The Assassin
Fra "Le voyage du ballon rouge", suo primo film non asiatico, e questo "The Assassin" Hou Hsiao-hsien ha fatto passare ben otto anni di silenzio cinematografico: una vera eternità se si pensa a quanto velocemente cambia il mondo del cinema al giorno d'oggi. Pausa di riflessione questa che, a ben vedere, si attaglia alla filosofia di un regista da sempre attento con le sue pellicole a riflettere sul valore del tempo e sullo stretto legame fra passato e presente come memoria storica delle ferite del proprio paese.
Otto anni, dicevamo, in cui sono accaduti eventi importanti proprio a quei maestri della New Wave di Taiwan, che Hou Hsiao-hsien aveva inaugurato all'inizio degli anni '80: l'altro illustre taiwanese Edward Yang muore nel 2007, mentre nel 2013 esce "Stray Dogs" di Tsai Ming-liang, apice di una geniale carriera ricca di successi.
Ecco che, dunque, la decisione di Hou di tornare dietro la macchina da presa, affrontando per la prima volta un genere inesplorato fino a quel momento, non può e non deve essere presa sotto gamba. Il risultato da ammirare è un film rivoluzionario per le dinamiche del classico Wuxia cinese, che attraverso delle suggestive scelte di regia, va a privilegiare l’aspetto contemplativo a discapito di quello prettamente dinamico: "The Assassin" è un film di astrazioni narrative, capaci di trasformare il tangibile in incorporeo, tramite una meditazione sulla natura.
Questa volontà del cineasta viene espressa più volte durante il film: ciò che interessa allo sguardo della macchina da presa non sono le scene madri rappresentate dai combattimenti fra i personaggi e anzi gli scontri - fiore all'occhiello del genere cappa e spada - vengono ridotti al minimo indispensabile, finendo spesso per consumarsi sullo sfondo di campi lunghissimi. A farla da padrone sono, invece, i suggestivi paesaggi naturali di abbacinante bellezza che accolgono le lotte: non di rado accade che i protagonisti e gli snodi narrativi principali della trama vengano relegati nei fuoricampo o ai margini delle inquadrature, in favore della contemplazione della bellezza degli elementi in scena, che strega gli occhi dello spettatore.
La trama, come da tradizione nel Wuxia, è ricca di intrighi politici ed amorosi, che coinvolgono la corte della provincia di Weibo: Nie Yinniang - interpretata dalla bella Shu Qi, attrice feticcio del regista - è un'assassina addestrata, da una monaca taoista, ad uccidere funzionari corrotti del governo cinese. Quando l'allieva dimostrerà di non essere abbastanza risoluta, risparmiando uno dei suoi bersagli, la maestra gli affiderà un compito gravoso: uccidere Tian, governante militare a cui era stata promessa sposa da bambina.
Sebbene la trama possa sembrare un mero pretesto per fare sfoggio di abilità tecniche, non vanno sottovalutati i valori messi in campo da Hou Hsiao-hsien: Nie è un'eroina tragica a tutti gli effetti, costretta non tanto a combattere dei guerrieri nemici ma la sua interiorità; la vera lotta, come nella migliore tradizione religiosa orientale, si combatte prima di tutto dentro di sé contro le proprie pulsioni e desideri. "The Assassin" è un film che parla di redenzione, di colpa e lo fa senza trascurare l'aspetto artistico e visivo.
Dopo il prologo in un elegante bianco e nero, il film - girato in 4:3 - si attesta su un livello di fotografia, scenografia e composizione delle scene davvero memorabili: la macchina da presa persegue fin da subito un intento sottrattivo, volto a semplificare le coreografie e a raggelare l’azione, per creare una sequenza di immagini pittoriche, che vanno a costituire l’essenza del film stesso. Tutto, dai personaggi alle loro interazioni fino ai paesaggi, appare congelato in un'atmosfera meditativa.
La tormentata storia della malinconica Nie è raccontata tramite uno stile ricercato e raffinato, che si permette di sfidare lo sguardo del pubblico con long take statici, senza raggiungere il parossismo di Tsai Ming-liang, arricchiti da un montaggio interno di calibrata precisione e studiata perfezione formale. I combattimenti si succedono nelle singole inquadrature in maniera rapida, in modo tale da non turbare la fissità dell’immagine. Quasi nulli i primi piani e i dettagli, numerosi invece i campi medi e lunghi che sfruttano appieno la profondità di campo per seguire le mosse di più personaggi sulla scena. Grazie a questa tecnica, la componente cinematografica passa in secondo piano per dare risalto ad una dimensione teatrale della vita di corte, descritta nelle scene quasi fosse una natura morta, riferimento non troppo azzardato se si pensa ad opere passate di Hou Hsiao-sien come "Il maestro burattinaio".
Grande debito lo si riscontra, in questo e in altri film, nei confronti dell'estetica del cinema francese della Nouvelle Vague, da cui indubbiamente Hou Hsiao-hsien e gli altri registi della sua generazione hanno tratto ispirazione, traslando però quelle suggestioni in un contesto ben diverso.
Non stupisce, quindi, che il regista abbia ricevuto il premio per la miglior regia al Festival di Cannes del 2015 e anche le critiche mosse all'opera sono comprensibili: "The Assassin" è un film solo apparentemente anacronistico ed estraneo alla filmografia del cineasta, innanzitutto perché mette di nuovo in scena il ragionamento sul tempo e la diversa percezione del suo scorrere, rappresentata così bene dagli elementi qui sopra evidenziati, che giocano con la grammatica cinematografica. Risulta poi altrettanto evidente il collegamento politico: difficile non accostare le ingiustizie, perpetrate dai corrotti funzionari politici di Weibo, a quelle operate dalla Cina nei confronti di Taiwan, parallelismo doveroso quando si parla di un regista socialmente impegnato come Hou Hsiao-sien, che ha fatto della storia del proprio popolo un argomento di rilievo.
Spero di aver in minima parte fatto intuire che "The Assassin" non è un film facile, così come non lo è mai stata nemmeno la filmografia di Hou Hsiao-hsien, il quale sceglie di cambiare tutto per restare in realtà uguale a se stesso. Chi non ama il regista troverà in questo film un’ulteriore scusa per criticarlo; per tutti gli altri il film sarà una gradita conferma: il maestro non ha affatto perso la sua mano.
Otto anni, dicevamo, in cui sono accaduti eventi importanti proprio a quei maestri della New Wave di Taiwan, che Hou Hsiao-hsien aveva inaugurato all'inizio degli anni '80: l'altro illustre taiwanese Edward Yang muore nel 2007, mentre nel 2013 esce "Stray Dogs" di Tsai Ming-liang, apice di una geniale carriera ricca di successi.
Ecco che, dunque, la decisione di Hou di tornare dietro la macchina da presa, affrontando per la prima volta un genere inesplorato fino a quel momento, non può e non deve essere presa sotto gamba. Il risultato da ammirare è un film rivoluzionario per le dinamiche del classico Wuxia cinese, che attraverso delle suggestive scelte di regia, va a privilegiare l’aspetto contemplativo a discapito di quello prettamente dinamico: "The Assassin" è un film di astrazioni narrative, capaci di trasformare il tangibile in incorporeo, tramite una meditazione sulla natura.
Questa volontà del cineasta viene espressa più volte durante il film: ciò che interessa allo sguardo della macchina da presa non sono le scene madri rappresentate dai combattimenti fra i personaggi e anzi gli scontri - fiore all'occhiello del genere cappa e spada - vengono ridotti al minimo indispensabile, finendo spesso per consumarsi sullo sfondo di campi lunghissimi. A farla da padrone sono, invece, i suggestivi paesaggi naturali di abbacinante bellezza che accolgono le lotte: non di rado accade che i protagonisti e gli snodi narrativi principali della trama vengano relegati nei fuoricampo o ai margini delle inquadrature, in favore della contemplazione della bellezza degli elementi in scena, che strega gli occhi dello spettatore.
La trama, come da tradizione nel Wuxia, è ricca di intrighi politici ed amorosi, che coinvolgono la corte della provincia di Weibo: Nie Yinniang - interpretata dalla bella Shu Qi, attrice feticcio del regista - è un'assassina addestrata, da una monaca taoista, ad uccidere funzionari corrotti del governo cinese. Quando l'allieva dimostrerà di non essere abbastanza risoluta, risparmiando uno dei suoi bersagli, la maestra gli affiderà un compito gravoso: uccidere Tian, governante militare a cui era stata promessa sposa da bambina.
Sebbene la trama possa sembrare un mero pretesto per fare sfoggio di abilità tecniche, non vanno sottovalutati i valori messi in campo da Hou Hsiao-hsien: Nie è un'eroina tragica a tutti gli effetti, costretta non tanto a combattere dei guerrieri nemici ma la sua interiorità; la vera lotta, come nella migliore tradizione religiosa orientale, si combatte prima di tutto dentro di sé contro le proprie pulsioni e desideri. "The Assassin" è un film che parla di redenzione, di colpa e lo fa senza trascurare l'aspetto artistico e visivo.
Dopo il prologo in un elegante bianco e nero, il film - girato in 4:3 - si attesta su un livello di fotografia, scenografia e composizione delle scene davvero memorabili: la macchina da presa persegue fin da subito un intento sottrattivo, volto a semplificare le coreografie e a raggelare l’azione, per creare una sequenza di immagini pittoriche, che vanno a costituire l’essenza del film stesso. Tutto, dai personaggi alle loro interazioni fino ai paesaggi, appare congelato in un'atmosfera meditativa.
La tormentata storia della malinconica Nie è raccontata tramite uno stile ricercato e raffinato, che si permette di sfidare lo sguardo del pubblico con long take statici, senza raggiungere il parossismo di Tsai Ming-liang, arricchiti da un montaggio interno di calibrata precisione e studiata perfezione formale. I combattimenti si succedono nelle singole inquadrature in maniera rapida, in modo tale da non turbare la fissità dell’immagine. Quasi nulli i primi piani e i dettagli, numerosi invece i campi medi e lunghi che sfruttano appieno la profondità di campo per seguire le mosse di più personaggi sulla scena. Grazie a questa tecnica, la componente cinematografica passa in secondo piano per dare risalto ad una dimensione teatrale della vita di corte, descritta nelle scene quasi fosse una natura morta, riferimento non troppo azzardato se si pensa ad opere passate di Hou Hsiao-sien come "Il maestro burattinaio".
Grande debito lo si riscontra, in questo e in altri film, nei confronti dell'estetica del cinema francese della Nouvelle Vague, da cui indubbiamente Hou Hsiao-hsien e gli altri registi della sua generazione hanno tratto ispirazione, traslando però quelle suggestioni in un contesto ben diverso.
Non stupisce, quindi, che il regista abbia ricevuto il premio per la miglior regia al Festival di Cannes del 2015 e anche le critiche mosse all'opera sono comprensibili: "The Assassin" è un film solo apparentemente anacronistico ed estraneo alla filmografia del cineasta, innanzitutto perché mette di nuovo in scena il ragionamento sul tempo e la diversa percezione del suo scorrere, rappresentata così bene dagli elementi qui sopra evidenziati, che giocano con la grammatica cinematografica. Risulta poi altrettanto evidente il collegamento politico: difficile non accostare le ingiustizie, perpetrate dai corrotti funzionari politici di Weibo, a quelle operate dalla Cina nei confronti di Taiwan, parallelismo doveroso quando si parla di un regista socialmente impegnato come Hou Hsiao-sien, che ha fatto della storia del proprio popolo un argomento di rilievo.
Spero di aver in minima parte fatto intuire che "The Assassin" non è un film facile, così come non lo è mai stata nemmeno la filmografia di Hou Hsiao-hsien, il quale sceglie di cambiare tutto per restare in realtà uguale a se stesso. Chi non ama il regista troverà in questo film un’ulteriore scusa per criticarlo; per tutti gli altri il film sarà una gradita conferma: il maestro non ha affatto perso la sua mano.