Deadman
"Deadman" è di sicuro un'opera di carattere mitologico ma anche storico in un certo senso, poiché tratta di temi realmente accaduti nel Giappone di moltissimi decenni fa, anche se con correzioni fantasiose di Egawa.
A mio modesto parere, ho iniziato a leggere "Deadman" lasciandomi ingannare dal tratto, molto poco curato sotto vari punti di vista e che trae facilmente in inganno il lettore; eppure leggendo ho riscontrato nella storia molti insegnamenti non solo umanistici, come l'importanza per la vita e di come l'esistenza di un uomo sia dotata di immenso fascino proprio per la sua finitezza, ma anche filosofici: in "Deadman" si affrontano tematiche importantissime come il profondo significato del sesso non solo dal punto di vista sentimentale. L'uomo, dice Kurosawa, si accoppia essenzialmente per impedire che venga dimenticato nel tempo, e questo avviene trasmettendo alla prole parte di sé che durerà nelle generazioni future fino alla fine del mondo.
Se ci si sofferma a pensare, ci si rende conto che questo è effettivamente vero! Il sesso è ciò di cui si parla maggiormente nell'opera, ma non per questo è un manga da sottovalutare.
A mio modesto parere, ho iniziato a leggere "Deadman" lasciandomi ingannare dal tratto, molto poco curato sotto vari punti di vista e che trae facilmente in inganno il lettore; eppure leggendo ho riscontrato nella storia molti insegnamenti non solo umanistici, come l'importanza per la vita e di come l'esistenza di un uomo sia dotata di immenso fascino proprio per la sua finitezza, ma anche filosofici: in "Deadman" si affrontano tematiche importantissime come il profondo significato del sesso non solo dal punto di vista sentimentale. L'uomo, dice Kurosawa, si accoppia essenzialmente per impedire che venga dimenticato nel tempo, e questo avviene trasmettendo alla prole parte di sé che durerà nelle generazioni future fino alla fine del mondo.
Se ci si sofferma a pensare, ci si rende conto che questo è effettivamente vero! Il sesso è ciò di cui si parla maggiormente nell'opera, ma non per questo è un manga da sottovalutare.
Deadman è un'opera che si fa ricordare per delle scelte grafiche e di sceneggiatura piuttosto originali. In primo luogo i disegni: Egawa disegna corpi e volti con uno stile molto personale, lontano anni luce dallo stile tipico dei manga di oggi. I personaggi sono "brutti", sproporzionati, sudati e coperti da ferite decisamente oscene: tutto questo è chiaramente voluto e funzionale alla trama orrorifica. Il colore è inesistente, tutto il manga si gioca sui contrasti tra bianco e nero, tra luce ed ombra. Le copertine sono eccezionali. È notevole la scelta di spendere letteralmente centinaia di pagine in immagine statiche di volti di personaggi, intenti a parlare, parlare, parlare. Una scelta evocativa che si fa ricordare nella sua ripetitività e ossessività, che ben rende l'idea del tormento di una vita eterna spesa a pensare e ripensare sempre le stesse cose.
L'ambientazione negli anni settanta è interessante e anche il tratto grafico in qualche modo riesce a dare l'idea di una storia datata, anche se il manga è del 1998. Una buona metà dell'opera è dedicata a vari flashback in cui il vampiro Kurosawa racconta la "vera" storia dell'umanità, come l'ha vista nei suoi oltre 5000 anni di vita. Le scene di sesso, molto presenti, rendono bene il senso dell'oscenità e sono coerenti con la figura tradizionale del vampiro: essere bellissimo, che attira inevitabilmente e suscita desiderio irrefrenabile in chi lo circonda, pur essendo egli stesso insensibile ai desideri della carne e interessato solo al sangue. Deadman è quasi un hentai (genere molto caro ad Egawa) e il divieto ai minori di 18 anni ci sta tutto.
Fin qui le note positive: devo però anche segnalare un numero consistente di note dolenti. L'idea base semplicemente non convince: che la storia umana sia governata dalle azioni di un piccolo gruppo di immortali che hanno assunto diverse identità nel corso dei secoli non è un'idea originale né appassionante. Le motivazioni degli immortali non sono minimamente credibili; l'escursione storica nel periodo Sengoku lascia del tutto indifferenti; i colpi di scena risultano assolutamente artificiosi. Non c'è spessore nei personaggi, tranne Kurosawa, il quale comunque rimane distante e di difficile comprensione (credo volutamente). Lo studente Okada è il personaggio più comprensibile, ma un colpo di scena nella seconda metà della serie rovina completamente qualunque credibilità potesse avere. Le varie prediche del vampiro, proposte come perle di saggezza, diventano immediatamente antipatiche in quanto prive di qualunque vera profondità. Si tratta di un manga che si spaccia per filosofico senza esserlo. Con l'andare dei volumi inoltre peggiora: il personaggio di Oda Nobunaga proprio non mi è andata giù e la conclusione è dimenticabile.
Nonostante tutto, coerentemente con la mia politica di premiare i manga che cercano di differenziarsi dalla massa, chiudendo gli occhi sulle pecche enormi della sceneggiatura e tappandomi il naso sugli sproloqui filosofici dei protagonisti, ho deciso di assegnare un voto decente a Deadman, per l'originalità di disegni e atmosfera.
L'ambientazione negli anni settanta è interessante e anche il tratto grafico in qualche modo riesce a dare l'idea di una storia datata, anche se il manga è del 1998. Una buona metà dell'opera è dedicata a vari flashback in cui il vampiro Kurosawa racconta la "vera" storia dell'umanità, come l'ha vista nei suoi oltre 5000 anni di vita. Le scene di sesso, molto presenti, rendono bene il senso dell'oscenità e sono coerenti con la figura tradizionale del vampiro: essere bellissimo, che attira inevitabilmente e suscita desiderio irrefrenabile in chi lo circonda, pur essendo egli stesso insensibile ai desideri della carne e interessato solo al sangue. Deadman è quasi un hentai (genere molto caro ad Egawa) e il divieto ai minori di 18 anni ci sta tutto.
Fin qui le note positive: devo però anche segnalare un numero consistente di note dolenti. L'idea base semplicemente non convince: che la storia umana sia governata dalle azioni di un piccolo gruppo di immortali che hanno assunto diverse identità nel corso dei secoli non è un'idea originale né appassionante. Le motivazioni degli immortali non sono minimamente credibili; l'escursione storica nel periodo Sengoku lascia del tutto indifferenti; i colpi di scena risultano assolutamente artificiosi. Non c'è spessore nei personaggi, tranne Kurosawa, il quale comunque rimane distante e di difficile comprensione (credo volutamente). Lo studente Okada è il personaggio più comprensibile, ma un colpo di scena nella seconda metà della serie rovina completamente qualunque credibilità potesse avere. Le varie prediche del vampiro, proposte come perle di saggezza, diventano immediatamente antipatiche in quanto prive di qualunque vera profondità. Si tratta di un manga che si spaccia per filosofico senza esserlo. Con l'andare dei volumi inoltre peggiora: il personaggio di Oda Nobunaga proprio non mi è andata giù e la conclusione è dimenticabile.
Nonostante tutto, coerentemente con la mia politica di premiare i manga che cercano di differenziarsi dalla massa, chiudendo gli occhi sulle pecche enormi della sceneggiatura e tappandomi il naso sugli sproloqui filosofici dei protagonisti, ho deciso di assegnare un voto decente a Deadman, per l'originalità di disegni e atmosfera.
Di tutte le creature leggendarie che da secoli popolano l'immaginario collettivo degli uomini il vampiro è forse quella che ha saputo maggiormente trascendere i confini del tempo e dello spazio. Dal cuore dell'Europa fino ai più remoti angoli della Terra, infatti, questa figura è un elemento folkloristico comune a moltissime popolazioni, e il proliferare delle rivisitazioni letterarie, televisive e cinematografiche a tema hanno contribuito ad accrescerne il mito. Nelle prime opere di finzione a lui dedicate, risalenti al Settecento, gli autori tendevano a focalizzarsi sulle sue mostruosità, mentre negli ultimi decenni si è andata affermandosi la tendenza a fare del suo lato umano il baricentro delle storie in questione; questo manga di Egawa rientra decisamente nell'ultima categoria, ma almeno per quanto mi riguarda il risultato non è stato dei migliori.
Giappone, seconda metà degli anni Settanta. Per i nuovi studenti dell'Istituto Superiore Reiho è tempo di fare conoscenza con Ryuichi Kurosawa, un loro misterioso compagno di classe venuto dall'Inghilterra. La sua sola presenza basta a turbare chiunque gli graviti intorno, spingendo il malcapitato a misurarsi con le proprie paure e pulsioni più recondite per effetto di una malia antica come il mondo; l'unica a risultare in qualche modo immune a questo sortilegio è Makiko Kamijo, una ragazza nei confronti della quale Kurosawa, soprannominato il Conte, sembra provare fin da subito una strana attrazione. Chi è in realtà questo quindicenne dall'aria altera, e di quali oscure verità è il depositario?
Alla luce dell'introduzione è probabilmente inutile dare una risposta alla prima domanda, anche perché la stessa trama fornita dall'edizione della Dynit (<i>née</i> Dynamic Italia) lascia ben pochi dubbi sulla natura del tenebroso Kurosawa. Non vale neppure la pena di considerarlo uno spoiler, quindi: a meno di non aver acquistato la serie a scatola chiusa, infatti, si tratta di un'informazione a disposizione del lettore prima ancora che quest'ultimo si immerga nella lettura, nonché un fattore talvolta cruciale nel determinare se un'opera del genere possa essere o meno nelle sue corde.
Al secondo interrogativo, invece, non è possibile trovare una soluzione senza leggere il manga, e anche in quel caso non c'è la garanzia che tutti i dubbi vengano fugati. Questo perché i primi tre volumi si limitano a confermarci quello che sapevamo già, mettendo Egawa nelle condizioni di dover sparare tutte le sue cartucce nei tre albi successivi con risultati a dir poco opinabili. Tra colpi di scena al sapor di ripescaggio, prolessi di comodo e inforigurgiti storico-sociali il lettore si trova di fronte a un intreccio inutilmente caotico, sconnesso e profondamente noioso, sovraccarico di orpelli filosofici che, per quanto condivisibili, a lungo andare risultano ripetitivi e forzati. In altre parole mancano i mezzi e lo spazio per poter elaborare le proprie conclusioni su quanto ci viene raccontato da Kurosawa e dai suoi illustri “colleghi”, i cui nomi ci suoneranno incredibilmente, spaventosamente familiari. Non che questa versione della storia dell'uomo <i>made in Egawa</i> non sia affascinante, anzi; ma essere tenuti costantemente per mano a questo modo può diventare fastidioso. Mi è inoltre dispiaciuto il fatto che non sia riuscito ad includere nella storia qualche accenno su Glastonbury, la città da dove proviene il Conte, al centro di numerosi miti e leggende tra qui quello secondo il quale sarebbe nientepopodimeno che l'unica e vera Avalon.
Mi dicono dalla regia che da qui in avanti la pioggia di asini si farà particolarmente copiosa e insistente. Si raccomanda pertanto di munirsi di ombrelli e stivali di gomma prima di proseguire nella lettura di questo commento.
Una trama tanto ambiziosa ha bisogno di essere supportata da una sceneggiatura forte, accattivante, che non costringa il povero lettore a coprire con le proprie dita eventuali buchi o crateri presenti nell'impianto originale. In questo, almeno secondo il mio modesto parere, Egawa fallisce su tutta la linea: il confronto tra i protagonisti e il loro lato più fosco e primitivo, ad esempio, risulta oltremodo funestato da numerosi e inaccettabili picchi di idiozia. Il senso di disagio che si prova le prime volte che si assiste a questo spettacolo lascia ben presto il posto al disappunto nel constatare che le dinamiche sono sempre le stesse, e che nella maggior parte dei casi si sarebbe potuto rinunciare a qualche pagina o vignetta senza nulla togliere alla narrazione, che anzi ne avrebbe guadagnato in velocità e incisività. Penso ad esempio al volume 3, nel quale Egawa indugia fin troppo su una determinata situazione a scapito dello sviluppo delle altre; ma in realtà questo discorso vale pressoché indistintamente per l'opera in tutta la sua interezza. I dialoghi risultano scarsamente ispirati e stereotipati, i (pochi) pensieri fin troppo elementari anche tenendo conto che i protagonisti hanno solo quindici anni, mentre Kurosawa possiede la strabiliante e al tempo stesso agghiacciante abilità di non dire assolutamente nulla utilizzando almeno il triplo delle parole necessarie. Ogni singolo avvenimento dev'essere sviscerato e rievocato fino alla nausea, sia per mezzo di un resoconto verbale che attraverso il relativo <i>flashback</i>, il più delle volte combinati assieme. Per quanto riguarda gli adulti, vi basti sapere che durante la sua prima apparizione la professoressa Saeki ci regala un esempio di “Arson, Murder and Jaywalking”, letteralmente “Incendio doloso, Omicidio e Attraversamento della strada al di fuori delle strisce”: si definisce così una lista di tre o più elementi di cui l'ultimo non ha niente a che fare con gli altri a livello di gravità. Di regola si utilizza con intenti comici, ma sfortunatamente non è questo il caso.
Con queste premesse l'introspezione psicologica non può non risultare deludente, salvo rarissime eccezioni: una di queste è senza dubbio Reiko Morishima, tra i primi studenti della Reiho a cadere sotto il demoniaco influsso del Conte; l'altro è un personaggio che per ragioni narrative non posso approfondire, ma che ho trovato molto riuscito. Kurosawa ha l'alibi di essere un non morto, ma questo non giustifica del tutto la sua scarsa prestanza emotiva, che fiorisce soltanto negli ultimi volumi con il risultato che potete immaginare. Ma il personaggio con la psiche meno approfondita di tutti è sicuramente Kamijo: di lei si potrebbe dire, e a ragione, che è sempre esattamente come appare, ma considerando il suo ruolo nella storia è impensabile che il lettore debba accontentarsi di così poco. In merito agli altri personaggi, al contrario, mi limiterò a dire che sono perfino più desolanti e caricaturali di quel che danno a vedere.
E adesso veniamo a un aspetto che non si può non prendere in considerazione quando si parla di Egawa: l'erotismo. Non mi fingerò un'esperta in materia, dal momento che <i>Deadman</i> è il primo suo manga che leggo, ma almeno da quanto ho potuto constatare non mi pare che con quest'opera abbia centrato l'obiettivo. A sua discolpa, tuttavia, c'è da dire che non è facile svecchiare il mito dell'emoerotismo, laddove “emo”, <i>ça va sans dire</i>, sta per “sangue” e non per l'omonimo movimento musicale e culturale. Naturalmente è possibile che in quando donna non potessi recepire certi messaggi con la stessa forza con cui si suppone avrebbe fatto un uomo, tesi che non posso rigettare con assoluta certezza ma che non mi sento neppure di abbracciare con il medesimo slancio; sia come sia, anche in questo frangente il mio pollice punta decisamente verso il basso.
Anche per quanto riguarda la componente vampiresca non posso che rimettermi ai miei gusti personali, dal momento che in questo campo le mie conoscenze sono piuttosto frammentare. Il motivo è semplice: artisticamente e folkloristicamente parlando i vampiri non mi dicono nulla. Considero quindi il modo in cui Egawa ha deciso di ritrarli come null'altro che una delle innumerevoli scuole di pensiero a tale proposito, lasciando a chi se ne intende il compito di trarre conclusioni più autorevoli. Da lettrice generica posso soltanto dire di non aver trovato tutte le risposte che cercavo e di non essere rimasta soddisfatta da come, in alcuni momenti, la condizione di Kurosawa abbia assunto i connotati del <i>deus ex machina</i>, croce e delizia di qualsiasi autore. C'era del margine per fare di più e meglio? A parer mio sì, quindi altro pollice giù.
Il tratto mi è parso ingiustificatamente altalenante; non brutto, questo no, ma in qualche modo ho avuto la sensazione che Egawa fosse per la maggior parte del tempo in modalità “risparmio energetico”. Ci sono volti in cui, prospetticamente parlando, non c'è assolutamente <i>nulla</i> al posto giusto! Non parliamo poi delle proporzioni, anche se questo può essere considerato come un tratto distintivo e non come un vero e proprio difetto. Al contrario ho apprezzato molto in modo in cui sono stati dosati il bianco e il nero, perfetto per il tipo di storia narrata, peccato soltanto che l'edizione non proprio eccelsa della Dynit rendesse il tutto sgradevolmente troppo scuro. La costruzione delle tavole, invece, non mi ha soddisfatta per niente: all'inizio non riuscivo a capire perché, ma dopo averci pensato a lungo sono giunta alla conclusione che parte della noia che ho accusato durante la lettura sia dovuta proprio alla disposizione fin troppo rigida e ripetitiva delle varie vignette.
Per farla breve, dire che quest'opera mi ha lasciato l'amaro in bocca sarebbe ricorrere a un eufemismo. Gli spunti per trarne una storia appassionante c'erano tutti, ma ritengo che Egawa non abbia saputo sfruttare a suo vantaggio le numerose e incredibili possibilità offertegli da un terreno tanto fertile.
Giappone, seconda metà degli anni Settanta. Per i nuovi studenti dell'Istituto Superiore Reiho è tempo di fare conoscenza con Ryuichi Kurosawa, un loro misterioso compagno di classe venuto dall'Inghilterra. La sua sola presenza basta a turbare chiunque gli graviti intorno, spingendo il malcapitato a misurarsi con le proprie paure e pulsioni più recondite per effetto di una malia antica come il mondo; l'unica a risultare in qualche modo immune a questo sortilegio è Makiko Kamijo, una ragazza nei confronti della quale Kurosawa, soprannominato il Conte, sembra provare fin da subito una strana attrazione. Chi è in realtà questo quindicenne dall'aria altera, e di quali oscure verità è il depositario?
Alla luce dell'introduzione è probabilmente inutile dare una risposta alla prima domanda, anche perché la stessa trama fornita dall'edizione della Dynit (<i>née</i> Dynamic Italia) lascia ben pochi dubbi sulla natura del tenebroso Kurosawa. Non vale neppure la pena di considerarlo uno spoiler, quindi: a meno di non aver acquistato la serie a scatola chiusa, infatti, si tratta di un'informazione a disposizione del lettore prima ancora che quest'ultimo si immerga nella lettura, nonché un fattore talvolta cruciale nel determinare se un'opera del genere possa essere o meno nelle sue corde.
Al secondo interrogativo, invece, non è possibile trovare una soluzione senza leggere il manga, e anche in quel caso non c'è la garanzia che tutti i dubbi vengano fugati. Questo perché i primi tre volumi si limitano a confermarci quello che sapevamo già, mettendo Egawa nelle condizioni di dover sparare tutte le sue cartucce nei tre albi successivi con risultati a dir poco opinabili. Tra colpi di scena al sapor di ripescaggio, prolessi di comodo e inforigurgiti storico-sociali il lettore si trova di fronte a un intreccio inutilmente caotico, sconnesso e profondamente noioso, sovraccarico di orpelli filosofici che, per quanto condivisibili, a lungo andare risultano ripetitivi e forzati. In altre parole mancano i mezzi e lo spazio per poter elaborare le proprie conclusioni su quanto ci viene raccontato da Kurosawa e dai suoi illustri “colleghi”, i cui nomi ci suoneranno incredibilmente, spaventosamente familiari. Non che questa versione della storia dell'uomo <i>made in Egawa</i> non sia affascinante, anzi; ma essere tenuti costantemente per mano a questo modo può diventare fastidioso. Mi è inoltre dispiaciuto il fatto che non sia riuscito ad includere nella storia qualche accenno su Glastonbury, la città da dove proviene il Conte, al centro di numerosi miti e leggende tra qui quello secondo il quale sarebbe nientepopodimeno che l'unica e vera Avalon.
Mi dicono dalla regia che da qui in avanti la pioggia di asini si farà particolarmente copiosa e insistente. Si raccomanda pertanto di munirsi di ombrelli e stivali di gomma prima di proseguire nella lettura di questo commento.
Una trama tanto ambiziosa ha bisogno di essere supportata da una sceneggiatura forte, accattivante, che non costringa il povero lettore a coprire con le proprie dita eventuali buchi o crateri presenti nell'impianto originale. In questo, almeno secondo il mio modesto parere, Egawa fallisce su tutta la linea: il confronto tra i protagonisti e il loro lato più fosco e primitivo, ad esempio, risulta oltremodo funestato da numerosi e inaccettabili picchi di idiozia. Il senso di disagio che si prova le prime volte che si assiste a questo spettacolo lascia ben presto il posto al disappunto nel constatare che le dinamiche sono sempre le stesse, e che nella maggior parte dei casi si sarebbe potuto rinunciare a qualche pagina o vignetta senza nulla togliere alla narrazione, che anzi ne avrebbe guadagnato in velocità e incisività. Penso ad esempio al volume 3, nel quale Egawa indugia fin troppo su una determinata situazione a scapito dello sviluppo delle altre; ma in realtà questo discorso vale pressoché indistintamente per l'opera in tutta la sua interezza. I dialoghi risultano scarsamente ispirati e stereotipati, i (pochi) pensieri fin troppo elementari anche tenendo conto che i protagonisti hanno solo quindici anni, mentre Kurosawa possiede la strabiliante e al tempo stesso agghiacciante abilità di non dire assolutamente nulla utilizzando almeno il triplo delle parole necessarie. Ogni singolo avvenimento dev'essere sviscerato e rievocato fino alla nausea, sia per mezzo di un resoconto verbale che attraverso il relativo <i>flashback</i>, il più delle volte combinati assieme. Per quanto riguarda gli adulti, vi basti sapere che durante la sua prima apparizione la professoressa Saeki ci regala un esempio di “Arson, Murder and Jaywalking”, letteralmente “Incendio doloso, Omicidio e Attraversamento della strada al di fuori delle strisce”: si definisce così una lista di tre o più elementi di cui l'ultimo non ha niente a che fare con gli altri a livello di gravità. Di regola si utilizza con intenti comici, ma sfortunatamente non è questo il caso.
Con queste premesse l'introspezione psicologica non può non risultare deludente, salvo rarissime eccezioni: una di queste è senza dubbio Reiko Morishima, tra i primi studenti della Reiho a cadere sotto il demoniaco influsso del Conte; l'altro è un personaggio che per ragioni narrative non posso approfondire, ma che ho trovato molto riuscito. Kurosawa ha l'alibi di essere un non morto, ma questo non giustifica del tutto la sua scarsa prestanza emotiva, che fiorisce soltanto negli ultimi volumi con il risultato che potete immaginare. Ma il personaggio con la psiche meno approfondita di tutti è sicuramente Kamijo: di lei si potrebbe dire, e a ragione, che è sempre esattamente come appare, ma considerando il suo ruolo nella storia è impensabile che il lettore debba accontentarsi di così poco. In merito agli altri personaggi, al contrario, mi limiterò a dire che sono perfino più desolanti e caricaturali di quel che danno a vedere.
E adesso veniamo a un aspetto che non si può non prendere in considerazione quando si parla di Egawa: l'erotismo. Non mi fingerò un'esperta in materia, dal momento che <i>Deadman</i> è il primo suo manga che leggo, ma almeno da quanto ho potuto constatare non mi pare che con quest'opera abbia centrato l'obiettivo. A sua discolpa, tuttavia, c'è da dire che non è facile svecchiare il mito dell'emoerotismo, laddove “emo”, <i>ça va sans dire</i>, sta per “sangue” e non per l'omonimo movimento musicale e culturale. Naturalmente è possibile che in quando donna non potessi recepire certi messaggi con la stessa forza con cui si suppone avrebbe fatto un uomo, tesi che non posso rigettare con assoluta certezza ma che non mi sento neppure di abbracciare con il medesimo slancio; sia come sia, anche in questo frangente il mio pollice punta decisamente verso il basso.
Anche per quanto riguarda la componente vampiresca non posso che rimettermi ai miei gusti personali, dal momento che in questo campo le mie conoscenze sono piuttosto frammentare. Il motivo è semplice: artisticamente e folkloristicamente parlando i vampiri non mi dicono nulla. Considero quindi il modo in cui Egawa ha deciso di ritrarli come null'altro che una delle innumerevoli scuole di pensiero a tale proposito, lasciando a chi se ne intende il compito di trarre conclusioni più autorevoli. Da lettrice generica posso soltanto dire di non aver trovato tutte le risposte che cercavo e di non essere rimasta soddisfatta da come, in alcuni momenti, la condizione di Kurosawa abbia assunto i connotati del <i>deus ex machina</i>, croce e delizia di qualsiasi autore. C'era del margine per fare di più e meglio? A parer mio sì, quindi altro pollice giù.
Il tratto mi è parso ingiustificatamente altalenante; non brutto, questo no, ma in qualche modo ho avuto la sensazione che Egawa fosse per la maggior parte del tempo in modalità “risparmio energetico”. Ci sono volti in cui, prospetticamente parlando, non c'è assolutamente <i>nulla</i> al posto giusto! Non parliamo poi delle proporzioni, anche se questo può essere considerato come un tratto distintivo e non come un vero e proprio difetto. Al contrario ho apprezzato molto in modo in cui sono stati dosati il bianco e il nero, perfetto per il tipo di storia narrata, peccato soltanto che l'edizione non proprio eccelsa della Dynit rendesse il tutto sgradevolmente troppo scuro. La costruzione delle tavole, invece, non mi ha soddisfatta per niente: all'inizio non riuscivo a capire perché, ma dopo averci pensato a lungo sono giunta alla conclusione che parte della noia che ho accusato durante la lettura sia dovuta proprio alla disposizione fin troppo rigida e ripetitiva delle varie vignette.
Per farla breve, dire che quest'opera mi ha lasciato l'amaro in bocca sarebbe ricorrere a un eufemismo. Gli spunti per trarne una storia appassionante c'erano tutti, ma ritengo che Egawa non abbia saputo sfruttare a suo vantaggio le numerose e incredibili possibilità offertegli da un terreno tanto fertile.
Vorrei premettere che l'opera in questione non può essere classificata come shounen dato che è sicuramente un seinen adatto ad un pubblico maturo.
Questo manga, ricco di colpi di scena, inizialmente potrebbe sembrare la solita storia di vampiri, più avanti però la narrazione si stravolge totalmente, arrivando a dare spiegazioni molto alternative riguardo tutto ciò che pensiamo di conoscere. I primi volumi sono molto lenti e a tratti noiosi, poi il tutto diventa più interessante suscitando curiosità nel lettore, ma il punto di forza di quest'opera è la parte conclusiva ricca di colpi di scena, il tutto naturalmente contornato da scene di erotismo mai fini a se stesse, caratteristica tipica delle opere di Egawa.
Lo stile grafico dell'autore è inconfondibile, anche se per quest'opera la caratterizzazione grafica è orientata soprattutto verso i personaggi, abbozzando volutamente i fondali in modo da conferire un'atmosfera cupa e misteriosa.
Un manga unico e mai banale che lascia anche spazio a riflessioni sulla natura umana, e su temi metafisici.
Questo manga, ricco di colpi di scena, inizialmente potrebbe sembrare la solita storia di vampiri, più avanti però la narrazione si stravolge totalmente, arrivando a dare spiegazioni molto alternative riguardo tutto ciò che pensiamo di conoscere. I primi volumi sono molto lenti e a tratti noiosi, poi il tutto diventa più interessante suscitando curiosità nel lettore, ma il punto di forza di quest'opera è la parte conclusiva ricca di colpi di scena, il tutto naturalmente contornato da scene di erotismo mai fini a se stesse, caratteristica tipica delle opere di Egawa.
Lo stile grafico dell'autore è inconfondibile, anche se per quest'opera la caratterizzazione grafica è orientata soprattutto verso i personaggi, abbozzando volutamente i fondali in modo da conferire un'atmosfera cupa e misteriosa.
Un manga unico e mai banale che lascia anche spazio a riflessioni sulla natura umana, e su temi metafisici.