Dark Water
Film molto particolare, perché pur essendo un horror si presenta in maniera assai decisa anche come una drammatica elegia dell'amore materno. Questo sentimento è infatti il vero perno della vicenda: la protagonista Yoshimi è una madre fragile eppure forte, mossa dall'immenso amore per la piccola Ikuko e proprio il fatto che la stessa Yoshimi sia stata abbandonata dalla madre le fa capire molto bene quanto sia importante per i bambini avere una madre che li accudisca e quanto sia doloroso perdere tale figura (un dolore che anche la bambina scomparsa ha conosciuto fin troppo bene). Tanto più che il mondo degli adulti in generale fa davvero una pessima figura in questi film, tra insegnanti di asilo esageratamente severi, ex-mariti che si divertono a spaventare la coniuge per farla cedere e portinai pigri e indolenti.
Il tutto è accompagnato dalla presenza dell'acqua, che in questo film non è elemento di vita ma portatrice di ricordi tristi (come quella della pioggia) e di dolore e morte, come quella sporca che inonda l'appartamento delle due protagoniste.
Oltre a questa parte dei contenuti, il regista Hideo Nakata è piuttosto bravo a creare un’atmosfera inquietante sfruttando gli ambienti del palazzo fatiscente in cui Yoshimi deve abitare, capace di evitare la noia non tanto grazie alle scene movimentate (che sono poche) bensì usando il mistero e la tensione. Il tutto è intervallato dalle misteriose apparizioni dello zainetto appartenuto alla bimba scomparsa e da flashback color seppia (lo stesso dell'acqua sporca) che gradualmente ci spiegano il triste fato della piccola.
Ottimo poi il climax finale, bel mix di suspense e dramma, capace di spaventare e insieme commuovere, e il fattore commovente è ancora più forte nell'epilogo.
Cast di per sé discreto, però è molto brava Hitomi Kuroki nel ruolo di Yoshimi.
Per concludere è un film veramente bello, un raro esempio di horror con un’anima.
Il tutto è accompagnato dalla presenza dell'acqua, che in questo film non è elemento di vita ma portatrice di ricordi tristi (come quella della pioggia) e di dolore e morte, come quella sporca che inonda l'appartamento delle due protagoniste.
Oltre a questa parte dei contenuti, il regista Hideo Nakata è piuttosto bravo a creare un’atmosfera inquietante sfruttando gli ambienti del palazzo fatiscente in cui Yoshimi deve abitare, capace di evitare la noia non tanto grazie alle scene movimentate (che sono poche) bensì usando il mistero e la tensione. Il tutto è intervallato dalle misteriose apparizioni dello zainetto appartenuto alla bimba scomparsa e da flashback color seppia (lo stesso dell'acqua sporca) che gradualmente ci spiegano il triste fato della piccola.
Ottimo poi il climax finale, bel mix di suspense e dramma, capace di spaventare e insieme commuovere, e il fattore commovente è ancora più forte nell'epilogo.
Cast di per sé discreto, però è molto brava Hitomi Kuroki nel ruolo di Yoshimi.
Per concludere è un film veramente bello, un raro esempio di horror con un’anima.
"Honogurai mizu no soko kara" - "Dal profondo delle acque scure" potrebbe essere una traduzione letterale del titolo originale di "Dark Water". Trattasi di un film molto psicologico, molto poco horror per certi versi e molto toccante per altri.
Non riassumerò nuovamente la trama, mi limito a dire che la cosa più interessante di questo film è la presenza costante dell'acqua: una presenza continua, martellante come la pioggia che continua a scrosciare per tutto il tempo del film e incessante come le macchie di umidità che si allargano sui muri dell'appartamento in cui vanno a vivere Yoshimi Matsubara e la figlia Ikuko. L'edificio è stato teatro della tragica morte di una bambina un anno prima, bambina che frequentava lo stesso asilo in cui va ora Ikuko.
Non è un caso che sia stata scelta l'acqua come tema accompagnatore per la morte di un bambino: nella cultura giapponese si chiamano infatti "mizuko" (bambini d'acqua) quei bambini non nati, abortiti e condannati a rimanere per sempre senza forma, raffigurati per questo dall'elemento acquatico, simbolo del liquido amniotico. Sono bambini rifiutati, che per questo rifiuto covano rancore (come tutti coloro che muoiono di morte non naturale nella cultura giapponese), diventando una minaccia per la pace dei vivi. In questo film non si parla di mizuko nel senso stretto del termine, ma a loro è il riferimento, più o meno consapevole.
Oltretutto a confrontarsi con i mizuko sono solo ed esclusivamente le madri, costrette ad una pratica che le colpevolizza e le obbliga a non dimenticare, e in questo film il rapporto più presente è appunto quello fra Ikuko e sua madre. Il padre c'è, ma è un padre che non si vede, che appare giusto per firmare i documenti di divorzio dalla moglie.
È una pellicola triste, che in qualche modo risveglia quei sentimenti atavici spesso trasmessi dai bambini, dal rapporto con le loro madri, dall'acqua portatrice di vita ma anche di morte.
Un film da vedere, a mio parere, specialmente per le implicazioni culturali legate all'immaginario giapponese.
Non riassumerò nuovamente la trama, mi limito a dire che la cosa più interessante di questo film è la presenza costante dell'acqua: una presenza continua, martellante come la pioggia che continua a scrosciare per tutto il tempo del film e incessante come le macchie di umidità che si allargano sui muri dell'appartamento in cui vanno a vivere Yoshimi Matsubara e la figlia Ikuko. L'edificio è stato teatro della tragica morte di una bambina un anno prima, bambina che frequentava lo stesso asilo in cui va ora Ikuko.
Non è un caso che sia stata scelta l'acqua come tema accompagnatore per la morte di un bambino: nella cultura giapponese si chiamano infatti "mizuko" (bambini d'acqua) quei bambini non nati, abortiti e condannati a rimanere per sempre senza forma, raffigurati per questo dall'elemento acquatico, simbolo del liquido amniotico. Sono bambini rifiutati, che per questo rifiuto covano rancore (come tutti coloro che muoiono di morte non naturale nella cultura giapponese), diventando una minaccia per la pace dei vivi. In questo film non si parla di mizuko nel senso stretto del termine, ma a loro è il riferimento, più o meno consapevole.
Oltretutto a confrontarsi con i mizuko sono solo ed esclusivamente le madri, costrette ad una pratica che le colpevolizza e le obbliga a non dimenticare, e in questo film il rapporto più presente è appunto quello fra Ikuko e sua madre. Il padre c'è, ma è un padre che non si vede, che appare giusto per firmare i documenti di divorzio dalla moglie.
È una pellicola triste, che in qualche modo risveglia quei sentimenti atavici spesso trasmessi dai bambini, dal rapporto con le loro madri, dall'acqua portatrice di vita ma anche di morte.
Un film da vedere, a mio parere, specialmente per le implicazioni culturali legate all'immaginario giapponese.