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esseci

Episodi visti: 16/16 --- Voto 6,5
Quando il Far East cerca di strizzare l'occhio all'occidente.

Dopo la visione della serie "The memories of Alhambra", ho avuto la sensazione che si tratti di un'opera che sembra ambire a costituire un esempio di ibridazione di stili/generi per consentire ad un "occidentale" di iniziarsi al peculiare stile dell' Estremo Oriente, cercando di valorizzare i punti in comune presenti nelle due culture, se così le vogliamo definire.

Se proprio dovessi trovare una connotazione più o meno univoca a questa serie, la potrei definire una sorta di "anello di congiunzione" o "ponte" o, più furbescamente, di "cavallo di Troia" di omerica memoria.
Il perché di questa definizione che, in apparenza, potrebbe essere interpretata anche in modo negativo per la sua connotazione "ingannevole", è presto scritto: la trama si fonda sugli intrighi tra due big company coreane per mettere le mani su un gioco RPG (role-playing game) in realtà aumentata, creato da due ragazzi coreani residenti in Spagna che hanno ambientato il gioco nelle strade di Granada.
Due elementi che possono immediatamente mettere a suo agio uno spettatore "occidentale" sono l'oggetto della trama (un gioco di ruolo a realtà aumentata veramente spettacolare), l'ambientazione iniziale della serie (la splendida città andalusa con i suoi vicoli, piazze e la incantevole Alhambra) e, soprattutto, il ritmo (molto più simile agli action-movie hollywoodiani che alle produzioni del Far east, compassate e spesso lente e poco dinamiche).
L'inizio della serie è poco k-drama: azione, mistero, suspence, fantasy, sci-fi, combattimenti virtuali nella realtà in un contesto come quello andaluso, che brilla a livello storico-artistico proprio per il mix di culture che nel tempo si sono susseguite e hanno segnato a loro modo questa terra, decretandone il suo successo per fascino e magia.

Ma cosa ci fanno un manipolo di coreani a Granada?

Ad onor del vero, questo gioco di realtà aumentata poteva tranquillamente essere ambientato in qualsiasi città del mondo, tanto è vero che poi nella seconda parte si ritorna a respirare l'aria di Seoul e dintorni e, solo a sprazzi, quella dell'Andalusia.
Pertanto, la serie inizia con l'ambientazione spagnola e un viaggio in treno in cui un ragazzo sparisce dalla circolazione misteriosamente dopo una rocambolesca fuga da un tizio che lo insegue e che sembra possa essere visto solo da lui.
Il titolo della serie richiama "Recuerdos de l'Alhambra", il brano di chitarra che contraddistingue i momenti più drammatici dei vari episodi: altra chicca che serve a rendere più cosmopolita la serie, utilizzando anche brani musicali famosi e già noti al pubblico occidentale... Dal mio punto di vista non posso che approvare: Granada è una scelta più che mai azzeccata e affascinante, sebbene de l'Alhambra non si vedrà poi molto.
E per questa serie i due protagonisti sono interpretati da due attori affermati: Hyun Bin (piuttosto famoso, da ultimo per "Crush Landing on You") che interpreta il CEO dell'azienda interessata al gioco, e Park Shin-hye ("Stairway to Heaven" e da ultimo "Doctor Slump").

La serie ha tutte le carte in regola per sfondare?

Si tratta di una serie prodotta nel 2018 e trasmessa a cavallo tra il 2018 e il 2019 che non ha avuto grandissimo eco. Di sicuro è avvincente ma, a mio avviso, presenta qualche limite che potrebbe renderla meno convincente all'occhio del pubblico occidentale.
L'inizio, come ho anticipato, è intrigante e misterioso, quasi thriller, e riesce ad alternare momenti drammatici ad altri da commedia, anche con sfumature comiche. Ma nel corso dell'evoluzione della trama, "Memories of the Alhambra" cade continuamente in quello che è un po' il pregio e il difetto di alcune produzioni thriller orientali: il ricorso eccessivo al flashback e al flashforward per spiegare, anche a distanza di episodi, alcuni punti salienti della trama. Lo spettatore potrebbe trovarsi spiazzato dalla visione simile allo scioglimento di un gomitolo di lana aggrovigliato: è un po' impegnativo, e inizialmente rende incomprensibili e forzate alcune scelte di sceneggiatura e registiche. In più, alcuni passaggi sono obiettivamente forzati e poco credibili, in primis, l'apparizione di personaggi che potrebbero morire solo nel gioco ma che muoiono anche nella vita reale... E che poi riappaiono continuamente fino a quando il protagonista non ha raggiunto il livello massimo di esperienza nel videogioco per poterli sconfiggere. Il finale è piuttosto agro-dolce e lascia la classica sensazione di incompiutezza per chi, come noi occidentali, avrebbe sperato nel lieto fine... E invece "Memories of the Alhambra" sembra voler ricordare che in fondo è una serie "orientale".
Di sicuro l'idea del gioco RPG, con scene di combattimenti virtuali in uno scenario reale, è un vero e proprio punto di forza della serie, che alla lunga, tuttavia, sembra quasi ridicolo quando il gioco diffuso su scala planetaria vede orde di giocatori dimenarsi in pubbliche vie e piazze a muoversi in modo insulso a combattere contro avversari visibili solo da chi indossa le lenti a contatto/visori, che consentono l'accesso al gioco e alla visualizzazione dei progressi.
Le scene in cui il protagonista deve trovare le armi virtuali a Granada sono a dir poco esilaranti, poi, soprattutto nel finale, il gioco è sembrato piuttosto ripetitivo e quasi demenziale... Ma tant'è: è un "mortal combat virtuale", e di certo non si poteva pensare a personaggi virtuali che interagissero con quelli reali a livello di dialoghi profondi.

Non manca l'intrigo, almeno inizialmente, e il romance.
Dal primo punto di vista, il live action presenta una serie incredibile (e forzate) di coincidenze di legami passati tra alcuni personaggi. Sul lato romance, posso solo scrivere che è presente ma spesso sullo sfondo (salvo ogni tanto emergere per far svoltare la storia), diventando una sorta di accessorio, e che potrebbe far storcere il naso a coloro che avrebbero voluto una caratterizzazione migliore della parte romantica.
Lato interpretazione: Hyun Bin mi è sembrato adeguato e poliedrico. Passa con naturalezza da scene di azione e da duro a quelle da gigione e mentitore seriale senza difficoltà alcuna. Rende bene la complessità del personaggio interpretato: una sorta di eroe che nel corso degli episodi si redime dal suo passato di manager di successo senza scrupoli.
Non mi ha convinto pienamente Park Shin-hye: ha uno stile molto poco espressivo e dinamico. Non so se sia per esigenze di copione del personaggio interpretato, ma mi ha dato l'impressione di essere un po' troppo ingessata e piatta. I comprimari hanno fatto il loro, riuscendo particolarmente bene nei ruoli degli "zombie" assassini del gioco.

Pertanto posso concludere che la serie, sebbene piuttosto lunga e in alcuni frangenti con tempi "orientali", resta un più che sufficiente esempio di come le produzioni del Far East possano anche incontrare i gusti del mondo occidentale, sfidandolo proprio sul campo degli action-movie e sci-fi in modo avvincente e credibile, mostrando una idea di eroe più sfaccettata e complessa delle piatte produzioni occidentali, specie quelle a stelle e strisce.