Life on Mars
La tua realtà è il luogo dove sei felice.
Non so neppure da dove cominciare. Sedici episodi da un’ora ingurgitati in tre giorni. Da altri drama ho dovuto spesso staccarmi per noia o saturazione. Da questo, ho dovuto di tanto in tanto fare piccole pause perché mi rendevo conto di guardarlo sul bordo della sedia, sporgendomi verso il video, coi battiti accelerati, quasi ansimando. Dubito di riuscire a mettere in parole anche solo una parte di ciò che mi ha tanto affascinato. Il totale è sempre maggiore della somma delle parti.
Ma andiamo con ordine. Siamo a Seul, ai giorni nostri, e Han Tae Joo è capo di una squadra investigativa. E’ un tipo molto freddo, che si fida solo dei riscontri oggettivi, finché un giorno, investigando una serie di delitti opera di un serial killer, non si becca una pallottola in testa. E, come ciliegina sulla torta, lo investono con un’auto. Da un’autoradio udiamo le note di Life on Mars? di David Bowie e il nostro si ritrova improvvisamente per le strade di una cittadina nel 1988, detective assegnato ad un piccolo posto di polizia di provincia. Sta sognando, è morto, è in coma, ha viaggiato nel tempo? Come farà a tornare indietro? Nel frattempo, comincia ad indagare sui crimini dell’epoca e a scoprire inquietanti collegamenti tra quello che ora è il suo presente e quello che era il suo futuro, incontrando una serie di persone conosciute che, nel suo tempo, sono ancora vive, o già morte.
La stragrande maggioranza del drama si svolge nel 1988, e verte sullo svolgimento di indagini che hanno collegamenti più o meno diretti col passato di Tae Joo e con i casi moderni. Lo spettatore rimane affascinato dalle varie verità che progressivamente vengono svelate. Queste indagini, svolte dal protagonista e dai suoi nuovi colleghi, sono molto movimentate, a volte addirittura chiassose, perché i poliziotti del 1988, e specialmente il capitano Kang, sono piuttosto violenti, rodomonteschi, e terribilmente maschilisti. All’unica ragazza del gruppo, che pure pare essere spesso quella col cervello più fino, viene più volte ordinato di fare il caffè, se non di lavare i vestiti dei colleghi. Soprattutto, si assiste ad un gran numero di inseguimenti a rotta di collo, per lo più a piedi, tra vicoli stretti, stradine, ripide scalinate. Queste ambientazioni contribuiscono non poco a generare nello spettatore una sensazione di affanno e urgenza, quasi di claustrofobia.
Un’altra cosa che tiene incollati allo schermo è l’ansia che si genera quando il protagonista è vittima di malesseri improvvisi, coincidenti con flash in cui lui e gli spettatori sentono voci di medici e infermieri che gli parlano o descrivono la sua situazione, voci che ovviamente i suoi colleghi non sentono. E spesso il nostro sente queste voci provenire da radio, walkie-talkie, televisioni. Addirittura, il protagonista di uno show gli parla dalla TV… Intuiamo che Tae Joo potrebbe essere in coma. Riuscirà a tornare a Seul, cioè a risvegliarsi? Diverse persone paiono disposte ad aiutarlo, gli danno consigli, aumentando la sua confusione. Saranno veri o falsi, degni di fiducia, o cercheranno di ingannarlo? Di chi può fidarsi? Lo spaesamento è totale.
Non di sola tensione si nutre questa serie: la squadra del 1988 è piuttosto ridicola, anche se a volte si ride amaro e si prova più di un moto di fastidio. I tre poliziotti principali, compreso il capitano, pur avendo in fondo buone intenzioni, sono terribilmente grezzi e ignoranti. La loro propensione alla violenza e ai metodi spicci è fonte di diversi scontri col nuovo arrivato, anche se nel tempo le esperienze li porteranno a comportarsi in maniera meno neandertaliana. Da questo punto di vista, possiamo dire di assistere ad una crescita caratteriale piuttosto importante. Però, nel frattempo, dovremo vedere il capitano Kang petare rumorosamente in una piscina, battagliare con un sospetto a suon di sputi, e altre amenità di questo genere.
Per contro, l’unica agente su cui ci si sofferma, Yoon Na Yeong, pare essere intelligente, affidabile e gentile, sempre pronta ad aiutare, nonostante sia spesso relegata a lavori di supporto e trattata con condiscendenza. E, per la legge non scritta di tutte le storie, ovviamente non potrà che provare attrazione per il protagonista, sentimento ricambiato, ma che rimane molto delicatamente in sottofondo, mai effettivamente sdoganato e fatto brillare di luce propria. Le relazioni romantiche non hanno una grande importanza in questa serie e, sinceramente, non se ne sente proprio la mancanza, perché di carne al fuoco ce n’è molta anche così.
In questo universo passato, 30 anni prima di quello che per Han Tae Joo era il presente, egli avrà l’opportunità di sviluppare pian piano i rapporti umani che, a causa dei traumi della sua infanzia che ora può osservare da un privilegiato punto di vista interno/esterno, si era precluso. Imparerà il valore dell’amicizia e della fiducia, instaurando rapporti stretti proprio con quel gruppo di rozzi poliziotti con cui all’inizio aveva avuto tante incomprensioni, specialmente col capitano Kang, mentre, per contro, anche costoro diverranno un po’ meno estremi. Nel frattempo, verrà sviscerato anche il rapporto del protagonista col padre, una situazione rimasta in sospeso per troppi anni.
Tutto questo si svolge in una ambientazione che, ai miei occhi di profana, appare terribilmente accurata, con gran uso di auto dell’epoca, comparse in abbondanza, uso di canzoni anni 80 e, soprattutto, una cinematografia che, a definirla brillante, le si farebbe ancora un torto. Non mancano temi di denuncia sociale. Oltre alla rappresentazione di una polizia violenta, spesso corrotta e poco incline a seguire le regole, si fa espresso riferimento al fatto che molti senzatetto vennero prelevati dalle strade e internati in strutture lontano dagli sguardi, poco prima delle Olimpiadi. Era infatti il 1988 l’anno delle Olimpiadi di Seul e, come accade un po’ ovunque, in quelle occasioni i governi fanno delle opere di pulizia “di facciata” con scarso rispetto per la vita dei cittadini. In realtà, in Corea, questi rastrellamenti duravano già da almeno dieci anni, con lo scopo di “ripulire le strade”, e i poveri disgraziati che ne furono vittime dovettero subire violenze e soprusi, spesso costretti al lavoro forzato. Queste ingiustizie sono ancora oggi insabbiate dal governo.
Ma, soprattutto, ci dicono chiaro e tondo che in Corea, se sei povero e rubi per campare, ti mettono dentro per una vita e buttano via la chiave, mentre se sei ricco e potente, e rubi i milioni, non sei mai colpevole te la cavi con un buffetto sulle dita.
Resta da parlare degli attori. E come non partire da Jung Kyung Ho, lo splendido, dolente protagonista Han Tae Joo? Attore maturo e completo, ha partecipato come interprete principale ad una nutrita serie di drama di successo, e in questo ha saputo coinvolgerci in una spirale infinita di spaesamento, paura, dolore, sfiducia, ma anche determinazione, speranza, perfino allegria. E molto, molto altro. Un’interpretazione non solo cerebrale e di cuore, ma anche molto fisica: non si contano gli scatti da centometrista con cui ha inseguito o è stato inseguito, e gli scontri che ha sostenuto.
Gli fa da spalla, nei panni del capitano Kang Dong Cheol, un ottimo Park Sung Woong, che ha saputo rendere con dovizia di particolari un personaggio che definire solo rude, grezzo e vanaglorioso sarebbe riduttivo. Come spesso accade, l’impressione iniziale negativa viene pian piano stemperata, se non addirittura rovesciata, nel corso dell’opera. E Park Sung Woong ce lo fa capire benissimo.
La protagonista femminile Go Ah Sung è Yoon Na Yeong, la poliziotta di cui si parlava prima. Un’ottima prova, che riesce a far trasparire l’anima d’acciaio che si nasconde sotto la pelle di un donnino spesso solo apparentemente remissivo ma, all’occorrenza, energico e deciso.
Non che gli attori di spalla e i protagonisti secondari, fino alle comparse, non abbiano lavorato bene: il livello di recitazione è generalmente altissimo, da parte dell’intero cast. Un vero piacere.
Questo drama è piaciuto a molti, ma ci sono, ovviamente, voci contrarie. Chi non lo apprezza particolarmente fa spesso riferimento al finale, e al messaggio controverso che, apparentemente, porta. Non dimentichiamo, in mezzo a tanti accadimenti e parole, il titolo dell’opera, e a cosa si ispira: Life on Mars? E allora, giova forse riportare una parte del testo dell’iconica canzone di David Bowie:
But her friend is nowhere to be seen Now she walks through her sunken dream
To the seat with the clearest view And she's hooked to the silver screen
But the film is a saddening bore For she's lived it ten times or more
She could spit in the eyes of fools As they ask her to focus on
Sailors fighting in the dance hall Oh man! Look at those cavemen go
It's the freakiest show
Take a look at the lawman Beating up the wrong guy
Oh man! Wonder if he'll ever know He's in the best-selling show
Is there life on Mars?
Una comune ragazzina va al cinema per sfuggire alla deprimente vita quotidiana, ma si ritrova a guardare un film noioso, già visto e rivisto. Sullo schermo si affastellano scene senza senso… Guarda, un avvocato sta menando il tizio sbagliato, chissà se sa di essere in un film… Cos’è finzione, cosa vita reale? C’è, nella finzione, un luogo più semplice e bello, dove essere felici? Ci sarà vita su Marte?
La conclusione dolceamara, ancora sulle note di Life on Mars? e, di conseguenza, l’intero significato di questa serie, sono parzialmente rimessi alla sensibilità dello spettatore. Durante tutto lo svolgimento, assistiamo ad una serie di circostanze e indizi che possono far propendere, a seconda dell’interpretazione che si vuol loro assegnare, per un modo o per l’altro in cui il protagonista approda alla sua situazione finale. Si tratta di un remake della serie TV britannica con lo stesso titolo del 2006 (che non ho visto), ma sarebbe forse un errore voler interpretare questa alla luce di quella. Per quanto alcune premesse e, senza dubbio, gran parte dello svolgimento siano gli stessi, sicuramente i parallelismi non sono completi. E, a mio modesto parere, ogni spettacolo andrebbe interpretato e valutato per quello che è, non per quelli che l’hanno preceduto. Altrimenti, cadrebbe buona parte della motivazione a fare un remake.
A conclusione, si tratta di un’opera che spazia su diversi generi, dal crime alla fantascienza, con qualche sfumatura romantica che non disturba il fluire della storia. E’ una serie che, per quanto mi riguarda, non genera un minuto di noia e non lascia respiro, con poche illogicità, che possono comunque essere spiegate dalla peculiarità dell’ambientazione e che, anzi, potrebbero rappresentare indizi su cosa stia effettivamente accadendo. A giudizio dello spettatore.
Non so neppure da dove cominciare. Sedici episodi da un’ora ingurgitati in tre giorni. Da altri drama ho dovuto spesso staccarmi per noia o saturazione. Da questo, ho dovuto di tanto in tanto fare piccole pause perché mi rendevo conto di guardarlo sul bordo della sedia, sporgendomi verso il video, coi battiti accelerati, quasi ansimando. Dubito di riuscire a mettere in parole anche solo una parte di ciò che mi ha tanto affascinato. Il totale è sempre maggiore della somma delle parti.
Ma andiamo con ordine. Siamo a Seul, ai giorni nostri, e Han Tae Joo è capo di una squadra investigativa. E’ un tipo molto freddo, che si fida solo dei riscontri oggettivi, finché un giorno, investigando una serie di delitti opera di un serial killer, non si becca una pallottola in testa. E, come ciliegina sulla torta, lo investono con un’auto. Da un’autoradio udiamo le note di Life on Mars? di David Bowie e il nostro si ritrova improvvisamente per le strade di una cittadina nel 1988, detective assegnato ad un piccolo posto di polizia di provincia. Sta sognando, è morto, è in coma, ha viaggiato nel tempo? Come farà a tornare indietro? Nel frattempo, comincia ad indagare sui crimini dell’epoca e a scoprire inquietanti collegamenti tra quello che ora è il suo presente e quello che era il suo futuro, incontrando una serie di persone conosciute che, nel suo tempo, sono ancora vive, o già morte.
La stragrande maggioranza del drama si svolge nel 1988, e verte sullo svolgimento di indagini che hanno collegamenti più o meno diretti col passato di Tae Joo e con i casi moderni. Lo spettatore rimane affascinato dalle varie verità che progressivamente vengono svelate. Queste indagini, svolte dal protagonista e dai suoi nuovi colleghi, sono molto movimentate, a volte addirittura chiassose, perché i poliziotti del 1988, e specialmente il capitano Kang, sono piuttosto violenti, rodomonteschi, e terribilmente maschilisti. All’unica ragazza del gruppo, che pure pare essere spesso quella col cervello più fino, viene più volte ordinato di fare il caffè, se non di lavare i vestiti dei colleghi. Soprattutto, si assiste ad un gran numero di inseguimenti a rotta di collo, per lo più a piedi, tra vicoli stretti, stradine, ripide scalinate. Queste ambientazioni contribuiscono non poco a generare nello spettatore una sensazione di affanno e urgenza, quasi di claustrofobia.
Un’altra cosa che tiene incollati allo schermo è l’ansia che si genera quando il protagonista è vittima di malesseri improvvisi, coincidenti con flash in cui lui e gli spettatori sentono voci di medici e infermieri che gli parlano o descrivono la sua situazione, voci che ovviamente i suoi colleghi non sentono. E spesso il nostro sente queste voci provenire da radio, walkie-talkie, televisioni. Addirittura, il protagonista di uno show gli parla dalla TV… Intuiamo che Tae Joo potrebbe essere in coma. Riuscirà a tornare a Seul, cioè a risvegliarsi? Diverse persone paiono disposte ad aiutarlo, gli danno consigli, aumentando la sua confusione. Saranno veri o falsi, degni di fiducia, o cercheranno di ingannarlo? Di chi può fidarsi? Lo spaesamento è totale.
Non di sola tensione si nutre questa serie: la squadra del 1988 è piuttosto ridicola, anche se a volte si ride amaro e si prova più di un moto di fastidio. I tre poliziotti principali, compreso il capitano, pur avendo in fondo buone intenzioni, sono terribilmente grezzi e ignoranti. La loro propensione alla violenza e ai metodi spicci è fonte di diversi scontri col nuovo arrivato, anche se nel tempo le esperienze li porteranno a comportarsi in maniera meno neandertaliana. Da questo punto di vista, possiamo dire di assistere ad una crescita caratteriale piuttosto importante. Però, nel frattempo, dovremo vedere il capitano Kang petare rumorosamente in una piscina, battagliare con un sospetto a suon di sputi, e altre amenità di questo genere.
Per contro, l’unica agente su cui ci si sofferma, Yoon Na Yeong, pare essere intelligente, affidabile e gentile, sempre pronta ad aiutare, nonostante sia spesso relegata a lavori di supporto e trattata con condiscendenza. E, per la legge non scritta di tutte le storie, ovviamente non potrà che provare attrazione per il protagonista, sentimento ricambiato, ma che rimane molto delicatamente in sottofondo, mai effettivamente sdoganato e fatto brillare di luce propria. Le relazioni romantiche non hanno una grande importanza in questa serie e, sinceramente, non se ne sente proprio la mancanza, perché di carne al fuoco ce n’è molta anche così.
In questo universo passato, 30 anni prima di quello che per Han Tae Joo era il presente, egli avrà l’opportunità di sviluppare pian piano i rapporti umani che, a causa dei traumi della sua infanzia che ora può osservare da un privilegiato punto di vista interno/esterno, si era precluso. Imparerà il valore dell’amicizia e della fiducia, instaurando rapporti stretti proprio con quel gruppo di rozzi poliziotti con cui all’inizio aveva avuto tante incomprensioni, specialmente col capitano Kang, mentre, per contro, anche costoro diverranno un po’ meno estremi. Nel frattempo, verrà sviscerato anche il rapporto del protagonista col padre, una situazione rimasta in sospeso per troppi anni.
Tutto questo si svolge in una ambientazione che, ai miei occhi di profana, appare terribilmente accurata, con gran uso di auto dell’epoca, comparse in abbondanza, uso di canzoni anni 80 e, soprattutto, una cinematografia che, a definirla brillante, le si farebbe ancora un torto. Non mancano temi di denuncia sociale. Oltre alla rappresentazione di una polizia violenta, spesso corrotta e poco incline a seguire le regole, si fa espresso riferimento al fatto che molti senzatetto vennero prelevati dalle strade e internati in strutture lontano dagli sguardi, poco prima delle Olimpiadi. Era infatti il 1988 l’anno delle Olimpiadi di Seul e, come accade un po’ ovunque, in quelle occasioni i governi fanno delle opere di pulizia “di facciata” con scarso rispetto per la vita dei cittadini. In realtà, in Corea, questi rastrellamenti duravano già da almeno dieci anni, con lo scopo di “ripulire le strade”, e i poveri disgraziati che ne furono vittime dovettero subire violenze e soprusi, spesso costretti al lavoro forzato. Queste ingiustizie sono ancora oggi insabbiate dal governo.
Ma, soprattutto, ci dicono chiaro e tondo che in Corea, se sei povero e rubi per campare, ti mettono dentro per una vita e buttano via la chiave, mentre se sei ricco e potente, e rubi i milioni, non sei mai colpevole te la cavi con un buffetto sulle dita.
Resta da parlare degli attori. E come non partire da Jung Kyung Ho, lo splendido, dolente protagonista Han Tae Joo? Attore maturo e completo, ha partecipato come interprete principale ad una nutrita serie di drama di successo, e in questo ha saputo coinvolgerci in una spirale infinita di spaesamento, paura, dolore, sfiducia, ma anche determinazione, speranza, perfino allegria. E molto, molto altro. Un’interpretazione non solo cerebrale e di cuore, ma anche molto fisica: non si contano gli scatti da centometrista con cui ha inseguito o è stato inseguito, e gli scontri che ha sostenuto.
Gli fa da spalla, nei panni del capitano Kang Dong Cheol, un ottimo Park Sung Woong, che ha saputo rendere con dovizia di particolari un personaggio che definire solo rude, grezzo e vanaglorioso sarebbe riduttivo. Come spesso accade, l’impressione iniziale negativa viene pian piano stemperata, se non addirittura rovesciata, nel corso dell’opera. E Park Sung Woong ce lo fa capire benissimo.
La protagonista femminile Go Ah Sung è Yoon Na Yeong, la poliziotta di cui si parlava prima. Un’ottima prova, che riesce a far trasparire l’anima d’acciaio che si nasconde sotto la pelle di un donnino spesso solo apparentemente remissivo ma, all’occorrenza, energico e deciso.
Non che gli attori di spalla e i protagonisti secondari, fino alle comparse, non abbiano lavorato bene: il livello di recitazione è generalmente altissimo, da parte dell’intero cast. Un vero piacere.
Questo drama è piaciuto a molti, ma ci sono, ovviamente, voci contrarie. Chi non lo apprezza particolarmente fa spesso riferimento al finale, e al messaggio controverso che, apparentemente, porta. Non dimentichiamo, in mezzo a tanti accadimenti e parole, il titolo dell’opera, e a cosa si ispira: Life on Mars? E allora, giova forse riportare una parte del testo dell’iconica canzone di David Bowie:
But her friend is nowhere to be seen Now she walks through her sunken dream
To the seat with the clearest view And she's hooked to the silver screen
But the film is a saddening bore For she's lived it ten times or more
She could spit in the eyes of fools As they ask her to focus on
Sailors fighting in the dance hall Oh man! Look at those cavemen go
It's the freakiest show
Take a look at the lawman Beating up the wrong guy
Oh man! Wonder if he'll ever know He's in the best-selling show
Is there life on Mars?
Una comune ragazzina va al cinema per sfuggire alla deprimente vita quotidiana, ma si ritrova a guardare un film noioso, già visto e rivisto. Sullo schermo si affastellano scene senza senso… Guarda, un avvocato sta menando il tizio sbagliato, chissà se sa di essere in un film… Cos’è finzione, cosa vita reale? C’è, nella finzione, un luogo più semplice e bello, dove essere felici? Ci sarà vita su Marte?
La conclusione dolceamara, ancora sulle note di Life on Mars? e, di conseguenza, l’intero significato di questa serie, sono parzialmente rimessi alla sensibilità dello spettatore. Durante tutto lo svolgimento, assistiamo ad una serie di circostanze e indizi che possono far propendere, a seconda dell’interpretazione che si vuol loro assegnare, per un modo o per l’altro in cui il protagonista approda alla sua situazione finale. Si tratta di un remake della serie TV britannica con lo stesso titolo del 2006 (che non ho visto), ma sarebbe forse un errore voler interpretare questa alla luce di quella. Per quanto alcune premesse e, senza dubbio, gran parte dello svolgimento siano gli stessi, sicuramente i parallelismi non sono completi. E, a mio modesto parere, ogni spettacolo andrebbe interpretato e valutato per quello che è, non per quelli che l’hanno preceduto. Altrimenti, cadrebbe buona parte della motivazione a fare un remake.
A conclusione, si tratta di un’opera che spazia su diversi generi, dal crime alla fantascienza, con qualche sfumatura romantica che non disturba il fluire della storia. E’ una serie che, per quanto mi riguarda, non genera un minuto di noia e non lascia respiro, con poche illogicità, che possono comunque essere spiegate dalla peculiarità dell’ambientazione e che, anzi, potrebbero rappresentare indizi su cosa stia effettivamente accadendo. A giudizio dello spettatore.