Jin (live action)
Ho appena finito la prima stagione di Jin, un drama tratto un manga, serie più popolare del 2009 di cui esiste anche una versione coreana (che sarei curiosa di provare) e vincitrice di molti premi. Il manga non è mai stato pubblicato in Italia ed ho visto solo alcune immagini che, lo ammetto, non mi hanno convinto molto per il tratto un po’ troppo tondeggiante del disegno.
Devo subito precisare che le mie esperienze con i telefilm (giapponesi o coreani) sono abbastanza rare per una scelta di sanità mentale, nel senso che se precipitassi in questo vortice non ne uscirei più! Sono però un’amante delle serie americane e inglesi, soprattutto se hanno un tocco storico.
Parlando di Jin, la premessa è davvero poco credibile e realizzata con quello stile artefatto tipico dei live action. Per fortuna ho avuto la costanza di andare un po’ avanti, superando l’impatto del primo, lunghissimo episodio (che praticamente vale doppio) ed è stata soprattutto la recitazione a convincermi a compiere il passo. Takao Osawa nei panni di Jin Minakata – il medico neurologo sbalzato nel tempo alla fine dell’epoca Edo – è davvero bravo e così anche il resto del cast: Haruka Ayase è bellissima come Saki ma a me interessava soprattutto la oiran (prostituta di altissimo rango) Nokaze. I costumi di queste cortigiane del quartiere a luci rosse di Yoshiwara erano spesso sgargianti e lussureggianti, e qui ho trovato lo stesso gusto del film Sakuran, anche se non la stessa cura nella fotografia.
Certo, se uno dei vostri scopi è fare esercizio di ascolto in giapponese, non è il drama giusto: tra parole antiche, terminologia medica, parlata di Yoshiwara e lingua rude un po’ storpiata non è facile da seguire!
La vicenda è molto intrigante: Jin porta con sé nel mondo del passato le sue conoscenze mediche avanzate che si accostano all’interesse che in quel periodo si stava sviluppando per la medicina occidentale, o meglio olandese (rangaku). Il medico trova l’approvazione della gente ma la diffidenza dei conservatori.
Il viaggio nel passato inizia nel 1862, in un momento molto delicato della Storia giapponese quando cioè le cosiddette Navi Nere del Commodoro Perry erano già arrivate e il Paese era combattuto tra la spinta modernizzatrice e la volontà di rimanere ancorato alle tradizioni.
Come ho detto, io ho guardato Jin nell’àmbito di un lavoro sulle oiran e quindi mi sono soffermata con più interesse sulle parti ambientate nel quartiere dei piaceri (un istituzione affascinante ma anche spaventosa, a ben pensarci!) e ho trovato il tutto davvero delicato e ben fatto: visto l’argomento, lo sviluppo avrebbe potuto essere molto “spinto” ed invece è leggero, senza nemmeno quel fan service in cui spesso scivolano senza ragione gli anime e i manga, e che io personalmente detesto.
In particolare c’è un dialogo tra Nokaze ancora bambina e il proprietario della sua “casa” (quarto episodio) che penso riporterò nel mio articolo e che in pratica paragona le cortigiane ai bodhisattva (in giapponese bosatsu), cioè agli illuminati che decidono di restare sulla Terra per portare la propria testimonianza. Questo mi permette di fare un collegamento con la oiran di origini coreane Lenka (o Renka, vero nome Chong Shim) di cui parla un bellissimo libro dell’autore nord-coreano Hwang.
Il libro però è molto crudo. In Jin invece si percepisce la natura femminile di Nokaze, non molto dissimile in questo da Saki, figlia di un’agiata famiglia di samurai.
Sì, si parla anche degli spadaccini ma il loro tempo sta tramontando e quindi non ci sono tutti quei combattimenti che, secondo me, appesantiscono le narrazioni nei live action ambientati nel passato giapponese. Sto pensando nello specifico a Rurôni Kenshin.
Ho visto recentemente due dei tre film live action e li ho trovati coinvolgenti e persino belli in alcune scene ma troppo infarciti di duelli, anche se spettacolari.
Un difetto di Jin è forse il voler mettere troppa carne al fuoco, vista la brevità della stagione (solo dieci episodi, anche se ne sono stati dichiarati undici). Tutto sta nello scoprire se la seconda stagione risolverà i nodi della trama.
Devo subito precisare che le mie esperienze con i telefilm (giapponesi o coreani) sono abbastanza rare per una scelta di sanità mentale, nel senso che se precipitassi in questo vortice non ne uscirei più! Sono però un’amante delle serie americane e inglesi, soprattutto se hanno un tocco storico.
Parlando di Jin, la premessa è davvero poco credibile e realizzata con quello stile artefatto tipico dei live action. Per fortuna ho avuto la costanza di andare un po’ avanti, superando l’impatto del primo, lunghissimo episodio (che praticamente vale doppio) ed è stata soprattutto la recitazione a convincermi a compiere il passo. Takao Osawa nei panni di Jin Minakata – il medico neurologo sbalzato nel tempo alla fine dell’epoca Edo – è davvero bravo e così anche il resto del cast: Haruka Ayase è bellissima come Saki ma a me interessava soprattutto la oiran (prostituta di altissimo rango) Nokaze. I costumi di queste cortigiane del quartiere a luci rosse di Yoshiwara erano spesso sgargianti e lussureggianti, e qui ho trovato lo stesso gusto del film Sakuran, anche se non la stessa cura nella fotografia.
Certo, se uno dei vostri scopi è fare esercizio di ascolto in giapponese, non è il drama giusto: tra parole antiche, terminologia medica, parlata di Yoshiwara e lingua rude un po’ storpiata non è facile da seguire!
La vicenda è molto intrigante: Jin porta con sé nel mondo del passato le sue conoscenze mediche avanzate che si accostano all’interesse che in quel periodo si stava sviluppando per la medicina occidentale, o meglio olandese (rangaku). Il medico trova l’approvazione della gente ma la diffidenza dei conservatori.
Il viaggio nel passato inizia nel 1862, in un momento molto delicato della Storia giapponese quando cioè le cosiddette Navi Nere del Commodoro Perry erano già arrivate e il Paese era combattuto tra la spinta modernizzatrice e la volontà di rimanere ancorato alle tradizioni.
Come ho detto, io ho guardato Jin nell’àmbito di un lavoro sulle oiran e quindi mi sono soffermata con più interesse sulle parti ambientate nel quartiere dei piaceri (un istituzione affascinante ma anche spaventosa, a ben pensarci!) e ho trovato il tutto davvero delicato e ben fatto: visto l’argomento, lo sviluppo avrebbe potuto essere molto “spinto” ed invece è leggero, senza nemmeno quel fan service in cui spesso scivolano senza ragione gli anime e i manga, e che io personalmente detesto.
In particolare c’è un dialogo tra Nokaze ancora bambina e il proprietario della sua “casa” (quarto episodio) che penso riporterò nel mio articolo e che in pratica paragona le cortigiane ai bodhisattva (in giapponese bosatsu), cioè agli illuminati che decidono di restare sulla Terra per portare la propria testimonianza. Questo mi permette di fare un collegamento con la oiran di origini coreane Lenka (o Renka, vero nome Chong Shim) di cui parla un bellissimo libro dell’autore nord-coreano Hwang.
Il libro però è molto crudo. In Jin invece si percepisce la natura femminile di Nokaze, non molto dissimile in questo da Saki, figlia di un’agiata famiglia di samurai.
Sì, si parla anche degli spadaccini ma il loro tempo sta tramontando e quindi non ci sono tutti quei combattimenti che, secondo me, appesantiscono le narrazioni nei live action ambientati nel passato giapponese. Sto pensando nello specifico a Rurôni Kenshin.
Ho visto recentemente due dei tre film live action e li ho trovati coinvolgenti e persino belli in alcune scene ma troppo infarciti di duelli, anche se spettacolari.
Un difetto di Jin è forse il voler mettere troppa carne al fuoco, vista la brevità della stagione (solo dieci episodi, anche se ne sono stati dichiarati undici). Tutto sta nello scoprire se la seconda stagione risolverà i nodi della trama.