Kuragehime The Movie
Accade di rado che una trasposizione animata o dal vivo sia la riproduzione "più che perfetta" dell'opera originale. "Kuragehime - Princess Jellyfish" è una fortunata e forse rara eccezione.
L'anime del 2010 aveva regalato all'opera di Akiko Higashimura tutti quei suoni e colori che nel manga si potevano solo intuire, con l'unico difetto di uno stop della narrazione attestatosi a undici episodi.
Allo stesso modo, anche nel lungometraggio live dedicato a questa commedia ironica sui temi della ricerca della propria identità, della moda e delle politiche speculative, è veramente arduo riscontrare qualche elemento che non rasenti la perfezione.
L'Amamizukan che prende vita è un'emozione e, se la riproduzione dell'edificio che funge da culla per le Amars è visivamente impeccabile, quella del popolo di otaku che vi ha nidificato all'interno non è da meno: ma ancora più spettacolare è il rendersi conto, mentre si gode del film a piene mani, che ciascuno dei personaggi non è solo incredibilmente somigliante dal punto di vista fisico al suo originale, ma che inoltre quest'affinità non è quasi nulla rispetto alla caratterizzazione della gestualità e delle personalità di ognuno, senza che peraltro alcuna scada mai nel ridicolo o nella caricatura forzata.
Dalle splendide Mayaya e Chieko, passando poi alle figure 'di mondo' di Inari e Hanamori sino ai due contrapposti maschili, ma legatissimi tra loro, rappresentati dai fratelli Shu e Kuranosuke, c'è da rimanere basiti di fronte alla bravura calata dal cast di attori in questo film.
A voler essere pignoli, una pecca di trasposizione la si può muovere alla figura di Jiji, già silenziosa di suo e la cui gerontofilia è stata un po' messa in ombra a favore della più acuta 'otaku-ite' delle compagne; e forse a Mokomichi 'Hanamori' Hayami ("Zettai Kareshi") in merito al suo smagliante sorriso, un particolare non certo sgradito, benché assente nell'inflessibile controparte cartacea dell'autista tuttofare di casa Koibuchi.
E poi loro due, la "strana coppia": Rena Nonen ("Amachan", "Hot Road") è una Tsukimi più reale che mai, che balbetta fiumi di discorsi sulle meduse e si aggiusta ripetutamente gli occhiali sul naso, e che è tanto naturale e convincente in versione 'before' quanto delicata in versione 'after'.
Il Kuranosuke di Masaki Suda ("Assassination Classroom", "Shinigami-kun", "Pink to Gray") non sfrutta alcuna fluente chioma bionda per attirare l'attenzione, ma mantiene sapientemente integra la personalità esuberante e a tratti capricciosa di 'Kurako', facendone uno dei personaggi maschili meglio sfaccettati che il pubblico abbia avuto modo di apprezzare da qualche tempo a questa parte.
Così, l'inaspettato e divertentissimo equilibrio su cui si misurano i due protagonisti può essere vagamente osteggiato in certi momenti solo da 'lei', o 'lui' che dir si voglia, e dalla sua prorompente verve: Suda calza a meraviglia i panni di ambo i sessi, offrendoci una Kurako irruenta nei modi e dalla voce un po' roca, ma anche incredibilmente, naturalmente femminile nei suoi atteggiamenti, che sfoggia con un invidiabile savoir faire tutta una serie di coloratissimi abiti e parrucche all'ultimo grido.
E' 'lei' a credere con forza in Tsukimi, a vincere la ritrosa diffidenza delle Amars, ad attivare un progetto di fashion design pazzo eppure vincente.
A vederlo sfilare con i tessuti del brand Jellyfish, gambe lunghissime e portamento perfetto, non viene da pensare che dentro quegli abiti ci sia un uomo, e ciò è la dimostrazione più plateale di quanto Suda abbia smesso la sua pelle per calarsi totalmente in quella comunque non così effeminata di Kuranosuke. Aver prestato bellezza e intuito alla causa dell'Amamizukan è ben diverso dall'atteggiarsi a crossdresser senza arte né parte, e questo ben lo intuisce Tsukimi quando si rende conto che il capovolgimento del suo intero mondo è stato possibile solo e proprio grazie a lui.
Graffiante, ironico, scoppiettante. Basta questo a definire in toto l'anima del film di Kuragehime?
Forse no, ma i brani musicali degli Sekai no Owari che giocano su questi tre elementi ben si accostano a un film a tratti chiassoso e irriverente, completando un quadro che fa strage di tanti cliché da shoujo manga e risulta davvero un tripudio di suoni, colori e risate.
E se per i "puristi" si tratta di una trasposizione tanto fedele quanto immacolata, il film è al contempo senz'altro godibile appieno anche dallo spettatore che non conosca l'opera originale.
Perché in fondo spendere l'anima, e anche oltre, per ciò che amiamo nel profondo non è solo un principio da Amars.
L'anime del 2010 aveva regalato all'opera di Akiko Higashimura tutti quei suoni e colori che nel manga si potevano solo intuire, con l'unico difetto di uno stop della narrazione attestatosi a undici episodi.
Allo stesso modo, anche nel lungometraggio live dedicato a questa commedia ironica sui temi della ricerca della propria identità, della moda e delle politiche speculative, è veramente arduo riscontrare qualche elemento che non rasenti la perfezione.
L'Amamizukan che prende vita è un'emozione e, se la riproduzione dell'edificio che funge da culla per le Amars è visivamente impeccabile, quella del popolo di otaku che vi ha nidificato all'interno non è da meno: ma ancora più spettacolare è il rendersi conto, mentre si gode del film a piene mani, che ciascuno dei personaggi non è solo incredibilmente somigliante dal punto di vista fisico al suo originale, ma che inoltre quest'affinità non è quasi nulla rispetto alla caratterizzazione della gestualità e delle personalità di ognuno, senza che peraltro alcuna scada mai nel ridicolo o nella caricatura forzata.
Dalle splendide Mayaya e Chieko, passando poi alle figure 'di mondo' di Inari e Hanamori sino ai due contrapposti maschili, ma legatissimi tra loro, rappresentati dai fratelli Shu e Kuranosuke, c'è da rimanere basiti di fronte alla bravura calata dal cast di attori in questo film.
A voler essere pignoli, una pecca di trasposizione la si può muovere alla figura di Jiji, già silenziosa di suo e la cui gerontofilia è stata un po' messa in ombra a favore della più acuta 'otaku-ite' delle compagne; e forse a Mokomichi 'Hanamori' Hayami ("Zettai Kareshi") in merito al suo smagliante sorriso, un particolare non certo sgradito, benché assente nell'inflessibile controparte cartacea dell'autista tuttofare di casa Koibuchi.
E poi loro due, la "strana coppia": Rena Nonen ("Amachan", "Hot Road") è una Tsukimi più reale che mai, che balbetta fiumi di discorsi sulle meduse e si aggiusta ripetutamente gli occhiali sul naso, e che è tanto naturale e convincente in versione 'before' quanto delicata in versione 'after'.
Il Kuranosuke di Masaki Suda ("Assassination Classroom", "Shinigami-kun", "Pink to Gray") non sfrutta alcuna fluente chioma bionda per attirare l'attenzione, ma mantiene sapientemente integra la personalità esuberante e a tratti capricciosa di 'Kurako', facendone uno dei personaggi maschili meglio sfaccettati che il pubblico abbia avuto modo di apprezzare da qualche tempo a questa parte.
Così, l'inaspettato e divertentissimo equilibrio su cui si misurano i due protagonisti può essere vagamente osteggiato in certi momenti solo da 'lei', o 'lui' che dir si voglia, e dalla sua prorompente verve: Suda calza a meraviglia i panni di ambo i sessi, offrendoci una Kurako irruenta nei modi e dalla voce un po' roca, ma anche incredibilmente, naturalmente femminile nei suoi atteggiamenti, che sfoggia con un invidiabile savoir faire tutta una serie di coloratissimi abiti e parrucche all'ultimo grido.
E' 'lei' a credere con forza in Tsukimi, a vincere la ritrosa diffidenza delle Amars, ad attivare un progetto di fashion design pazzo eppure vincente.
A vederlo sfilare con i tessuti del brand Jellyfish, gambe lunghissime e portamento perfetto, non viene da pensare che dentro quegli abiti ci sia un uomo, e ciò è la dimostrazione più plateale di quanto Suda abbia smesso la sua pelle per calarsi totalmente in quella comunque non così effeminata di Kuranosuke. Aver prestato bellezza e intuito alla causa dell'Amamizukan è ben diverso dall'atteggiarsi a crossdresser senza arte né parte, e questo ben lo intuisce Tsukimi quando si rende conto che il capovolgimento del suo intero mondo è stato possibile solo e proprio grazie a lui.
Graffiante, ironico, scoppiettante. Basta questo a definire in toto l'anima del film di Kuragehime?
Forse no, ma i brani musicali degli Sekai no Owari che giocano su questi tre elementi ben si accostano a un film a tratti chiassoso e irriverente, completando un quadro che fa strage di tanti cliché da shoujo manga e risulta davvero un tripudio di suoni, colori e risate.
E se per i "puristi" si tratta di una trasposizione tanto fedele quanto immacolata, il film è al contempo senz'altro godibile appieno anche dallo spettatore che non conosca l'opera originale.
Perché in fondo spendere l'anima, e anche oltre, per ciò che amiamo nel profondo non è solo un principio da Amars.