Il Gioco della Morte
Circondato da pochissima pubblicità, a fine 2022, è sbarcato su Amazon Prime Video, il drama coreano “Il gioco della Morte”, trasposizione live-action del webtoon “Death’s Game”.
Il protagonista di questa storia è Yee-jae Choi che ha deciso di mettere fine alla sua vita: non sopporta più questo inferno di esistenza e vede la morte come l’unica e vera fine di tutte le sofferenze.
Solo che la Morte non prende proprio bene questa sua scelta e decide di punirlo: non solo gli mostra cosa è il vero Inferno, ma lo costringerà a reincarnarsi in dodici vite vicine alla morte; solo se riuscirà a sopravvivere a una di queste morti, potrà vivere il resto dei propri giorni con il corpo nel quale si è reincarnato.
Fin dal primo istante non comprendiamo bene se la Morte è un dio vendicatore o una divinità magnanima, e non è chiaro se quello a cui è sottoposto il protagonista sia una vera e propria punizione o solo una semplice seconda possibilità.
Vi assicuro, però, che con il procedere delle puntate, tutto risulterà più chiaro e tutti gli elementi prenderanno il proprio posto proprio come in un puzzle: niente è lasciato al caso, non ci sono coincidenze, tutto è collegato, anche quello che non si sarebbe mai immaginato.
“Il gioco della Morte” è un drama che può accontentare più spettatori, ne ha per tutti i gusti, racchiudendo in sé tanti e vari generi: il regista e sceneggiatore Byung-hoon Ha è stato bravo a giocare con gli episodi alternando un episodio introduttivo, uno con lo stile tipico del thriller e più cruento, una parte di passaggio, seguita da una dove i sentimenti hanno maggiore spazio, partendo poi nuovamente da capo in un susseguirsi di emozioni. Si creano così due parti di quattro episodi perfettamente simmetrici, per un totale di otto episodi da circa un’ora ciascuno, che ti trasportano in una montagna russa di vicende coinvolgenti da cui lo spettatore non riuscirà a distogliere lo sguardo.
Decisive e appropriate sono state le scelte degli attori, soprattutto delle varie reincarnazioni: ogni attore è perfetto per il ruolo e per l’episodio che interpreta, ma non solo, ognuno di loro è riuscito a calarsi perfettamente nel ruolo di Yee-jae Choi, quindi, anche se vediamo un diverso aspetto fisico, capiamo subito che è il protagonista.
Senza parlare della bravura dei due personaggi principali: So-dam Park è stata fantastica nel ruolo della "Morte", mantenendo un atteggiamento neutro, per cui fino alla fine non capiamo davvero se sia un dio malvagio o benevolo.
In-guk Seo ha interpretato un personaggio inetto, che si sente inutile e che preferisce rinunciare alla vita anche per il bene di chi lo circonda, avendo paura di essere solo un peso, ma che poi lotta con tutte le sue forze (e vite) per le persone che ama.
Ed è così che un drama che dovrebbe trattare di morte e suicidio diventa un inno alla vita che va apprezzata per quello che ci offre, senza mai abbattersi, perché c’è sempre qualcosa di peggio rispetto a quello che per noi sembra essere un inferno. E non solo. Quando sembrano non esserci più ragioni per vivere, bisognerebbe semplicemente pensare a chi ci vuole bene, e a non causare loro dolore, perché loro sono il nostro sostegno e noi dobbiamo esserlo per loro. Anche perché basta il sorriso dei nostri cari perché la vita sia degna di essere vissuta.
Il protagonista di questa storia è Yee-jae Choi che ha deciso di mettere fine alla sua vita: non sopporta più questo inferno di esistenza e vede la morte come l’unica e vera fine di tutte le sofferenze.
Solo che la Morte non prende proprio bene questa sua scelta e decide di punirlo: non solo gli mostra cosa è il vero Inferno, ma lo costringerà a reincarnarsi in dodici vite vicine alla morte; solo se riuscirà a sopravvivere a una di queste morti, potrà vivere il resto dei propri giorni con il corpo nel quale si è reincarnato.
Fin dal primo istante non comprendiamo bene se la Morte è un dio vendicatore o una divinità magnanima, e non è chiaro se quello a cui è sottoposto il protagonista sia una vera e propria punizione o solo una semplice seconda possibilità.
Vi assicuro, però, che con il procedere delle puntate, tutto risulterà più chiaro e tutti gli elementi prenderanno il proprio posto proprio come in un puzzle: niente è lasciato al caso, non ci sono coincidenze, tutto è collegato, anche quello che non si sarebbe mai immaginato.
“Il gioco della Morte” è un drama che può accontentare più spettatori, ne ha per tutti i gusti, racchiudendo in sé tanti e vari generi: il regista e sceneggiatore Byung-hoon Ha è stato bravo a giocare con gli episodi alternando un episodio introduttivo, uno con lo stile tipico del thriller e più cruento, una parte di passaggio, seguita da una dove i sentimenti hanno maggiore spazio, partendo poi nuovamente da capo in un susseguirsi di emozioni. Si creano così due parti di quattro episodi perfettamente simmetrici, per un totale di otto episodi da circa un’ora ciascuno, che ti trasportano in una montagna russa di vicende coinvolgenti da cui lo spettatore non riuscirà a distogliere lo sguardo.
Decisive e appropriate sono state le scelte degli attori, soprattutto delle varie reincarnazioni: ogni attore è perfetto per il ruolo e per l’episodio che interpreta, ma non solo, ognuno di loro è riuscito a calarsi perfettamente nel ruolo di Yee-jae Choi, quindi, anche se vediamo un diverso aspetto fisico, capiamo subito che è il protagonista.
Senza parlare della bravura dei due personaggi principali: So-dam Park è stata fantastica nel ruolo della "Morte", mantenendo un atteggiamento neutro, per cui fino alla fine non capiamo davvero se sia un dio malvagio o benevolo.
In-guk Seo ha interpretato un personaggio inetto, che si sente inutile e che preferisce rinunciare alla vita anche per il bene di chi lo circonda, avendo paura di essere solo un peso, ma che poi lotta con tutte le sue forze (e vite) per le persone che ama.
Ed è così che un drama che dovrebbe trattare di morte e suicidio diventa un inno alla vita che va apprezzata per quello che ci offre, senza mai abbattersi, perché c’è sempre qualcosa di peggio rispetto a quello che per noi sembra essere un inferno. E non solo. Quando sembrano non esserci più ragioni per vivere, bisognerebbe semplicemente pensare a chi ci vuole bene, e a non causare loro dolore, perché loro sono il nostro sostegno e noi dobbiamo esserlo per loro. Anche perché basta il sorriso dei nostri cari perché la vita sia degna di essere vissuta.