per fare ciò lo studio doveva subito partire con un film dagli incassi sostanziosi per sperare di sopravvivere. Con Takahata produttore e la regia di Miyazaki (che cura anche il soggetto e la sceneggiatura), prende vita "Il Castello nel Cielo". Il film è stato distribuito nei cinema nostrani ad opera della Lucky Red, la quale pubblica un'edizione in DVD e una splendida edizione in Blu-Ray.
La trama è la seguente: la vita tranquilla e serena di Sheeta viene interrota bruscamente dall'arrivo dei militari, che la rapiscono e la portano su di un dirigibile. Sfortuna vuole che il mezzo venga attaccato dai pirati della corsara Dola, e durante lo scontro nel tentativo di fuggire Sheeta precipita giù dal dirigibile. Fortunatamente per lei la pietra che porta al collo si illumina interrompendone la caduta; la ragazza svenuta viene soccorsa da Pazu, un giovane ragazzo minatore che si prende cura di lei. Una volta svegliatasi, il ragazzo scopre che Sheeta è braccata sia dai pirati che dall'esercito, poiché tutti vogliono scoprire dove si trova la leggendaria isola nel cielo di Laputa. I due ragazzi, tra mirabolanti e rocambolesche avventure, durante il loro viaggio cercheranno di far luce sul mistero che circonda Laputa.
La storia da come potete ben capire è molto semplice e anche il suo svolgimento non presenta complesse architetture narrative o colpi di scena degni di nota, il tutto è all'insegna della linearità e piattezza più assoluta. E' vero che all'interno della pellicola vi sono alcuni elementi tipici della poetica di Miyazaki come: l'anti-militarismo, il volo, la sete di potere e avidità dell'essere umano e lo scontro tra il progresso e la natura, ma il tutto resta ad uno stato superficiale visto che l'autore rinuncia a scendere in profondità.
Tranne la piratessa Dola che con i suoi modi di fare e le sue gag risulterà il personaggio più riuscito del film ed in parte la piccola Sheeta, gli altri personaggi non riescono ad incidere per niente. Pazu può esistere solo in funzione di Sheeta e se deve reggere la scena da solo di dimostra abbastanza debole, l'antagonista Muska è una figura piatta, poco interessante e la sua psicologia è tagliata di netto con l'accetta, tanto che "il colpo di scena" usato da Miyazaki per dargli un pochino di spessore, finisce con l'affossarlo definitivamente. Gli altri personaggi come i minatori e i pirati, compaiono troppo poco per poter incidere a fondo sulla pellicola.
Se da un lato ci troviamo con un soggetto inadeguato e una sceneggiatura forzata in certi frangenti, e con dei buchi sulla mancata spiegazione sulla civiltà di Laputa o cosa voglia significare la gravipietra gigante (che forse voglia rievocare il monolite nero di "2001 Odissea nello Spazio" del regista "Stanley Kubrick", e se è così, mi dispiace per il povero Miyazaki ma proprio non ce la fa nel dare tale idea), la regia del maestro è almeno a livelli più che buoni. Le sequenze che hanno una messa in scena degna di nota sono un bel po' e spaziano dall'inseguimento un po' inverosimile sulle rotaie alla distruzione della base causata dal robot, sino alla magnifica sequenza dell'arrivo su Laputa. Le animazione dello Studio Ghibli, per essere del 1986, reggono abbastanza bene anche oggi, riuscendo a stupire anche lo spettatore odierno, specialmente nelle scene su Laputa che fondono il castello con la vegetazione verde e lussureggiante.
Insomma, di difetti il film ne ha bizzeffe come ho citato sopra in precedenza, visto che spaziano dai personaggi alla sceneggiatura, con tanti interrogativi posti in essere ma poche spiegazioni e un finale sin troppo buonista e aperto, che si dimostra in netto contrasto con la drammaticità dimostrata in precedenza. Non aiuta neanche l'eccessiva durata di 120 minuti, di cui ben 20 di troppo, dove la pellicola finisce per arenarsi. Oltre al comparto tecnico-grafico, se il film riesce a reggersi un pochino in piedi lo deve alle magnifiche colonne sonore del grande compositore Joe Hisaishi, che insieme all'abilità registica di Miyazaki crea sequenze memorabili. In sostanza non è un film di Miyazaki riuscitissimo e neppure una pellicola dall'alto spessore artistico e contenutistico decantato dai fan, dimostrando dei limiti oggettivi non solo per il giorno d'oggi, ma anche per l'epoca seppur venissero mascherati dalle splendide animazione. Nonostante tutto una visione se la merita comunque e ai fan dal maestro piacerà di sicuro.
La trama è la seguente: la vita tranquilla e serena di Sheeta viene interrota bruscamente dall'arrivo dei militari, che la rapiscono e la portano su di un dirigibile. Sfortuna vuole che il mezzo venga attaccato dai pirati della corsara Dola, e durante lo scontro nel tentativo di fuggire Sheeta precipita giù dal dirigibile. Fortunatamente per lei la pietra che porta al collo si illumina interrompendone la caduta; la ragazza svenuta viene soccorsa da Pazu, un giovane ragazzo minatore che si prende cura di lei. Una volta svegliatasi, il ragazzo scopre che Sheeta è braccata sia dai pirati che dall'esercito, poiché tutti vogliono scoprire dove si trova la leggendaria isola nel cielo di Laputa. I due ragazzi, tra mirabolanti e rocambolesche avventure, durante il loro viaggio cercheranno di far luce sul mistero che circonda Laputa.
La storia da come potete ben capire è molto semplice e anche il suo svolgimento non presenta complesse architetture narrative o colpi di scena degni di nota, il tutto è all'insegna della linearità e piattezza più assoluta. E' vero che all'interno della pellicola vi sono alcuni elementi tipici della poetica di Miyazaki come: l'anti-militarismo, il volo, la sete di potere e avidità dell'essere umano e lo scontro tra il progresso e la natura, ma il tutto resta ad uno stato superficiale visto che l'autore rinuncia a scendere in profondità.
Tranne la piratessa Dola che con i suoi modi di fare e le sue gag risulterà il personaggio più riuscito del film ed in parte la piccola Sheeta, gli altri personaggi non riescono ad incidere per niente. Pazu può esistere solo in funzione di Sheeta e se deve reggere la scena da solo di dimostra abbastanza debole, l'antagonista Muska è una figura piatta, poco interessante e la sua psicologia è tagliata di netto con l'accetta, tanto che "il colpo di scena" usato da Miyazaki per dargli un pochino di spessore, finisce con l'affossarlo definitivamente. Gli altri personaggi come i minatori e i pirati, compaiono troppo poco per poter incidere a fondo sulla pellicola.
Se da un lato ci troviamo con un soggetto inadeguato e una sceneggiatura forzata in certi frangenti, e con dei buchi sulla mancata spiegazione sulla civiltà di Laputa o cosa voglia significare la gravipietra gigante (che forse voglia rievocare il monolite nero di "2001 Odissea nello Spazio" del regista "Stanley Kubrick", e se è così, mi dispiace per il povero Miyazaki ma proprio non ce la fa nel dare tale idea), la regia del maestro è almeno a livelli più che buoni. Le sequenze che hanno una messa in scena degna di nota sono un bel po' e spaziano dall'inseguimento un po' inverosimile sulle rotaie alla distruzione della base causata dal robot, sino alla magnifica sequenza dell'arrivo su Laputa. Le animazione dello Studio Ghibli, per essere del 1986, reggono abbastanza bene anche oggi, riuscendo a stupire anche lo spettatore odierno, specialmente nelle scene su Laputa che fondono il castello con la vegetazione verde e lussureggiante.
Insomma, di difetti il film ne ha bizzeffe come ho citato sopra in precedenza, visto che spaziano dai personaggi alla sceneggiatura, con tanti interrogativi posti in essere ma poche spiegazioni e un finale sin troppo buonista e aperto, che si dimostra in netto contrasto con la drammaticità dimostrata in precedenza. Non aiuta neanche l'eccessiva durata di 120 minuti, di cui ben 20 di troppo, dove la pellicola finisce per arenarsi. Oltre al comparto tecnico-grafico, se il film riesce a reggersi un pochino in piedi lo deve alle magnifiche colonne sonore del grande compositore Joe Hisaishi, che insieme all'abilità registica di Miyazaki crea sequenze memorabili. In sostanza non è un film di Miyazaki riuscitissimo e neppure una pellicola dall'alto spessore artistico e contenutistico decantato dai fan, dimostrando dei limiti oggettivi non solo per il giorno d'oggi, ma anche per l'epoca seppur venissero mascherati dalle splendide animazione. Nonostante tutto una visione se la merita comunque e ai fan dal maestro piacerà di sicuro.
"Laputa il castello nel cielo" è uno dei primi film dello studio Ghibli e stabilisce le linee direttive per quelli che saranno i futuri film di Miyazaki: protagonisti adolescenti, amore a prima vista, forzature nella sceneggiatura per sbrogliare la matassa narrativa e forzare l'happy ending, la morale su quanto sia brava la natura e quanto sia cattivo l'uomo che la distrugge, la grande qualità tecnica delle animazioni e la generale povertà di contenuti.
Pazu è un bambino che molto allegramente lavora in miniera. Un giorno vede una ragazza con una strana pietra al collo che discende dal cielo, esattamente come un angelo. Essa è inseguita da un gruppo di pirati interessati al ciondolo, che indubbiamente ha dei poteri magici. Inizia quindi nella prima fase del film un rapido (e poco realistico) inseguimento tra pirati e bambini, che ricorda molto le classiche peripezie dei personaggi della Disney. In seguito, con lo svilupparsi della trama, verranno fuori i veri "cattivi", il cui capo mi ricorda molto il Gendo Ikari di "Evangelion". Il tema centrale della storia è la misteriosa isola di "Laputa", che in comune con l'isola volante presente nel romanzo di Swift ha solo il nome.
Le cose che mi hanno lasciato molto perplesso durante la visione del film sono gli aspetti più tecnici come regia e sceneggiatura (spesso troppo forzata), tuttavia devo ammettere che le animazioni sono ottime per il periodo in cui "Laputa: il castello nel cielo" è uscito.
Diciamo che l'idea di base che caratterizza la trama, che verrà poi ripresa in "Nadia e il mistero della pietra azzurra", inizialmente remake del film per ragioni di produzione, non è male: in un contesto steampunk esistono dei ruderi di un antico popolo dalla tecnologia superiore che giacciono su un'isola volante, e un malvagio vuole impossessarsene per dominare il mondo. Purtroppo questo aspetto del film, che non è molto originale, viene sviluppato frettolosamente nella seconda parte, fino ad arrivare ad un finale che mi è sembrato molto forzato e scontato. Mi ricordo che partiti i titoli di coda ero ancora incredulo della banalità delle vicende a cui avevo assistito, e i colpi di scena (che non voglio spoilerare) mi erano risultati abbastanza prevedibili e pieni di forzature.
I personaggi sono caratterizzati malissimo, persino al di sotto degli standard dello stesso Miyazaki. Alcuni di essi, come ad esempio i pirati, oltre che avere un pessimo character design mi sono sembrati assai ipocriti, prevedibili e scialbi. Secondo me in un buon anime, così come in un buon live action movie, i personaggi dovrebbero essere curati molto, in modo da coinvolgere lo spettatore e non far risultare la visione dell'opera un'esperienza noiosa e sterile.
In conclusione "Laputa il castello nel cielo" è, secondo la mia modesta opinione, come un mendicante vestito da sovrano che tutti omaggiano perché vengono colpiti dalla corona luccicante e dagli abiti sfarzosi. Tuttavia pur sempre di un mendicante si tratta, e non sono l'unico ad aver espresso forte perplessità sulla mancanza di sostanza di un'opera tanto acclamata.
Pazu è un bambino che molto allegramente lavora in miniera. Un giorno vede una ragazza con una strana pietra al collo che discende dal cielo, esattamente come un angelo. Essa è inseguita da un gruppo di pirati interessati al ciondolo, che indubbiamente ha dei poteri magici. Inizia quindi nella prima fase del film un rapido (e poco realistico) inseguimento tra pirati e bambini, che ricorda molto le classiche peripezie dei personaggi della Disney. In seguito, con lo svilupparsi della trama, verranno fuori i veri "cattivi", il cui capo mi ricorda molto il Gendo Ikari di "Evangelion". Il tema centrale della storia è la misteriosa isola di "Laputa", che in comune con l'isola volante presente nel romanzo di Swift ha solo il nome.
Le cose che mi hanno lasciato molto perplesso durante la visione del film sono gli aspetti più tecnici come regia e sceneggiatura (spesso troppo forzata), tuttavia devo ammettere che le animazioni sono ottime per il periodo in cui "Laputa: il castello nel cielo" è uscito.
Diciamo che l'idea di base che caratterizza la trama, che verrà poi ripresa in "Nadia e il mistero della pietra azzurra", inizialmente remake del film per ragioni di produzione, non è male: in un contesto steampunk esistono dei ruderi di un antico popolo dalla tecnologia superiore che giacciono su un'isola volante, e un malvagio vuole impossessarsene per dominare il mondo. Purtroppo questo aspetto del film, che non è molto originale, viene sviluppato frettolosamente nella seconda parte, fino ad arrivare ad un finale che mi è sembrato molto forzato e scontato. Mi ricordo che partiti i titoli di coda ero ancora incredulo della banalità delle vicende a cui avevo assistito, e i colpi di scena (che non voglio spoilerare) mi erano risultati abbastanza prevedibili e pieni di forzature.
I personaggi sono caratterizzati malissimo, persino al di sotto degli standard dello stesso Miyazaki. Alcuni di essi, come ad esempio i pirati, oltre che avere un pessimo character design mi sono sembrati assai ipocriti, prevedibili e scialbi. Secondo me in un buon anime, così come in un buon live action movie, i personaggi dovrebbero essere curati molto, in modo da coinvolgere lo spettatore e non far risultare la visione dell'opera un'esperienza noiosa e sterile.
In conclusione "Laputa il castello nel cielo" è, secondo la mia modesta opinione, come un mendicante vestito da sovrano che tutti omaggiano perché vengono colpiti dalla corona luccicante e dagli abiti sfarzosi. Tuttavia pur sempre di un mendicante si tratta, e non sono l'unico ad aver espresso forte perplessità sulla mancanza di sostanza di un'opera tanto acclamata.
Gli appassionati delle animazioni targate Hayao Miyazaki sicuramente riconosceranno immediatamente lo stile, che è sempre quello eppure non stanca mai. Anzi, ogni volta fa sognare come se fosse la prima. E questa è una ulteriore dimostrazione della grandissima perizia di quest'uomo a cui va così tanta stima da parte mia. Eviterò dunque di scrivere "come in tutti gli altri film di Miyazaki", ma fate pure finta che lo faccia. Vediamo di non dilungarci troppo, iniziamo subito l'analisi.
La trama è semplice, eppure non mancano dei colpi di scena. L'azione concitata e i momenti di distensione sono alternati saggiamente, e lo spettatore non ha mai la sensazione di annoiarsi né di non riuscire a rilassarsi. È importante anche questo, non si può infatti costruire un lungometraggio che sia tutto azione e frenesia dall'inizio alla fine. Poi i bambini non dormono più la notte! Do un 8.5 su questo punto.
Il finale è classico e non delude, anche se forse è un po' troppo positivo. Questo comunque rientra nel genere. Dunque un 7,5, che non è un voto altissimo, in quanto non mi ha sorpreso, ma non è nemmeno basso, in quanto comunque era prevedibile. Non lascia l'amaro in bocca comunque.
Personaggi: abbiamo varie gradazioni di personaggi. Si va dal "buono tout-court" di Pazu e Sheeta all'opportunista che sa tuttavia intenerirsi (Mama Dola), al "crudele per egoismo", che cerca ricchezza, fino al cattivo vero e proprio, che ricerca il potere per dominare il mondo. La caratterizzazione non è, per il resto, particolarmente spinta, i personaggi sono abbastanza prevedibili. Resta comunque un buon lavoro, per il quale do un altro 7.
Grafica: strepitosa, anche considerato che è una produzione dell'86. L'ambientazione è magnifica, e il miscuglio di echi dell'occidente ottocentesco con elementi futuristici è assolutamente meraviglioso, un matrimonio molto riuscito. Non posso che dare 10 su questo punto.
Stesso discorso per l'aspetto sonoro, che svolge un ottimo lavoro e si innesta perfettamente con tutto il resto, 9.
Le tematiche principali ruotano intorno al potere e ai valori che devono guidare la vita di ciascuno di noi. Non è il classico "il potere corrompe!". Il messaggio è che in fondo ciò che ci può rendere davvero felici è una vita semplice e serena, senza troppe pretese.
"Laputa, il castello nel cielo" è, riassumendo, un prodotto molto buono, anzi ottimo, in grado di donare un paio d'ore di felicità a chiunque voglia guardarlo. Per questo lo consiglio a tutti.
La trama è semplice, eppure non mancano dei colpi di scena. L'azione concitata e i momenti di distensione sono alternati saggiamente, e lo spettatore non ha mai la sensazione di annoiarsi né di non riuscire a rilassarsi. È importante anche questo, non si può infatti costruire un lungometraggio che sia tutto azione e frenesia dall'inizio alla fine. Poi i bambini non dormono più la notte! Do un 8.5 su questo punto.
Il finale è classico e non delude, anche se forse è un po' troppo positivo. Questo comunque rientra nel genere. Dunque un 7,5, che non è un voto altissimo, in quanto non mi ha sorpreso, ma non è nemmeno basso, in quanto comunque era prevedibile. Non lascia l'amaro in bocca comunque.
Personaggi: abbiamo varie gradazioni di personaggi. Si va dal "buono tout-court" di Pazu e Sheeta all'opportunista che sa tuttavia intenerirsi (Mama Dola), al "crudele per egoismo", che cerca ricchezza, fino al cattivo vero e proprio, che ricerca il potere per dominare il mondo. La caratterizzazione non è, per il resto, particolarmente spinta, i personaggi sono abbastanza prevedibili. Resta comunque un buon lavoro, per il quale do un altro 7.
Grafica: strepitosa, anche considerato che è una produzione dell'86. L'ambientazione è magnifica, e il miscuglio di echi dell'occidente ottocentesco con elementi futuristici è assolutamente meraviglioso, un matrimonio molto riuscito. Non posso che dare 10 su questo punto.
Stesso discorso per l'aspetto sonoro, che svolge un ottimo lavoro e si innesta perfettamente con tutto il resto, 9.
Le tematiche principali ruotano intorno al potere e ai valori che devono guidare la vita di ciascuno di noi. Non è il classico "il potere corrompe!". Il messaggio è che in fondo ciò che ci può rendere davvero felici è una vita semplice e serena, senza troppe pretese.
"Laputa, il castello nel cielo" è, riassumendo, un prodotto molto buono, anzi ottimo, in grado di donare un paio d'ore di felicità a chiunque voglia guardarlo. Per questo lo consiglio a tutti.
Finalmente ho potuto vedere anch'io questo film in DVD e sinceramente non comprendo il perché di vari commenti molto negativi.
E' vero, questo film mostra un Miyazaki alquanto acerbo, che quindi non raggiunge ancora i suoi massimi livelli - anch'io ho notato qualche ingenuità qua e là nella sceneggiatura, come per esempio l'amore così puro e perfetto nato così bruscamente fra i due protagonisti subito pronti all'estremo sacrificio l'una per l'altro e viceversa, oppure i troppi dettagli riferiti un po' presto da Pazu a Dola -, ma a mio avviso già allora il maestro lasciava prevedere il grande successo che poi avrebbe perpetuato negli anni. E soprattutto quei difettucci mi sono stati più evidenti per avere letto prima le altre recensioni, altrimenti magari ci avrei fatto molto meno caso. La storia è avvincente e si lascia seguire con piacere.
Ho letto commenti del tipo: "i personaggi di Laputa sono molto stereotipati, già visti in altri film miyazakiani". Secondo me è un grosso errore generalizzare in questo modo, innanzitutto perché considerando le date di realizzazione dei vari film sarebbe più corretto notare che molti personaggi hanno poi ripreso le caratteristiche fisiche e/o caratteriali dei personaggi di Laputa: dunque non è Dola a ricordare Zeniba de "La città incantata", semmai il contrario, dato che Dola è stata creata nel 1986 e Zeniba nel 2001.
E lo stesso vale per altri, anche se bisogna ammettere che un po' Pazu e Sheeta ricordano Conan e Lana di "Conan il ragazzo del futuro" (1978), ma in fondo è così strano che personaggi di diverse opere di uno stesso autore - regista, scrittore o mangaka che sia - possano avere qualche somiglianza fra loro? Tanto per dirne una Riyoko Ikeda è considerata dai più (me compresa) una grande artista, nonostante il trattamento che ella ama riservare al 99% delle sue protagoniste, con pochissime eccezioni, non risparmiando dalla stessa sorte anche quasi tutti i comprimari.
Anche per i temi trattati vale lo stesso discorso, che ce ne sono alcuni che un regista ama riprendere, perciò in Laputa troviamo come temi dominanti l'antimilitarismo e la difesa della natura, poi ripresi ne "Il castello errante di Howl" e in altri capolavori successivi del maestro. Ma dato che sono temi che io apprezzo non mi dà nessun fastidio ritrovarli spesso, anzi, io credo che non se ne parli mai abbastanza. D'altra parte il film ha un buon ritmo narrativo, e come gli altri film non si dilunga mai in lunghi e noiosi predicozzi, ma il messaggio viene lanciato nell'ambito della storia senza appesantirla, o magari soltanto con le semplici splendide immagini, quali quelle della natura incontaminata di Laputa, sopravvissuta nel tempo grazie alle amorevoli cure del robot giardiniere. Rimango sempre incantata di fronte agli scenari dei capolavori del maestro, ed è stato così anche in questo caso.
Il doppiaggio è buono come pure l'animazione, e un altro fondamentale elemento positivo è la colonna sonora: encomiabile la scelta della Lucky Red di scegliere quella originale e non l'adattamento americano: Joe Hisaishi è perfetto così com'è, e qualsiasi modifica anche minima alle sue creazioni non può che intaccarne la perfezione.
Insomma, anche stavolta Miyazaki non mi ha delusa: Laputa merita pienamente il suo successo, anche se il mio voto è stato 9 e non il solito 10 che dò a tutti i suoi film, per via di quei minimi difetti di cui ho parlato all'inizio.
E' vero, questo film mostra un Miyazaki alquanto acerbo, che quindi non raggiunge ancora i suoi massimi livelli - anch'io ho notato qualche ingenuità qua e là nella sceneggiatura, come per esempio l'amore così puro e perfetto nato così bruscamente fra i due protagonisti subito pronti all'estremo sacrificio l'una per l'altro e viceversa, oppure i troppi dettagli riferiti un po' presto da Pazu a Dola -, ma a mio avviso già allora il maestro lasciava prevedere il grande successo che poi avrebbe perpetuato negli anni. E soprattutto quei difettucci mi sono stati più evidenti per avere letto prima le altre recensioni, altrimenti magari ci avrei fatto molto meno caso. La storia è avvincente e si lascia seguire con piacere.
Ho letto commenti del tipo: "i personaggi di Laputa sono molto stereotipati, già visti in altri film miyazakiani". Secondo me è un grosso errore generalizzare in questo modo, innanzitutto perché considerando le date di realizzazione dei vari film sarebbe più corretto notare che molti personaggi hanno poi ripreso le caratteristiche fisiche e/o caratteriali dei personaggi di Laputa: dunque non è Dola a ricordare Zeniba de "La città incantata", semmai il contrario, dato che Dola è stata creata nel 1986 e Zeniba nel 2001.
E lo stesso vale per altri, anche se bisogna ammettere che un po' Pazu e Sheeta ricordano Conan e Lana di "Conan il ragazzo del futuro" (1978), ma in fondo è così strano che personaggi di diverse opere di uno stesso autore - regista, scrittore o mangaka che sia - possano avere qualche somiglianza fra loro? Tanto per dirne una Riyoko Ikeda è considerata dai più (me compresa) una grande artista, nonostante il trattamento che ella ama riservare al 99% delle sue protagoniste, con pochissime eccezioni, non risparmiando dalla stessa sorte anche quasi tutti i comprimari.
Anche per i temi trattati vale lo stesso discorso, che ce ne sono alcuni che un regista ama riprendere, perciò in Laputa troviamo come temi dominanti l'antimilitarismo e la difesa della natura, poi ripresi ne "Il castello errante di Howl" e in altri capolavori successivi del maestro. Ma dato che sono temi che io apprezzo non mi dà nessun fastidio ritrovarli spesso, anzi, io credo che non se ne parli mai abbastanza. D'altra parte il film ha un buon ritmo narrativo, e come gli altri film non si dilunga mai in lunghi e noiosi predicozzi, ma il messaggio viene lanciato nell'ambito della storia senza appesantirla, o magari soltanto con le semplici splendide immagini, quali quelle della natura incontaminata di Laputa, sopravvissuta nel tempo grazie alle amorevoli cure del robot giardiniere. Rimango sempre incantata di fronte agli scenari dei capolavori del maestro, ed è stato così anche in questo caso.
Il doppiaggio è buono come pure l'animazione, e un altro fondamentale elemento positivo è la colonna sonora: encomiabile la scelta della Lucky Red di scegliere quella originale e non l'adattamento americano: Joe Hisaishi è perfetto così com'è, e qualsiasi modifica anche minima alle sue creazioni non può che intaccarne la perfezione.
Insomma, anche stavolta Miyazaki non mi ha delusa: Laputa merita pienamente il suo successo, anche se il mio voto è stato 9 e non il solito 10 che dò a tutti i suoi film, per via di quei minimi difetti di cui ho parlato all'inizio.
È il 1986 quando nelle sale nipponiche, due anni dopo la distribuzione al cinema di Nausicaä della Valle del Vento, esce il primo vero e proprio film dello Studio Ghibli, e cioè Tenkū no shiro Laputa, scritto e diretto da Hayao Miyazaki ed edito in Italia per ben due volte: la prima esclusivamente in formato home video grazie alla Buena Vista e con il titolo Laputa - Castello nel cielo; la seconda l'anno scorso come Il castello nel cielo e con tanto di uscita nei nostri cinema. Le tematiche ambientaliste tanto care al regista ci sono tutte e il valore intrinseco di Laputa (mi riferirò così al film per mera comodità) risiede principalmente nell'ispirazione ad alcuni classici della letteratura e soprattutto nella grande influenza esercitata su opere successive. A questo punto, accenniamo brevemente alla trama.
Protagonisti della nostra storia sono il giovane Pazu, garzone tutto fare che vive in un paese di minatori, e Sheeta, una ragazza "piovuta" dal cielo con al collo la misteriosa levipietra. L'oggetto singolare è ambito, da un lato, dagli scanzonati pirati Dola e i suoi figli un po' tontoloni e, dall'altro, da loschi individui dalla grande forza militare: in particolare Mooska, il capo dell'organizzazione, è un uomo crudele e senza scrupoli. Incontratisi per puro caso, Pazu e Sheeta dovranno fuggire più di una volta sia dai pirati che dai militari, i primi desiderosi di fare soldi a palate, i secondo invece bramano di scoprire il segreto della pietra magica allo scopo di sprigionarne gli straordinari poteri. Per di più la pietra è forse legata all'isola volante di Laputa, luogo leggendario a lungo cercato dal padre di Pazu, il quale è deceduto in una colossale tempesta subito dopo averla fotografata. Stringendo amicizia con improbabili alleati e imbattendosi in micidiali robot appartenenti a una civiltà perduta, i nostri giovani protagonisti scopriranno a loro spese le ragioni per cui il mitico continente fluttuante e la loro gente siano spariti dalla faccia della terra...
Siamo di fronte a una classica pellicola densa d'avventura e personaggi ben caratterizzati; le idee alla base della storia affondano le radici nel famoso racconto dell'isola di Laputa immaginata da Jonathan Swift nel suo I viaggi di Gulliver, tanto da essere menzionato persino dallo stesso Pazu. Il tocco di Miyazaki però è inconfondibile e non si ha mai la sensazione di déjà-vu; piuttosto è curioso notare come la questione della pietra dai poteri straordinari e personaggi come Dola, donnone con più fegato di certi uomini, abbiano funto da ispirazione per Il mistero della pietra azzurra, serie animata del 1989 nata come remake televisivo proprio di Laputa e Ventimila leghe sotto i mari. Le animazioni sono di grande qualità per un film d'animazione di quel periodo e le musiche di Joe Hisaishi costituiscono una vera gioia per le orecchie e il cuore (splendida anche la canzone finale che riprende il leitmotiv del film). In definitiva, Il castello nel cielo è l'ennesima perla cinematografica miyazakiana da vedere e rivedere.
Protagonisti della nostra storia sono il giovane Pazu, garzone tutto fare che vive in un paese di minatori, e Sheeta, una ragazza "piovuta" dal cielo con al collo la misteriosa levipietra. L'oggetto singolare è ambito, da un lato, dagli scanzonati pirati Dola e i suoi figli un po' tontoloni e, dall'altro, da loschi individui dalla grande forza militare: in particolare Mooska, il capo dell'organizzazione, è un uomo crudele e senza scrupoli. Incontratisi per puro caso, Pazu e Sheeta dovranno fuggire più di una volta sia dai pirati che dai militari, i primi desiderosi di fare soldi a palate, i secondo invece bramano di scoprire il segreto della pietra magica allo scopo di sprigionarne gli straordinari poteri. Per di più la pietra è forse legata all'isola volante di Laputa, luogo leggendario a lungo cercato dal padre di Pazu, il quale è deceduto in una colossale tempesta subito dopo averla fotografata. Stringendo amicizia con improbabili alleati e imbattendosi in micidiali robot appartenenti a una civiltà perduta, i nostri giovani protagonisti scopriranno a loro spese le ragioni per cui il mitico continente fluttuante e la loro gente siano spariti dalla faccia della terra...
Siamo di fronte a una classica pellicola densa d'avventura e personaggi ben caratterizzati; le idee alla base della storia affondano le radici nel famoso racconto dell'isola di Laputa immaginata da Jonathan Swift nel suo I viaggi di Gulliver, tanto da essere menzionato persino dallo stesso Pazu. Il tocco di Miyazaki però è inconfondibile e non si ha mai la sensazione di déjà-vu; piuttosto è curioso notare come la questione della pietra dai poteri straordinari e personaggi come Dola, donnone con più fegato di certi uomini, abbiano funto da ispirazione per Il mistero della pietra azzurra, serie animata del 1989 nata come remake televisivo proprio di Laputa e Ventimila leghe sotto i mari. Le animazioni sono di grande qualità per un film d'animazione di quel periodo e le musiche di Joe Hisaishi costituiscono una vera gioia per le orecchie e il cuore (splendida anche la canzone finale che riprende il leitmotiv del film). In definitiva, Il castello nel cielo è l'ennesima perla cinematografica miyazakiana da vedere e rivedere.
Eccomi qui, dinanzi a un'altra opera del maestro Miyazaki, che però, un pochino di amaro in bocca, me lo ha lasciato.
Avevo aspettative molto alte a suo riguardo che sono state solo parzialmente colmate; intendiamoci, un fan del maestro non potrà che apprezzare, ma un'idea così buona è solo parzialmente riuscita a prendere il largo.
"Laputa, il castello nel cielo" racconta la storia di una mitica civiltà perduta (allo stile di Atlantide), dove però risiedono antichi poteri e ricchezze. La chiave di questo potere è nelle mani di una ragazzina, Sheeta, che poi si scoprirà essere una discendente di questo antico popolo.
Ovviamente il potere attira i malvagi, ed ecco infatti spuntare inizialmente i pirati, e poi l'esercito che cercheranno di carpire il segreto di questa ragazza, custode di una pietra misteriosa che può condurre alle antiche rovine.
In tutto ciò, la ragazza verrà aiutata da un giovane ragazzino, Pazu (che mi ha veramente stupito per le sue grandi capacità atletiche/muscolari nonostante il fisico minuto), il quale instaurerà con lei un rapporto misto di amicizia e tenero affetto.
La trama non è male, anzi, sembra molto interessante e avvincente; il problema è che l'ho trovata spesso lenta e poco incalzante. Inoltre a volte i personaggi arrivano a conclusioni di misteri che hanno ideato loro, e che si risolvono con una facilità disarmante. Altre volte compiono atti che poco sono consoni al reale filo logico della storia.
Per il resto non si può proprio dire niente: i disegni sono fantastici, riportano a "Conan, ragazzo del futuro"; le ambientazioni e i personaggi sono nel vero stile di un mago dell'animazione. Poi quei robot sono la fine del mondo.
Diciamo che la mia aspettativa era talmente alta sentendo voci esterne che probabilmente mi sento un po' ipercritico, ma comunque meno di 7 non me la sento proprio di dare! Va visto, come tutti i film di Miyazaki, poi sono gusti, anche perché io non ho amato nemmeno "Nadia - il mistero della pietra azzurra", che tanto ricorda questo genere di film, quindi magari non sono molto attendibile.
Avevo aspettative molto alte a suo riguardo che sono state solo parzialmente colmate; intendiamoci, un fan del maestro non potrà che apprezzare, ma un'idea così buona è solo parzialmente riuscita a prendere il largo.
"Laputa, il castello nel cielo" racconta la storia di una mitica civiltà perduta (allo stile di Atlantide), dove però risiedono antichi poteri e ricchezze. La chiave di questo potere è nelle mani di una ragazzina, Sheeta, che poi si scoprirà essere una discendente di questo antico popolo.
Ovviamente il potere attira i malvagi, ed ecco infatti spuntare inizialmente i pirati, e poi l'esercito che cercheranno di carpire il segreto di questa ragazza, custode di una pietra misteriosa che può condurre alle antiche rovine.
In tutto ciò, la ragazza verrà aiutata da un giovane ragazzino, Pazu (che mi ha veramente stupito per le sue grandi capacità atletiche/muscolari nonostante il fisico minuto), il quale instaurerà con lei un rapporto misto di amicizia e tenero affetto.
La trama non è male, anzi, sembra molto interessante e avvincente; il problema è che l'ho trovata spesso lenta e poco incalzante. Inoltre a volte i personaggi arrivano a conclusioni di misteri che hanno ideato loro, e che si risolvono con una facilità disarmante. Altre volte compiono atti che poco sono consoni al reale filo logico della storia.
Per il resto non si può proprio dire niente: i disegni sono fantastici, riportano a "Conan, ragazzo del futuro"; le ambientazioni e i personaggi sono nel vero stile di un mago dell'animazione. Poi quei robot sono la fine del mondo.
Diciamo che la mia aspettativa era talmente alta sentendo voci esterne che probabilmente mi sento un po' ipercritico, ma comunque meno di 7 non me la sento proprio di dare! Va visto, come tutti i film di Miyazaki, poi sono gusti, anche perché io non ho amato nemmeno "Nadia - il mistero della pietra azzurra", che tanto ricorda questo genere di film, quindi magari non sono molto attendibile.
"Laputa non può cadere; continuerà a risorgere, perché il potere di Laputa è il sogno dell'umanità."
Il potere dei sogni. Fin dagli albori dei tempi l'uomo ha sempre sentito il bisogno di trascendere la realtà e andare alla ricerca del "vello d'oro", esplorando mondi ancora sconosciuti o creandone di nuovi.
Il viaggio verso l'ignoto ha influenzato i sognatori di ogni epoca che hanno attinto alla loro immaginazione per tessere le trame di storie incredibili. Epopee di marinai e guerrieri, intenti a prendere il largo, puntando la rotta oltre le colonne dell'umana conoscenza e vagando per isole popolate da dèi, stregoni e giganti, affrontando l'oceano e i mostri marini che esso contiene.
Man mano che le conoscenze fisiche e astronomiche progredivano cambiò anche il modo di intendere l'ignoto. L'uomo rivolse lo sguardo in alto, oltre le nuvole, dove si nascondevano altri mondi ancora più strabilianti. Isole nel cielo e civiltà tecnologicamente avanzate, custodi di un sapere millenario e divino, come Laputa, l'isola descritta da Jonathan Swift ne I viaggi di Gulliver.
E prendendo spunto da quest'opera Miyazaki produsse nel 1986 il primo lungometraggio d'animazione del neonato Studio Ghibli. Laputa è un film d'animazione che ricalca il genere del romanzo scientifico ottocentesco. A dare il nome all'opera è un imponente castello che si erge su di un'isola rocciosa all'interno di un cumulo di nubi. Grazie a un particolare minerale chiamato Gravipietra i suoi scienziati erano riusciti a creare una tecnologia dall'inesauribile potere, in grado addirittura di sostenere in aria un'isola. Ma tale potere utilizzato per fini bellici divenne qualcosa di spaventoso, al punto che i suoi stessi creatori, non essendo in grado di controllarlo, furono costretti ad abbandonare l'isola. E fu così che da civiltà progredita qual era Laputa cadde in rovina.
Ma quando qualcosa di grandioso finisce, qualcos'altro sorge dalle sue ceneri. E ciò che un tempo era continuò a essere nei racconti tramandati di padre in figlio, secondo la più antica tradizione orale. Ultimi anelli di questa catena sono Shita, una giovane fanciulla costretta a fuggire dai suoi rapitori, intenti a impossessarsi del potere racchiuso nella pietra che porta al collo, e Pazu, un orfanello il cui padre, che aveva dedicato la sua vita alla ricerca di Laputa, fu uno dei pochi uomini a vedere con i propri occhi il castello nel cielo, salvo poi morire come un ciarlatano.
Una splendida fiaba intrecciata dalle corde dell'amicizia, come in altre opere del Maestro, cela dentro di sé l'importanza del rispetto per la natura, condizione fondamentale per poter usare nel modo più adeguato e costruttivo le conoscenze acquisite e sviluppare di conseguenza uno stile di vita benefico per gli esseri umani. I toni sono quasi epici, grazie anche alle splendide musiche del maestro Joe Hisaishi. Il film, seppur d'annata, sembra scrollarsi magicamente di dosso l'alone di polvere che il tempo lascia dietro di sé, mantenendo uno stile di disegno fresco e pulito e una colorazione pressoché perfetta. Averlo rivisto al cinema di recente è stato come proiettare quelle emozioni sul grande schermo, amplificandone la risonanza. Era un lunedì sera piovoso, la sala era quasi vuota: sei in tutto, io da solo. Ma poco mi importava. Poi le luci si sono abbassate e il Totoro dello Studio Ghibli ha fatto la sua apparizione. In quel momento il cinema era tutto per me.
Il potere dei sogni. Fin dagli albori dei tempi l'uomo ha sempre sentito il bisogno di trascendere la realtà e andare alla ricerca del "vello d'oro", esplorando mondi ancora sconosciuti o creandone di nuovi.
Il viaggio verso l'ignoto ha influenzato i sognatori di ogni epoca che hanno attinto alla loro immaginazione per tessere le trame di storie incredibili. Epopee di marinai e guerrieri, intenti a prendere il largo, puntando la rotta oltre le colonne dell'umana conoscenza e vagando per isole popolate da dèi, stregoni e giganti, affrontando l'oceano e i mostri marini che esso contiene.
Man mano che le conoscenze fisiche e astronomiche progredivano cambiò anche il modo di intendere l'ignoto. L'uomo rivolse lo sguardo in alto, oltre le nuvole, dove si nascondevano altri mondi ancora più strabilianti. Isole nel cielo e civiltà tecnologicamente avanzate, custodi di un sapere millenario e divino, come Laputa, l'isola descritta da Jonathan Swift ne I viaggi di Gulliver.
E prendendo spunto da quest'opera Miyazaki produsse nel 1986 il primo lungometraggio d'animazione del neonato Studio Ghibli. Laputa è un film d'animazione che ricalca il genere del romanzo scientifico ottocentesco. A dare il nome all'opera è un imponente castello che si erge su di un'isola rocciosa all'interno di un cumulo di nubi. Grazie a un particolare minerale chiamato Gravipietra i suoi scienziati erano riusciti a creare una tecnologia dall'inesauribile potere, in grado addirittura di sostenere in aria un'isola. Ma tale potere utilizzato per fini bellici divenne qualcosa di spaventoso, al punto che i suoi stessi creatori, non essendo in grado di controllarlo, furono costretti ad abbandonare l'isola. E fu così che da civiltà progredita qual era Laputa cadde in rovina.
Ma quando qualcosa di grandioso finisce, qualcos'altro sorge dalle sue ceneri. E ciò che un tempo era continuò a essere nei racconti tramandati di padre in figlio, secondo la più antica tradizione orale. Ultimi anelli di questa catena sono Shita, una giovane fanciulla costretta a fuggire dai suoi rapitori, intenti a impossessarsi del potere racchiuso nella pietra che porta al collo, e Pazu, un orfanello il cui padre, che aveva dedicato la sua vita alla ricerca di Laputa, fu uno dei pochi uomini a vedere con i propri occhi il castello nel cielo, salvo poi morire come un ciarlatano.
Una splendida fiaba intrecciata dalle corde dell'amicizia, come in altre opere del Maestro, cela dentro di sé l'importanza del rispetto per la natura, condizione fondamentale per poter usare nel modo più adeguato e costruttivo le conoscenze acquisite e sviluppare di conseguenza uno stile di vita benefico per gli esseri umani. I toni sono quasi epici, grazie anche alle splendide musiche del maestro Joe Hisaishi. Il film, seppur d'annata, sembra scrollarsi magicamente di dosso l'alone di polvere che il tempo lascia dietro di sé, mantenendo uno stile di disegno fresco e pulito e una colorazione pressoché perfetta. Averlo rivisto al cinema di recente è stato come proiettare quelle emozioni sul grande schermo, amplificandone la risonanza. Era un lunedì sera piovoso, la sala era quasi vuota: sei in tutto, io da solo. Ma poco mi importava. Poi le luci si sono abbassate e il Totoro dello Studio Ghibli ha fatto la sua apparizione. In quel momento il cinema era tutto per me.
Un regista tra le nuvole
Grazie alle fortune 'festivaliere' de "La città incantata" il cinema di Hayao Miyazaki acquista nuova linfa che porta i suoi primi capolavori finalmente nelle sale italiane dopo lunghi anni di insensato e scandaloso silenzio. Uno di questi capolavori è "Laputa, il castello nel cielo", 1986. Ispirato alla letteratura ottocentesca di Swift, Verne e Stevenson è il primo lungometraggio ufficialmente targato Studio Ghibli e manifesta tutto l'amore del cineasta nipponico per il genere avventuroso, fantasy e fantascientifico.
Il volo come espressione di libertà e anelito di purezza è una costante nel cinema di Miyazaki che nell'immensità del cielo trova una dimensione poetica ideale: la maggior parte dei suoi film esordiscono con una sequenza aerea e sulle nuvole i suoi eroi si innalzano leggeri come l'aria e liberi come gli uccelli oltre le imperfezioni e le brutture del mondo. Laputa (e forse ancora di più "Porco rosso") rappresenta l'epitome di questa passione per l'aeronautica che l'autore infonde sistematicamente nelle sue opere.
Il film narra le avventure di Pazu e Sheeta alla ricerca della fortezza volante di Laputa, un'isola incantata contenente un'arma segreta potentissima già nelle mire del malvagio colonnello Muska e del suo esercito. Nella ricerca i due giovani saranno affiancati da una ciurma di strampalati pirati dell'aria guidati da Mama Dola, una terribile nonnetta che punta a impadronirsi dei leggendari tesori nascosti in Laputa.
I temi dominanti sono l'antimilitarismo e l'ecologismo, che nel film si uniscono all'avvincente racconto di avventura dei due giovani protagonisti: l'isola volante ci mostra una natura selvaggia e incontaminata il cui equilibrio è messo a rischio dall'umana sete di potere del cattivo di turno pronto a servirsi dell'immensa energia di Laputa per dominare il mondo. E' significativo il ruolo dell'ultimo robot guardiano che, da letale macchina da guerra di un tempo, si trasforma in angelo custode della sacralità della natura.
Colpisce la cura con cui sono tratteggiati e sfumati i personaggi: una galleria assortita in cui risaltano i profili dei due protagonisti, ricalcati sulla fisionomia di Conan e Lana, e la controversa figura della piratessa Mama Dola, su cui l'autore ridipinge un convincente 'Long John' Silver al femminile, prototipo di personaggio ambiguo e complesso, in bilico tra buoni e cattivi, che rivela il grande potenziale comico del regista di Akebono.
Molti grandi autori hanno un loro 'attore feticcio' (basti pensare a Mastroianni per Fellini o a De Niro per Scorsese): per Miyazaki si potrebbe tranquillamente parlare di Conan, il cui prodromo nasce nel 1968 con Hols ne "La grande avventura del piccolo principe Valiant ", e che qui rientra in azione nelle vesti di Pazu, ma che riapparirà anche più avanti 'interpretando' il principe Ashitaka, in quella che sarà l'evoluzione ideale dell'eroe 'miyazakiano' nell'affrontare i temi maturi dell'amore e della morte.
Pur non raggiungendo il respiro epico e grandioso di Nausicaä, in Laputa il cineasta riesce a far convivere tutte le sue anime cinematografiche con grande equilibrio: il gusto per l'azione e per il ritmo incalzante, i momenti pacati e riflessivi, la frizzante commedia, la delicata poesia, sono tutte componenti che il regista orchestra con estrema perizia. Da ricordare la scena claustrofobica ambientata nelle viscere della terra in compagnia del vecchio minatore che fa da preludio all'eterea libertà degli immensi spazi aperti nelle lunghe sequenze aeree.
La realizzazione tecnico/artistica di altissimo livello ci offre un brillante esempio di animazione 'classica', le cui qualità e modernità restano ancora oggi ineguagliate: il character design morbido ed elegante, le macchine volanti dal sapore 'steampunk', la ricchezza degli scenari, la fluidità dei movimenti, gli spericolati inseguimenti e le spettacolari e adrenaliniche sequenze aeree sono momenti memorabili di grande animazione e hanno fatto scuola ispirando registi del calibro di Hideaki Anno ("Nadia e il mistero della pietra azzurra", 1990) e John Lasseter, che omaggia il maestro recuperando la scena del salvataggio di Sheeta con il flaptor nel suo "A bug's life", 1998.
Ma il cuore del film resta la fluttuante isola di Laputa, costruita attorno al grande albero: quest'ultimo, da sempre simbolo 'miyazakiano' e presenza ricorrente nel suo cinema, qui trascende i limiti del possibile e diventa metafora stessa della maestosità della natura che riconquista i propri spazi vitali ai danni dell'assurdo delirio di onnipotenza da parte dell'uomo.
Come ciliegina sulla torta, la toccante colonna sonora di Joe Hisaishi enfatizza i momenti più alti del film facendogli raggiungere vette inusitate di sublime arte animata.
Laputa è un'opera per tutti che al contempo diverte e commuove, stupisce e incanta, fa rivivere tutta la magia e lo spirito di avventura dei mostri sacri della letteratura fantastica ed eleva Miyazaki al rango delle personalità cinematografiche più illustri del Sol Levante.
Grazie alle fortune 'festivaliere' de "La città incantata" il cinema di Hayao Miyazaki acquista nuova linfa che porta i suoi primi capolavori finalmente nelle sale italiane dopo lunghi anni di insensato e scandaloso silenzio. Uno di questi capolavori è "Laputa, il castello nel cielo", 1986. Ispirato alla letteratura ottocentesca di Swift, Verne e Stevenson è il primo lungometraggio ufficialmente targato Studio Ghibli e manifesta tutto l'amore del cineasta nipponico per il genere avventuroso, fantasy e fantascientifico.
Il volo come espressione di libertà e anelito di purezza è una costante nel cinema di Miyazaki che nell'immensità del cielo trova una dimensione poetica ideale: la maggior parte dei suoi film esordiscono con una sequenza aerea e sulle nuvole i suoi eroi si innalzano leggeri come l'aria e liberi come gli uccelli oltre le imperfezioni e le brutture del mondo. Laputa (e forse ancora di più "Porco rosso") rappresenta l'epitome di questa passione per l'aeronautica che l'autore infonde sistematicamente nelle sue opere.
Il film narra le avventure di Pazu e Sheeta alla ricerca della fortezza volante di Laputa, un'isola incantata contenente un'arma segreta potentissima già nelle mire del malvagio colonnello Muska e del suo esercito. Nella ricerca i due giovani saranno affiancati da una ciurma di strampalati pirati dell'aria guidati da Mama Dola, una terribile nonnetta che punta a impadronirsi dei leggendari tesori nascosti in Laputa.
I temi dominanti sono l'antimilitarismo e l'ecologismo, che nel film si uniscono all'avvincente racconto di avventura dei due giovani protagonisti: l'isola volante ci mostra una natura selvaggia e incontaminata il cui equilibrio è messo a rischio dall'umana sete di potere del cattivo di turno pronto a servirsi dell'immensa energia di Laputa per dominare il mondo. E' significativo il ruolo dell'ultimo robot guardiano che, da letale macchina da guerra di un tempo, si trasforma in angelo custode della sacralità della natura.
Colpisce la cura con cui sono tratteggiati e sfumati i personaggi: una galleria assortita in cui risaltano i profili dei due protagonisti, ricalcati sulla fisionomia di Conan e Lana, e la controversa figura della piratessa Mama Dola, su cui l'autore ridipinge un convincente 'Long John' Silver al femminile, prototipo di personaggio ambiguo e complesso, in bilico tra buoni e cattivi, che rivela il grande potenziale comico del regista di Akebono.
Molti grandi autori hanno un loro 'attore feticcio' (basti pensare a Mastroianni per Fellini o a De Niro per Scorsese): per Miyazaki si potrebbe tranquillamente parlare di Conan, il cui prodromo nasce nel 1968 con Hols ne "La grande avventura del piccolo principe Valiant ", e che qui rientra in azione nelle vesti di Pazu, ma che riapparirà anche più avanti 'interpretando' il principe Ashitaka, in quella che sarà l'evoluzione ideale dell'eroe 'miyazakiano' nell'affrontare i temi maturi dell'amore e della morte.
Pur non raggiungendo il respiro epico e grandioso di Nausicaä, in Laputa il cineasta riesce a far convivere tutte le sue anime cinematografiche con grande equilibrio: il gusto per l'azione e per il ritmo incalzante, i momenti pacati e riflessivi, la frizzante commedia, la delicata poesia, sono tutte componenti che il regista orchestra con estrema perizia. Da ricordare la scena claustrofobica ambientata nelle viscere della terra in compagnia del vecchio minatore che fa da preludio all'eterea libertà degli immensi spazi aperti nelle lunghe sequenze aeree.
La realizzazione tecnico/artistica di altissimo livello ci offre un brillante esempio di animazione 'classica', le cui qualità e modernità restano ancora oggi ineguagliate: il character design morbido ed elegante, le macchine volanti dal sapore 'steampunk', la ricchezza degli scenari, la fluidità dei movimenti, gli spericolati inseguimenti e le spettacolari e adrenaliniche sequenze aeree sono momenti memorabili di grande animazione e hanno fatto scuola ispirando registi del calibro di Hideaki Anno ("Nadia e il mistero della pietra azzurra", 1990) e John Lasseter, che omaggia il maestro recuperando la scena del salvataggio di Sheeta con il flaptor nel suo "A bug's life", 1998.
Ma il cuore del film resta la fluttuante isola di Laputa, costruita attorno al grande albero: quest'ultimo, da sempre simbolo 'miyazakiano' e presenza ricorrente nel suo cinema, qui trascende i limiti del possibile e diventa metafora stessa della maestosità della natura che riconquista i propri spazi vitali ai danni dell'assurdo delirio di onnipotenza da parte dell'uomo.
Come ciliegina sulla torta, la toccante colonna sonora di Joe Hisaishi enfatizza i momenti più alti del film facendogli raggiungere vette inusitate di sublime arte animata.
Laputa è un'opera per tutti che al contempo diverte e commuove, stupisce e incanta, fa rivivere tutta la magia e lo spirito di avventura dei mostri sacri della letteratura fantastica ed eleva Miyazaki al rango delle personalità cinematografiche più illustri del Sol Levante.
"Laputa, il castello nel cielo" è un capolavoro ideato dal maestro Hayao Miyazaki nel 1986, il primo di produzione dello studio Ghibli.
Miyazaki, nella maggior parte delle sue principali opere, tende a ispirarsi ad altre opere o romanzi, difatti anche con "Laputa, il castello nel cielo" si ispira a "I viaggi di Gulliver".
La storia inizia con una giovane ragazzina, che per fuggire da una banda di pirati intenzionati a catturarla, cade dalla sua "navicella", ma viene salvata da una pietra che ha indosso, che la fa arrivare dolcemente fra le braccia di Pazu, ragazzo orfano suo coetaneo che si occuperà di lei e la accompagnerà in questa fantastica avventura.
La storia è bellissima, ci appassiona con una fantastica avventura vissuta da due giovani ragazzi, un amore nato proprio così, in un modo avventuroso che ci riempirà di continue emozioni che faranno godere di una visione senza dubbio toccante dall'inizio fino al commovente momento del finale. E' presente anche un'immancabile poeticità, che secondo me è una caratteristica che la maggior parte delle opere ideate da Hayao Miyazaki e dallo studio Ghibli possiede. In questo, che io ritengo personalmente un vero e proprio capolavoro, si può trovare tutto: avventura, drammaticità, umorismo, azione, insomma, tutto quello che un'opera di questo calibro dovrebbe possedere per essere considerata un capolavoro. Naturalmente lo stile è quello inconfondibile del maestro Miyazaki, sia per la trama di fondo dell'opera in questione, caratterizzata dalla semplicità, ma con l'emozione che solo un'opera di questo calibro più riuscire a trasmettere, sia per l'inconfondibile tratto del disegno, semplice ma nello stesso tempo pulito e piacevole da seguire.
Per i fan delle opere realizzate dallo studio Ghibli e da Miyazaki, come il sottoscritto, è davvero impossibile perdersi quella che, secondo il mio parere, è una delle migliori opere realizzate dallo studio Ghibli.
Per concludere, come voto finale, credo sia il minimo dare un dieci, del tutto meritato. Come detto anche prima, non potete farvi mancare questa splendida opera, quindi non posso fare altro che consigliarla a tutti coloro che non hanno avuto il piacere di visionarla.
Miyazaki, nella maggior parte delle sue principali opere, tende a ispirarsi ad altre opere o romanzi, difatti anche con "Laputa, il castello nel cielo" si ispira a "I viaggi di Gulliver".
La storia inizia con una giovane ragazzina, che per fuggire da una banda di pirati intenzionati a catturarla, cade dalla sua "navicella", ma viene salvata da una pietra che ha indosso, che la fa arrivare dolcemente fra le braccia di Pazu, ragazzo orfano suo coetaneo che si occuperà di lei e la accompagnerà in questa fantastica avventura.
La storia è bellissima, ci appassiona con una fantastica avventura vissuta da due giovani ragazzi, un amore nato proprio così, in un modo avventuroso che ci riempirà di continue emozioni che faranno godere di una visione senza dubbio toccante dall'inizio fino al commovente momento del finale. E' presente anche un'immancabile poeticità, che secondo me è una caratteristica che la maggior parte delle opere ideate da Hayao Miyazaki e dallo studio Ghibli possiede. In questo, che io ritengo personalmente un vero e proprio capolavoro, si può trovare tutto: avventura, drammaticità, umorismo, azione, insomma, tutto quello che un'opera di questo calibro dovrebbe possedere per essere considerata un capolavoro. Naturalmente lo stile è quello inconfondibile del maestro Miyazaki, sia per la trama di fondo dell'opera in questione, caratterizzata dalla semplicità, ma con l'emozione che solo un'opera di questo calibro più riuscire a trasmettere, sia per l'inconfondibile tratto del disegno, semplice ma nello stesso tempo pulito e piacevole da seguire.
Per i fan delle opere realizzate dallo studio Ghibli e da Miyazaki, come il sottoscritto, è davvero impossibile perdersi quella che, secondo il mio parere, è una delle migliori opere realizzate dallo studio Ghibli.
Per concludere, come voto finale, credo sia il minimo dare un dieci, del tutto meritato. Come detto anche prima, non potete farvi mancare questa splendida opera, quindi non posso fare altro che consigliarla a tutti coloro che non hanno avuto il piacere di visionarla.
"Laputa, il castello nel cielo"... Già, il titolo basta a far volare la fantasia oltre le nuvole e l'immaginazione. Questo film d'animazione è del 1986 ed è il primo prodotto del neonato Studio Ghibli. Dopo Nausicaa, uscito nel 1984, il maestro Miyazaki non ha deluso le aspettative dirigendo con zelo e passione quest'avventura di fascino libresco.
Sheeta è una bambina che porta con sé un grande segreto: possiede un ciondolo fatto di cristallo di gravipietra, una pietra in grado di annullare la gravità. Questo suo prezioso tesoro fa gola a molti, tra i quali il governo stesso del suo paese e una banda di pirati, la famiglia di Dola. Per scappare da loro, Sheeta cade all'improvviso da un'aereonave galleggiando dal cielo verso un piccolo villaggio e viene aiutata da un bambino che lavora in miniera, Pazu. Il padre di Pazu era un aviatore che aveva visto in cielo un castello sospeso tra le nubi. In quel frangente c'era una tempesta, ma lui era riuscito a fare una foto alla città nel cielo, Laputa. Nonostante questo l'uomo non fu creduto e morì senza gloria considerato da tutti un bugiardo. Per salvare la reputazione del padre, Pazu desidera a tutti i costi trovare Laputa. I due bambini scappano insieme e scoprono che Sheeta è una discendente dell'ormai estinto popolo di Laputa. Il desiderio di trovare la città sospesa sale.
Il titolo del film prende il nome dalla città galleggiante dei Viaggi di Gulliver di Swift, romanzo che viene anche citato da Pazu nella descrizione di Laputa. A differenza del precedente Nausicaa qui non c'è epicità, non ci sono grandi temi preponderanti, come l'inquinamento della natura, ma solo la terribile sete di potere dell'uomo, la sua bramosia nella ricerca del possesso di tesori e armi di distruzione. Non c'è nemmeno una figura carismatica e forte come la San di Princess Mononoke, la ragazza lupo. Cosa c'è allora di magico e salvifico in questo film? La meraviglia della scoperta di un "mondo" nuovo, una civiltà antica i cui segreti, come ci insegnano i due piccoli protagonisti, non vanno sfruttati per scopi infimi, ma tutelati come beni preziosi. La dolcezza dei due bambini invade lo schermo. Non hanno altro che la povertà, eppure sono così ricchi di sentimenti positivi. La semplicità, l'innocenza e il coraggio, il loro giovane amore sono le "armi" che usano contro la sopraffazione.
Miyazaki ha una passione non nascosta per l'aviazione e i dettagli degli strumenti di volo e delle navi volanti sono accurati e lasciano pienamente soddisfatti. La presenza dei robot e della loro intelligenza artificiale meriterebbe una lunga analisi sulle varie fonti e spunti, a partire dalla stessa Nausicaa. Ci sono scene dal forte impatto visivo che ti lasciano davvero senza fiato, come: la tempesta di fulmini all'interno del "nido dei draghi", la visione della verde natura di Laputa, che ha immerso le sue antiche costruzioni in un sonno profondo, la scena finale, con un cielo limpido e blu. La grafica è quella di un film degli anni Ottanta, ma il timbro del regista la rende emozionante e per nulla obsoleta. Il ritmo è sempre incalzante e le scene d'azione si succedono una dopo l'altra. La trama è lineare e facile da seguire. Non ci sono vistose incongruenze e forzature. Forse solo il ruolo della famiglia dei pirati non è molto rilevante ai fini della storia. E' la presenza comica e divertente, spesso presente nei film di Miyazaki.
Consigliato a tutti gli amanti dell'avventura.
Sheeta è una bambina che porta con sé un grande segreto: possiede un ciondolo fatto di cristallo di gravipietra, una pietra in grado di annullare la gravità. Questo suo prezioso tesoro fa gola a molti, tra i quali il governo stesso del suo paese e una banda di pirati, la famiglia di Dola. Per scappare da loro, Sheeta cade all'improvviso da un'aereonave galleggiando dal cielo verso un piccolo villaggio e viene aiutata da un bambino che lavora in miniera, Pazu. Il padre di Pazu era un aviatore che aveva visto in cielo un castello sospeso tra le nubi. In quel frangente c'era una tempesta, ma lui era riuscito a fare una foto alla città nel cielo, Laputa. Nonostante questo l'uomo non fu creduto e morì senza gloria considerato da tutti un bugiardo. Per salvare la reputazione del padre, Pazu desidera a tutti i costi trovare Laputa. I due bambini scappano insieme e scoprono che Sheeta è una discendente dell'ormai estinto popolo di Laputa. Il desiderio di trovare la città sospesa sale.
Il titolo del film prende il nome dalla città galleggiante dei Viaggi di Gulliver di Swift, romanzo che viene anche citato da Pazu nella descrizione di Laputa. A differenza del precedente Nausicaa qui non c'è epicità, non ci sono grandi temi preponderanti, come l'inquinamento della natura, ma solo la terribile sete di potere dell'uomo, la sua bramosia nella ricerca del possesso di tesori e armi di distruzione. Non c'è nemmeno una figura carismatica e forte come la San di Princess Mononoke, la ragazza lupo. Cosa c'è allora di magico e salvifico in questo film? La meraviglia della scoperta di un "mondo" nuovo, una civiltà antica i cui segreti, come ci insegnano i due piccoli protagonisti, non vanno sfruttati per scopi infimi, ma tutelati come beni preziosi. La dolcezza dei due bambini invade lo schermo. Non hanno altro che la povertà, eppure sono così ricchi di sentimenti positivi. La semplicità, l'innocenza e il coraggio, il loro giovane amore sono le "armi" che usano contro la sopraffazione.
Miyazaki ha una passione non nascosta per l'aviazione e i dettagli degli strumenti di volo e delle navi volanti sono accurati e lasciano pienamente soddisfatti. La presenza dei robot e della loro intelligenza artificiale meriterebbe una lunga analisi sulle varie fonti e spunti, a partire dalla stessa Nausicaa. Ci sono scene dal forte impatto visivo che ti lasciano davvero senza fiato, come: la tempesta di fulmini all'interno del "nido dei draghi", la visione della verde natura di Laputa, che ha immerso le sue antiche costruzioni in un sonno profondo, la scena finale, con un cielo limpido e blu. La grafica è quella di un film degli anni Ottanta, ma il timbro del regista la rende emozionante e per nulla obsoleta. Il ritmo è sempre incalzante e le scene d'azione si succedono una dopo l'altra. La trama è lineare e facile da seguire. Non ci sono vistose incongruenze e forzature. Forse solo il ruolo della famiglia dei pirati non è molto rilevante ai fini della storia. E' la presenza comica e divertente, spesso presente nei film di Miyazaki.
Consigliato a tutti gli amanti dell'avventura.
Nato nel 1986, questo lavoro del maestro Miyazaki, al quale non si può pensare senza ricordare che è il primo lavoro dello Studio Ghibli, trasporta immediatamente l'anima al ricordo, eccezionale ed emozionante, di "Conan, il Ragazzo del Futuro". Dopo la bella Lana (Rana), ecco apparire in tutto e per tutto simile Sheeta, personaggio chiave del film. Per chi come me è vissuto con Conan da bambino, ritrovare ad anni di distanza una storia che così bene richiama quella, pur essendo profondamente diversa, è un'emozione che non posso descrivere, e che mi colma totalmente.
E' impossibile per me esimermi dal fare un paragone importante tra le due opere, paragone che forse il maestro ha voluto e cercato, proprio con la somiglianza dei personaggi, con il parallelismo dei temi trattati, con un disegno che appare immediatamente eccellente, e con le musiche che sono straordinarie e curate, avvolgenti e raggelanti, e sinuosamente vestono le immagini di anima.
L'animazione è davvero realistica, con una cura del dettaglio che lascia senza fiato. A un certo punto si vedrà Pazu aprire la colombaia: ci sono, in quell'immagine, la poesia e la perfezione ricercata di un vero capolavoro; ovviamente non si ferma lì, più di una volta si resterà con la bocca aperta a guardare quello che sembra un sogno realizzato, oppure si perderà la cognizione di guardare semplicemente un film di animazione, lasciandosi alle spalle la realtà e proiettandosi all'interno del film stesso.
Il tutto favorito, mi spiace ripetermi, dalle musiche, dal sonoro, da un doppiaggio che in fondo soddisfa bene e non lascia delusi.
La storia è quella tipica del maestro Miyazaki. Volendo essere cinici essa si potrebbe descrivere come la classica storia d'amore, in cui loro due s'incontrano, s'innamorano, vivono tante avventure che li separano, e alla fine si ritrovano (non è questa la fine, non preoccupatevi). Invece non si può essere cinici con un lavoro così ben fatto e un anime che davvero coinvolge e appassiona. Non può perché in realtà Laputa è un vero susseguirsi di colpi di scena, di emozioni e di lotte, di coraggio e di passaggi mai scontati, come il finale stesso, che nel mio modo di vedere si prospetta come imprevisto. C'è forse un lieto fine, ma che potrebbe non essere così chiaro, o così tale. Anche questo contribuisce a motivare l'entusiasmo che quest'anime mi ha risvegliato.
La deprecazione dell'arrivismo, del potere assoluto, la lotta a chi si vuole imporre con la forza e vuole solo la propria glorificazione è il pilastro portante di questa storia, in cui ancora una volta s'incontrerà la coesione del "vulgo" semplice, pacifico e felice, e il buon cuore che risiede dentro ognuno di noi e che spesso esce fuori facendo illuminare gli sguardi di chi osserva.
Ancora una volta è la natura a farla da protagonista. Sempre nelle prime scene è bellissimo il gioco di voli che fanno le colombe di Pazu, è meraviglioso lo scorcio di terra che si vede dal cielo, è bellissimo il Castello Volante, il tutto è intriso di una natura viva e silente, personaggio onnipresente nelle opere di Miyazaki e spesso lasciato un po' da parte. Eppure ancora una volta è la natura, che nella sua accettazione dell'uomo non interviene come entità, ma come mano che sorregge le sorti degli eroi.
Dichiarazione contro la guerra, amore per la natura, amore tra le genti, questi i temi affrontati, lasciando sempre alla speranza il ruolo di sollevare i cuori e renderli liberi dalle catene del mondo che ci circonda.
Poesia, per chi ama la poesia, o opera d'arte per chi ama l'arte, oppure semplicemente un lavoro di passione e cuore che Miyazaki e il neonato Studio Ghibli hanno portato sugli schermi di tutto il mondo, e che visto e rivisto non stanca ed emoziona.
Meraviglia da vedere.
E' impossibile per me esimermi dal fare un paragone importante tra le due opere, paragone che forse il maestro ha voluto e cercato, proprio con la somiglianza dei personaggi, con il parallelismo dei temi trattati, con un disegno che appare immediatamente eccellente, e con le musiche che sono straordinarie e curate, avvolgenti e raggelanti, e sinuosamente vestono le immagini di anima.
L'animazione è davvero realistica, con una cura del dettaglio che lascia senza fiato. A un certo punto si vedrà Pazu aprire la colombaia: ci sono, in quell'immagine, la poesia e la perfezione ricercata di un vero capolavoro; ovviamente non si ferma lì, più di una volta si resterà con la bocca aperta a guardare quello che sembra un sogno realizzato, oppure si perderà la cognizione di guardare semplicemente un film di animazione, lasciandosi alle spalle la realtà e proiettandosi all'interno del film stesso.
Il tutto favorito, mi spiace ripetermi, dalle musiche, dal sonoro, da un doppiaggio che in fondo soddisfa bene e non lascia delusi.
La storia è quella tipica del maestro Miyazaki. Volendo essere cinici essa si potrebbe descrivere come la classica storia d'amore, in cui loro due s'incontrano, s'innamorano, vivono tante avventure che li separano, e alla fine si ritrovano (non è questa la fine, non preoccupatevi). Invece non si può essere cinici con un lavoro così ben fatto e un anime che davvero coinvolge e appassiona. Non può perché in realtà Laputa è un vero susseguirsi di colpi di scena, di emozioni e di lotte, di coraggio e di passaggi mai scontati, come il finale stesso, che nel mio modo di vedere si prospetta come imprevisto. C'è forse un lieto fine, ma che potrebbe non essere così chiaro, o così tale. Anche questo contribuisce a motivare l'entusiasmo che quest'anime mi ha risvegliato.
La deprecazione dell'arrivismo, del potere assoluto, la lotta a chi si vuole imporre con la forza e vuole solo la propria glorificazione è il pilastro portante di questa storia, in cui ancora una volta s'incontrerà la coesione del "vulgo" semplice, pacifico e felice, e il buon cuore che risiede dentro ognuno di noi e che spesso esce fuori facendo illuminare gli sguardi di chi osserva.
Ancora una volta è la natura a farla da protagonista. Sempre nelle prime scene è bellissimo il gioco di voli che fanno le colombe di Pazu, è meraviglioso lo scorcio di terra che si vede dal cielo, è bellissimo il Castello Volante, il tutto è intriso di una natura viva e silente, personaggio onnipresente nelle opere di Miyazaki e spesso lasciato un po' da parte. Eppure ancora una volta è la natura, che nella sua accettazione dell'uomo non interviene come entità, ma come mano che sorregge le sorti degli eroi.
Dichiarazione contro la guerra, amore per la natura, amore tra le genti, questi i temi affrontati, lasciando sempre alla speranza il ruolo di sollevare i cuori e renderli liberi dalle catene del mondo che ci circonda.
Poesia, per chi ama la poesia, o opera d'arte per chi ama l'arte, oppure semplicemente un lavoro di passione e cuore che Miyazaki e il neonato Studio Ghibli hanno portato sugli schermi di tutto il mondo, e che visto e rivisto non stanca ed emoziona.
Meraviglia da vedere.
Guardando Laputa sono rimasto basito. Mi aspettavo, come al solito, una sottile lezione moraleggiante e oramai "simpatica" su temi ambientali, ecologici, riguardanti la sfera tecnologica e bellicistica, e invece ho aspettato ben due ore e niente di tutto ciò s'è prospettato all'orizzonte.
Effettivamente secondo me quest'anime è uno dei peggiori dello Studio Ghibli.
Miyazaki fa partire la storia in medias res e ovviamente dopo tre minuti lo spettatore può già percepire nell'aria l'amore fra i due protagonisti, successivamente aggiunge una serie di nemici abbastanza stereotipati e altri personaggi che hanno importanza solo nella prima parte dell'anime, per poi scomparire totalmente senza spiegazioni. Dopo inseguimenti su rotaie di legno fradicio sospese in aria in cui nessuno cade, i nostri eroi hanno un momento di pausa per poi essere rigettati in uno scontro epico fra un robot resuscitato e l'esercito. Infine, finalmente, dopo, possiamo ben dire, un'ora e un quarto, si comincia a prospettare l'idea di comprendere cosa sia e come sia fatta questa agognata Laputa.
Sì, perché la pecca principale di quest'anime è che è estremamente superficiale. Le vicende vanno avanti in modo lento, tirate, sembra quasi che si perda il punto. Si chiama "Laputa, il castello nel cielo", ma di Laputa si parla praticamente negli ultimi mezz'ora-quarto d'ora. Il resto del tempo viene speso in scontri, fughe e voli in mezzo alle nuvole, in cui i nostri protagonisti, ricordo più che minorenni, mostrano di aver preso lezioni da Rambo e da Porco Rosso.
Solo il finale si salva, ma neppure del tutto. Ovviamente non intendo gli ultimi 5 minuti, infarciti di solito buonismo "tutti felici e contenti, amiamoci" di Miyazaki presente in qualsiasi suo film, e che quindi non conto per il voto. Per finale intendo le ultime vicende sul castello, in cui finalmente lo Studio Ghibli va un po' di fantasia e mette su un interessante spettacolo visivo, misto di pace e tecnologia. Robot in sintonia con la Natura e con gli animali, il cui passo è espresso da dolci note, ricordano probabilmente con tristezza i tempi passati. Questo credo rappresenti la tomba, anche se, misteriosamente, Miyazaki dimentica di dirci cosa sia - altro punto negativo. Questa scena mi ha ricordato molto i golem presenti in "Berserk" nel giardino di Flora. Se la scenografia è ottima, la storia rimane di basso livello. Prende piede l'antagonista-modello, antipatico dal primo secondo e che decide di dare il meglio di sé stesso.
Ciò che proprio mi ha lasciato sbigottito, come ho detto all'inizio, è però il fatto che, oltre tutte queste vicende davvero poco interessanti in una scenografia spicciola, se non per gli ultimi minuti, è che manca totalmente un messaggio. Non v'è un accenno moralistico riguardo la Natura, né riguardo il comportamento umano, in cui un po' tutti sono apparsi ai miei occhi o stupidi o ipocriti - come la banda di pirati che io ho percepito come "nemico" fino alla fine del film, ma evidentemente i protagonisti non la pensavano come me -, oppure antipatici.
È evidentemente per questo che il tema amoroso è molto, molto più sottolineato. Gli abbracci, i quasi-baci, le labbra e i corpi a pochissima distanza non si contano e non si possono sopportare. Almeno per me. Ricordo la scena in cui i due protagonisti "sbarcano" su Laputa e rimangono avvinghiati, si abbracciano, stanno per baciarsi... e poi si mettono a ridere.
Non guardatelo, c'è di meglio nel repertorio.
Effettivamente secondo me quest'anime è uno dei peggiori dello Studio Ghibli.
Miyazaki fa partire la storia in medias res e ovviamente dopo tre minuti lo spettatore può già percepire nell'aria l'amore fra i due protagonisti, successivamente aggiunge una serie di nemici abbastanza stereotipati e altri personaggi che hanno importanza solo nella prima parte dell'anime, per poi scomparire totalmente senza spiegazioni. Dopo inseguimenti su rotaie di legno fradicio sospese in aria in cui nessuno cade, i nostri eroi hanno un momento di pausa per poi essere rigettati in uno scontro epico fra un robot resuscitato e l'esercito. Infine, finalmente, dopo, possiamo ben dire, un'ora e un quarto, si comincia a prospettare l'idea di comprendere cosa sia e come sia fatta questa agognata Laputa.
Sì, perché la pecca principale di quest'anime è che è estremamente superficiale. Le vicende vanno avanti in modo lento, tirate, sembra quasi che si perda il punto. Si chiama "Laputa, il castello nel cielo", ma di Laputa si parla praticamente negli ultimi mezz'ora-quarto d'ora. Il resto del tempo viene speso in scontri, fughe e voli in mezzo alle nuvole, in cui i nostri protagonisti, ricordo più che minorenni, mostrano di aver preso lezioni da Rambo e da Porco Rosso.
Solo il finale si salva, ma neppure del tutto. Ovviamente non intendo gli ultimi 5 minuti, infarciti di solito buonismo "tutti felici e contenti, amiamoci" di Miyazaki presente in qualsiasi suo film, e che quindi non conto per il voto. Per finale intendo le ultime vicende sul castello, in cui finalmente lo Studio Ghibli va un po' di fantasia e mette su un interessante spettacolo visivo, misto di pace e tecnologia. Robot in sintonia con la Natura e con gli animali, il cui passo è espresso da dolci note, ricordano probabilmente con tristezza i tempi passati. Questo credo rappresenti la tomba, anche se, misteriosamente, Miyazaki dimentica di dirci cosa sia - altro punto negativo. Questa scena mi ha ricordato molto i golem presenti in "Berserk" nel giardino di Flora. Se la scenografia è ottima, la storia rimane di basso livello. Prende piede l'antagonista-modello, antipatico dal primo secondo e che decide di dare il meglio di sé stesso.
Ciò che proprio mi ha lasciato sbigottito, come ho detto all'inizio, è però il fatto che, oltre tutte queste vicende davvero poco interessanti in una scenografia spicciola, se non per gli ultimi minuti, è che manca totalmente un messaggio. Non v'è un accenno moralistico riguardo la Natura, né riguardo il comportamento umano, in cui un po' tutti sono apparsi ai miei occhi o stupidi o ipocriti - come la banda di pirati che io ho percepito come "nemico" fino alla fine del film, ma evidentemente i protagonisti non la pensavano come me -, oppure antipatici.
È evidentemente per questo che il tema amoroso è molto, molto più sottolineato. Gli abbracci, i quasi-baci, le labbra e i corpi a pochissima distanza non si contano e non si possono sopportare. Almeno per me. Ricordo la scena in cui i due protagonisti "sbarcano" su Laputa e rimangono avvinghiati, si abbracciano, stanno per baciarsi... e poi si mettono a ridere.
Non guardatelo, c'è di meglio nel repertorio.
Nel lontano 1986, quando lo studio Ghibli era ancora un neonato in fasce che muoveva i suoi primi e incerti passi nel mondo dell'animazione, fresco del successo di Nausicaa, il mitico e futuro eroe dell'animazione giapponese, Hayao Miyazaki, l'immacolato e sempiterno regista più acclamato di tutti i tempi, si propose, coadiuvato dal suo inenarrabile team, un nuovo progetto di cui il mondo avrebbe fatto volentieri a meno: Laputa.
E' per me un onore e un incommensurabile "piacere" potere recensire un titolo come Laputa, opera in poco tempo divenuta celeberrima, tanto da essere insignita del titolo di miglior "film d'animazione" del suo anno, prassi ormai consolidata per i lavori di questo "autore", che vengono automaticamente etichettati, dai più, come capolavori senza tempo; come qualsiasi obbrobrio egli abbia il coraggio di propinare al pubblico.
Senza dubbio alcuno Laputa è tra i peggiori film che abbia mai visto, non soltanto se considerati i lavori successivi del "maestro", ma anche se vista nell'insieme dell'animazione giapponese, di "alto livello", globalmente considerata. Mi riserbo a più tardi alcune considerazioni in merito, per iniziare finalmente la disamina di quest'ennesimo capolavoro.
Il film, ricordiamolo, è tra i primi creati da questo studio, ma sfortunatamente non uno degli ultimi. Presenta, come ci si poteva aspettare, la base di quelli che poi saranno i personaggi tradizionali di Miyazaki, gli stereotipi comuni a quasi tutti i suoi film, ovvero la dolce ragazza protagonista, inevitabilmente innamorata dello sbarbatello di turno e, non dimentichiamo, la vecchietta simpatica ma esteticamente raccapricciante.
Non è cosa che io apprezzi il dovermi ripetere, ma d'altronde non saprei definire diversamente l'opera del "Sommo" se non come la consueta fiabetta banale, che è solito propinarci, caratterizzata da un'estrema semplicità e ingenuità, per non parlare dello spessore e della profondità pari a un multiplo di zero. Ormai è pleonastico constatare come i film di Miyazaki presentino sempre i medesimi e patologici difetti, a partire dalla trama, che si rivela essere quanto di più scontato e banale possa essere concepito da mente umana. La narrazione procede incontrovertibilmente in linea retta, piatta ed elementare, se non addirittura sconclusionata. Si assiste a una sorta di patetica fiera dei cliché erranti, e non sarebbe dunque corretto affermare che vi sia uno sviluppo della storia mediante il "modus agendi" dei personaggi, bensì una continuità garantita da una strana forza magica che si potrebbe chiamare "la mano di Dio (o regista)", ma per convenienza diremo esso che procede per coincidenze. Questo film è infatti un incredibile insieme di fortuite coincidenze, a volte che hanno davvero dell'assurdo, escamotage narrativi patetici e di bassa lega per smuovere gli avvenimenti.
Per fare solo qualche esempio, i nostri eroi, in più o meno qualunque posto si recheranno, troveranno "casualmente" un personaggio chiave all'interno della storia che li indirizzerà sulla retta via, o che comunque li aiuterà, fornendo loro per motivi ridicoli delle importanti informazioni riguardo al loro grande viaggio e un immancabile sostegno - con riferimento al vecchio della caverna o al comandante dei pirati. Anche i nemici godono di un potere quale l'infallibilità, poiché scovano sempre al primo colpo il luogo in cui sono fuggiti i nostri eroi quasi avessero il dono dell'ubiquità.
Alcuni di questi escamotage diventano addirittura ridicoli e poco credibili. Per portare un esempio lampante, tra gli innumerevoli che mi sovvengono, ricordiamo la scena in cui il ragazzo, dopo essere stato imprigionato e inseguito da militari, pirati e nemici di ogni sorta, torna tranquillo al suo villaggio, dove immancabilmente incontrerà ad aspettarlo i mascalzoni che il giorno prima gli davano la caccia.
Ora, è vero che esiste un certo margine per cui una storia di fantasia può permettersi certe scelte, ma si deve possedere l'intelligenza di una scimmia per non pensare a un'eventualità del genere e ritornare nel luogo più probabile, dove sicuramente il nemico penserà di cercarti. In ogni caso tutto si risolve per il meglio, poiché si scopre che questi fantomatici pirati sono in realtà un'accozzaglia di simpaticoni, che familiarizzano subito con il protagonista, diventando, con un voltafaccia spaventoso, immediatamente grandi amici.
Se, d'altra parte, nel finale ci si poteva aspettare qualcosa di più, si rimarrà invece incredibilmente delusi: compare il tipico "cattivone" di turno, il quale naturalmente si scopre essere un discendente dei re di Laputa (sullo stesso andazzo della principessina). Egli riesce a prendere il controllo di una tecnologia a lui incomprensibile con estrema facilità, in virtù di "non si sa che cosa". Potere in grado di permettergli di soddisfare la sua sete di dominio se lo volesse - e ovviamente lui lo vuole, che cattivo sarebbe altrimenti?
Infine i protagonisti riusciranno a fermarlo, come ci si poteva aspettare, in nome di un mondo migliore, eco-sostenibile e pacifista, conclusione tutt'altro che imprevedibile. Insomma di cliché in cliché la trama cerca di prendere il suo spazio, andando avanti per volere divino e non per le azioni dei personaggi.
Ma accingiamoci a considerare il difetto più grave, che porta questo film a uno dei punti più bassi nella storia dell'animazione giapponese: la sceneggiatura. I dialoghi sono stati pensati malissimo, il più delle volte si presentano sconclusionati e senza senso, ma l'immancabile ciliegina sulla torta consiste nel fatto che i personaggi parlano simil voci narranti, descrivendo ciò che accade, spiegando la natura di certi avvenimenti anche se in quel momento non sarebbe assolutamente consona o credibile una tale reazione da parte loro, fattore che rende oltremodo irrealistico, se non patetico, il tutto. A mio avviso è un errore grave il cercare di spiegare ciò che avviene mediante i dialoghi, i personaggi riescono a sopraggiungere a conclusioni totalmente immotivate dando un perché agli avvenimenti seppur non potendo basarsi su qualcosa per fare tali affermazioni, esempio lampante il dialogo tra i due ragazzi, quando sono sull'isola.
Un altro esempio che or ora mi sovviene consiste nell'improbabile dialogo tra il capitano dei pirati (la vecchia) e il ragazzo, durante il quale il giovincello si lascia scappare tranquillamente dettagli immensamente controproducenti sia per sé sia per la sua innamorata, facendo sembrare quasi normale, anzi ovvio, il raccontare tutto a un personaggio perfettamente sconosciuto che pochi fotogrammi prima gli aveva dato inesorabilmente la caccia, impersonando la parte del "cattivo".
L'aspetto contenutistico riprende i soliti stereotipi dello studio Ghibli, dimostrando una fantasia davvero sconfinata. Come di dovere non viene presentata nemmeno una riflessione degna di tale nome, d'altronde cosa ci si potava aspettare da un film che sembra sceneggiato da Pinocchio?
Si possono individuare le solite stentoree metafore, quali la città stessa, simbolo del potere della tecnologia e del suo impiego bellico, ma anche luogo dove si celano immense ricchezze che attirano il cuore degli uomini, circuiti dal suo fascino tentatore. Tutto questo per delineare la solita morale scialba, impregnata di concetti che sconfinano nell'antimilitarismo e nell'ecologismo, mettendo in cattiva luce l'ambizione personale dell'uomo ed esaltando valori quali l'amicizia e la fiducia. Da non dimenticare le figure "malinconiche" incarnate dai robot dell'isola, figure dotate di un notevole potere di distruzione, ma al fine di proteggere e preservare l'amata natura, custodi di un tempio dimenticato da dio e dagli uomini.
L'improponibile superficialità con cui tutto ciò viene trattato è tale da fare cascare inevitabilmente le braccia.
Insomma trovandosi di fronte a cotanta incapacità sia narrativa sia registica mi sovvengono serie perplessità circa il tanto decantato "genio" di Miyazaki. Mi sembra che come regista egli sia qui piuttosto immaturo e incapace, un signor nessuno se confrontato a un Ikuhara o a un Oshii, registi meritevoli in grado di creare vere e proprie opere d'arte infinitamente più complesse e profonde di tutti i film Ghibli messi assieme. Negli stessi anni infatti Mamoru Oshii è impegnato nella realizzazione di "Beautiful Dreamer", film dove si notano già uno stile e un talento fuori dall'ordinario.
Tecnicamente parlando Laputa presenta ottime animazioni, il chara design tipico a cui ormai abbiamo fatto l'abitudine, fondali mozzafiato e delle colonne sonore molto ben realizzate, anche se in un certo qual modo non proprio indimenticabili.
Infine consiglio Laputa soltanto ai fan del "maestro", poiché trovo incredibile che altri lo possano considerare un film di grande valore, malgrado gli evidenti difetti, incongruenze e forzature, la trama assolutamente predicibile e lineare, non in grado d'intrattenere a sufficienza. Per rispetto a film successivi di gran lunga migliori, quali Howl e Chihiro, il mio voto è un quattro pieno.
E' per me un onore e un incommensurabile "piacere" potere recensire un titolo come Laputa, opera in poco tempo divenuta celeberrima, tanto da essere insignita del titolo di miglior "film d'animazione" del suo anno, prassi ormai consolidata per i lavori di questo "autore", che vengono automaticamente etichettati, dai più, come capolavori senza tempo; come qualsiasi obbrobrio egli abbia il coraggio di propinare al pubblico.
Senza dubbio alcuno Laputa è tra i peggiori film che abbia mai visto, non soltanto se considerati i lavori successivi del "maestro", ma anche se vista nell'insieme dell'animazione giapponese, di "alto livello", globalmente considerata. Mi riserbo a più tardi alcune considerazioni in merito, per iniziare finalmente la disamina di quest'ennesimo capolavoro.
Il film, ricordiamolo, è tra i primi creati da questo studio, ma sfortunatamente non uno degli ultimi. Presenta, come ci si poteva aspettare, la base di quelli che poi saranno i personaggi tradizionali di Miyazaki, gli stereotipi comuni a quasi tutti i suoi film, ovvero la dolce ragazza protagonista, inevitabilmente innamorata dello sbarbatello di turno e, non dimentichiamo, la vecchietta simpatica ma esteticamente raccapricciante.
Non è cosa che io apprezzi il dovermi ripetere, ma d'altronde non saprei definire diversamente l'opera del "Sommo" se non come la consueta fiabetta banale, che è solito propinarci, caratterizzata da un'estrema semplicità e ingenuità, per non parlare dello spessore e della profondità pari a un multiplo di zero. Ormai è pleonastico constatare come i film di Miyazaki presentino sempre i medesimi e patologici difetti, a partire dalla trama, che si rivela essere quanto di più scontato e banale possa essere concepito da mente umana. La narrazione procede incontrovertibilmente in linea retta, piatta ed elementare, se non addirittura sconclusionata. Si assiste a una sorta di patetica fiera dei cliché erranti, e non sarebbe dunque corretto affermare che vi sia uno sviluppo della storia mediante il "modus agendi" dei personaggi, bensì una continuità garantita da una strana forza magica che si potrebbe chiamare "la mano di Dio (o regista)", ma per convenienza diremo esso che procede per coincidenze. Questo film è infatti un incredibile insieme di fortuite coincidenze, a volte che hanno davvero dell'assurdo, escamotage narrativi patetici e di bassa lega per smuovere gli avvenimenti.
Per fare solo qualche esempio, i nostri eroi, in più o meno qualunque posto si recheranno, troveranno "casualmente" un personaggio chiave all'interno della storia che li indirizzerà sulla retta via, o che comunque li aiuterà, fornendo loro per motivi ridicoli delle importanti informazioni riguardo al loro grande viaggio e un immancabile sostegno - con riferimento al vecchio della caverna o al comandante dei pirati. Anche i nemici godono di un potere quale l'infallibilità, poiché scovano sempre al primo colpo il luogo in cui sono fuggiti i nostri eroi quasi avessero il dono dell'ubiquità.
Alcuni di questi escamotage diventano addirittura ridicoli e poco credibili. Per portare un esempio lampante, tra gli innumerevoli che mi sovvengono, ricordiamo la scena in cui il ragazzo, dopo essere stato imprigionato e inseguito da militari, pirati e nemici di ogni sorta, torna tranquillo al suo villaggio, dove immancabilmente incontrerà ad aspettarlo i mascalzoni che il giorno prima gli davano la caccia.
Ora, è vero che esiste un certo margine per cui una storia di fantasia può permettersi certe scelte, ma si deve possedere l'intelligenza di una scimmia per non pensare a un'eventualità del genere e ritornare nel luogo più probabile, dove sicuramente il nemico penserà di cercarti. In ogni caso tutto si risolve per il meglio, poiché si scopre che questi fantomatici pirati sono in realtà un'accozzaglia di simpaticoni, che familiarizzano subito con il protagonista, diventando, con un voltafaccia spaventoso, immediatamente grandi amici.
Se, d'altra parte, nel finale ci si poteva aspettare qualcosa di più, si rimarrà invece incredibilmente delusi: compare il tipico "cattivone" di turno, il quale naturalmente si scopre essere un discendente dei re di Laputa (sullo stesso andazzo della principessina). Egli riesce a prendere il controllo di una tecnologia a lui incomprensibile con estrema facilità, in virtù di "non si sa che cosa". Potere in grado di permettergli di soddisfare la sua sete di dominio se lo volesse - e ovviamente lui lo vuole, che cattivo sarebbe altrimenti?
Infine i protagonisti riusciranno a fermarlo, come ci si poteva aspettare, in nome di un mondo migliore, eco-sostenibile e pacifista, conclusione tutt'altro che imprevedibile. Insomma di cliché in cliché la trama cerca di prendere il suo spazio, andando avanti per volere divino e non per le azioni dei personaggi.
Ma accingiamoci a considerare il difetto più grave, che porta questo film a uno dei punti più bassi nella storia dell'animazione giapponese: la sceneggiatura. I dialoghi sono stati pensati malissimo, il più delle volte si presentano sconclusionati e senza senso, ma l'immancabile ciliegina sulla torta consiste nel fatto che i personaggi parlano simil voci narranti, descrivendo ciò che accade, spiegando la natura di certi avvenimenti anche se in quel momento non sarebbe assolutamente consona o credibile una tale reazione da parte loro, fattore che rende oltremodo irrealistico, se non patetico, il tutto. A mio avviso è un errore grave il cercare di spiegare ciò che avviene mediante i dialoghi, i personaggi riescono a sopraggiungere a conclusioni totalmente immotivate dando un perché agli avvenimenti seppur non potendo basarsi su qualcosa per fare tali affermazioni, esempio lampante il dialogo tra i due ragazzi, quando sono sull'isola.
Un altro esempio che or ora mi sovviene consiste nell'improbabile dialogo tra il capitano dei pirati (la vecchia) e il ragazzo, durante il quale il giovincello si lascia scappare tranquillamente dettagli immensamente controproducenti sia per sé sia per la sua innamorata, facendo sembrare quasi normale, anzi ovvio, il raccontare tutto a un personaggio perfettamente sconosciuto che pochi fotogrammi prima gli aveva dato inesorabilmente la caccia, impersonando la parte del "cattivo".
L'aspetto contenutistico riprende i soliti stereotipi dello studio Ghibli, dimostrando una fantasia davvero sconfinata. Come di dovere non viene presentata nemmeno una riflessione degna di tale nome, d'altronde cosa ci si potava aspettare da un film che sembra sceneggiato da Pinocchio?
Si possono individuare le solite stentoree metafore, quali la città stessa, simbolo del potere della tecnologia e del suo impiego bellico, ma anche luogo dove si celano immense ricchezze che attirano il cuore degli uomini, circuiti dal suo fascino tentatore. Tutto questo per delineare la solita morale scialba, impregnata di concetti che sconfinano nell'antimilitarismo e nell'ecologismo, mettendo in cattiva luce l'ambizione personale dell'uomo ed esaltando valori quali l'amicizia e la fiducia. Da non dimenticare le figure "malinconiche" incarnate dai robot dell'isola, figure dotate di un notevole potere di distruzione, ma al fine di proteggere e preservare l'amata natura, custodi di un tempio dimenticato da dio e dagli uomini.
L'improponibile superficialità con cui tutto ciò viene trattato è tale da fare cascare inevitabilmente le braccia.
Insomma trovandosi di fronte a cotanta incapacità sia narrativa sia registica mi sovvengono serie perplessità circa il tanto decantato "genio" di Miyazaki. Mi sembra che come regista egli sia qui piuttosto immaturo e incapace, un signor nessuno se confrontato a un Ikuhara o a un Oshii, registi meritevoli in grado di creare vere e proprie opere d'arte infinitamente più complesse e profonde di tutti i film Ghibli messi assieme. Negli stessi anni infatti Mamoru Oshii è impegnato nella realizzazione di "Beautiful Dreamer", film dove si notano già uno stile e un talento fuori dall'ordinario.
Tecnicamente parlando Laputa presenta ottime animazioni, il chara design tipico a cui ormai abbiamo fatto l'abitudine, fondali mozzafiato e delle colonne sonore molto ben realizzate, anche se in un certo qual modo non proprio indimenticabili.
Infine consiglio Laputa soltanto ai fan del "maestro", poiché trovo incredibile che altri lo possano considerare un film di grande valore, malgrado gli evidenti difetti, incongruenze e forzature, la trama assolutamente predicibile e lineare, non in grado d'intrattenere a sufficienza. Per rispetto a film successivi di gran lunga migliori, quali Howl e Chihiro, il mio voto è un quattro pieno.
Per essere conciso nel descrivere quest'opera dovrei citare le ultime parole pronunciate da Kurtz in "Cuore di Tenebra", poiché l'orrore è ciò che ci si para innanzi, nulla più.
Questo lungometraggio, uno dei primi diretti da Miyazaki, rappresenta una versione ridotta e maldestra di ciò che lo studio Ghibli perpetuerà negli anni a seguire, semplificando in esso le tematiche che continuerà a sviscerare seguendo la propria ossessiva sterilità artistica.
Il grande male che critico risiede nella bassissima qualità di regia e sceneggiatura, che raggiunge limiti grotteschi: la trama è di una semplicità in grado di atterrire anche gli spiriti più rapidi alla meraviglia; l'intreccio è inverosimilmente artificioso, tanto che gli eventi non sono legati da alcuna consequenzialità, potendo essere posti in essere solo grazie a un massiccio utilizzo di espedienti narrativi che sfidano con grande baldanza le leggi probabilistiche.
Ogni accadimento appare chiaramente forzato dall'arrivo estemporaneo di un nuovo personaggio che conosce le informazioni che sono necessarie a proseguire la storia e che di buon grado le metterà a disposizione dei nostri giovani eroi cosicché la prosecuzione sia garantita.
Insomma, la consecutio della vicenda risiede in regni lontani e immaginifici quanto quelli che ci vengono descritti, tanto che lo svolgersi degli eventi appare una vera e propria offesa all'intelligenza degli spettatori, essendo gli espedienti usati dei plateali deus ex machina della più infima specie.
Se "Tenkū no Shiro Laputa" è un ecatombe registico, pure sul versante contenutistico la guerra è aspra e il morale al fronte molto debole.
Questa volta il buon Hayao ci risparmia i suoi soliti buonismi, ma così commette un errore altrettanto grande, ossia non sopperisce a tale mancanza.
Se i tipici temi di bontà universale sono meno marcati, questo permette di osservare come la trama sia banale e come le altre tematiche siano canoniche e puritane nel più tipico stile Ghibli, sfociando nella più assoluta irrealtà.
Magistrale esempio di queste caricature di un copione serio sono i personaggi, in particolare i due protagonisti, i tipici ragazzini dall'animo nobile e dolce, che sono in grado d'innamorarsi in tempi mirabilmente repentini, ma l'intensità di tale loro sentimento risulterà essere inversamente proporzionale all'intervallo di tempo necessario a intrecciare tale relazione - ma oserei dire pure al quadrato o anche più.
Il pressapochismo sta dunque alla base dell'intera concatenazione (vocabolo non corretto nel caso in esame perché induce a credere, erroneamente, che vi siano dei collegamenti logici fra gli accadimenti) di eventi. I protagonisti si conoscono attraverso un'improbabile coincidenza, in un modo o nell'altro viene a galla l'importanza della pietra, attraverso l'intervento di qualche comparsa o grazie a taluni provvidenziali espedienti narrativi di mirabile ingegno - vedi il padre del protagonista che, chi mai l'avrebbe arguito, aveva visto proprio la leggendaria Laputa - alla trama è concesso di continuare a svenarsi.
Si comprende bene come i singoli elementi in sé possano rendersi necessari in un'opera di fantasia, la quale risulterà esente da forzature solo se elaborata da grandi talenti dell'animazione, tuttavia tale abbondanza è sintomatica di una mediocrità narrativa.
La vacuità della sceneggiatura è per altro riflessa dall'incapacità di ricreare la giusta atmosfera conciliante il sentimento che si vuole instillare nello spettatore. Sotto quest'aspetto la prima parte del lungometraggio è senza grossi dubbi la peggiore produzione che abbia mai visionato, costituita da un convulso susseguirsi di scene d'azione frammiste a una comicità di pessimo livello, che tuttavia non è possibile non considerare, e data tale sua impertinenza va a turbare fortemente la visione dell'opera, che non risulta scorrevole, come per altro l'intreccio forzato faceva ben evidentemente notare.
La vicenda questa volta, probabilmente l'unica nella storia dello studio Ghibli, non si può definire banale, ma l'aggettivo che userei non è comunque positivo. E' sconclusionata, per i motivi suddetti. Non avendo una logica consequenziale gli eventi appaiono di difficile comprensione anche nella loro semplicità, stante l'artificiosità sfruttata dalla regia per allacciare fra loro le scene.
Non si capisce alcunché e se già non si sperava in alcun realismo psicologico, cosa che lo studio Ghibli sembra evitare con ogni mezzo, anche a costo di sacrificare la credibilità dei personaggi, nondimeno questi ultimi appaiono come dei veri e propri automi, che reagiscono come gli è stato detto di fare, senza mai stupirsi di nulla, né di ragazze che scendono dal cielo né di conflitti che avvengono alle loro spalle, dimostrando una perfetta memoria fotografica anche nelle situazioni di maggior disperazione, come quando Sheeta ricorda perfettamente la direzione della luce che indica la via per Laputa, nonostante si trovasse in mezzo a un incendio colossale che quasi certamente l'avrebbe uccisa.
Alle solite lauree in zoologia e botanica di cui tutti i protagonisti delle opere di Miyazaki immancabilmente dispongono, questa volta si aggiunge una specializzazione in cartografia da parte di Sheeta, che esattamente al momento giusto avrà modo di usarla e poi un classico, l'innata abilità di pilotare qualsivoglia imbarcazione da parte del protagonista maschile.
A questo proposito, non richiedo che tutte le opere che vengono prodotte abbiano un realismo fisico impeccabile, ma un po' più di buon senso sarebbe stato molto gradito.
Non si pretende uno studio preliminare approfondito di fluidodinamica, ma prendersi la briga di pensare a uno sviluppo che a una persona comune sembrasse credibile durante le molte scene di volo sarebbe stato ben entro i limiti della professionalità.
Persino le morali di cui solitamente trasudano le opere dello studio Ghibli paiono sbiadite, come trascinate dalla corrente di pressapochismo che impera per tutta la durata del film.
Certo, è presente la solita vittoria del bene, tuttavia questa volta, potrebbe quasi essere un merito, è avvenuta solo pagando un certo prezzo, supponendo che i soldati siano morti durante la caduta della città. Nondimeno i protagonisti riescono comunque a salvarsi, così come i pirati dal buon cuore che rapidi s'affezionano loro.
Però il tema della natura, che è sempre il perno degli eventi di tutte le produzioni di Miyazaki, è trascurato. Per meglio dire, è chiaro che viene trattato, però tale gesto è conseguito tanto malamente da non permettere agli ecologisti sostenitori dello studio Ghibli di risultare appagati. Il simbolismo che si cela dietro a Laputa è decisamente spicciolo e pure il parallelo con il celebre romanzo di Swift non riesce a nobilitarlo, tanto labile è tale legame.
Infine si ha il tipico tema del potere, trattato con il preciso rigore necessario al fine di seguire pedissequamente gli schemi canonici propri dell'argomento senza il rischio d'incorrere nell'innovazione: abbiamo così la comparsa dell'elemento ambizioso, colui che cela un passato che lo ricollega direttamente al fulcro degli eventi e che a causa della sua brama verrà punito dalla purezza dei giusti. Lineare, aggiungerei.
A chiusura del tutto, l'opera manca di poeticità e passionalità, risultando fredda e distante, ben lungi dalle narrazioni melense cui lo studio Ghibli ci avrebbe abituato negli anni a seguire. Tale povertà di sentimento potrebbe essere giustificata dal tentativo del lungometraggio di dedicarsi a una narrazione maggiormente avventurosa e leggera, che possa appassionare come semplice storia a livello narrativo, proposito enormemente deluso.
Tale titolo è in conclusione un'opera di scarso valore, che nemmeno gli estimatori di Miyazaki potranno apprezzare, presentando quest'ultimo durante tale produzione uno stile particolarmente acerbo e sgraziato, insicuro nel suo tentennamento fra le diverse scene da gestire, nonché ponendo le basi per la sua futura stasi artistica che a tutt'oggi seguita ad accompagnarlo.
Questo lungometraggio, uno dei primi diretti da Miyazaki, rappresenta una versione ridotta e maldestra di ciò che lo studio Ghibli perpetuerà negli anni a seguire, semplificando in esso le tematiche che continuerà a sviscerare seguendo la propria ossessiva sterilità artistica.
Il grande male che critico risiede nella bassissima qualità di regia e sceneggiatura, che raggiunge limiti grotteschi: la trama è di una semplicità in grado di atterrire anche gli spiriti più rapidi alla meraviglia; l'intreccio è inverosimilmente artificioso, tanto che gli eventi non sono legati da alcuna consequenzialità, potendo essere posti in essere solo grazie a un massiccio utilizzo di espedienti narrativi che sfidano con grande baldanza le leggi probabilistiche.
Ogni accadimento appare chiaramente forzato dall'arrivo estemporaneo di un nuovo personaggio che conosce le informazioni che sono necessarie a proseguire la storia e che di buon grado le metterà a disposizione dei nostri giovani eroi cosicché la prosecuzione sia garantita.
Insomma, la consecutio della vicenda risiede in regni lontani e immaginifici quanto quelli che ci vengono descritti, tanto che lo svolgersi degli eventi appare una vera e propria offesa all'intelligenza degli spettatori, essendo gli espedienti usati dei plateali deus ex machina della più infima specie.
Se "Tenkū no Shiro Laputa" è un ecatombe registico, pure sul versante contenutistico la guerra è aspra e il morale al fronte molto debole.
Questa volta il buon Hayao ci risparmia i suoi soliti buonismi, ma così commette un errore altrettanto grande, ossia non sopperisce a tale mancanza.
Se i tipici temi di bontà universale sono meno marcati, questo permette di osservare come la trama sia banale e come le altre tematiche siano canoniche e puritane nel più tipico stile Ghibli, sfociando nella più assoluta irrealtà.
Magistrale esempio di queste caricature di un copione serio sono i personaggi, in particolare i due protagonisti, i tipici ragazzini dall'animo nobile e dolce, che sono in grado d'innamorarsi in tempi mirabilmente repentini, ma l'intensità di tale loro sentimento risulterà essere inversamente proporzionale all'intervallo di tempo necessario a intrecciare tale relazione - ma oserei dire pure al quadrato o anche più.
Il pressapochismo sta dunque alla base dell'intera concatenazione (vocabolo non corretto nel caso in esame perché induce a credere, erroneamente, che vi siano dei collegamenti logici fra gli accadimenti) di eventi. I protagonisti si conoscono attraverso un'improbabile coincidenza, in un modo o nell'altro viene a galla l'importanza della pietra, attraverso l'intervento di qualche comparsa o grazie a taluni provvidenziali espedienti narrativi di mirabile ingegno - vedi il padre del protagonista che, chi mai l'avrebbe arguito, aveva visto proprio la leggendaria Laputa - alla trama è concesso di continuare a svenarsi.
Si comprende bene come i singoli elementi in sé possano rendersi necessari in un'opera di fantasia, la quale risulterà esente da forzature solo se elaborata da grandi talenti dell'animazione, tuttavia tale abbondanza è sintomatica di una mediocrità narrativa.
La vacuità della sceneggiatura è per altro riflessa dall'incapacità di ricreare la giusta atmosfera conciliante il sentimento che si vuole instillare nello spettatore. Sotto quest'aspetto la prima parte del lungometraggio è senza grossi dubbi la peggiore produzione che abbia mai visionato, costituita da un convulso susseguirsi di scene d'azione frammiste a una comicità di pessimo livello, che tuttavia non è possibile non considerare, e data tale sua impertinenza va a turbare fortemente la visione dell'opera, che non risulta scorrevole, come per altro l'intreccio forzato faceva ben evidentemente notare.
La vicenda questa volta, probabilmente l'unica nella storia dello studio Ghibli, non si può definire banale, ma l'aggettivo che userei non è comunque positivo. E' sconclusionata, per i motivi suddetti. Non avendo una logica consequenziale gli eventi appaiono di difficile comprensione anche nella loro semplicità, stante l'artificiosità sfruttata dalla regia per allacciare fra loro le scene.
Non si capisce alcunché e se già non si sperava in alcun realismo psicologico, cosa che lo studio Ghibli sembra evitare con ogni mezzo, anche a costo di sacrificare la credibilità dei personaggi, nondimeno questi ultimi appaiono come dei veri e propri automi, che reagiscono come gli è stato detto di fare, senza mai stupirsi di nulla, né di ragazze che scendono dal cielo né di conflitti che avvengono alle loro spalle, dimostrando una perfetta memoria fotografica anche nelle situazioni di maggior disperazione, come quando Sheeta ricorda perfettamente la direzione della luce che indica la via per Laputa, nonostante si trovasse in mezzo a un incendio colossale che quasi certamente l'avrebbe uccisa.
Alle solite lauree in zoologia e botanica di cui tutti i protagonisti delle opere di Miyazaki immancabilmente dispongono, questa volta si aggiunge una specializzazione in cartografia da parte di Sheeta, che esattamente al momento giusto avrà modo di usarla e poi un classico, l'innata abilità di pilotare qualsivoglia imbarcazione da parte del protagonista maschile.
A questo proposito, non richiedo che tutte le opere che vengono prodotte abbiano un realismo fisico impeccabile, ma un po' più di buon senso sarebbe stato molto gradito.
Non si pretende uno studio preliminare approfondito di fluidodinamica, ma prendersi la briga di pensare a uno sviluppo che a una persona comune sembrasse credibile durante le molte scene di volo sarebbe stato ben entro i limiti della professionalità.
Persino le morali di cui solitamente trasudano le opere dello studio Ghibli paiono sbiadite, come trascinate dalla corrente di pressapochismo che impera per tutta la durata del film.
Certo, è presente la solita vittoria del bene, tuttavia questa volta, potrebbe quasi essere un merito, è avvenuta solo pagando un certo prezzo, supponendo che i soldati siano morti durante la caduta della città. Nondimeno i protagonisti riescono comunque a salvarsi, così come i pirati dal buon cuore che rapidi s'affezionano loro.
Però il tema della natura, che è sempre il perno degli eventi di tutte le produzioni di Miyazaki, è trascurato. Per meglio dire, è chiaro che viene trattato, però tale gesto è conseguito tanto malamente da non permettere agli ecologisti sostenitori dello studio Ghibli di risultare appagati. Il simbolismo che si cela dietro a Laputa è decisamente spicciolo e pure il parallelo con il celebre romanzo di Swift non riesce a nobilitarlo, tanto labile è tale legame.
Infine si ha il tipico tema del potere, trattato con il preciso rigore necessario al fine di seguire pedissequamente gli schemi canonici propri dell'argomento senza il rischio d'incorrere nell'innovazione: abbiamo così la comparsa dell'elemento ambizioso, colui che cela un passato che lo ricollega direttamente al fulcro degli eventi e che a causa della sua brama verrà punito dalla purezza dei giusti. Lineare, aggiungerei.
A chiusura del tutto, l'opera manca di poeticità e passionalità, risultando fredda e distante, ben lungi dalle narrazioni melense cui lo studio Ghibli ci avrebbe abituato negli anni a seguire. Tale povertà di sentimento potrebbe essere giustificata dal tentativo del lungometraggio di dedicarsi a una narrazione maggiormente avventurosa e leggera, che possa appassionare come semplice storia a livello narrativo, proposito enormemente deluso.
Tale titolo è in conclusione un'opera di scarso valore, che nemmeno gli estimatori di Miyazaki potranno apprezzare, presentando quest'ultimo durante tale produzione uno stile particolarmente acerbo e sgraziato, insicuro nel suo tentennamento fra le diverse scene da gestire, nonché ponendo le basi per la sua futura stasi artistica che a tutt'oggi seguita ad accompagnarlo.
Pensare che questo film abbia due anni più di me mi fa seriamente pensare. Laputa è la prima opera dello studio Ghibli partorita dalla mente geniale del Maestro Miyazaki. Ovviamente, come un po' tutte le sue opere prendono spunto da leggende, racconti o romanzi, questa non fa d'eccezione. E' ispirata infatti ai racconti o ai viaggi di Gulliver, difatti nel romanzo viene descritta Laputa come "la città degli scienziati pazzi".
Effettivamente cosi è, o per lo meno lo sarà stato, non c'è dato saperlo.
Il maestro non si smentisce, si tratta di un'opera per me bellissima, poetica come al solito, che fa quasi sperare che il mondo in fondo non farebbe poi così schifo se solo volessimo che migliorasse un po'.
L'umorismo per me è ben riuscito, le scene comiche gustose e non scontate mi hanno piacevolmente sorpreso. In questo Laputa mi ha ricordato molto "Conan il ragazzo del futuro".
Le musiche composta da Joe Hisaishi (immancabile anche lui!) le ho trovate stupende, riescono perfettamente a dare l'idea del tipo di scena anche senza guardare. La musica iniziale e quella finale secondo me sono meravigliose.
Chi era a conoscenza del fatto che "Nadia il mistero della pietra azzurra" dovrebbe essere una specie di sequel di Laputa si sarà accorto dei sottili collegamenti tra i due titoli.
Per concludere, il mio voto non può che essere alto, anche se il finale "ghibloso" - perdonatemi il termine coniato sul momento - lascia sempre un po' di amaro in bocca. Ma se non fosse così forse quelle dello studio in questione non sarebbero opere cosi grandiose. Ritengo Laputa davvero ottimo, consigliato a tutti.
Effettivamente cosi è, o per lo meno lo sarà stato, non c'è dato saperlo.
Il maestro non si smentisce, si tratta di un'opera per me bellissima, poetica come al solito, che fa quasi sperare che il mondo in fondo non farebbe poi così schifo se solo volessimo che migliorasse un po'.
L'umorismo per me è ben riuscito, le scene comiche gustose e non scontate mi hanno piacevolmente sorpreso. In questo Laputa mi ha ricordato molto "Conan il ragazzo del futuro".
Le musiche composta da Joe Hisaishi (immancabile anche lui!) le ho trovate stupende, riescono perfettamente a dare l'idea del tipo di scena anche senza guardare. La musica iniziale e quella finale secondo me sono meravigliose.
Chi era a conoscenza del fatto che "Nadia il mistero della pietra azzurra" dovrebbe essere una specie di sequel di Laputa si sarà accorto dei sottili collegamenti tra i due titoli.
Per concludere, il mio voto non può che essere alto, anche se il finale "ghibloso" - perdonatemi il termine coniato sul momento - lascia sempre un po' di amaro in bocca. Ma se non fosse così forse quelle dello studio in questione non sarebbero opere cosi grandiose. Ritengo Laputa davvero ottimo, consigliato a tutti.
Secondo una leggenda, gli uomini, affascinati dall’immensità del cielo, costruirono mezzi sempre più sofisticati per volare; ciò portò alla creazione di intere città e fortezze volanti; a causa di una imprecisata catastrofe, la maggior parte di esse fu distrutta o ricadde al suolo, obbligando i sopravvissuti a vivere sulla terra.
Si narra che una città, Laputa, sia rimasta a vagare in cielo, nascosta da spesse nubi e da una violenta tempesta; quasi tutti pensano che non esista, ma alcuni credono che la leggenda sia vera, e hanno cercato di trovare l’antica città, ma senza successo.
A bordo di una nave volante, la giovane Sheeta è scortata da degli uomini dall’aspetto sinistro agli ordini del colonnello Muska; quando la nave viene attaccata da un gruppo di pirati, la ragazza prende un ciondolo dalla valigia di Muska e cerca di scappare; nel tentativo cade dalla nave. Quel ciondolo era l’obiettivo dei pirati; esso è speciale, infatti mentre Sheeta è in caduta libera, emette una forte luce blu che la fa rallentare.
Un giovane minatore, Pazu, nota la luce, e con grande sorpresa scopre che si tratta di una ragazza priva di sensi; decide quindi di portarla a casa. La mattina seguente, dopo le presentazioni, Sheeta nota che appesa a una parete c’è una foto dell’isola fluttuante di Laputa; Pazu le spiega che il suo defunto padre, avventuriero e pilota di nave volante, scattò quella foto. Nessuno però gli credette, e quindi lui morì in miseria; suo figlio però è convinto dell’esistenza dell’isola, e farà di tutto per trovarla.
Gli obiettivi dei due protagonisti verranno a coincidere, perchè si scoprirà in seguito che il ciondolo di Sheeta è misteriosamente legato a Laputa.
Inizierà così la loro grande avventura: saranno costantemente inseguiti dai pirati e dall’esercito, anch’esso alla ricerca della mitica isola.
I personaggi più interessanti sono i robot di Laputa; essi hanno una “doppia faccia”: sono armi molto potenti che non esitano a distruggere tutto (come la base militare dove Sheeta viene tenuta prigioniera), ma sono prima di tutto dei protettori della natura e delle creature che ci vivono - uno di loro infatti protegge delle uova di uccello che rischiavano di essere schiacciate da un deltaplano.
Quindi viene sottolineata l’importanza della natura pura e incontaminata dal germe dell’uomo.
Uomo che viene analizzato come essere molto avido: di denaro nel caso del violentissimo esercito, che cerca l’isola fluttuante per i suoi immensi tesori, e di potere, inteso come imposizione di terrore nel caso di Muska, il quale la cerca per sfruttare i suoi devastanti robot nonché per un arma di distruzione di massa.
Altra tematica importante è quindi la responsabilità che deriva dal possesso di un grande potere; interessante è il discorso del vecchio e saggio minatore Pom sull’appartenenza alla terra della pietra che Sheeta porta al collo: essa come tutte le creature viventi viene dalla terra, e in essa ritornerà, non va quindi usata per scopi malvagi.
La scena che mi è piaciuta di più è quella in cui Pazu libera le colombe e suona la tromba; con questo dolcissimo suono Sheeta si sveglierà. Cosa darei per avere anch’io una sveglia così!
Tutta la colonna sonora è ottima, e accompagna dei paesaggi meravigliosi, soprattutto le molteplici vedute del cielo, solcato da maestose navi volanti che si daranno battaglia.
L’azione è infatti una delle componenti principali di questo film, ma sarà naturalmente alternata a momenti di quiete e di riflessione.
Come non consigliare dunque la visione di questo lungometraggio che racchiude in sé tutti i temi cari a Miyazaki, che con questo titolo ha inaugurato lo Studio Ghibli.
Si narra che una città, Laputa, sia rimasta a vagare in cielo, nascosta da spesse nubi e da una violenta tempesta; quasi tutti pensano che non esista, ma alcuni credono che la leggenda sia vera, e hanno cercato di trovare l’antica città, ma senza successo.
A bordo di una nave volante, la giovane Sheeta è scortata da degli uomini dall’aspetto sinistro agli ordini del colonnello Muska; quando la nave viene attaccata da un gruppo di pirati, la ragazza prende un ciondolo dalla valigia di Muska e cerca di scappare; nel tentativo cade dalla nave. Quel ciondolo era l’obiettivo dei pirati; esso è speciale, infatti mentre Sheeta è in caduta libera, emette una forte luce blu che la fa rallentare.
Un giovane minatore, Pazu, nota la luce, e con grande sorpresa scopre che si tratta di una ragazza priva di sensi; decide quindi di portarla a casa. La mattina seguente, dopo le presentazioni, Sheeta nota che appesa a una parete c’è una foto dell’isola fluttuante di Laputa; Pazu le spiega che il suo defunto padre, avventuriero e pilota di nave volante, scattò quella foto. Nessuno però gli credette, e quindi lui morì in miseria; suo figlio però è convinto dell’esistenza dell’isola, e farà di tutto per trovarla.
Gli obiettivi dei due protagonisti verranno a coincidere, perchè si scoprirà in seguito che il ciondolo di Sheeta è misteriosamente legato a Laputa.
Inizierà così la loro grande avventura: saranno costantemente inseguiti dai pirati e dall’esercito, anch’esso alla ricerca della mitica isola.
I personaggi più interessanti sono i robot di Laputa; essi hanno una “doppia faccia”: sono armi molto potenti che non esitano a distruggere tutto (come la base militare dove Sheeta viene tenuta prigioniera), ma sono prima di tutto dei protettori della natura e delle creature che ci vivono - uno di loro infatti protegge delle uova di uccello che rischiavano di essere schiacciate da un deltaplano.
Quindi viene sottolineata l’importanza della natura pura e incontaminata dal germe dell’uomo.
Uomo che viene analizzato come essere molto avido: di denaro nel caso del violentissimo esercito, che cerca l’isola fluttuante per i suoi immensi tesori, e di potere, inteso come imposizione di terrore nel caso di Muska, il quale la cerca per sfruttare i suoi devastanti robot nonché per un arma di distruzione di massa.
Altra tematica importante è quindi la responsabilità che deriva dal possesso di un grande potere; interessante è il discorso del vecchio e saggio minatore Pom sull’appartenenza alla terra della pietra che Sheeta porta al collo: essa come tutte le creature viventi viene dalla terra, e in essa ritornerà, non va quindi usata per scopi malvagi.
La scena che mi è piaciuta di più è quella in cui Pazu libera le colombe e suona la tromba; con questo dolcissimo suono Sheeta si sveglierà. Cosa darei per avere anch’io una sveglia così!
Tutta la colonna sonora è ottima, e accompagna dei paesaggi meravigliosi, soprattutto le molteplici vedute del cielo, solcato da maestose navi volanti che si daranno battaglia.
L’azione è infatti una delle componenti principali di questo film, ma sarà naturalmente alternata a momenti di quiete e di riflessione.
Come non consigliare dunque la visione di questo lungometraggio che racchiude in sé tutti i temi cari a Miyazaki, che con questo titolo ha inaugurato lo Studio Ghibli.
Ancora una volta il maestro Miyazaki ci sorprende con un altro capolavoro, in cui l'unico problema nasce dal chara dei personaggi, molto simili ad opere già viste in precedenza e sempre sotto la firma del sopracitato autore.
Il film, bello quanto lungo, spiega molto bene quanto sia difficile la convivenza, in un mondo come il nostro,laddove la politica militare si rende molto spesso protagonista di crimini che non conoscono giustizia, non conoscono risposta, laddove sotto una mimetica si nasconde tanto odio e di conseguenza tanta gente che continua a soffrire per colpa della barbarie e della bramosia di potere di questi militari.
In quest'opera ritroviamo tutto questo anche grazie all'allegoria dei pirati che ci viene presentata dall'autore, dove questi uomini senza scrupoli vogliono mettere fine ad un regno che è nascosto tra le nuvole del cielo, dove è nascosta una realtà che anche i soldati del mondo del ragazzo che salva la protagonista si dimostra avidamente interessato.
Quindi si notano chiaramente i giochi di potere militare che sono presenti anche nella realtà, laddove è una partita che si gioca con le armi mortali che non guardano in faccia nessuno e non conoscono cos'è l'amore e il rispetto per tutto ciò che ci circonda, nel segno di una cieca obbedienza in cui tanto anelano le due fazioni, affinchè diventi più facile la conquista di tale tesoro che possa regalare loro non tanto la ricchezza, quanto il potere assoluto.
E qui entra in gioco una vecchia teoria che l'autore fa sua in questo anime, ovvero che nessun mortale può ambire al potere assoluto, perchè capace di creare caos e distruzione su larga scala da cui sarebbe difficilissimo uscirne, dove coloro che si chiamavano un tempo fratelli si uccidono a vicenda in nome di un potere che a loro non verrà mai conferito e che sarà sempre in mano di coloro che sono già potenti in partenza.
Ma accumulare potere non è mai vero potere, il vero potere lo avrà sempre chi avrà in possesso le armi del buonsenso e del sentimento, le armi del rispetto reciproco e della natura, altrimenti sarà la fine dell'esistenza umana, governata solo dall'odio e doveper l'amore non c'è spazio, però fin quando gente dall'animo puro come nel caso dei protaognisti, sapranno custodire l'amore, il caos non regnerà mai sovrano.
Il film, bello quanto lungo, spiega molto bene quanto sia difficile la convivenza, in un mondo come il nostro,laddove la politica militare si rende molto spesso protagonista di crimini che non conoscono giustizia, non conoscono risposta, laddove sotto una mimetica si nasconde tanto odio e di conseguenza tanta gente che continua a soffrire per colpa della barbarie e della bramosia di potere di questi militari.
In quest'opera ritroviamo tutto questo anche grazie all'allegoria dei pirati che ci viene presentata dall'autore, dove questi uomini senza scrupoli vogliono mettere fine ad un regno che è nascosto tra le nuvole del cielo, dove è nascosta una realtà che anche i soldati del mondo del ragazzo che salva la protagonista si dimostra avidamente interessato.
Quindi si notano chiaramente i giochi di potere militare che sono presenti anche nella realtà, laddove è una partita che si gioca con le armi mortali che non guardano in faccia nessuno e non conoscono cos'è l'amore e il rispetto per tutto ciò che ci circonda, nel segno di una cieca obbedienza in cui tanto anelano le due fazioni, affinchè diventi più facile la conquista di tale tesoro che possa regalare loro non tanto la ricchezza, quanto il potere assoluto.
E qui entra in gioco una vecchia teoria che l'autore fa sua in questo anime, ovvero che nessun mortale può ambire al potere assoluto, perchè capace di creare caos e distruzione su larga scala da cui sarebbe difficilissimo uscirne, dove coloro che si chiamavano un tempo fratelli si uccidono a vicenda in nome di un potere che a loro non verrà mai conferito e che sarà sempre in mano di coloro che sono già potenti in partenza.
Ma accumulare potere non è mai vero potere, il vero potere lo avrà sempre chi avrà in possesso le armi del buonsenso e del sentimento, le armi del rispetto reciproco e della natura, altrimenti sarà la fine dell'esistenza umana, governata solo dall'odio e doveper l'amore non c'è spazio, però fin quando gente dall'animo puro come nel caso dei protaognisti, sapranno custodire l'amore, il caos non regnerà mai sovrano.
Laputa Castello nel Cielo è opera del 1986 realizzata dallo Studio Ghibli e Hayao Miyazaki, ad oggi è difficile reperire l’opera edita in Italia dalla Buena Vista, ma pare che Lucky Red abbia intenzione di rieditarla quanto prima.
La storia e ben articolata e non sono stati lasciati punti oscuri nella trama. La storia verte sulla leggenda di un antica civiltà ormai scomparsa, che grazie alla loro avanzata tecnologia erano in grado di far fluttuare nel cielo intere città. Fra queste città, si narra che Laputa fosse la più bella e ricca di tesori, tra altro si pensa possa essere ancora sospesa nel cielo nascosta tra le nubi.
Il governo viene a conoscenza che la leggenda di Laputa non pare essere una semplice leggenda e vorrebbe impadronirsi delle ricchezze di questa città e per farlo prende in custodia la giovane Sheeta che pare avere un legame con l’antica civiltà della città di Laputa.
Durante un attacco da parte dei pirati questa riesce a sfuggire in qualche modo dalle grinfie del governo e viene miracolosamente salvata da un giovane ragazzo Pazu. Purtroppo sia i pirati sia il governo sono sulle tracce di Sheeta ed allora Pazu decide di proteggere la giovane anche perché in qualche modo pure lui sembra avere un qualche legame con l’isola nel cielo.
Il film considerando il periodo della realizzazione ha animazioni di tutto rispetto e una grafica in classico stile Miyazaki, la musiche in alcuni momenti sono a dir poco spettacolari e comunque sono ben inserite nel contesto.
Per quanto mi riguarda questo film è un susseguirsi di emozioni, promuovo a pieni voti questo film senza nessuna riserva.
La storia e ben articolata e non sono stati lasciati punti oscuri nella trama. La storia verte sulla leggenda di un antica civiltà ormai scomparsa, che grazie alla loro avanzata tecnologia erano in grado di far fluttuare nel cielo intere città. Fra queste città, si narra che Laputa fosse la più bella e ricca di tesori, tra altro si pensa possa essere ancora sospesa nel cielo nascosta tra le nubi.
Il governo viene a conoscenza che la leggenda di Laputa non pare essere una semplice leggenda e vorrebbe impadronirsi delle ricchezze di questa città e per farlo prende in custodia la giovane Sheeta che pare avere un legame con l’antica civiltà della città di Laputa.
Durante un attacco da parte dei pirati questa riesce a sfuggire in qualche modo dalle grinfie del governo e viene miracolosamente salvata da un giovane ragazzo Pazu. Purtroppo sia i pirati sia il governo sono sulle tracce di Sheeta ed allora Pazu decide di proteggere la giovane anche perché in qualche modo pure lui sembra avere un qualche legame con l’isola nel cielo.
Il film considerando il periodo della realizzazione ha animazioni di tutto rispetto e una grafica in classico stile Miyazaki, la musiche in alcuni momenti sono a dir poco spettacolari e comunque sono ben inserite nel contesto.
Per quanto mi riguarda questo film è un susseguirsi di emozioni, promuovo a pieni voti questo film senza nessuna riserva.
Uno dei primi film di Miyazaki, sviluppato nel 1986; considerando la data di nascita il lavoro tecnico (disegni e animazioni) è indubbiamente eccellente, tenendo il passo di diverse produzioni anche create intorno alla metà degli anni '90; questo per quanto riguarda il lato tecnico, ora passiamo a considerazioni generali.
Per chi non lo sapesse, innanzitutto, questo film sarebbe poi diventato il principale punto di riferimento (anzi, tale che era stato pensato come remake all'inizio) dell'anime Fushigi no umi no Nadia (in Italia "il mistero della pietra azzurra) del genio Hideaki Anno (Gunbuster ed Evangelion), quindi ringrazio di cuore Hayao Miyazaki per aver ideato e realizzato questo film, poichè senza di esso probabilmente non avremmo visto Nadia, uno dei migliori anime di sempre.
La trama di Laputa è molto ben ideata ed avvincente; a tratti però magari è abbastanza lenta, mentre in altre parti scorre più velocemente; il ritmo incostante ormai però mi sembra che faccia proprio parte dello stile di Miyazaki.
Comunque la caratterizzazione dei personaggi non mi pare niente di speciale, dal cattivo ai protagonisti mi sembrano tutti abbastanza piatti e un po' poveri di spessore mentale.
La colonna sonora è letteralmente fantastica, che rappresenta egregiamente il clima e la storia generale e in particolare quella di chiusura colpisce dritta al cuore dello spettatore.
Oltre i personaggi (su cui possiamo però sorvolare) sono presenti però altre note dolenti, come il susseguirsi di scene "fisicamente" molto poco credibili, tanto che il protagonista, un normale ragazzino appassionato di tecnologia, a un certo punto pare Tarzan e in ogni caso commette azioni abbastanza irreali, anche assieme alla protagonista qualche volta; altro punto negativo secondo me è il finale, abbastanza scontato.
Forse però questo film non mi ha colpito particolarmente perché, avendo visionato prima quel capolavoro di Nadia, la caduta di livello con questo film è troppo netta, anche se so che è stato realizzato prima.
Rimane comunque un bel film da guardare, magari con tutta la famiglia.
E poi teniamo conto che un lavoro del genere è stato fatto nell'86, e non è cosa da poco... quindi direi che in totale è un 7 più che abbondante.
Per chi non lo sapesse, innanzitutto, questo film sarebbe poi diventato il principale punto di riferimento (anzi, tale che era stato pensato come remake all'inizio) dell'anime Fushigi no umi no Nadia (in Italia "il mistero della pietra azzurra) del genio Hideaki Anno (Gunbuster ed Evangelion), quindi ringrazio di cuore Hayao Miyazaki per aver ideato e realizzato questo film, poichè senza di esso probabilmente non avremmo visto Nadia, uno dei migliori anime di sempre.
La trama di Laputa è molto ben ideata ed avvincente; a tratti però magari è abbastanza lenta, mentre in altre parti scorre più velocemente; il ritmo incostante ormai però mi sembra che faccia proprio parte dello stile di Miyazaki.
Comunque la caratterizzazione dei personaggi non mi pare niente di speciale, dal cattivo ai protagonisti mi sembrano tutti abbastanza piatti e un po' poveri di spessore mentale.
La colonna sonora è letteralmente fantastica, che rappresenta egregiamente il clima e la storia generale e in particolare quella di chiusura colpisce dritta al cuore dello spettatore.
Oltre i personaggi (su cui possiamo però sorvolare) sono presenti però altre note dolenti, come il susseguirsi di scene "fisicamente" molto poco credibili, tanto che il protagonista, un normale ragazzino appassionato di tecnologia, a un certo punto pare Tarzan e in ogni caso commette azioni abbastanza irreali, anche assieme alla protagonista qualche volta; altro punto negativo secondo me è il finale, abbastanza scontato.
Forse però questo film non mi ha colpito particolarmente perché, avendo visionato prima quel capolavoro di Nadia, la caduta di livello con questo film è troppo netta, anche se so che è stato realizzato prima.
Rimane comunque un bel film da guardare, magari con tutta la famiglia.
E poi teniamo conto che un lavoro del genere è stato fatto nell'86, e non è cosa da poco... quindi direi che in totale è un 7 più che abbondante.
E' difficile poter spiegare quanto mi ha emozionato questo film animazione. L'ho trovato semplicemente meraviglioso. La storia del castello nel cielo è davvero affascinante. E ammetto che mi sono ritrovata a sognare a fine film di trovarmi io stessa in quel posto magico, lontano dalla realtà. La storia entra subito nel vivo, e ti lascia accompagnare Pazu e Sheeta nella loro straordinaria avventura alla disperata ricerca del fantomatico castello. Tutto quello che ruota intorno ai protagonisti e alle loro vicende sembra intriso di magia. E non puoi fare a meno di farti catturare da tutto ciò. E' sicuramente uno dei miei film animazione preferiti e lo consiglio a tutti, sia grandi che piccini, perchè tutti abbiamo bisogno di sognare e lasciarci trasportare un po' dalla fantasia...
Nell'agosto del 1986 fece la sua comparsa nelle sale cinematografiche Tenkuu no Shiro Laputa, il film d'animazione che noi conosciamo con il nome di Laputa, il castello nel cielo, dalla direzione del grande Hayao Miyazaki e dalla produzione del nascente studio Ghibli. Con questi nomi le aspettative non potevano essere assolutamente tradite, ed infatti così è stato, oggi noi sappiamo che molte delle opere (quasi tutte a dir la verità) del maestro Miyazaki hanno avuto fortuna in tutto il mondo, e ciò è dovuto anche a questa opera, che è stata tra le prime che hanno consacrato il maestro nel panorama mondiale dell'animazione. La trama del suddetto prodotto è ben solida, unisce fantascienza e avventura in un mix esplosivo senza perdere di vista quelli che sono i valori più importanti per Miyazaki, un po' di sana fantasia e una visione alquanto fanciullesca della realtà, valori che poi riscontreremo negli anni nelle sue opere. La storia si incentra sulla protagonista che è la diretta discendente dell'antica famiglia della città volante di Laputa, ed è anche la sola che possiede il potere di ritrovare la città nel cielo. In base a diversi scopi ci ritroviamo poi dinanzi a diverse fazioni buone e cattive che si alterneranno e daranno vita a questa grande avventura. I personaggi sono tutti molto ben caratterizzati e ricoprono perfettamente i loro ruoli dando un'ottima idea del contesto. Bisogna notare che il maestro gioca molto bene anche sul ruolo dei protagonisti, dei personaggi che sembra possano avere un ruolo di antagonisti ma che poi si rivelano buoni e coprotagonisti, e questo è rilevabile anche in altre opere. Un messaggio come tanti altri che forse Miyazaki vuole dare soprattutto ai più piccoli e ci fa notare che niente è come sembra, ognuno ha la sua visione della realtà e non bisogna giudicare dalle apparenze. Tecnicamente pensando che ci troviamo dinanzi ad un film del 1986, possiamo solo elogiare il prodotto che ancora oggi non mostra molti segni di vecchiaia: i disegni sono buoni e le animazioni molto buone, stupenda è pure la parte sonora che in alcuni frangenti rischia di emozionare non poco i telespettatori. Comsiglio questo film a persone di tutte le età, da vedere da soli oppure in compagnia, magari con la famiglia per i più piccini: le aspettative non verranno deluse.
Questo film non è tra i miei preferiti di Myazaky, ma nonostante ciò mi ha lasciato qualcosa dentro di indescrivibile e mi ha fatto sognare!
La storia è molto bella e commovente, anche se in molte parti la drammaticità si fa molto sentire, i due protagonisti sono caratterizzati molto bene e il valore in cui credono, che è quello dell'amicizia, è veramente eccezionale. Il castello nel cielo ti fa immaginare, almeno a me, di volare in un mondo fantastico pieno di sogni e di libertà senza fine!
Bellissimo!
La storia è molto bella e commovente, anche se in molte parti la drammaticità si fa molto sentire, i due protagonisti sono caratterizzati molto bene e il valore in cui credono, che è quello dell'amicizia, è veramente eccezionale. Il castello nel cielo ti fa immaginare, almeno a me, di volare in un mondo fantastico pieno di sogni e di libertà senza fine!
Bellissimo!
"Laputa, il castello nel cielo" è un film uscito in Giappone nel 1986 diretto e curato da Hayao Miyazaki, nonché primo frutto del fortunatissimo studio Ghibli, che era stato fondato da appena un anno.
La protagonista è Shima, una ragazzina che, mentre si trova in viaggio su un' aeronave assieme ad un uomo misterioso che la trattiene (e che si scoprirà essere un funzionario del governo), cade a causa di un attacco da parte dei pirati che le danno la caccia.
La bambina sviene durante il volo verso la superficie e non si rende conto che la pietra che porta al collo misteriosamente la salva attutendone la caduta.
A soccorrerla c'è un ragazzino orfano di nome Pazu, che la porta a casa e aspetta che si svegli.
La mattina dopo Shima e Pazu fanno amicizia e Pazu racconta a Shima la leggenda di "Laputa".
Laputa è un'isola che vola nel cielo dalle origini misteriose e governata da una dinastia ormai probabilmente estinta. Il desiderio più grande di Pazu è quello di costruire una macchina volante, raggiungere l'isola e le sue immense ricchezze e vendicare così la memoria del padre, che aveva trovato l'isola, l'aveva fotografata ma era stato screditato da tutti e additato come bugiardo.
Mentre discutono, i due bimbi vengono rintracciati dai pirati che cercano Shima e decidono di fuggire insieme.
I pirati, così come gli scagnozzi del Governo in carica e i militari, sanno che Shima possiede una gravipietra in grado di indicare la via per raggiungere Laputa e la inseguono per sottrargliela.
Ciò che non sanno e che Shima ha evitato di dire anche a Pazu, è che solo lei, in quanto discendente della dinastia di Laputa, è in grado di scatenare i poteri della pietra.
Questo è l'incipit di "Laputa", un film senza dubbio molto bello e denso di significato.
Sebbene sia un film vecchio, ha già tutte le qualità che vengono apprezzate nei lavori del Miyazaki moderno:
Una colonna sonora particolare che resta in testa, dei disegni bellissimi (soprattutto i fondali dei suoi film mi fanno impazzire e anche in questo non deludono), animazione fluida e una trama ricca di fantasia, che fa sognare ed ha anche una spiccata morale antimilitarista e ecologista.
I valori che vengono portati innanzi sono sempre gli stessi:
L'aver fiducia nell'amicizia, la potenza dell'amore, il non credere alle apparenze e non cedere alla cupidigia.
I personaggi sono tutti caratterizzati in modo impeccabile e, soprattutto i pirati, meritano un premio per la simpatia.
Un film davvero bellissimo insomma, che non deluderà chi ha voglia di vedere un anime genuino, dolce e divertente come solo Miyazaki sa realizzare.
La protagonista è Shima, una ragazzina che, mentre si trova in viaggio su un' aeronave assieme ad un uomo misterioso che la trattiene (e che si scoprirà essere un funzionario del governo), cade a causa di un attacco da parte dei pirati che le danno la caccia.
La bambina sviene durante il volo verso la superficie e non si rende conto che la pietra che porta al collo misteriosamente la salva attutendone la caduta.
A soccorrerla c'è un ragazzino orfano di nome Pazu, che la porta a casa e aspetta che si svegli.
La mattina dopo Shima e Pazu fanno amicizia e Pazu racconta a Shima la leggenda di "Laputa".
Laputa è un'isola che vola nel cielo dalle origini misteriose e governata da una dinastia ormai probabilmente estinta. Il desiderio più grande di Pazu è quello di costruire una macchina volante, raggiungere l'isola e le sue immense ricchezze e vendicare così la memoria del padre, che aveva trovato l'isola, l'aveva fotografata ma era stato screditato da tutti e additato come bugiardo.
Mentre discutono, i due bimbi vengono rintracciati dai pirati che cercano Shima e decidono di fuggire insieme.
I pirati, così come gli scagnozzi del Governo in carica e i militari, sanno che Shima possiede una gravipietra in grado di indicare la via per raggiungere Laputa e la inseguono per sottrargliela.
Ciò che non sanno e che Shima ha evitato di dire anche a Pazu, è che solo lei, in quanto discendente della dinastia di Laputa, è in grado di scatenare i poteri della pietra.
Questo è l'incipit di "Laputa", un film senza dubbio molto bello e denso di significato.
Sebbene sia un film vecchio, ha già tutte le qualità che vengono apprezzate nei lavori del Miyazaki moderno:
Una colonna sonora particolare che resta in testa, dei disegni bellissimi (soprattutto i fondali dei suoi film mi fanno impazzire e anche in questo non deludono), animazione fluida e una trama ricca di fantasia, che fa sognare ed ha anche una spiccata morale antimilitarista e ecologista.
I valori che vengono portati innanzi sono sempre gli stessi:
L'aver fiducia nell'amicizia, la potenza dell'amore, il non credere alle apparenze e non cedere alla cupidigia.
I personaggi sono tutti caratterizzati in modo impeccabile e, soprattutto i pirati, meritano un premio per la simpatia.
Un film davvero bellissimo insomma, che non deluderà chi ha voglia di vedere un anime genuino, dolce e divertente come solo Miyazaki sa realizzare.
Una delle opere del primo Miyazaki, strutturata nello stile dei migliori racconti d'avventura per ragazzi. Si tratta probabilmente della pellicola del Maestro più fruibile da parte degli spettatori occidentali, perché ha i tempi tipici del cinema americano ed europeo. Una scelta ideale, quindi, per chi volesse avvicinarsi per la prima volta ai lavori dello Studio Ghibli.
Le avventure di Pazu e Sheeta avvincono fin dalle scene iniziali. E anche se la caratterizzazione dei personaggi appare a tratti un po' ingenua, è impossibile non farsi rapire dalla meravigliosa leggenda dell'isola volante di Laputa. Tutto il resto passa in secondo piano. Il personaggio che più di altri merita d'essere menzionato è sicuramente Dola, l'energica piratessa a capo della Tiger Moth, di certo la figura più riuscita di tutto il film. L'opera non manca di trattare come sempre alcune delle tematiche più care a Miyazaki: in questo caso il rapporto uomo-natura e il rifiuto della guerra.
La realizzazione tecnica dell'anime è notevole: pur mantenendo alcuni tipici espedienti delle serie televisive per semplificare il lavoro (quasi tutti i personaggi indossano vestiti ampi che rendono più facile l'animazione dei movimenti), il film si distingue per una regia davvero dinamica. Forse non sarà il Miyazaki migliore, ma è di certo insieme a "Mononoke Hime" il più spettacolare. Nota al merito per i 15 minuti che seguono l'approdo di Sheeta e Pazu oltre il Nido dei Draghi: poesia assoluta.
La colonna sonora, del solito Joe Hisaishi, affianca scelte poco felici (discutibili le idee realizzate con il sintetizzatore, soprattutto per la loro invasività) a dei veri e propri capolavori. Il brano "Sheeta's decision", per pianoforte, è nella sua semplicità una perla rara. E il tema principale, esposto nell'ouverture "The girl who fell from the sky" ed elaborato in molti modi, è forse uno dei migliori mai composti da Hisaishi, sicuramente quello che più resta nelle orecchie. Alla fine lo canticchierete voi stessi, sul bel pezzo "Carrying you" che chiude il film.
Per chi ama l'avventura questo anime è imperdibile. Io vi sono molto legato, quindi mi perdonerete il voto un po' alto che gli ho concesso. Forse un 8,5 sarebbe stato più giusto, ma... mancano i mezzi voti. ^^
In ogni caso se proverete a dare un'occhiata non resterete pentiti, garantito.
Le avventure di Pazu e Sheeta avvincono fin dalle scene iniziali. E anche se la caratterizzazione dei personaggi appare a tratti un po' ingenua, è impossibile non farsi rapire dalla meravigliosa leggenda dell'isola volante di Laputa. Tutto il resto passa in secondo piano. Il personaggio che più di altri merita d'essere menzionato è sicuramente Dola, l'energica piratessa a capo della Tiger Moth, di certo la figura più riuscita di tutto il film. L'opera non manca di trattare come sempre alcune delle tematiche più care a Miyazaki: in questo caso il rapporto uomo-natura e il rifiuto della guerra.
La realizzazione tecnica dell'anime è notevole: pur mantenendo alcuni tipici espedienti delle serie televisive per semplificare il lavoro (quasi tutti i personaggi indossano vestiti ampi che rendono più facile l'animazione dei movimenti), il film si distingue per una regia davvero dinamica. Forse non sarà il Miyazaki migliore, ma è di certo insieme a "Mononoke Hime" il più spettacolare. Nota al merito per i 15 minuti che seguono l'approdo di Sheeta e Pazu oltre il Nido dei Draghi: poesia assoluta.
La colonna sonora, del solito Joe Hisaishi, affianca scelte poco felici (discutibili le idee realizzate con il sintetizzatore, soprattutto per la loro invasività) a dei veri e propri capolavori. Il brano "Sheeta's decision", per pianoforte, è nella sua semplicità una perla rara. E il tema principale, esposto nell'ouverture "The girl who fell from the sky" ed elaborato in molti modi, è forse uno dei migliori mai composti da Hisaishi, sicuramente quello che più resta nelle orecchie. Alla fine lo canticchierete voi stessi, sul bel pezzo "Carrying you" che chiude il film.
Per chi ama l'avventura questo anime è imperdibile. Io vi sono molto legato, quindi mi perdonerete il voto un po' alto che gli ho concesso. Forse un 8,5 sarebbe stato più giusto, ma... mancano i mezzi voti. ^^
In ogni caso se proverete a dare un'occhiata non resterete pentiti, garantito.
1986: il prestigioso Studio Ghibli sforna il suo primo lungometraggio, terzo per il dio degli anime Miyazaki: Laputa - Il Castello Nel Cielo.
Ispirato ovviamente a uno dei luoghi descritti da Jonathan Swift ne "I viaggi di Gulliver", questo film propone tante tematiche care all'autore, oltre ad una produzione di eccezionale fattura, che molte opere contemporanee nemmeno si sognavano.
Laputa è una mitica città volante di cui si sono perse le tracce: una tenera coppia di ragazzi, una simpatica banda di pirati aerei e un gruppo di uomini in nero in combutta con l'esercito, sono alla sua ricerca. La storia si apre con un appassionante inseguimento aereo, la giovane Sheeta si sta infatti recando alla fortezza di Tedis a bordo di una nave volante, quando il suo mezzo viene attaccato dai pirati del cielo. Gli sgherri intendono scoprire il segreto della magica pietra che la ragazzina porta al collo e che le permette di volare, ma per fortuna l'amico Pazu giunge in suo aiuto.
Miyazaki pone, come suo solito, dei fanciulli come protagonisti assoluti, mostrandone i sogni, gli affetti, la voglia di vivere e risaltando l'importanza di valori quali l'ecologismo, l'antimilitarismo, l'avversione per la sete di potere umana e la fiducia in sentimenti come l'amore e l'amicizia.
Il lungometraggio alterna vivaci momenti d'azione, che raggiungono il massimo della spettacolarità nelle sequenze di volo (particolarmente curati sono i mezzi volanti creati da Miyazaki), a poetici rallentamenti, con l'aggiunta di alcune gag capaci di far sorridere (soprattutto grazie alla gradevole presenza di Dola e la sua imbranata ciurma di pirati).
Tutto sommato bisogna dire che, almeno secondo me, il film coinvolge ed emoziona, ma non a livelli massimi, e il finale risulta abbastanza prevedibile.
In ogni caso voglio ricordare due elementi che lasciano a dir poco a bocca aperta e meritano assoluta considerazione, vale a dire la grafica e il sonoro: animazioni da oscar, fondali a dir poco fantastici e particolarissimi, suscitanti atmosfere eteree e sognanti da una parte; colonna sonora epica, dolce, o celestiale a seconda delle occasioni, da un'altra (stupenda la sigla di chiusura)...combinando ciò si ottiene un capolavoro già esaminando il livello tecnico!
In conclusione, si tratta di un'altra opera d'arte dell'artista Miyazaki, imperdibile e senza tempo.
Ispirato ovviamente a uno dei luoghi descritti da Jonathan Swift ne "I viaggi di Gulliver", questo film propone tante tematiche care all'autore, oltre ad una produzione di eccezionale fattura, che molte opere contemporanee nemmeno si sognavano.
Laputa è una mitica città volante di cui si sono perse le tracce: una tenera coppia di ragazzi, una simpatica banda di pirati aerei e un gruppo di uomini in nero in combutta con l'esercito, sono alla sua ricerca. La storia si apre con un appassionante inseguimento aereo, la giovane Sheeta si sta infatti recando alla fortezza di Tedis a bordo di una nave volante, quando il suo mezzo viene attaccato dai pirati del cielo. Gli sgherri intendono scoprire il segreto della magica pietra che la ragazzina porta al collo e che le permette di volare, ma per fortuna l'amico Pazu giunge in suo aiuto.
Miyazaki pone, come suo solito, dei fanciulli come protagonisti assoluti, mostrandone i sogni, gli affetti, la voglia di vivere e risaltando l'importanza di valori quali l'ecologismo, l'antimilitarismo, l'avversione per la sete di potere umana e la fiducia in sentimenti come l'amore e l'amicizia.
Il lungometraggio alterna vivaci momenti d'azione, che raggiungono il massimo della spettacolarità nelle sequenze di volo (particolarmente curati sono i mezzi volanti creati da Miyazaki), a poetici rallentamenti, con l'aggiunta di alcune gag capaci di far sorridere (soprattutto grazie alla gradevole presenza di Dola e la sua imbranata ciurma di pirati).
Tutto sommato bisogna dire che, almeno secondo me, il film coinvolge ed emoziona, ma non a livelli massimi, e il finale risulta abbastanza prevedibile.
In ogni caso voglio ricordare due elementi che lasciano a dir poco a bocca aperta e meritano assoluta considerazione, vale a dire la grafica e il sonoro: animazioni da oscar, fondali a dir poco fantastici e particolarissimi, suscitanti atmosfere eteree e sognanti da una parte; colonna sonora epica, dolce, o celestiale a seconda delle occasioni, da un'altra (stupenda la sigla di chiusura)...combinando ciò si ottiene un capolavoro già esaminando il livello tecnico!
In conclusione, si tratta di un'altra opera d'arte dell'artista Miyazaki, imperdibile e senza tempo.
Un altro eccellente lavoro di Miyazaki. Anche se rispetto ad altre opere del maestro, forse questa ha alcuni momenti di lentezza; la trama non è scorrevole e briosa come in altri lungometraggi; comunque l'impronta del regista c'è, e si sente. I temi trattati sono quelli tipici delle opere Miyazakiane, ovvero il contrasto uomo-natura, con la grettezza, l'avidità e il delirio di onnipotenza del primo contrapposto alla semplicità, la purezza e lo splendore della seconda. Anche il sentimento è usualmente in primo piano: amicizia, amore (inteso sempre nella sua accezione più cristallina), che si esplicano nel rapporto tra i due protagonisti. In particolare l'eroina della situazione è allo stesso tempo dolce, coraggiosa e determinata. Ricorda sotto molti punti di vista la protagonista di un altro anime famoso dello stesso autore: Nausicaa.
Laputa è uno dei molteplici capolavori del "maestro", l'insuperabile Miyazaki. La storia, sempre molto curiosa, narra la vicende di due ragazzini che incontratisi per caso devono fuggire da molteplici fazioni che vogliono accaparrarsi una gemma che la ragazza ha sempre con se.
Sheeta e Pazu iniziano così una mirabolante avventura che li porterà alla scoperta di un castello fluttuante, creato dall'uomo in passato. La pietra della ragazza è la chiave per giungere su questa roccaforte volante ed è uno degli oggetti più ambiti da pirati ed esercito. Dopo varie situazioni di inseguimenti i due vengono catturati dall'esercito, che così entra in possesso della pietra.
L'ambizione dell'esercito è quella di impossessarsi dei tesori e della scienza posseduta da Laputa, per poter asservire il mondo al loro volere. Pazu e Sheeta alleatisi con i pirati riescono a sventare queste mire di conquista distruggendo la città volante e tutti i suoi tesori.
La trama, che ricorda molto Nadia, è molto interessante e rapisce sin da subito l'attenzione. Si ci appassiona sin da subito, riuscendo ad affezionarsi ai due protagonisti, sin dall'inizio nel vivo dell'azione. La grafica è come al solito dettagliata e ben curata, mentre il doppiaggio e l'audio in generale sono molto coinvolgenti. Da notare la bellezza e la genialità con la quale vengono creati i robot di Laputa, davvero eccezionalmente belli ed affascinanti.
Dal punto degli argomenti trattati non c'è molto da notare se non la "solita" denuncia contro l'uomo e la scienza che invade sempre più il nostro pianeta. Oramai Hayao è affezionato a tale tipo di denuncia che propina sotto varie forme in quasi tutti i suoi film. Nonostante la sterilità degli argomenti trattati Laputa è davvero un ottimo film; da guardare tutto di fila con passione. Davvero un titolo degno del suo creatore, appassionante, divertente e coinvolgente. Si vede con piacere e con grande curiosità di scoprire come la vicenda si risolverà e quali misteri vengono celati dietro la pietra "gravitonica". Visione consigliata a qualunque pubblico, di qualunque età.
Sheeta e Pazu iniziano così una mirabolante avventura che li porterà alla scoperta di un castello fluttuante, creato dall'uomo in passato. La pietra della ragazza è la chiave per giungere su questa roccaforte volante ed è uno degli oggetti più ambiti da pirati ed esercito. Dopo varie situazioni di inseguimenti i due vengono catturati dall'esercito, che così entra in possesso della pietra.
L'ambizione dell'esercito è quella di impossessarsi dei tesori e della scienza posseduta da Laputa, per poter asservire il mondo al loro volere. Pazu e Sheeta alleatisi con i pirati riescono a sventare queste mire di conquista distruggendo la città volante e tutti i suoi tesori.
La trama, che ricorda molto Nadia, è molto interessante e rapisce sin da subito l'attenzione. Si ci appassiona sin da subito, riuscendo ad affezionarsi ai due protagonisti, sin dall'inizio nel vivo dell'azione. La grafica è come al solito dettagliata e ben curata, mentre il doppiaggio e l'audio in generale sono molto coinvolgenti. Da notare la bellezza e la genialità con la quale vengono creati i robot di Laputa, davvero eccezionalmente belli ed affascinanti.
Dal punto degli argomenti trattati non c'è molto da notare se non la "solita" denuncia contro l'uomo e la scienza che invade sempre più il nostro pianeta. Oramai Hayao è affezionato a tale tipo di denuncia che propina sotto varie forme in quasi tutti i suoi film. Nonostante la sterilità degli argomenti trattati Laputa è davvero un ottimo film; da guardare tutto di fila con passione. Davvero un titolo degno del suo creatore, appassionante, divertente e coinvolgente. Si vede con piacere e con grande curiosità di scoprire come la vicenda si risolverà e quali misteri vengono celati dietro la pietra "gravitonica". Visione consigliata a qualunque pubblico, di qualunque età.
Una preziosa tecnologia è il segreto di Laputa, una città del cielo nascosta nella tempesta. Esiste o è un mito? Qualcuno afferma di averla vista e ne da una prova! Chi è costui? Perché Laputa è così importante, cosa nasconde?
Pazu e Sheeta sono i protagonisti di questa storia magica, l’esercito che pretende il potere e la giovane innocentemente interessata dall’avidità degli uomini. E i pirati? Pirati? Si proprio quelli di “Mamma mia” ma con buonismo marcato da un atteggiamento provocatorio e avventuroso! Ma la magica pietra che Sheeta ha ereditato porta con sé un temibile segreto.
Come si nota è una trama lineare, dolcissima e chiara mentre cova da un parte la purezza dei cuori dei due ragazzi, dall’altra partorisce l’avidità dell’umanità e la sua orribile potenza.
Le scene sono ben realizzate, ottimi dettagli, ottimi personaggi che parlano, ottima camera con il suo vasto registro di cam , soggettive, oggettive, campi lunghissimi nelle battaglie aeree; soluzioni narrative squisite e geniali come le Levipietra che prendono a illuminarsi. Ottima colonna sonora, bene i cattivi che riescono a risultare credibili. Il senso di Laputa è costruito, pomposo a tratti ma snello nell’esplicarsi; Solo il montaggio e qualche dialogo ne soffre ma in qualche scena.
Film da vedere perché premiato nel 1986. Ancora Storia del cinema d’animazione.
Pazu e Sheeta sono i protagonisti di questa storia magica, l’esercito che pretende il potere e la giovane innocentemente interessata dall’avidità degli uomini. E i pirati? Pirati? Si proprio quelli di “Mamma mia” ma con buonismo marcato da un atteggiamento provocatorio e avventuroso! Ma la magica pietra che Sheeta ha ereditato porta con sé un temibile segreto.
Come si nota è una trama lineare, dolcissima e chiara mentre cova da un parte la purezza dei cuori dei due ragazzi, dall’altra partorisce l’avidità dell’umanità e la sua orribile potenza.
Le scene sono ben realizzate, ottimi dettagli, ottimi personaggi che parlano, ottima camera con il suo vasto registro di cam , soggettive, oggettive, campi lunghissimi nelle battaglie aeree; soluzioni narrative squisite e geniali come le Levipietra che prendono a illuminarsi. Ottima colonna sonora, bene i cattivi che riescono a risultare credibili. Il senso di Laputa è costruito, pomposo a tratti ma snello nell’esplicarsi; Solo il montaggio e qualche dialogo ne soffre ma in qualche scena.
Film da vedere perché premiato nel 1986. Ancora Storia del cinema d’animazione.
Inferiore solo a Princess Mononoke (per quanto riguarda i film di Miyazaki che ho visto), Laputa mi ha fatto volare nel mondo fantastico di Miyazaki entusiasmandomi, stupenda la storia, anche se triste a tratti, ma si sa, un po' di dramma c'è nei film del maestro. Direi uno dei capollavori dello studio Ghibli, da vedere senza ombra di dubbio.
Veramente molto bello, si respira ancora una volta la bellezza delle persone e degli affetti semplici e diretti e oltre a queto ad arricchire la storia ci sono molti elementi ben mescolati: pirati simpaticissimi, donnone materne, vecchiacce incontenibili, l'ombra della guerra e tante macchine volanti. Ottima come sempre la cura dei dettagli e dei movimenti.
Dopo Porco Rosso è il mio preferito tra i lavori di Miyazaki, con cui in effetti condivide un ambientazione dal taglio occidentale e una banda di cattivi dotati di molta vitalità, ma anche di una sorta di codice di condotta. Delicato il messaggio ambientalista e buono il tema fantascientifico non invasivo, che in seguito ispirerà gli studi Gainax per un'ottima serie televisiva dal tema pacifista, contenente però elementi simbolici che oggi fanno discutere.
Volendo trovare difetti, subito dopo l'arrivo su Laputa un paio di cose mi lasciarono perplesso e la misteriosa e dolce Sheeta ricorda troppo Lana di "Conan il ragazzo del futuro", creata sempre sotto Miyazaki (per la Nippon Animation) quasi 10 anni prima.
Tra le curiosità, i robot guardiani mi ricordano molto da vicino quelli trasposti in acluni corti animati degli anni 40 basati su Superman. Una produzione con a capo Max Fleischer, uno tra gli animatori più innovativi del secolo, ed inventore tra le altre cose del rotoscopio, apprezzato in futuro dal maestro Don Bluth in alcuni dei suoi migliori lavori, sia sotto l'ala della Disney che soprattutto da indipendente.
Dopo Porco Rosso è il mio preferito tra i lavori di Miyazaki, con cui in effetti condivide un ambientazione dal taglio occidentale e una banda di cattivi dotati di molta vitalità, ma anche di una sorta di codice di condotta. Delicato il messaggio ambientalista e buono il tema fantascientifico non invasivo, che in seguito ispirerà gli studi Gainax per un'ottima serie televisiva dal tema pacifista, contenente però elementi simbolici che oggi fanno discutere.
Volendo trovare difetti, subito dopo l'arrivo su Laputa un paio di cose mi lasciarono perplesso e la misteriosa e dolce Sheeta ricorda troppo Lana di "Conan il ragazzo del futuro", creata sempre sotto Miyazaki (per la Nippon Animation) quasi 10 anni prima.
Tra le curiosità, i robot guardiani mi ricordano molto da vicino quelli trasposti in acluni corti animati degli anni 40 basati su Superman. Una produzione con a capo Max Fleischer, uno tra gli animatori più innovativi del secolo, ed inventore tra le altre cose del rotoscopio, apprezzato in futuro dal maestro Don Bluth in alcuni dei suoi migliori lavori, sia sotto l'ala della Disney che soprattutto da indipendente.
Tra le opere di Miyazaki che ho avuto la fortuna di vedere (quando mai la Buena Vista si deciderà a sganciare Nausicaa, Porco Rosso e Totoro?) e possedere, giacchè i suoi anime DEVONO essere acquistati, non è forse quella che mi ha coinvolto di più. La realizzazione tecnica è formidabile, i personaggi profondi, l'azione travolgente....eppure, eppure manca quel qualcosa che lo faccia decollare veramente, che lo promuova da ottimo film a capolavoro. Sarà per la sensazione di "già visto", o la relativa semplicità della trama, o perchè è stato proposto in dvd solo nel 2004, rimane un gran bel prodotto, certo, ma nulla più. Forse, sarebe il caso di accettare il fatto che tutto ciò che esce dalle mani del Maestro non sia sempre oro puro (leggasi: Città Incantata, Mononoke e Lupin III), ma anche argento (Howl e Laputa) e, qualche volta, bronzo (Kiki).
Laputa (insieme con Nausicaa) è probabilmente il film di Miyazaki che meno mi ha emozionato. Con questo non voglio togliere nulla al valore artistico del film che rimane assolutamente di prima categoria e che ha il merito di aver ispirato diverse ottime produzioni successive. Probabilmente rispetto ad altre produzioni soffre di un po' di lentezza nella narrazione, o forse è solo il fatto di aver visto questo film dopo altri capolavori del maestro (con oltre un decennio di ritardo), ma non è riuscito a colpirmi più di tanto.
Di tutte le opere del maestro forse Laputa è quella che mi ha emozionato di meno. Intendiamoci, quando vedo un film di Miyazaki normalmente sono emozionato fino quasi all'infarto...con Laputa mi sono fermato alle lacrime di commozione...
Eh già...anche Laputa è ovviamente nell'olimpo dei capolvori dell'animazione. La storia è ispirata ad uno degli episodi dei viaggi di Gulliver. Tanto per cambiare i personaggi sono deliziosi nella loro struttura e tutto lo svolgimento della storia è affascinante anche se nelle tematiche rimane sullo stesso piano di tutti lgi altri lavori del maestro: la parte del leone ovviamente la fa il difficoltoso rapporto tra l'uomo e la natura. Splendide (tanto per cambiare) le sequenze aeree (vera passione di Miyazaki). Tecnicametne è ancora validissimo.
Eh già...anche Laputa è ovviamente nell'olimpo dei capolvori dell'animazione. La storia è ispirata ad uno degli episodi dei viaggi di Gulliver. Tanto per cambiare i personaggi sono deliziosi nella loro struttura e tutto lo svolgimento della storia è affascinante anche se nelle tematiche rimane sullo stesso piano di tutti lgi altri lavori del maestro: la parte del leone ovviamente la fa il difficoltoso rapporto tra l'uomo e la natura. Splendide (tanto per cambiare) le sequenze aeree (vera passione di Miyazaki). Tecnicametne è ancora validissimo.