King of Bandit Jing
Diffidate da chi dice: opera non fatta per il grande pubblico, opera culturalmente alta.
Certo può succedere, ma è così per Jing king of bandit?
Prima di me hanno scomodato De Chirico, Calvino e altri artisti per spiegare dove prende l’ispirazione il mangaka Yuichi Kamakura.
Io non mi spingo in genere a tanto, perché sono conscio delle possibili molteplici ispirazioni, che può trarre un artista da qualunque cosa.
Io mi chiedo solo: mi piace? E quanto mi piace?
A quest’opera non do’ l’insufficienza ma non la celebro certo per quel che non è: un capolavoro. Il mio voto iniziale era sei e anche se riconosco il miglioramento a partire dal quinto volume, per quanto riguarda la trama, da sei parto e a sei e mezzo mi fermo.
Ho apprezzato il tentativo di creare qualcosa di nuovo e inedito, non il solito One Piece o Naruto (che nel 1995 erano ancora da venire), ma ciò non toglie che niente in quest’opera mi stupisce.
La trama degli episodi non è scialba eppure non è nemmeno il contrario, il tratto non è brutto ma nemmeno bello, l’idea di un ladro gentiluomo non è stra-usata ma non è comunque innovativa e potrei andare così a lungo. Insomma la storia di Jing non brilla in niente!
L’idea di prendere la maggior parte dei nomi da alcolici poi può sembrare carina ma in fondo in "Bakuretsu Hunter" (per fare il nome di un’opera conosciuta in Italia) gli autori si erano concentrati su nomi di dolci… l’idea dunque in se avrebbe avuto valore se il nome fosse adatto al personaggio in questione ma in realtà è appiccicato a caso.
Per quanto riguarda l’edizione poi è quella economica a cui ci ha abituato PlayPress, casa defunta che aveva provato ad essere il terzo polo per poi fallire, non tanto per la cattiva gestione del lato manga, ma per l’attività di editore di dvd e riviste sui giochi da consolle: all’inizio guadagnava su tutto alla fine perdeva in ogni settore.
Certo può succedere, ma è così per Jing king of bandit?
Prima di me hanno scomodato De Chirico, Calvino e altri artisti per spiegare dove prende l’ispirazione il mangaka Yuichi Kamakura.
Io non mi spingo in genere a tanto, perché sono conscio delle possibili molteplici ispirazioni, che può trarre un artista da qualunque cosa.
Io mi chiedo solo: mi piace? E quanto mi piace?
A quest’opera non do’ l’insufficienza ma non la celebro certo per quel che non è: un capolavoro. Il mio voto iniziale era sei e anche se riconosco il miglioramento a partire dal quinto volume, per quanto riguarda la trama, da sei parto e a sei e mezzo mi fermo.
Ho apprezzato il tentativo di creare qualcosa di nuovo e inedito, non il solito One Piece o Naruto (che nel 1995 erano ancora da venire), ma ciò non toglie che niente in quest’opera mi stupisce.
La trama degli episodi non è scialba eppure non è nemmeno il contrario, il tratto non è brutto ma nemmeno bello, l’idea di un ladro gentiluomo non è stra-usata ma non è comunque innovativa e potrei andare così a lungo. Insomma la storia di Jing non brilla in niente!
L’idea di prendere la maggior parte dei nomi da alcolici poi può sembrare carina ma in fondo in "Bakuretsu Hunter" (per fare il nome di un’opera conosciuta in Italia) gli autori si erano concentrati su nomi di dolci… l’idea dunque in se avrebbe avuto valore se il nome fosse adatto al personaggio in questione ma in realtà è appiccicato a caso.
Per quanto riguarda l’edizione poi è quella economica a cui ci ha abituato PlayPress, casa defunta che aveva provato ad essere il terzo polo per poi fallire, non tanto per la cattiva gestione del lato manga, ma per l’attività di editore di dvd e riviste sui giochi da consolle: all’inizio guadagnava su tutto alla fine perdeva in ogni settore.
Sulla realizzazione grafica Yuichi Kumakura non si è affatto sprecato, l'opera è una scalata immane verso il particolare visivo, fosse anche il più insignificante, ma che nell'insieme esplode in sprazzi di alta classe. Quando si dice lo stile.
Figura da sempre di grande fascino quella del ladro gentile, dall'inglese Robin Hood al francese Lupin, in fondo chi non vorrebbe essere come loro, liberi da ogni vincolo e guidati solo dalla loro astuzia. Immaginatevi ora un ladro non interessato a tesori e gioielli, ma che non si fa problemi a rischiare la vita solo per assaggiare un particolare grappolo d'uva, immaginatevi un mondo fantastico dove tutto è possibile, surreale, privo di senso logico dove non è raro imbattersi in un casinò gestito da un maiale, in un tipo di magma che cerca di farti a fette assumendola forma di oggetti, in persone divise in due.
È quasi onirico questo King of Bandit Jing, privo di trama portante, il manga di Kumakura vanta una forza espressiva raramente ammirata in altri shōnen, pochi ma geniali dialoghi, diverse storie e diversi luoghi, accomunate solo dal protagonista (che "cresce", a vista d'occhio, nel corso dei sette volumi, di pari passo allo stile dell'autore) e dal suo fido amico pennuto Kir, si procede senza criterio alcuno verso città fantastiche dalle leggi assurde, una schiava del tempo, un'altra delle maschere, e così via, sempre ricche di fascino.
Kumakura riempie poi le sue tavole di citazioni letterarie e cinematografiche, come lo "stile Tim Burton" per gli ambienti o il balletto del Barone Goblet ispirato al mai troppo osannato "Il Grande Dittatore" di Chaplin, ma non mancano omaggi alla nostra cultura, si veda il "Conte Dimezzato" di Italo Calvino, l'architettura della prigione 7th Heaven ispirata a Castel S. Angelo, e quella del sedicesimo capitolo ambientata nella prigione del sogno, che si rifà chiaramente ai quadri di Giorgio De Chirico, esponente della pittura metafisica. Magnifico.
Ogni storia poi una ragazza, che accompagneranno Jing nella sua missione e riserveranno non poche sorprese, dalla ragazza robot a quella gatto, fino alla ragazza-dipinto, opera d'arte vivente venduta all'asta.
Pubblicato in Italia da Play Press Publishing dal 2001 al 2002, i sette volumi hanno resistito bene al decennio trascorso presentando una buona rilegatura, di contro però la carta è ormai irrimediabilmente gialla. Oltre alla consueta riubrica della posta si segnalano alcuni extra informativi a fine volume. Nonostante la chiusura della Play Press il manga dovrebbe essere ancora reperibile, nelle varie fiere, come online. Diffidare invece dalla seconda serie, nettamente inferiore alla prima per carisma e coinvolgimento.
King of Bandit Jing è avvinto dalla dottrina del manga shōnen non industriale, non Jump, disegnato non tanto per assecondare le esigenze del mercato, dei bambini ninja, degli spadaccini tamarri, bensì quelle artistiche e creative dell'autore stesso. Jing va letto e gustato con estrema calma, come un buon vino, per cogliere tutte le sfumature delle sue vignette di rimarchevole dettaglio, ma non cercate di capirlo, lasciatevi trascinare dalle sue assurdità, dai suoi folli personaggi e i suoi eccezionali luoghi. Vivrete una particolare, e unica nel suo genere, esperienza cartacea.
Figura da sempre di grande fascino quella del ladro gentile, dall'inglese Robin Hood al francese Lupin, in fondo chi non vorrebbe essere come loro, liberi da ogni vincolo e guidati solo dalla loro astuzia. Immaginatevi ora un ladro non interessato a tesori e gioielli, ma che non si fa problemi a rischiare la vita solo per assaggiare un particolare grappolo d'uva, immaginatevi un mondo fantastico dove tutto è possibile, surreale, privo di senso logico dove non è raro imbattersi in un casinò gestito da un maiale, in un tipo di magma che cerca di farti a fette assumendola forma di oggetti, in persone divise in due.
È quasi onirico questo King of Bandit Jing, privo di trama portante, il manga di Kumakura vanta una forza espressiva raramente ammirata in altri shōnen, pochi ma geniali dialoghi, diverse storie e diversi luoghi, accomunate solo dal protagonista (che "cresce", a vista d'occhio, nel corso dei sette volumi, di pari passo allo stile dell'autore) e dal suo fido amico pennuto Kir, si procede senza criterio alcuno verso città fantastiche dalle leggi assurde, una schiava del tempo, un'altra delle maschere, e così via, sempre ricche di fascino.
Kumakura riempie poi le sue tavole di citazioni letterarie e cinematografiche, come lo "stile Tim Burton" per gli ambienti o il balletto del Barone Goblet ispirato al mai troppo osannato "Il Grande Dittatore" di Chaplin, ma non mancano omaggi alla nostra cultura, si veda il "Conte Dimezzato" di Italo Calvino, l'architettura della prigione 7th Heaven ispirata a Castel S. Angelo, e quella del sedicesimo capitolo ambientata nella prigione del sogno, che si rifà chiaramente ai quadri di Giorgio De Chirico, esponente della pittura metafisica. Magnifico.
Ogni storia poi una ragazza, che accompagneranno Jing nella sua missione e riserveranno non poche sorprese, dalla ragazza robot a quella gatto, fino alla ragazza-dipinto, opera d'arte vivente venduta all'asta.
Pubblicato in Italia da Play Press Publishing dal 2001 al 2002, i sette volumi hanno resistito bene al decennio trascorso presentando una buona rilegatura, di contro però la carta è ormai irrimediabilmente gialla. Oltre alla consueta riubrica della posta si segnalano alcuni extra informativi a fine volume. Nonostante la chiusura della Play Press il manga dovrebbe essere ancora reperibile, nelle varie fiere, come online. Diffidare invece dalla seconda serie, nettamente inferiore alla prima per carisma e coinvolgimento.
King of Bandit Jing è avvinto dalla dottrina del manga shōnen non industriale, non Jump, disegnato non tanto per assecondare le esigenze del mercato, dei bambini ninja, degli spadaccini tamarri, bensì quelle artistiche e creative dell'autore stesso. Jing va letto e gustato con estrema calma, come un buon vino, per cogliere tutte le sfumature delle sue vignette di rimarchevole dettaglio, ma non cercate di capirlo, lasciatevi trascinare dalle sue assurdità, dai suoi folli personaggi e i suoi eccezionali luoghi. Vivrete una particolare, e unica nel suo genere, esperienza cartacea.