Watashitachi no Shiawase na Jikan
A distanza di poco più di un anno, rileggo per la seconda volta questo piccolo grande manga. "Piccolo" perché composto da un unico volume, "grande" per i suoi contenuti e per come sono stati trattati.
Non ci vuole molto a capire che qui non ci sarà un lieto fine. L'epilogo sarà infausto e lo si capisce bene fin dalle prime pagine. D'altro canto, da un certo punto di vista, il lieto fine c'è, e per entrambi i protagonisti.
Juri e Yuu, seppur cresciuti in contesti estremamente diversi, hanno avuto entrambi una vita difficile e dolorosa, e sotto certi aspetti, i due giovani sono molto simili.
Juri fu una bambina prodigio, una pianista famosa, ma che crebbe con una madre che la odiava e un insegnante che abusava di lei. L'unica nota positiva della sua triste vita, è la zia suora, Monica, che tenterà in tutti i modi di toglierle dalla testa l'idea del suicidio, che tuttavia tenterà più volte.
Yuu, invece, rimase ben presto orfano e costretto a prostituirsi per poter accudire il fratello cieco, ma una serie di eventi dannatamente sfortunati lo condurranno ad uccidere delle persone, e, di conseguenza, lo porteranno nel braccio della morte.
Due giovani con un percorso diverso, ma simile in angosce, tormenti e dolori, i quali sono ben rappresentati anche nel tratto del disegno, assai spigoloso, mai morbido o tondeggiante. Un tratto che assume qualche curva in più nei loro visi con il proseguo della storia. A pari passo con il loro avvicinarsi, il tratto, nei loro volti, sembra infatti farsi più disteso. Quasi a significare che, nel momento in cui i due hanno un po' di tregua nella loro vita, anche a quegli spigoli che li rappresentano, viene concesso di essere smussati.
Un particolare plauso va ad alcuni primi piani, soprattutto di lui, di un espressività tale, che non hanno necessitato di dialoghi per comunicarci i sentimenti del protagonista.
Sebbene, paradossalmente, qui si parli molto della morte, e in varie sfaccettature, questa è una storia d'amore, un trionfo e un omaggio alla vita. Cosa c'è, infatti, di più vitale, di più potente, di quella forza che muove tutto e tutti e che si chiama amore? L'amore sana tutte le ferite, rigenera, e fa vedere con occhi nuovi tutto ciò che ci circonda. L'amore rende schiavi e liberi, tristi e felici, ma, soprattutto, accende disperatamente il desiderio di vivere, vivere felici per l'altro, fosse per un singolo giorno, o per la vita intera. Questa è la vera gioia che sperimentano infine i nostri personaggi.
Un manga che mi ha sorpreso, perché mai avrei pensato che un unico volume potesse racchiudere un condensato di emozioni così intense e genuine, capaci pure di farmi scendere qualche lacrime triste. E per ben due volte.
Non ci vuole molto a capire che qui non ci sarà un lieto fine. L'epilogo sarà infausto e lo si capisce bene fin dalle prime pagine. D'altro canto, da un certo punto di vista, il lieto fine c'è, e per entrambi i protagonisti.
Juri e Yuu, seppur cresciuti in contesti estremamente diversi, hanno avuto entrambi una vita difficile e dolorosa, e sotto certi aspetti, i due giovani sono molto simili.
Juri fu una bambina prodigio, una pianista famosa, ma che crebbe con una madre che la odiava e un insegnante che abusava di lei. L'unica nota positiva della sua triste vita, è la zia suora, Monica, che tenterà in tutti i modi di toglierle dalla testa l'idea del suicidio, che tuttavia tenterà più volte.
Yuu, invece, rimase ben presto orfano e costretto a prostituirsi per poter accudire il fratello cieco, ma una serie di eventi dannatamente sfortunati lo condurranno ad uccidere delle persone, e, di conseguenza, lo porteranno nel braccio della morte.
Due giovani con un percorso diverso, ma simile in angosce, tormenti e dolori, i quali sono ben rappresentati anche nel tratto del disegno, assai spigoloso, mai morbido o tondeggiante. Un tratto che assume qualche curva in più nei loro visi con il proseguo della storia. A pari passo con il loro avvicinarsi, il tratto, nei loro volti, sembra infatti farsi più disteso. Quasi a significare che, nel momento in cui i due hanno un po' di tregua nella loro vita, anche a quegli spigoli che li rappresentano, viene concesso di essere smussati.
Un particolare plauso va ad alcuni primi piani, soprattutto di lui, di un espressività tale, che non hanno necessitato di dialoghi per comunicarci i sentimenti del protagonista.
Sebbene, paradossalmente, qui si parli molto della morte, e in varie sfaccettature, questa è una storia d'amore, un trionfo e un omaggio alla vita. Cosa c'è, infatti, di più vitale, di più potente, di quella forza che muove tutto e tutti e che si chiama amore? L'amore sana tutte le ferite, rigenera, e fa vedere con occhi nuovi tutto ciò che ci circonda. L'amore rende schiavi e liberi, tristi e felici, ma, soprattutto, accende disperatamente il desiderio di vivere, vivere felici per l'altro, fosse per un singolo giorno, o per la vita intera. Questa è la vera gioia che sperimentano infine i nostri personaggi.
Un manga che mi ha sorpreso, perché mai avrei pensato che un unico volume potesse racchiudere un condensato di emozioni così intense e genuine, capaci pure di farmi scendere qualche lacrime triste. E per ben due volte.
Io adoro le storie che iniziano direttamente mostrando il finale. Ci vuole un'abilità sovraumana per riuscire a coinvolgere colui a cui si rivolge, riuscendo a fargli interessare quel racconto pur avendo scoperto le carte in prima mano. Si può essere audaci quanto si vuole, però, se non si è capaci di usare questa tecnica narrativa si finisce per creare qualcosa di noioso. Ebbene, Ji-Young Gong, nel suo libro e nel manga da lei scritto, non solo supera questa tecnica, sviluppandone un'altra, ma riesce perfettamente a entusiasmare pure nella novità.
A differenza di opere come, per esempio, Una Tomba Per Le Lucciole, in cui viene subito chiarita la conclusione dei fatti, lasciando cosciente lo spettatore di che cosa andrà incontro, Ji-Yong, pur lasciandolo sottointeso, riesce a rendere totalmente l'idea di quale sarà lo scontato epilogo. Cioè, lascia che non sia la nostra persona, ma la nostra coscienza a capirlo.
Un ritratto della vita, che pur cercando di fermarla continua ad avanzare inesorabilmente, tra gli enormi problemi affrontati dai due protagonisti, i cui due tristi mondi si scontrano, creando, ironicamente, una certa armonia.
Per non parlare disegni: quasi abbozzati, incompleti. Proprio come gli uomini rappresentati, caratterizzati ognuno da limiti ben descritti e (quasi) insormontabili.
Ma, riassumendo, tutta l'opera sarebbe sintetizzabile in una massima: "Vivere per morire o morire per vivere?"
Se siete disposti a leggere un piccolo, stupendo manga psicologico, ma alquanto triste, assolutamente consigliato.
A differenza di opere come, per esempio, Una Tomba Per Le Lucciole, in cui viene subito chiarita la conclusione dei fatti, lasciando cosciente lo spettatore di che cosa andrà incontro, Ji-Yong, pur lasciandolo sottointeso, riesce a rendere totalmente l'idea di quale sarà lo scontato epilogo. Cioè, lascia che non sia la nostra persona, ma la nostra coscienza a capirlo.
Un ritratto della vita, che pur cercando di fermarla continua ad avanzare inesorabilmente, tra gli enormi problemi affrontati dai due protagonisti, i cui due tristi mondi si scontrano, creando, ironicamente, una certa armonia.
Per non parlare disegni: quasi abbozzati, incompleti. Proprio come gli uomini rappresentati, caratterizzati ognuno da limiti ben descritti e (quasi) insormontabili.
Ma, riassumendo, tutta l'opera sarebbe sintetizzabile in una massima: "Vivere per morire o morire per vivere?"
Se siete disposti a leggere un piccolo, stupendo manga psicologico, ma alquanto triste, assolutamente consigliato.
Quando un'opera commuove a tal punto di far versare lacrime porta inesorabilmente il lettore a riflettere sul contenuto della storia, e a prenderlo a cuore.
"Watashitachi no shiawase na jikan" è un breve racconto nato grazie a due autrici, Ji-Young Gong e Mizu Sahara, che narra dell'incontro fra una donna devastata dal suo passato e tentata spesso al suicidio, e quello di un giovane assassino in carcere condannato alla pena di morte.
Vivere per morire o morire per vivere?
Sinceramente, dopo questa breve ma intensa lettura, questo pensiero non può non sfiorarmi la mente perché i temi descritti e presenti in quest'opera sono tutt'altro che frivoli, e mai ho avuto il piacere di leggere un racconto vagamente simile.
Ogni pagina amplifica l'attenzione del lettore la storia di questo due persone, e viene portato ad immedesimarsi, a guardare da un punto di vista troppo ravvicinato.
Questa profonda immersione all'interno del racconto comporta il pianto assicurato, e con ciò non s'intende per il finale o chissà cosa, ma per come ogni sviluppo è seguito con dedizione dalla passione immessa delle due autrici. Quando una storia nasce per amore e passione, non si può non notare l'impegno che qualcuno dedica all'opera e tutto assume un aspetto dotato di mille sfumature che altro non sono che i sentimenti capaci di scuotere l'animo del lettore.
Trattandosi di un'opera con delle rappresentazioni, non ci si può non soffermare ad analizzare il tratto ed il disegno nel suo complesso che, seppur non curato nei minimi dettagli, ma anzi spesso abbozzato da delle linee nette e decise, risulta perfettamente adatto alla storia in ogni sfaccettatura.
Grazie ad una profonda attenzione e dedizione di due autrici non molto note, "Watashitachi no shiawase na jikan", riesce a donare qualcosa di più di un semplice sorriso e una soddisfazione post-lettura: riflessione, comprensione, ed altro farà commuovere il lettore facendo sì che il desiderio di rileggere l'opera continui ancora e ancora. Lo consiglio a tutti.
"Watashitachi no shiawase na jikan" è un breve racconto nato grazie a due autrici, Ji-Young Gong e Mizu Sahara, che narra dell'incontro fra una donna devastata dal suo passato e tentata spesso al suicidio, e quello di un giovane assassino in carcere condannato alla pena di morte.
Vivere per morire o morire per vivere?
Sinceramente, dopo questa breve ma intensa lettura, questo pensiero non può non sfiorarmi la mente perché i temi descritti e presenti in quest'opera sono tutt'altro che frivoli, e mai ho avuto il piacere di leggere un racconto vagamente simile.
Ogni pagina amplifica l'attenzione del lettore la storia di questo due persone, e viene portato ad immedesimarsi, a guardare da un punto di vista troppo ravvicinato.
Questa profonda immersione all'interno del racconto comporta il pianto assicurato, e con ciò non s'intende per il finale o chissà cosa, ma per come ogni sviluppo è seguito con dedizione dalla passione immessa delle due autrici. Quando una storia nasce per amore e passione, non si può non notare l'impegno che qualcuno dedica all'opera e tutto assume un aspetto dotato di mille sfumature che altro non sono che i sentimenti capaci di scuotere l'animo del lettore.
Trattandosi di un'opera con delle rappresentazioni, non ci si può non soffermare ad analizzare il tratto ed il disegno nel suo complesso che, seppur non curato nei minimi dettagli, ma anzi spesso abbozzato da delle linee nette e decise, risulta perfettamente adatto alla storia in ogni sfaccettatura.
Grazie ad una profonda attenzione e dedizione di due autrici non molto note, "Watashitachi no shiawase na jikan", riesce a donare qualcosa di più di un semplice sorriso e una soddisfazione post-lettura: riflessione, comprensione, ed altro farà commuovere il lettore facendo sì che il desiderio di rileggere l'opera continui ancora e ancora. Lo consiglio a tutti.
Oggi, non so perché, ho deciso di farmi del male.
Basta guardare le altre recensioni, sulla mia scheda, per capire che, di solito, i miei passatempi sono di tutt'altro genere. Eppure oggi ho voluto spendere un po' del mio tempo su quest'opera.
Intendiamoci, si capisce forse fin dal primo capitolo dove si andrà a parare. Non potrebbe avere uno svolgimento diverso, né un finale diverso. E' doloroso guardare lo svolgersi della storia, non tanto per il cumulo delle sfortunate vicende toccate ai due protagonisti principali, quanto perché se ne avverte il peso che trascina all'epilogo.
Lo stesso tratto dei disegni suggerisce un'esistenza tragica e travagliata, con volti e figure profondamente segnati dai fatti della vita.
Sono solita giustificare alte votazioni col fatto che l'opera in questione è ottima "per il suo genere". Qui, non ho bisogno di nascondermi dietro un dito: quest'opera è un piccolo capolavoro, un gioiellino. Nel relativamente breve spazio di un volume condensa mirabilmente un percorso che è vita, a maggior ragione perché condotto nel braccio della morte.
Si è soliti dire, quando si legge o si guarda qualcosa che muove alle lacrime, che spinge esageratamente sul pedale del facile sentimentalismo. Non credo sia questo il caso.
E' una storia commovente, di disagi fisici e mentali, ed un percorso di vita. Non tutti i sentieri sono lisci e diritti, ce ne sono molti accidentati, pieni di buche e pietre, e non è escluso che alcuni si perdano nel nulla. Ma, anche queste, sono storie che vanno raccontate.
E, può anche darsi che, in fin dei conti, oggi io abbia deciso di farmi un po' di bene.
Basta guardare le altre recensioni, sulla mia scheda, per capire che, di solito, i miei passatempi sono di tutt'altro genere. Eppure oggi ho voluto spendere un po' del mio tempo su quest'opera.
Intendiamoci, si capisce forse fin dal primo capitolo dove si andrà a parare. Non potrebbe avere uno svolgimento diverso, né un finale diverso. E' doloroso guardare lo svolgersi della storia, non tanto per il cumulo delle sfortunate vicende toccate ai due protagonisti principali, quanto perché se ne avverte il peso che trascina all'epilogo.
Lo stesso tratto dei disegni suggerisce un'esistenza tragica e travagliata, con volti e figure profondamente segnati dai fatti della vita.
Sono solita giustificare alte votazioni col fatto che l'opera in questione è ottima "per il suo genere". Qui, non ho bisogno di nascondermi dietro un dito: quest'opera è un piccolo capolavoro, un gioiellino. Nel relativamente breve spazio di un volume condensa mirabilmente un percorso che è vita, a maggior ragione perché condotto nel braccio della morte.
Si è soliti dire, quando si legge o si guarda qualcosa che muove alle lacrime, che spinge esageratamente sul pedale del facile sentimentalismo. Non credo sia questo il caso.
E' una storia commovente, di disagi fisici e mentali, ed un percorso di vita. Non tutti i sentieri sono lisci e diritti, ce ne sono molti accidentati, pieni di buche e pietre, e non è escluso che alcuni si perdano nel nulla. Ma, anche queste, sono storie che vanno raccontate.
E, può anche darsi che, in fin dei conti, oggi io abbia deciso di farmi un po' di bene.
"Watashitachi no Shiawase na Jikan" è un manga edito solamente in patria dalla poco nota Coamix, che consta di un solo volume - composto da otto capitoli. Porta la firma di Ji-Young Gong, che si occupa della storia, e di Mizu Sahara, addetto ai disegni. La narrazione rientra nella tipologia seinen, vista la difficoltà dei discorsi esposti.
La storia narra di Juri Mutou, pianista che ha tentato per ben tre volte i suicidio: tutta la storia partirà dal terzo e terribile tentativo. Infatti, sotto consiglio della zia suora Monica - unica persona alla quale sia legata - si reca in un carcere per poter far visite ad un pluriomicida, catalogato da tutti come pazzo: quest'uomo è condannato alla pena di morte, e sarebbe stato ucciso a breve. Ben presto i due, dopo svariate e apparentemente noiose visite, scopriranno che hanno entrambi un drammatico e triste passato, che li ha portati a compiere quelle gesta. I due, attraverso numerose "sedute", ci mostreranno i loro travagli interiori e i loro problemi: il tutto contornato da una tenera storia d'amore.
Posso dire con fermezza che si tratta di un vero e proprio capolavoro; e tutto ciò lo esprimo tralasciando la mia passione ossessiva per i volumi unici. Il manga in questione è delicato e composto, saprà regalarci grandissime emozioni in breve tempo. Qui vi è il vero amore, quello triste ma in grado di confortare anche in momenti come possono essere quelli precedenti all'imminente morte. È pacato, con una trama semplice e apparentemente banale, ma che mostrerà sentimenti non percepibili in altre opere anche grazie ai soli disegni. Infatti, questi ultimi si mostreranno meravigliosi ed espressivi; lineari e puliti.
Nel complesso, è un'opera che si discosta profondamente dalle banalità che si incontrano facilmente oggigiorno, che fa emergere nei suoi ardui sviluppi una perfetta simbiosi tra disegno e storia, che non sarà dimenticata molto facilmente.
La storia narra di Juri Mutou, pianista che ha tentato per ben tre volte i suicidio: tutta la storia partirà dal terzo e terribile tentativo. Infatti, sotto consiglio della zia suora Monica - unica persona alla quale sia legata - si reca in un carcere per poter far visite ad un pluriomicida, catalogato da tutti come pazzo: quest'uomo è condannato alla pena di morte, e sarebbe stato ucciso a breve. Ben presto i due, dopo svariate e apparentemente noiose visite, scopriranno che hanno entrambi un drammatico e triste passato, che li ha portati a compiere quelle gesta. I due, attraverso numerose "sedute", ci mostreranno i loro travagli interiori e i loro problemi: il tutto contornato da una tenera storia d'amore.
Posso dire con fermezza che si tratta di un vero e proprio capolavoro; e tutto ciò lo esprimo tralasciando la mia passione ossessiva per i volumi unici. Il manga in questione è delicato e composto, saprà regalarci grandissime emozioni in breve tempo. Qui vi è il vero amore, quello triste ma in grado di confortare anche in momenti come possono essere quelli precedenti all'imminente morte. È pacato, con una trama semplice e apparentemente banale, ma che mostrerà sentimenti non percepibili in altre opere anche grazie ai soli disegni. Infatti, questi ultimi si mostreranno meravigliosi ed espressivi; lineari e puliti.
Nel complesso, è un'opera che si discosta profondamente dalle banalità che si incontrano facilmente oggigiorno, che fa emergere nei suoi ardui sviluppi una perfetta simbiosi tra disegno e storia, che non sarà dimenticata molto facilmente.
''Watashitachi no shiawase na jikan'' è la collaborazione tra Ji-Young Gong (storia) e Mizu Sahara (disegni).
Volume unico ancora (purtroppo) inedito in Italia.
Juri Mutou è un ex pianista con un violento passato alle spalle. Dopo aver tentato il suicidio tre volte viene invitata da sua zia suor Monica ad accompagnarla a fare visita ad un particolare detenuto, Yuu.
Anche quest'ultimo ha un passato del quale preferirebbe non venisse mai accennato nulla. Questi, come tutti i detenuti a cui è stata ''prescritta'' la pena di morte, si sveglia al mattino e si addormenta la sera imponendosi il dovere di non provare nulla e di pensare unicamente ad una cosa: il mattino successivo, se si è fortunati, è il proprio turno per morire.
Dopo iniziali conflitti tra suor Monica e Yuu, è Juri ad intercedere ed a iniziare un dialogo con il detenuto, con un progressivo aumento di coinvolgimento da parte di entrambi nella relazione che quasi inconsciamente hanno fatto nascere.
I personaggi, già numericamente pochi, potrebbe essere riassunti nelle sole figure di Juri e Yuu. C'è una giusta caratterizzazione psicologica di entrambi, ed un'innocenza quasi autentica in entrambi i caratteri piuttosto commovente. Il progredire della loro relazione è quasi invisibile, si viene coinvolti negli eventi in modo naturale, quasi come fosse la cosa più ovvia, come ad esempio compiere un normale e involontario gesto quotidiano, alzarsi al mattino.
L'amore viene visto non come atto primitivo di attrazione fisica o estetica ma come dialogo, confronto, abbraccio. I due portano avanti una chiacchierata nella quale si danno come in un atto sessuale, le lettere che si scrivono raccontano di eventi lontani eppure chiusi a forza nel cervello. Personaggi che si tengono dentro come unici compagni di vita i propri demoni, i proprio mostri e tutte le morti che vivendo si mettono in tasca.
Semplicemente, una storia d'amore originale nel quale si scopre dell'altro, se non le bocche dalle quali nascono e poi le orecchie nelle quali muoiono.
Il finale è drammatico e contorna di bianco la vicenda che forse proprio nel punto cardine e fondamentale, il finale, perde di tono. Mi spiego, per la drammaticità e il tono del quale la storia è tinta dare il finale che si è dato è quasi come cadere nel banale, questo però non viene fatto; strutturandolo per bene essendo questo l'unico finale concepibile per una storia del genere.
Disegno: apprezzo molto lo stile grafico di Sahara Mizu, personalmente prediligo le figure alte e scheletriche e quest'autrice mi delizia con i suoi personaggi consumati e spigolosi dagli sguardi tetri e lontani. Per una storia come questa, il tratto della Mizu è senz'altro più che azzeccato. La durezza delle vite dei due viene perfettamente disegnata nei volti cupi e nei corpi alti. La particolarità del loro rapporto incentrato sul dialogo è dato graficamente da continui e ripetuti primi piani e da impostazioni d'immagine nei riquadri estremamente fotografici e cinematografici. Assenza di sfondi, di architetture se non essenziali e totale invece assenza di paesaggi in quanto tutta la vicenda si svolge nella camera d'incontro tra i detenuti e i visitatori.
Proporzione tra i bianchi e i neri con una prevalenza di grigi, quasi metaforicamente rappresenta l'attesa, il non vivere e il non riuscire a morire.
Le tavole a colori sono nel pieno stile di Sahara Mizu, luminose. Nonostante la storia sia tetra e fredda, nelle tavole a colori c'è una miscela di colori caldi e di sfondi bianchi.
Come sopra detto il volume è inedito in Italia.
Mi accingo a dare impressioni personali. Durante la descrizione della trama, scuso dell'essere stata di un descrittivo piuttosto letterario e musicale ma l'unico modo per descrivere una trama come questa era quello di discendere una descrizione imparziale e dare soggettive suggestioni date dalla sensibilità di chi è lettore. Si è ben capito come questa sia un storia che merita l'essere letta. Di un romanticismo e di un malinconico tono triste da poter essere apprezzato anche da chi non predilige tematiche romantiche.
Il tratto della Mizu rende pienamente il tutto in modo egregio, davvero contenta dell'essere stata lei a disegnare questo gioiello di storia.
Consiglio vivamente la lettura di quest'opera, in quanto non cade nel banale o nel finto e ipocrita moralismo che ci circonda e ci nutre e di come non si sfiori numerosi luoghi comuni abbeverati da temi come questi. Una lettura che non va vista come atto di moralismo o come atto di vita, ma come una storia la quale più che insegnare qualcosa dimostra come in un fumetto si possa distruggere il mondo. Di come solo alcuni sanno farlo artisticamente.
Volume unico ancora (purtroppo) inedito in Italia.
Juri Mutou è un ex pianista con un violento passato alle spalle. Dopo aver tentato il suicidio tre volte viene invitata da sua zia suor Monica ad accompagnarla a fare visita ad un particolare detenuto, Yuu.
Anche quest'ultimo ha un passato del quale preferirebbe non venisse mai accennato nulla. Questi, come tutti i detenuti a cui è stata ''prescritta'' la pena di morte, si sveglia al mattino e si addormenta la sera imponendosi il dovere di non provare nulla e di pensare unicamente ad una cosa: il mattino successivo, se si è fortunati, è il proprio turno per morire.
Dopo iniziali conflitti tra suor Monica e Yuu, è Juri ad intercedere ed a iniziare un dialogo con il detenuto, con un progressivo aumento di coinvolgimento da parte di entrambi nella relazione che quasi inconsciamente hanno fatto nascere.
I personaggi, già numericamente pochi, potrebbe essere riassunti nelle sole figure di Juri e Yuu. C'è una giusta caratterizzazione psicologica di entrambi, ed un'innocenza quasi autentica in entrambi i caratteri piuttosto commovente. Il progredire della loro relazione è quasi invisibile, si viene coinvolti negli eventi in modo naturale, quasi come fosse la cosa più ovvia, come ad esempio compiere un normale e involontario gesto quotidiano, alzarsi al mattino.
L'amore viene visto non come atto primitivo di attrazione fisica o estetica ma come dialogo, confronto, abbraccio. I due portano avanti una chiacchierata nella quale si danno come in un atto sessuale, le lettere che si scrivono raccontano di eventi lontani eppure chiusi a forza nel cervello. Personaggi che si tengono dentro come unici compagni di vita i propri demoni, i proprio mostri e tutte le morti che vivendo si mettono in tasca.
Semplicemente, una storia d'amore originale nel quale si scopre dell'altro, se non le bocche dalle quali nascono e poi le orecchie nelle quali muoiono.
Il finale è drammatico e contorna di bianco la vicenda che forse proprio nel punto cardine e fondamentale, il finale, perde di tono. Mi spiego, per la drammaticità e il tono del quale la storia è tinta dare il finale che si è dato è quasi come cadere nel banale, questo però non viene fatto; strutturandolo per bene essendo questo l'unico finale concepibile per una storia del genere.
Disegno: apprezzo molto lo stile grafico di Sahara Mizu, personalmente prediligo le figure alte e scheletriche e quest'autrice mi delizia con i suoi personaggi consumati e spigolosi dagli sguardi tetri e lontani. Per una storia come questa, il tratto della Mizu è senz'altro più che azzeccato. La durezza delle vite dei due viene perfettamente disegnata nei volti cupi e nei corpi alti. La particolarità del loro rapporto incentrato sul dialogo è dato graficamente da continui e ripetuti primi piani e da impostazioni d'immagine nei riquadri estremamente fotografici e cinematografici. Assenza di sfondi, di architetture se non essenziali e totale invece assenza di paesaggi in quanto tutta la vicenda si svolge nella camera d'incontro tra i detenuti e i visitatori.
Proporzione tra i bianchi e i neri con una prevalenza di grigi, quasi metaforicamente rappresenta l'attesa, il non vivere e il non riuscire a morire.
Le tavole a colori sono nel pieno stile di Sahara Mizu, luminose. Nonostante la storia sia tetra e fredda, nelle tavole a colori c'è una miscela di colori caldi e di sfondi bianchi.
Come sopra detto il volume è inedito in Italia.
Mi accingo a dare impressioni personali. Durante la descrizione della trama, scuso dell'essere stata di un descrittivo piuttosto letterario e musicale ma l'unico modo per descrivere una trama come questa era quello di discendere una descrizione imparziale e dare soggettive suggestioni date dalla sensibilità di chi è lettore. Si è ben capito come questa sia un storia che merita l'essere letta. Di un romanticismo e di un malinconico tono triste da poter essere apprezzato anche da chi non predilige tematiche romantiche.
Il tratto della Mizu rende pienamente il tutto in modo egregio, davvero contenta dell'essere stata lei a disegnare questo gioiello di storia.
Consiglio vivamente la lettura di quest'opera, in quanto non cade nel banale o nel finto e ipocrita moralismo che ci circonda e ci nutre e di come non si sfiori numerosi luoghi comuni abbeverati da temi come questi. Una lettura che non va vista come atto di moralismo o come atto di vita, ma come una storia la quale più che insegnare qualcosa dimostra come in un fumetto si possa distruggere il mondo. Di come solo alcuni sanno farlo artisticamente.
Aperte le prime pagine virtualmente e sfogliate con iniziale distrazione, alla mia perplessità è in breve subentrata un'impressione di colpevolezza immediata e struggente per la poca attenzione prestata in precedenza alla lettura.
Watashitachi no shiawase na jikan non è una favola, lungi dall'esserlo, ma ne esercita fascino uguale su chiunque si avvicini incautamente a leggerne la storia. È un quadro di vita reale, dolorosamente reale, tratteggiato con cura e pochi sentimentalismi, tanti quanti ne bastano per non cadere nella ricercata banalizzazione che oggigiorno è diventato il mondo. I sentimenti non vengono commercializzati né sono oggetto di speculazione, così come le esperienze sofferte dei protagonisti della vicenda non diventano argomento patetico da sviscerare, ma solo un punto di svolta, positivo o meno che sia, verso il giorno che seguirà con deliberato tedio.
La protagonista femminile, Juri, agli albori di una promettente carriera da pianista intrapresa in tenera età per riscattare una nascita che ha provocato nella madre, pianista anch'ella, l'interruzione della propria, subisce una violenza da parte dell'insegnante privato, buon amico di famiglia. Nei suoi soli sedici anni si ritrova costretta a subirne una seconda e ben più brutale quando, cercando conforto nell'unica figura familiare rimastale oltre il fratello e una zia suora, vede rifiutata la sua versione e non creduta. Amareggiata nel profondo, delusa e ferita dal disinganno, abbandona la musica e con essa il concetto stesso di vita rifugiandosi nella meschinità della menzogna che è costretta a perpetrare giorno dopo giorno: far finta di nulla e tacere. Dieci anni dopo davvero poco è mutato, tranne l'odio che riversa verso quel mondo d'ipocrisia e sofferenza bruciante, nonché verso la madre che tanto tempo prima l'aveva accusata ingiustamente d'essere una bugiarda e ora d'essere un peso e un fallimento con le classiche e mortifere parole "Sarebbe stato meglio tu non fossi mai nata".
La vicenda trova il suo inizio al terzo tentativo di suicidio da parte sua, unico modo di risposta che le sembra d’avere per reagire, che la costringe in letto d'ospedale. Tre, quanti sono gli omicidi del condannato a morte Yuu, uomo che come lei non è rimasto ragazzo nel cuore a differenza di altri e forse mai lo è stato davvero, se non proprio nell'inespressa necessità di sicurezza e punti stabili a cui far riferimento di cui ci si abbisogna in quell'età difficile, sensibilissima a pressioni esterne e perciò tanto più fragile. Entrambi colpevoli del risvolto di futuri in scatafascio, vite che si diramano piene di nodi e prospettano minaccia di gragnola all'orizzonte, ma in ultima analisi innocenti quanto può esserlo uno animo devastato dalla pena e dal rammarico di ciò che ha fatto o perduto - innocenza e spensieratezza.
Errori e rimpianti accantonati in un angolo durante incontri settimanali in cui ci si presenta all'altro nella riscoperta di se stessi, della vita e della sua bellezza fugace. Giorni trascorsi nell'attesa del giovedì, profumo di primavera nella neve e nei sorrisi sfumati d'agrodolce malinconia. "Se solo io non...", "Se solo fosse Giovedì ogni giorno...", se, se, i se dell’esistenza che loro avevano smesso di porsi e che ora, riaccettando la vita per quel che è e da ad ognuno, ritrovano.
Una stanza di prigione e un vetro divisorio a separarli, manette ai polsi di lui e altre a quelle di lei, invisibili, che le impediscono di suonare e che Juri infine si dimostrerà capace di spezzare. Un orgoglio complicato da mandar giù quello di entrambi, ma che diventa chiaro nel rifiuto di pietà e commiserazione di cui s’appronta, "apparente comprensione" ricevuta da chi sembra invece non capire proprio nulla. Simili per esperienze e riflessioni riguardo l’ambiente che li circonda, Yuu e Juri capiscono di aver scovato un prezioso amico e alleato l’uno nell’altra, qualcuno che riesca davvero capire e non finga, ma soprattutto non sia gentile per un secondo fine che esuli dal semplice impulso di un attimo. Sono occhi che si osservano e si rispecchiano i loro, cicatrici complementari e un amore che non risulta affatto scontato, ma di una dolcezza che ferisce e consola, punge e guarisce. E non danna, ma fa male solo un po’, quel dolore che fa capire si sia ancora vivi e ricorda che anche nella sofferenza possa esserci qualcosa di bello. Perché nel se più grande, quello del “se non fosse successo quella maledetta cosa, non fosse scattata la molla nella mente in quel maledetto giorno” sta la base del loro incontro e del loro rapporto. Sarebbero stati diversi, non si sarebbero mai conosciuti e probabilmente mai sarebbero cambiati. Non sarebbero state le persone migliori che sono adesso, capaci di affrontare con le lacrime, ma a testa alta, ciò che li attende alla fine di un lungo corridoio e di una scalinata. Di accettare le gioie così come le tristezze della vita e dispiegare a proprio piacimento i ricordi dei preziosi momenti vissuti in comune.
Watashitachi no shiawase na jikan è un percorso di otto tappe, un fiore a cui strappare per gioco le corolle, petalo dopo petalo, con tenerezza commovente e toccante. Un ardente sensazione di libertà quella del finale, che dilegua l’amaro lasciato in bocca poche pagine indietro con un senso di pace e speranza, la capacità di perdonare i torti subiti e andare avanti, voltare pagina una volta per tutte.
Passato che s’intona in un’ultima musica d’addio suonata al pianoforte, astio perduto da tempo e l’ultimo ricordo a cui aggrapparsi, quello che in fin dei conti il loro incontro fosse già avvenuto nel confine labile dove tutto è possibile.
Le lacrime non sono e non saranno mai sinonimo di debolezza o incertezza, ma solo sfogo di quel che si ha nell’animo. La tristezza non tortura né lambisce con carezze mortifere né tantomeno culla. È lo sfogo di un sentimento normalissimo che non ci deve essere precluso: di delusione, sconforto, dispiacere. Un invito a lasciarsi andare alle richieste del cuore. Gli ultimi sguardi che i protagonisti si scambiano, così umani, limpidi e pulsanti, mi hanno scosso nel profondo, così come l’intera storia e l’intreccio della trama.
Il fatto incontrovertibile sia un unico volume mi aveva fatto dubitare della valenza di un’opera che nella sua brevità immaginavo insipida, davo già per scontata considerata comunque la mole di argomenti che si prefissava di presentare e affrontare. Dubbi dissipati completamente, come avrete potuto intuire.
Non solo quindi una storia degnissima del voto pieno che mi sento in dovere di darle, ma trattata con una cura per i dettagli, i dialoghi, la caratterizzazione di ogni singolo personaggio, il turbine di emozioni che provoca nel lettore che s’accinge ad immergersi e un senso del verosimile che lascia di stucco. Chiunque potrebbe essere Juri e chiunque tra noi potrebbe cadere nel vortice disperato in cui l’abuso di pazienza ha trascinato Yuu. Ed è questo che più di tutto colpisce e sgomenta: che per una volta non ci si deve sforzare di vedere od essere eroi. Lo si diventa per le piccole azioni, normali schermaglie quotidiane. Eroe è il giovane universitario che lavora e si mantiene gli studi, la donna che fa il lavoro a tempo pieno di casalinga e la madre senza altra retribuzione che non sia rispetto e gratitudine e affetto dalla sua famiglia. Eroi sono questi due ragazzi e chiunque ne legga la storia e ne comprenda il messaggio trasmesso.
Watashitachi no shiawase na jikan non è una favola, lungi dall'esserlo, ma ne esercita fascino uguale su chiunque si avvicini incautamente a leggerne la storia. È un quadro di vita reale, dolorosamente reale, tratteggiato con cura e pochi sentimentalismi, tanti quanti ne bastano per non cadere nella ricercata banalizzazione che oggigiorno è diventato il mondo. I sentimenti non vengono commercializzati né sono oggetto di speculazione, così come le esperienze sofferte dei protagonisti della vicenda non diventano argomento patetico da sviscerare, ma solo un punto di svolta, positivo o meno che sia, verso il giorno che seguirà con deliberato tedio.
La protagonista femminile, Juri, agli albori di una promettente carriera da pianista intrapresa in tenera età per riscattare una nascita che ha provocato nella madre, pianista anch'ella, l'interruzione della propria, subisce una violenza da parte dell'insegnante privato, buon amico di famiglia. Nei suoi soli sedici anni si ritrova costretta a subirne una seconda e ben più brutale quando, cercando conforto nell'unica figura familiare rimastale oltre il fratello e una zia suora, vede rifiutata la sua versione e non creduta. Amareggiata nel profondo, delusa e ferita dal disinganno, abbandona la musica e con essa il concetto stesso di vita rifugiandosi nella meschinità della menzogna che è costretta a perpetrare giorno dopo giorno: far finta di nulla e tacere. Dieci anni dopo davvero poco è mutato, tranne l'odio che riversa verso quel mondo d'ipocrisia e sofferenza bruciante, nonché verso la madre che tanto tempo prima l'aveva accusata ingiustamente d'essere una bugiarda e ora d'essere un peso e un fallimento con le classiche e mortifere parole "Sarebbe stato meglio tu non fossi mai nata".
La vicenda trova il suo inizio al terzo tentativo di suicidio da parte sua, unico modo di risposta che le sembra d’avere per reagire, che la costringe in letto d'ospedale. Tre, quanti sono gli omicidi del condannato a morte Yuu, uomo che come lei non è rimasto ragazzo nel cuore a differenza di altri e forse mai lo è stato davvero, se non proprio nell'inespressa necessità di sicurezza e punti stabili a cui far riferimento di cui ci si abbisogna in quell'età difficile, sensibilissima a pressioni esterne e perciò tanto più fragile. Entrambi colpevoli del risvolto di futuri in scatafascio, vite che si diramano piene di nodi e prospettano minaccia di gragnola all'orizzonte, ma in ultima analisi innocenti quanto può esserlo uno animo devastato dalla pena e dal rammarico di ciò che ha fatto o perduto - innocenza e spensieratezza.
Errori e rimpianti accantonati in un angolo durante incontri settimanali in cui ci si presenta all'altro nella riscoperta di se stessi, della vita e della sua bellezza fugace. Giorni trascorsi nell'attesa del giovedì, profumo di primavera nella neve e nei sorrisi sfumati d'agrodolce malinconia. "Se solo io non...", "Se solo fosse Giovedì ogni giorno...", se, se, i se dell’esistenza che loro avevano smesso di porsi e che ora, riaccettando la vita per quel che è e da ad ognuno, ritrovano.
Una stanza di prigione e un vetro divisorio a separarli, manette ai polsi di lui e altre a quelle di lei, invisibili, che le impediscono di suonare e che Juri infine si dimostrerà capace di spezzare. Un orgoglio complicato da mandar giù quello di entrambi, ma che diventa chiaro nel rifiuto di pietà e commiserazione di cui s’appronta, "apparente comprensione" ricevuta da chi sembra invece non capire proprio nulla. Simili per esperienze e riflessioni riguardo l’ambiente che li circonda, Yuu e Juri capiscono di aver scovato un prezioso amico e alleato l’uno nell’altra, qualcuno che riesca davvero capire e non finga, ma soprattutto non sia gentile per un secondo fine che esuli dal semplice impulso di un attimo. Sono occhi che si osservano e si rispecchiano i loro, cicatrici complementari e un amore che non risulta affatto scontato, ma di una dolcezza che ferisce e consola, punge e guarisce. E non danna, ma fa male solo un po’, quel dolore che fa capire si sia ancora vivi e ricorda che anche nella sofferenza possa esserci qualcosa di bello. Perché nel se più grande, quello del “se non fosse successo quella maledetta cosa, non fosse scattata la molla nella mente in quel maledetto giorno” sta la base del loro incontro e del loro rapporto. Sarebbero stati diversi, non si sarebbero mai conosciuti e probabilmente mai sarebbero cambiati. Non sarebbero state le persone migliori che sono adesso, capaci di affrontare con le lacrime, ma a testa alta, ciò che li attende alla fine di un lungo corridoio e di una scalinata. Di accettare le gioie così come le tristezze della vita e dispiegare a proprio piacimento i ricordi dei preziosi momenti vissuti in comune.
Watashitachi no shiawase na jikan è un percorso di otto tappe, un fiore a cui strappare per gioco le corolle, petalo dopo petalo, con tenerezza commovente e toccante. Un ardente sensazione di libertà quella del finale, che dilegua l’amaro lasciato in bocca poche pagine indietro con un senso di pace e speranza, la capacità di perdonare i torti subiti e andare avanti, voltare pagina una volta per tutte.
Passato che s’intona in un’ultima musica d’addio suonata al pianoforte, astio perduto da tempo e l’ultimo ricordo a cui aggrapparsi, quello che in fin dei conti il loro incontro fosse già avvenuto nel confine labile dove tutto è possibile.
Le lacrime non sono e non saranno mai sinonimo di debolezza o incertezza, ma solo sfogo di quel che si ha nell’animo. La tristezza non tortura né lambisce con carezze mortifere né tantomeno culla. È lo sfogo di un sentimento normalissimo che non ci deve essere precluso: di delusione, sconforto, dispiacere. Un invito a lasciarsi andare alle richieste del cuore. Gli ultimi sguardi che i protagonisti si scambiano, così umani, limpidi e pulsanti, mi hanno scosso nel profondo, così come l’intera storia e l’intreccio della trama.
Il fatto incontrovertibile sia un unico volume mi aveva fatto dubitare della valenza di un’opera che nella sua brevità immaginavo insipida, davo già per scontata considerata comunque la mole di argomenti che si prefissava di presentare e affrontare. Dubbi dissipati completamente, come avrete potuto intuire.
Non solo quindi una storia degnissima del voto pieno che mi sento in dovere di darle, ma trattata con una cura per i dettagli, i dialoghi, la caratterizzazione di ogni singolo personaggio, il turbine di emozioni che provoca nel lettore che s’accinge ad immergersi e un senso del verosimile che lascia di stucco. Chiunque potrebbe essere Juri e chiunque tra noi potrebbe cadere nel vortice disperato in cui l’abuso di pazienza ha trascinato Yuu. Ed è questo che più di tutto colpisce e sgomenta: che per una volta non ci si deve sforzare di vedere od essere eroi. Lo si diventa per le piccole azioni, normali schermaglie quotidiane. Eroe è il giovane universitario che lavora e si mantiene gli studi, la donna che fa il lavoro a tempo pieno di casalinga e la madre senza altra retribuzione che non sia rispetto e gratitudine e affetto dalla sua famiglia. Eroi sono questi due ragazzi e chiunque ne legga la storia e ne comprenda il messaggio trasmesso.
Sull'onda del delizioso <em>My Girl</em> non ho potuto fare a meno di leggere anche questo manga dal nome impronunciabile per un non nippofono. La trama è riportata nella scheda, quindi non serve ripetersi, panche perché poi effettivamente non succede molto altro. Cosa quindi per giustificare un voto così alto? Nulla, a parte il fatto che si tratti di una storia delicata, ben raccontata e ben illustrata, dolcissima e dolorosa.
Parlando di esperienza personale, non avevo pianto così tanto da quando ho visto <em>Big Fish</em> di Tim Burton. Lo si legge velocemente, non perché sia brevissimo (già è invitante che si tratti di un volumetto unico) ma perché la narrazione è assolutamente priva di punti morti e trascinante; finita una pagina non vedi l'ora di come sarà quella dopo, e finito un capitolo non vedi l'ora di come sarà il successivo, sperando che non finisca mai tant'è dolce il connubio tra tragedia e poesia che va a delinearsi in questo bellissimo manga.
Se già <em>My Girl</em> è stato un delizioso ed oculatissimo acquisto per il mercato italiano non posso che augurarmi una rapida (sigh!) edizione da qualche casa editrice della penisola. Da tenere sulla scrivania, da leggere e rileggere.
Parlando di esperienza personale, non avevo pianto così tanto da quando ho visto <em>Big Fish</em> di Tim Burton. Lo si legge velocemente, non perché sia brevissimo (già è invitante che si tratti di un volumetto unico) ma perché la narrazione è assolutamente priva di punti morti e trascinante; finita una pagina non vedi l'ora di come sarà quella dopo, e finito un capitolo non vedi l'ora di come sarà il successivo, sperando che non finisca mai tant'è dolce il connubio tra tragedia e poesia che va a delinearsi in questo bellissimo manga.
Se già <em>My Girl</em> è stato un delizioso ed oculatissimo acquisto per il mercato italiano non posso che augurarmi una rapida (sigh!) edizione da qualche casa editrice della penisola. Da tenere sulla scrivania, da leggere e rileggere.