Sekkou Boys
“Sekkou Boys” è un anime di dodici episodi, brevi (è un bene o un male?) del 2021 e racconta in chiave parodiata la vita e le vicende di una boy band poco convenzionale. I suoi membri hanno un’etica marmorea e i loro curriculum sono scultorei, non per nulla sono statue.
Abbiamo il focoso Mars, passionale e incline agli scandali leggeri; Medici, il cherubino del gruppo dai tratti angelici che adora le sue fan, che chiama “le sue gemme”; Hermes, scaltro, chiacchierone, ma signore degli imbrogli e dei sotterfugi; e infine (San) Giorgio, il band-leader, misurato, poco loquace, dalle battute orrende ma dall’immensa rettitudine morale. I quattro rappresentano, se vogliamo, il meglio e il peggio delle boy band.
La loro manager è la povera Ishimoto, che, fuggita dall’accademia d’arte per colpa delle sculture, si ritrova a lavorare con e per loro. Dopo un primo momento di scoramento, decide di fare del suo meglio. Il suo spirito di sacrificio e la sua determinazione, unita al bisogno di imparare come muoversi nel mondo dello spettacolo che sognava, ma che non conosce, la rendono dolcemente umana. Inoltre, la sua infinita pazienza verso i quattro ceffi che deve guidare al successo la fanno parere irreale.
C’è poi Mira, idol che canta, la quale ha una simpatia per la band e viene ricambiata, apparendo e riapparendo felice e colorata ad ogni puntata.
Nel mondo delle parodie l’impossibile diventa lecito, e allora ecco il mondo acclamare questi busti che cantano, che vanno al bar, hanno casa propria e avventure truffaldine o romantiche. Ci sono anche altri busti noti, che appaiono in un episodio ignobilmente noioso di chiacchiere e basta, o occhieggiano da un armadio (ma che ci faceva là Agrippa?). Negli spettacoli musicali appare pure una band di statue dorate che vuole fare il verso alle band composte da migliaia di membri, ognuno che canta il suo pezzo da solista.
Da una freschezza iniziale, data dal potere del paradosso che fa ridere davvero, la comicità comincia a scemare e le situazioni diventeranno imprendibili e così assurde, da scatenare prima fastidio, poi noia.
La struttura narrativa è ultra-snella, potendo contare solo su episodi di otto minuti. Il pregio è che non sono tutti autoconclusivi e tutto sommato una trama in crescendo c’è, infatti da una situazione di partenza, con i boys sconosciuti in attesa del grande lancio, alla fine abbiamo il gruppo ben noto e acclamato.
Ma c’è un ma: gli eventi scorrono rapidi senza un decente studio psicologico. È una gara di macchiette senza profondità. Ogni azione è poco più di un colpo di testa e gli intrecci si risolvono presto e in modo pilotato.
La grafica dei personaggi è gradevole ma non eccellente, mentre quella delle statue è favolosa. Mi ha colpito l’espediente di dare voci piene di passioni a statue immobili... è strano, ma funziona!
L’opening e l’ending, orecchiabili, riassumono con precisione l’anime: ci sono i quattro personaggi principali e Ishimoto in chiave piuttosto carina e simpatica.
L’idea è buona, ma perde brillantezza strada facendo, diventando un ‘mappazzone’ snervante. Io l’ho terminato solo perché era breve, altrimenti non ne avrei avuta la forza. L’espediente narrativo può funzionare, ma la narrazione si perde in infinite gag e dialoghi fulminanti non molto divertenti e quasi fini a sé stessi. Visto con leggerezza, non è male, se piace il genere. Personalmente, non sono riuscita ad apprezzare quest’opera.
Abbiamo il focoso Mars, passionale e incline agli scandali leggeri; Medici, il cherubino del gruppo dai tratti angelici che adora le sue fan, che chiama “le sue gemme”; Hermes, scaltro, chiacchierone, ma signore degli imbrogli e dei sotterfugi; e infine (San) Giorgio, il band-leader, misurato, poco loquace, dalle battute orrende ma dall’immensa rettitudine morale. I quattro rappresentano, se vogliamo, il meglio e il peggio delle boy band.
La loro manager è la povera Ishimoto, che, fuggita dall’accademia d’arte per colpa delle sculture, si ritrova a lavorare con e per loro. Dopo un primo momento di scoramento, decide di fare del suo meglio. Il suo spirito di sacrificio e la sua determinazione, unita al bisogno di imparare come muoversi nel mondo dello spettacolo che sognava, ma che non conosce, la rendono dolcemente umana. Inoltre, la sua infinita pazienza verso i quattro ceffi che deve guidare al successo la fanno parere irreale.
C’è poi Mira, idol che canta, la quale ha una simpatia per la band e viene ricambiata, apparendo e riapparendo felice e colorata ad ogni puntata.
Nel mondo delle parodie l’impossibile diventa lecito, e allora ecco il mondo acclamare questi busti che cantano, che vanno al bar, hanno casa propria e avventure truffaldine o romantiche. Ci sono anche altri busti noti, che appaiono in un episodio ignobilmente noioso di chiacchiere e basta, o occhieggiano da un armadio (ma che ci faceva là Agrippa?). Negli spettacoli musicali appare pure una band di statue dorate che vuole fare il verso alle band composte da migliaia di membri, ognuno che canta il suo pezzo da solista.
Da una freschezza iniziale, data dal potere del paradosso che fa ridere davvero, la comicità comincia a scemare e le situazioni diventeranno imprendibili e così assurde, da scatenare prima fastidio, poi noia.
La struttura narrativa è ultra-snella, potendo contare solo su episodi di otto minuti. Il pregio è che non sono tutti autoconclusivi e tutto sommato una trama in crescendo c’è, infatti da una situazione di partenza, con i boys sconosciuti in attesa del grande lancio, alla fine abbiamo il gruppo ben noto e acclamato.
Ma c’è un ma: gli eventi scorrono rapidi senza un decente studio psicologico. È una gara di macchiette senza profondità. Ogni azione è poco più di un colpo di testa e gli intrecci si risolvono presto e in modo pilotato.
La grafica dei personaggi è gradevole ma non eccellente, mentre quella delle statue è favolosa. Mi ha colpito l’espediente di dare voci piene di passioni a statue immobili... è strano, ma funziona!
L’opening e l’ending, orecchiabili, riassumono con precisione l’anime: ci sono i quattro personaggi principali e Ishimoto in chiave piuttosto carina e simpatica.
L’idea è buona, ma perde brillantezza strada facendo, diventando un ‘mappazzone’ snervante. Io l’ho terminato solo perché era breve, altrimenti non ne avrei avuta la forza. L’espediente narrativo può funzionare, ma la narrazione si perde in infinite gag e dialoghi fulminanti non molto divertenti e quasi fini a sé stessi. Visto con leggerezza, non è male, se piace il genere. Personalmente, non sono riuscita ad apprezzare quest’opera.