All’inizio degli anni ‘70 Toru Hirayama, un produttore della Toei, collaborò con Shōtarō Ishinomori, uno dei mangaka più famosi e influenti della scena mainstream degli anni ‘60, per realizzare una nuova serie live action per l’emittente televisivo MBS. Da questa collaborazione nacque Kamen Rider, la storia di Takeshi Hongo, un supereroe mascherato che, a cavallo di una motocicletta, combatte contro la Shocker, l’organizzazione neo-nazista che lo ha trasformato contro la sua volontà in un cyborg metà uomo e metà cavalletta e che mira a controllare il mondo.
La serie iniziò la messa in onda nell’aprile del 1971 e fu affiancata da un manga scritto e disegnato dallo stesso Ishinomori, serializzato sulle riviste Weekly Bokura Magazine e Weekly Shōnen Magazine, dando così i natali a un franchise destinato a diventare un caposaldo della cultura pop giapponese.
Nel 2021, a 50 anni dalla nascita di Kamen Rider, Toei ha annunciato la produzione di Shin Kamen Rider, lungometraggio ispirato a quella prima storica serie scritto e diretto da Hideaki Anno, regista principalmente conosciuto per aver creato e diretto Neon Genesis Evangelion ma che da ormai più di 20 anni ha affiancato alla sua carriera nel mondo dell’animazione una altrettanto proficua carriera da regista di film dal vivo. Il film, uscito a marzo 2023 nelle sale giapponesi, è infine stato distribuito nel resto del mondo lo scorso 21 luglio tramite la piattaforma di streaming Amazon Prime Video, accompagnato in Occidente dall’infelice scelta di cambiarne il titolo in Shin Masked Rider.
Oltre a far parte delle celebrazioni per i 50 anni del franchise, Shin Kamen Rider è il quarto tassello dello Shin Japan Heroes Universe, un progetto senza precedenti che vede la collaborazione di alcune delle più importanti case di produzione cinematografiche giapponesi quali TOHO, Toei, Tsuburaya e Studio Khara.
Non si tratta di un universo narrativo condiviso come l’occidentale Marvel Cinematic Universe, ma di una serie di film narrativamente indipendenti tra loro legati da un progetto artistico (e commerciale) comune: rifondare e rilanciare alcune delle più importanti icone della cultura pop giapponese sotto la direzione di Hideaki Anno e dei suoi collaboratori. Come già notato altrove, la parola シン shin scritta in katakana (uno degli alfabeti fonetici della lingua giapponese) può rimandare a diversi significati, tra cui 新 shin “nuovo” e 真 shin “vero”, ed è proprio in questa ambiguità linguistica che si nascondono gli obiettivi di questi film: tornare alle radici per realizzare qualcosa di nuovo, stravolgere per far emergere il cuore più vero. Così, dopo Shin Godzilla (2016), dopo Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time (2021, titolo giapponese: Shin Evangelion Gekijōban), e dopo Shin Ultraman (2021, diretto da Shinji Higuchi ma sceneggiato, prodotto e “supervisionato” sempre da Anno), è infine il turno di Shin Kamen Rider di portarci al cuore di un'altra icona immortale.
Il film intreccia le trame della prima decina di episodi della serie TV con alcuni degli elementi più viscerali del manga di Ishinomori, che aveva disegnato una versione di Kamen Rider dalle atmosfere più cupe rispetto alla controparte live action. La missione di Takeshi e Ruriko è una battaglia fatta di violenza e solitudine, tempestata da mutazioni orrorifiche che non caratterizzano solo i corpi dei loro nemici ma anche quello dello stesso Kamen Rider, che, esattamente come immaginato da Ishinomori, è contemporaneamente un paladino della giustizia e una figura mostruosa, un animo gentile che vive un rapporto conflittuale con le atrocità di cui è costretto a macchiarsi. Su questa base Anno innesta una serie di tematiche che sono tipiche della sua produzione quali l’importanza dei legami e la necessità di accettare ogni aspetto dell’esistenza, dolore incluso, per poter raggiungere la felicità.
L’evoluzione di Takeshi e Ruriko, personaggio in origine secondario qui completamente reinventato e reso centrale, procede di pari passo con l’esplorazione di questi temi. Takeshi, alla ricerca di un equilibrio tra la necessità di usare i suoi spaventosi poteri per fare del bene e il bisogno di non lasciarsi andare a una violenza fine a sé stessa, si avvicina a Ruriko per cercare di capire le motivazioni che la spingono a combattere con tanta dedizione; allo stesso tempo Ruriko, che si presenta come un personaggio freddo e calcolatore, finisce per schiudersi davanti al senso di responsabilità e alla gentilezza di Takeshi, imparando a condividere il peso delle proprie responsabilità e ad apprezzare quel mondo fatto di rapporti umani sinceri e disinteressati che non aveva mai conosciuto pienamente. Al contrario, questa nuova versione della S.H.O.C.K.E.R., guidata da un santone in tunica bianca, professa la felicità incondizionata, la devozione assoluta e il dominio sull'esistenza di forze mistiche richiamando il fenomeno delle sette religiose, problema ancora piuttosto radicato in Giappone che proprio di recente è tornato al centro delle polemiche. Queste sette attirano principalmente persone in fuga dalla società promettendo i mezzi spirituali per raggiungere la felicità in terra e nell'aldilà. Non è quindi un caso se nel film ritroviamo i generali della S.H.O.C.K.E.R. impegnati a sperimentare pratiche di violenza, obbedienza, isolamento, sottomissione e annullamento del dolore in una ricerca della felicità che parte da presupposti sbagliati e che non può quindi che condurre a risultati disumanizzanti.
Questi elementi sono incastonati in una sceneggiatura oltremodo prolissa ma allo stesso tempo essenziale. Prolissa nella terminologia altisonante, nelle lunghe spiegazioni e nei tanti dialoghi che accumula senza sosta, risultando densissima di temi e informazioni che non aspettano altro di essere sviscerati dai critici e dagli appassionati. Sceneggiatura che, però, si può anche definire essenziale per come espone ciascuno di questi elementi, compresi i dialoghi che danno vita al carattere dei protagonisti e ne punteggiano la progressiva evoluzione, in maniera assolutamente utilitaristica e meccanica, ripetendosi il meno possibile per passare subito a quel che viene dopo.
Questa caratteristica, unita a una struttura fortemente episodica dal ritmo incessante, priva i momenti di pausa del film del respiro necessario a costruire in maniera organica il trasporto che le vicende dei suoi protagonisti cercano di evocare, incaricando in parte lo spettatore con l’onere di lavorare attivamente da sé per farsi coinvolgere sul piano emotivo. Un aspetto del film a volte mitigato da alcune ottime prove attoriali, come quella di Minami Hamabe, ma che si fa particolarmente marcato nelle battute finali, quando i riflettori sono tutti puntati sulla tragedia di un personaggio la cui storia è stata presentata unicamente attraverso un velocissimo flashback di pochi secondi e da poche battute di dialogo, lasciando perlopiù indifferenti dinanzi a un momento che vorrebbe apparire particolarmente drammatico.
Tutte queste caratteristiche del film sono, nel bene e nel male, a volte mitigate, a volte esaltate e a volte persino arricchite dalla messa in scena. Shin Kamen Rider non è semplicemente un omaggio a Kamen Rider, ma uno studio vero e proprio della serie originale volto a comprenderne gli aspetti più interessanti e gli effetti che questi suscitavano negli spettatori dell’epoca per replicarli in quelli di oggi. A questo proposito, il lavoro fatto sul design dei costumi dal team formato da Anno, Yutaka Izubuchi, Mahiro Maeda, Ikuto Yamashita e i loro collaboratori è assolutamente d’antologia. Per i Kamen Rider si è optato per un lavoro di esaltazione dei design originali di Ishinomori, rifinendone i dettagli e operando un’unica aggiunta, quella del cappotto nero, divenuta immediatamente iconica. Più radicali sono stati invece i cambiamenti apportati ai nemici, i cui design sono stati praticamente ripensati da zero spaziando dal grottesco all’hi-tech, dalla strizzata d’occhio ai film di genere jidai-geki e yakuza all’omaggio ad altri personaggi di Ishinomori.
Si tratta sicuramente di uno degli aspetti in cui il film eccelle, tanto nella ideazione concettuale quanto nella loro concretizzazione nei costumi reali indossati dagli attori. Lo studio dell’originale è poi proseguito soprattutto nella ricostruzione esatta di diverse scene del primo episodio, nel riutilizzo (e ricostruzione) di alcuni degli ambienti e dei luoghi in cui fu girata la serie, nelle citazioni a elementi della sua messa in scena e dei suoi dietro le quinte, nella riproposizione di diverse tracce della colonna sonora riarrangiate da Taque Iwasaki e, infine, nel tentativo di replicare la natura sperimentale della regia di quei primi inquietanti episodi a cui il film si rifà maggiormente. Quest’ultimo aspetto si sovrappone poi alla ricerca stilistica che Anno ha portato avanti in maniera continua in tutti i suoi film dal vivo e che raggiunge qui il suo culmine.
Così come la scrittura racchiude un sunto di buona parte dei temi, dei caratteri e dei vizi formali delle sue sceneggiature, sul piano della messa in scena Shin Kamen Rider è una sintesi di tutto il lavoro da regista di Anno.
C’è l’impiego di videocamere digitali per realizzare inquadrature e sequenze ardite come in Love & Pop (1998) e Shin Godzilla, c’è la fotografia (e alcuni ambienti) di Shiki-Jitsu (2000), e ci sono l’integrazione di effetti speciali pratici, di effetti visivi applicati in digitale e di modelli in CGI di Shin Godzilla e Cutie Honey (2004). Da quest’ultimo Shin Kamen Rider riprende anche il tentativo di avvicinare il cinema dal vivo all’animazione, un lavoro che risplende soprattutto nello scontro tra Kamen Rider e Wasp-Aug, probabilmente la scena d’azione più memorabile del film, dove la differente velocità dei due è rappresentata mediante l’uso di scie di luce e una diversa modulazione dei frame che compongono il movimento dei personaggi.
L’unione tra cinema dal vivo e animazione va però ben oltre questa singola scena e si estende a tutto il film mediante l’estremo controllo che Anno e il suo staff applicano alla maggior parte delle scene d’azione del film, generando una sensazione di artificialità del tutto peculiare. Ed è proprio qui, a partire da questa artificialità onnipresente, che Shin Kamen Rider passa dall’essere un film interessante, seppur con i suoi alti e i suoi bassi, all’essere un oggetto strano di difficile classificazione.
I tokusatsu, ovvero i film e le serie TV giapponesi caratterizzate da un uso massiccio di effetti speciali, sia per limiti tecnici che per scelta stilistica puntano raramente a una resa naturale e realistica degli elementi fantastici che mettono in scena, non nascondendo completamente l’artificio ed esaltando quindi la cura artigianale che si nasconde dietro ogni mostro, ogni ambientazione fantastica o fantascientifica, ogni paesaggio urbano e naturale ricostruito in miniatura. Si tratta di un’idea di cinema sicuramente distante da quella occidentale odierna che, soprattutto nell’ambito dei blockbuster americani, punta a una resa dell’artificio quanto più realistica e invisibile possibile mediante l’uso di una CGI elaborata (e costosa).
Nonostante queste premesse, Shin Kamen Rider riesce comunque a distinguersi per come calca la mano sull’artificialità di quanto sta mostrando, arrivando così a mettere a nudo la propria natura di “messinscena”, di recita, in modi che vanno persino oltre le scelte fatte per la resa degli elementi fantastici del film. Partendo però proprio da questi ultimi, è innegabile quanto “l’inganno” del film si muova costantemente tra il posticcio e l’invisibile.
Posticcio è lo scontro tra Takeshi Hongo e Hayato Ichimonji in cui due modelli in CGI combattono in aria, cercando di rendere su schermo i poteri da cavalletta di Kamen Rider in una maniera meccanica e per nulla realistica che si alterna con inquadrature degli attori che eseguono in cielo acrobazie del tutto identiche a quelle che si potevano ammirare nella serie originale. Sempre visibili, anche se meno posticci, sono i ritocchi ai primi piani che li vedono rivolti verso l’obiettivo mentre sferrano pugni, il cui movimento è stato rimodulato per apparire più caricaturale e stilizzato, effetto usato anche su alcune delle movenze sincronizzate degli sgherri della S.H.O.C.K.E.R. Il fisico di questi ultimi è stato inoltre modificato mediante l’utilizzo del computer per renderli tutti identici in termini di altezza e costituzione, di fatto annullando parzialmente la corporeità degli attori a favore di modelli in CGI (come svelato dal documentario dedicato al film andato in onda sulla NHK) e, quindi, di una tecnica di animazione. L’effetto artificiale qui non scaturisce dallo svelamento del trucco, che in questo caso rimane invisibile, quanto dall’irrealtà del risultato finale. Altrettanto si può dire per alcune delle scelte stilistiche che riguardano gli effetti speciali pratici, come nel combattimento splatter che apre il film in cui ogni colpo sferrato da Kamen Rider colpisce tanto per la sua violenza quanto per l’esagerazione quasi caricaturale della secchiata di sangue che ne consegue.
Questa ricerca dell’artificio coinvolge anche il resto della messa in scena del film. La regia e il montaggio di Shin Kamen Rider presentano un'essenzialità a tratti persino superiore a quella della sceneggiatura. Ogni inquadratura, ogni taglio, ogni movimento degli attori appare calcolato al millimetro allo scopo di presentare ogni singolo dettaglio del racconto nella maniera più efficiente e sintetica possibile, inclusa l’interiorità dei suoi personaggi.
Il film non si concede neanche una scena dallo stile più naturalistico, preferendo invece un autocontrollo assoluto in ogni istante, anche nei momenti maggiormente riflessivi e intimi. Un primo piano della mano insanguinata di Takeshi sottolinea la sua repulsione per le proprie azioni, tanto quanto l’inquadratura dei suoi piedi, che evidenzia il sangue sotto la suola di una delle sue scarpe, racconta la sua risolutezza a superare questa repulsione in nome della missione da compiere. Allo stesso modo, l’incontro tra due binari del treno mostra, senza far uso di parole, l’allinearsi degli obiettivi di Takeshi con quelli di Ruriko.
L'uso continuo di inquadrature dalla composizione attentamente studiata e di un montaggio che si articola in una sequenza di tagli incessanti permette a Shin Kamen Rider di continuare a sottolineare la propria natura di opera di finzione, operazione che si fa ancora più palese con i richiami al teatro, forma d’arte a cui Anno fa spesso riferimento nelle sue opere, evocato non solo dalla recitazione impostata degli attori ma anche da alcune precise scelte di regia.
L’elemento più vistoso di questo aspetto riguarda sicuramente la scelta delle ambientazioni: tutte le scene al chiuso sono infatti ambientate all’interno di grandi set spogli o dall’arredamento essenziale che ricordano palcoscenici e teatri di posa. Questo si fa particolarmente esplicito nella sezione del film ambientata nel covo di Bat-Aug dove, tra il luogo scelto, gli avvenimenti e le inquadrature, tutto sembra pensato per dare l’impressione di star assistendo a una recita teatrale. A questo proposito, è interessante notare come la prima volta che vediamo Takeshi senza la maschera di Kamen Rider il personaggio compia proprio l’azione di “entrare in scena”, passando dal “dietro le quinte” (con tanto di postazione per guardarsi allo specchio!) al palcoscenico su cui si svolgerà il primo lungo dialogo del film. Lo fa con un movimento catturato da un brevissimo piano sequenza che ci permette anche di notare Ruriko ferma immobile ad aspettarlo al centro della scena, come un’attrice in attesa del proprio turno per iniziare a recitare. Recitazione che per tutto il film viene spesso inquadrata con dei primi piani o dei mezzi busti in cui gli attori guardano direttamente dentro la telecamera, come a sottolineare che quel che stanno dicendo non è rivolto unicamente agli altri personaggi della storia ma anche agli spettatori, replicando tramite la regia e il montaggio quel che avviene in un certo tipo di teatro in cui gli attori dialogano tenendosi sempre di fronte al pubblico.
Si ringrazia Maboroshi96 (terreillustrate.it)
La serie iniziò la messa in onda nell’aprile del 1971 e fu affiancata da un manga scritto e disegnato dallo stesso Ishinomori, serializzato sulle riviste Weekly Bokura Magazine e Weekly Shōnen Magazine, dando così i natali a un franchise destinato a diventare un caposaldo della cultura pop giapponese.
Nel 2021, a 50 anni dalla nascita di Kamen Rider, Toei ha annunciato la produzione di Shin Kamen Rider, lungometraggio ispirato a quella prima storica serie scritto e diretto da Hideaki Anno, regista principalmente conosciuto per aver creato e diretto Neon Genesis Evangelion ma che da ormai più di 20 anni ha affiancato alla sua carriera nel mondo dell’animazione una altrettanto proficua carriera da regista di film dal vivo. Il film, uscito a marzo 2023 nelle sale giapponesi, è infine stato distribuito nel resto del mondo lo scorso 21 luglio tramite la piattaforma di streaming Amazon Prime Video, accompagnato in Occidente dall’infelice scelta di cambiarne il titolo in Shin Masked Rider.
Oltre a far parte delle celebrazioni per i 50 anni del franchise, Shin Kamen Rider è il quarto tassello dello Shin Japan Heroes Universe, un progetto senza precedenti che vede la collaborazione di alcune delle più importanti case di produzione cinematografiche giapponesi quali TOHO, Toei, Tsuburaya e Studio Khara.
Non si tratta di un universo narrativo condiviso come l’occidentale Marvel Cinematic Universe, ma di una serie di film narrativamente indipendenti tra loro legati da un progetto artistico (e commerciale) comune: rifondare e rilanciare alcune delle più importanti icone della cultura pop giapponese sotto la direzione di Hideaki Anno e dei suoi collaboratori. Come già notato altrove, la parola シン shin scritta in katakana (uno degli alfabeti fonetici della lingua giapponese) può rimandare a diversi significati, tra cui 新 shin “nuovo” e 真 shin “vero”, ed è proprio in questa ambiguità linguistica che si nascondono gli obiettivi di questi film: tornare alle radici per realizzare qualcosa di nuovo, stravolgere per far emergere il cuore più vero. Così, dopo Shin Godzilla (2016), dopo Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time (2021, titolo giapponese: Shin Evangelion Gekijōban), e dopo Shin Ultraman (2021, diretto da Shinji Higuchi ma sceneggiato, prodotto e “supervisionato” sempre da Anno), è infine il turno di Shin Kamen Rider di portarci al cuore di un'altra icona immortale.
L’incipit del film ricalca da vicino quello della serie originale: Takeshi Hongo è ancora una volta rapito e trasformato contro la sua volontà in un cyborg metà uomo e metà cavalletta dalla S.H.O.C.K.E.R., un’inquietante organizzazione che mira a condurre l’uomo verso una felicità utopica. Diviso tra il terrore per un corpo che non sente più suo, un potere che non ha chiesto e un senso del dovere che lo spinge a usarlo per scopi nobili, Takeshi decide di diventare Kamen Rider e di unirsi a Ruriko Midorikawa, figlia dello scienziato che lo ha scelto come cavia, nella sua crociata contro la S.H.O.C.K.E.R., i cui scopi reali sono tutt’altro che utopici.
Il film intreccia le trame della prima decina di episodi della serie TV con alcuni degli elementi più viscerali del manga di Ishinomori, che aveva disegnato una versione di Kamen Rider dalle atmosfere più cupe rispetto alla controparte live action. La missione di Takeshi e Ruriko è una battaglia fatta di violenza e solitudine, tempestata da mutazioni orrorifiche che non caratterizzano solo i corpi dei loro nemici ma anche quello dello stesso Kamen Rider, che, esattamente come immaginato da Ishinomori, è contemporaneamente un paladino della giustizia e una figura mostruosa, un animo gentile che vive un rapporto conflittuale con le atrocità di cui è costretto a macchiarsi. Su questa base Anno innesta una serie di tematiche che sono tipiche della sua produzione quali l’importanza dei legami e la necessità di accettare ogni aspetto dell’esistenza, dolore incluso, per poter raggiungere la felicità.
L’evoluzione di Takeshi e Ruriko, personaggio in origine secondario qui completamente reinventato e reso centrale, procede di pari passo con l’esplorazione di questi temi. Takeshi, alla ricerca di un equilibrio tra la necessità di usare i suoi spaventosi poteri per fare del bene e il bisogno di non lasciarsi andare a una violenza fine a sé stessa, si avvicina a Ruriko per cercare di capire le motivazioni che la spingono a combattere con tanta dedizione; allo stesso tempo Ruriko, che si presenta come un personaggio freddo e calcolatore, finisce per schiudersi davanti al senso di responsabilità e alla gentilezza di Takeshi, imparando a condividere il peso delle proprie responsabilità e ad apprezzare quel mondo fatto di rapporti umani sinceri e disinteressati che non aveva mai conosciuto pienamente. Al contrario, questa nuova versione della S.H.O.C.K.E.R., guidata da un santone in tunica bianca, professa la felicità incondizionata, la devozione assoluta e il dominio sull'esistenza di forze mistiche richiamando il fenomeno delle sette religiose, problema ancora piuttosto radicato in Giappone che proprio di recente è tornato al centro delle polemiche. Queste sette attirano principalmente persone in fuga dalla società promettendo i mezzi spirituali per raggiungere la felicità in terra e nell'aldilà. Non è quindi un caso se nel film ritroviamo i generali della S.H.O.C.K.E.R. impegnati a sperimentare pratiche di violenza, obbedienza, isolamento, sottomissione e annullamento del dolore in una ricerca della felicità che parte da presupposti sbagliati e che non può quindi che condurre a risultati disumanizzanti.
Questi elementi sono incastonati in una sceneggiatura oltremodo prolissa ma allo stesso tempo essenziale. Prolissa nella terminologia altisonante, nelle lunghe spiegazioni e nei tanti dialoghi che accumula senza sosta, risultando densissima di temi e informazioni che non aspettano altro di essere sviscerati dai critici e dagli appassionati. Sceneggiatura che, però, si può anche definire essenziale per come espone ciascuno di questi elementi, compresi i dialoghi che danno vita al carattere dei protagonisti e ne punteggiano la progressiva evoluzione, in maniera assolutamente utilitaristica e meccanica, ripetendosi il meno possibile per passare subito a quel che viene dopo.
Questa caratteristica, unita a una struttura fortemente episodica dal ritmo incessante, priva i momenti di pausa del film del respiro necessario a costruire in maniera organica il trasporto che le vicende dei suoi protagonisti cercano di evocare, incaricando in parte lo spettatore con l’onere di lavorare attivamente da sé per farsi coinvolgere sul piano emotivo. Un aspetto del film a volte mitigato da alcune ottime prove attoriali, come quella di Minami Hamabe, ma che si fa particolarmente marcato nelle battute finali, quando i riflettori sono tutti puntati sulla tragedia di un personaggio la cui storia è stata presentata unicamente attraverso un velocissimo flashback di pochi secondi e da poche battute di dialogo, lasciando perlopiù indifferenti dinanzi a un momento che vorrebbe apparire particolarmente drammatico.
Tutte queste caratteristiche del film sono, nel bene e nel male, a volte mitigate, a volte esaltate e a volte persino arricchite dalla messa in scena. Shin Kamen Rider non è semplicemente un omaggio a Kamen Rider, ma uno studio vero e proprio della serie originale volto a comprenderne gli aspetti più interessanti e gli effetti che questi suscitavano negli spettatori dell’epoca per replicarli in quelli di oggi. A questo proposito, il lavoro fatto sul design dei costumi dal team formato da Anno, Yutaka Izubuchi, Mahiro Maeda, Ikuto Yamashita e i loro collaboratori è assolutamente d’antologia. Per i Kamen Rider si è optato per un lavoro di esaltazione dei design originali di Ishinomori, rifinendone i dettagli e operando un’unica aggiunta, quella del cappotto nero, divenuta immediatamente iconica. Più radicali sono stati invece i cambiamenti apportati ai nemici, i cui design sono stati praticamente ripensati da zero spaziando dal grottesco all’hi-tech, dalla strizzata d’occhio ai film di genere jidai-geki e yakuza all’omaggio ad altri personaggi di Ishinomori.
Si tratta sicuramente di uno degli aspetti in cui il film eccelle, tanto nella ideazione concettuale quanto nella loro concretizzazione nei costumi reali indossati dagli attori. Lo studio dell’originale è poi proseguito soprattutto nella ricostruzione esatta di diverse scene del primo episodio, nel riutilizzo (e ricostruzione) di alcuni degli ambienti e dei luoghi in cui fu girata la serie, nelle citazioni a elementi della sua messa in scena e dei suoi dietro le quinte, nella riproposizione di diverse tracce della colonna sonora riarrangiate da Taque Iwasaki e, infine, nel tentativo di replicare la natura sperimentale della regia di quei primi inquietanti episodi a cui il film si rifà maggiormente. Quest’ultimo aspetto si sovrappone poi alla ricerca stilistica che Anno ha portato avanti in maniera continua in tutti i suoi film dal vivo e che raggiunge qui il suo culmine.
Così come la scrittura racchiude un sunto di buona parte dei temi, dei caratteri e dei vizi formali delle sue sceneggiature, sul piano della messa in scena Shin Kamen Rider è una sintesi di tutto il lavoro da regista di Anno.
C’è l’impiego di videocamere digitali per realizzare inquadrature e sequenze ardite come in Love & Pop (1998) e Shin Godzilla, c’è la fotografia (e alcuni ambienti) di Shiki-Jitsu (2000), e ci sono l’integrazione di effetti speciali pratici, di effetti visivi applicati in digitale e di modelli in CGI di Shin Godzilla e Cutie Honey (2004). Da quest’ultimo Shin Kamen Rider riprende anche il tentativo di avvicinare il cinema dal vivo all’animazione, un lavoro che risplende soprattutto nello scontro tra Kamen Rider e Wasp-Aug, probabilmente la scena d’azione più memorabile del film, dove la differente velocità dei due è rappresentata mediante l’uso di scie di luce e una diversa modulazione dei frame che compongono il movimento dei personaggi.
L’unione tra cinema dal vivo e animazione va però ben oltre questa singola scena e si estende a tutto il film mediante l’estremo controllo che Anno e il suo staff applicano alla maggior parte delle scene d’azione del film, generando una sensazione di artificialità del tutto peculiare. Ed è proprio qui, a partire da questa artificialità onnipresente, che Shin Kamen Rider passa dall’essere un film interessante, seppur con i suoi alti e i suoi bassi, all’essere un oggetto strano di difficile classificazione.
I tokusatsu, ovvero i film e le serie TV giapponesi caratterizzate da un uso massiccio di effetti speciali, sia per limiti tecnici che per scelta stilistica puntano raramente a una resa naturale e realistica degli elementi fantastici che mettono in scena, non nascondendo completamente l’artificio ed esaltando quindi la cura artigianale che si nasconde dietro ogni mostro, ogni ambientazione fantastica o fantascientifica, ogni paesaggio urbano e naturale ricostruito in miniatura. Si tratta di un’idea di cinema sicuramente distante da quella occidentale odierna che, soprattutto nell’ambito dei blockbuster americani, punta a una resa dell’artificio quanto più realistica e invisibile possibile mediante l’uso di una CGI elaborata (e costosa).
Nonostante queste premesse, Shin Kamen Rider riesce comunque a distinguersi per come calca la mano sull’artificialità di quanto sta mostrando, arrivando così a mettere a nudo la propria natura di “messinscena”, di recita, in modi che vanno persino oltre le scelte fatte per la resa degli elementi fantastici del film. Partendo però proprio da questi ultimi, è innegabile quanto “l’inganno” del film si muova costantemente tra il posticcio e l’invisibile.
Posticcio è lo scontro tra Takeshi Hongo e Hayato Ichimonji in cui due modelli in CGI combattono in aria, cercando di rendere su schermo i poteri da cavalletta di Kamen Rider in una maniera meccanica e per nulla realistica che si alterna con inquadrature degli attori che eseguono in cielo acrobazie del tutto identiche a quelle che si potevano ammirare nella serie originale. Sempre visibili, anche se meno posticci, sono i ritocchi ai primi piani che li vedono rivolti verso l’obiettivo mentre sferrano pugni, il cui movimento è stato rimodulato per apparire più caricaturale e stilizzato, effetto usato anche su alcune delle movenze sincronizzate degli sgherri della S.H.O.C.K.E.R. Il fisico di questi ultimi è stato inoltre modificato mediante l’utilizzo del computer per renderli tutti identici in termini di altezza e costituzione, di fatto annullando parzialmente la corporeità degli attori a favore di modelli in CGI (come svelato dal documentario dedicato al film andato in onda sulla NHK) e, quindi, di una tecnica di animazione. L’effetto artificiale qui non scaturisce dallo svelamento del trucco, che in questo caso rimane invisibile, quanto dall’irrealtà del risultato finale. Altrettanto si può dire per alcune delle scelte stilistiche che riguardano gli effetti speciali pratici, come nel combattimento splatter che apre il film in cui ogni colpo sferrato da Kamen Rider colpisce tanto per la sua violenza quanto per l’esagerazione quasi caricaturale della secchiata di sangue che ne consegue.
Questa ricerca dell’artificio coinvolge anche il resto della messa in scena del film. La regia e il montaggio di Shin Kamen Rider presentano un'essenzialità a tratti persino superiore a quella della sceneggiatura. Ogni inquadratura, ogni taglio, ogni movimento degli attori appare calcolato al millimetro allo scopo di presentare ogni singolo dettaglio del racconto nella maniera più efficiente e sintetica possibile, inclusa l’interiorità dei suoi personaggi.
Il film non si concede neanche una scena dallo stile più naturalistico, preferendo invece un autocontrollo assoluto in ogni istante, anche nei momenti maggiormente riflessivi e intimi. Un primo piano della mano insanguinata di Takeshi sottolinea la sua repulsione per le proprie azioni, tanto quanto l’inquadratura dei suoi piedi, che evidenzia il sangue sotto la suola di una delle sue scarpe, racconta la sua risolutezza a superare questa repulsione in nome della missione da compiere. Allo stesso modo, l’incontro tra due binari del treno mostra, senza far uso di parole, l’allinearsi degli obiettivi di Takeshi con quelli di Ruriko.
L'uso continuo di inquadrature dalla composizione attentamente studiata e di un montaggio che si articola in una sequenza di tagli incessanti permette a Shin Kamen Rider di continuare a sottolineare la propria natura di opera di finzione, operazione che si fa ancora più palese con i richiami al teatro, forma d’arte a cui Anno fa spesso riferimento nelle sue opere, evocato non solo dalla recitazione impostata degli attori ma anche da alcune precise scelte di regia.
L’elemento più vistoso di questo aspetto riguarda sicuramente la scelta delle ambientazioni: tutte le scene al chiuso sono infatti ambientate all’interno di grandi set spogli o dall’arredamento essenziale che ricordano palcoscenici e teatri di posa. Questo si fa particolarmente esplicito nella sezione del film ambientata nel covo di Bat-Aug dove, tra il luogo scelto, gli avvenimenti e le inquadrature, tutto sembra pensato per dare l’impressione di star assistendo a una recita teatrale. A questo proposito, è interessante notare come la prima volta che vediamo Takeshi senza la maschera di Kamen Rider il personaggio compia proprio l’azione di “entrare in scena”, passando dal “dietro le quinte” (con tanto di postazione per guardarsi allo specchio!) al palcoscenico su cui si svolgerà il primo lungo dialogo del film. Lo fa con un movimento catturato da un brevissimo piano sequenza che ci permette anche di notare Ruriko ferma immobile ad aspettarlo al centro della scena, come un’attrice in attesa del proprio turno per iniziare a recitare. Recitazione che per tutto il film viene spesso inquadrata con dei primi piani o dei mezzi busti in cui gli attori guardano direttamente dentro la telecamera, come a sottolineare che quel che stanno dicendo non è rivolto unicamente agli altri personaggi della storia ma anche agli spettatori, replicando tramite la regia e il montaggio quel che avviene in un certo tipo di teatro in cui gli attori dialogano tenendosi sempre di fronte al pubblico.
Tutti questi elementi fanno di Shin Kamen Rider un film che nel panorama del cinema d’azione e di supereroi contemporaneo appare come un’anomalia curiosa, a tratti un paradosso indecifrabile.
È un film che, come tutte le opere dello Shin Japan Heroes Universe, reinventa un'icona della cultura pop giapponese per introdurla a un nuovo pubblico, non solo giapponese. Allo stesso tempo, però, è anche un film che ha soprattutto molto da offrire agli appassionati storici di Kamen Rider e agli studiosi della filmografia di Hideaki Anno, al punto da poter risultare persino povero agli occhi di tutti gli altri. Infine, Shin Kamen Rider è un film che racconta di sentimenti intensi come la solitudine e il dolore con un certo distacco, cercando di trasportare lo spettatore nei drammi dei suoi personaggi senza però fargli mai dimenticare di star assistendo a un'opera di finzione. Proprio per questo, l'ultimo film di Anno oltre che un omaggio a Kamen Rider, è un film sull'atto stesso di usare il mezzo cinematografico per mettere in scena una storia, e sul fascino reale che vicende esplicitamente di finzione, come quelle che riguardano le battaglie di un cyborg metà uomo e metà cavalletta, possono esercitare sugli spettatori.
È un film che, come tutte le opere dello Shin Japan Heroes Universe, reinventa un'icona della cultura pop giapponese per introdurla a un nuovo pubblico, non solo giapponese. Allo stesso tempo, però, è anche un film che ha soprattutto molto da offrire agli appassionati storici di Kamen Rider e agli studiosi della filmografia di Hideaki Anno, al punto da poter risultare persino povero agli occhi di tutti gli altri. Infine, Shin Kamen Rider è un film che racconta di sentimenti intensi come la solitudine e il dolore con un certo distacco, cercando di trasportare lo spettatore nei drammi dei suoi personaggi senza però fargli mai dimenticare di star assistendo a un'opera di finzione. Proprio per questo, l'ultimo film di Anno oltre che un omaggio a Kamen Rider, è un film sull'atto stesso di usare il mezzo cinematografico per mettere in scena una storia, e sul fascino reale che vicende esplicitamente di finzione, come quelle che riguardano le battaglie di un cyborg metà uomo e metà cavalletta, possono esercitare sugli spettatori.
Si ringrazia Maboroshi96 (terreillustrate.it)
Brutto non è, ma non è neppure chissà che. È un film Giapponese con i suoi limiti e i suoi punti di forza.
Alcune cose del film si notano tantissimo che sono figlie di un epoca che ormai non c'è più.
Con tutti i suoi pregi e anche difetti gli do un 6 come voto, non riesco a darli di più.
il combattimento con i Shoker Rider nella tunnel e` la parte peggiore del film, troppo buio, in THE NEXT si era fatto meglio nel bosco con gli stunt
in fin del conto e` un film fan service come Shin Ultraman
Ciò non toglie che si possa ripartire per una nuova avventura: Kamen Rider sulla sua moto, Hideaki Anno con qualcosa che esuli da Eva o dal SJHU, il Re di Terre Illustrate alla conquista di un nuovo successo.
Intanto, il sottoscritto non è certo il destinatario tipo del prodotto, in quanto del franchise so ben di più del normale (pure troppo), avendo visto tutte le serie Showa, tutte le Heisei (con l'eccezione di Kiva) e tutte le Reiwa.
Premesso questo, il film va esaminato non solo dal punto di vista artistico, ma anche dal punto di vista prettamente tecnico. E, se nulla si può dire della regia, della fotografia e in genere del flusso narrativo (di sicuro non è noioso), nonché l'enorme rispetto che Anno ha per il franchise, per tutto il resto... i problemi sono parecchi.
In primis, in molte delle scene d'azione non si capisce nulla, sono degne del peggior Michael Bay. A volte perchè i cambi di camera continui danneggiano le sequenze (per non dire che si perde il senso dell'impatto dei colpi), a volte perchè sono così scure che si perdono i dettagli (in particolare l'ultima scena in moto). Il sangue, aggiunto non si capisce bene perchè in molte scene, non serve a granchè. La CG in genere non è un problema, ma per scene con il Rider Kick fa perdere completamente l'impatto. Voluto? Non lo so; io non giudico le intenzioni, ma il prodotto finale.
Dal punto di vista della storia è stato inserito troppo, troppo. Era impossibile chiaramente inserire l'intera serie in un solo film, ma gli sviluppi sono troppo rapidi e in alcuni casi le scene importanti (come quelle con Ruriko) hanno un impatto ridotto perchè il film è troppo impegnato a passare al successivo arco narrativo.
Inoltre, chi non conosce il franchise si troverà abbastanza confuso perchè alcuni punti della storia vengono abbandonati senza nessun motivo (SHOCKER in primis), per non parlare dei personaggi cameo (fa piacere vedere un personaggio minore di Ishinomori inserito nella storia, ma siccome comparirà si e no 10 minuti in tutto qual era lo scopo? Solo 1-2 scene sarebbero veramente necessarie). L'inserimento di un altro personaggio chiave peggiora ulteriormente le cose perchè il film deve giostrare Takeshi, Ruriko, e costui - e l'inserimento tardivo è un problema.
A questo aggiungiamo che alcuni attori non recitano granchè, diminuendo fortemente la forza di certe scene. In particolare l'attore di Takeshi Hongo sembra solo capace di tremare più velocemente quando è turbato, e a mio avviso questo casting è stata una scelta completamente sballata.
Infine, a titolo personale, avrei preferito un qualcosa più vicino al manga originale (qualche aspetto si può vedere nel Kamen Rider BLACK originale).
Della serie Shin per me, per ora, si salva solo Shin Ultraman (Shin Godzilla è appesantito troppo dai discorsi politici).
Come dicevo sopra, se non si capisce niente di quello che succede potranno avere anche fatto un lavoro certosino, ma è stato completamente inutile.
Ti ringrazio per aver letto la recensione e per il commento!
Ti rispondo su alcuni punti:
[Seguono spoiler]
-A me pare che l'incomprensibilità dei combattimenti ci sia solo in due occasioni, la prima nel combattimento sanguinario con gli sgherri della Shocker che apre il film e la seconda nel buio combattimento in galleria. Sul secondo concordo, non è pienamente riuscito, mentre sul primo mi trovo in disaccordo sull'idea che la scena non sia riuscita: mi sembra che il punto di quella sequenza sia proprio di rappresentare un momento in cui Kamen Rider ha perso completamente il controllo usando una regia che, a sua volta, non ha alcun controllo su quel che avviene in scena e non riesce a stare dietro al personaggio. L'effetto si nota ancora di più mettendo a confronto quel momento del film, estremamente squilibrato, con il resto che è invece caratterizzato da un formalismo esasperato (è praticamente l'equivalente Anno-esco di un film di Wes Anderson).
-Sulla sceneggiatura sono d'accordo, nella recensione parlo di come gli eventi siano tanti e frettolosi, e per questo meno "forti" emotivamente di come vorrebbero essere.
-Gli aspetti lasciati in sospeso sono invece i semi che Anno ha piantato per il sequel che vorrebbe fare e di cui ha parlato a più riprese, che tra l'altro ti farebbe contento dal punto di vista degli elementi ripresi dal manga (Anno ha infatti espresso la volontà di chiamarlo come un capitolo del manga di Ishinomori).
-Secondo me dal manga c'è molto: l'aspetto mostruoso di Hongo, i combattimenti sanguinari, l'utilizzo di alcune scene con fondali completamente neri, la caratterizzazione di Hayato, quel che avviene nel finale (Kamen Rider 1+2 è molto simile a quel che avviene a metà del manga) e così via.
In conclusione: io non ho cercato di seguire le intenzioni di chi ha realizzato il film (perché non posso saperle), ma di costruire un'interpretazione dello stesso sulla base di quel che si vede a schermo, è diverso.
Il problema è che, come dicevo, non si capisce niente. Anche se fosse questa l'intenzione, secondo me si perde.
Manca completamente l'aspetto di Shocker come organizzazione che ha in mano tutto e che Kamen Rider è praticamene solo contro di loro (c'e', come dicevo un aspetto simile in BLACK, anche se viene abbandonato 3-4 episodi dopo). Non bastano 2-3 dialoghi, SHOCKER come concetto è interessante, ma come dicevo non se ne fa nulla .
Capisco. Abbiamo ovviamente approcci al cinema (o all'arte in generale immagino) molto distanti, quindi ci sta che questo ci porti a rapportarci in maniera diversa al film, ma direi che si tratta di un discorso che va oltre questo Shin Kamen Rider.
Su questo il potenziale sequel potrebbe farti contento:
Izenborg
Megalomen
Goggole V
Winspector,
eccc
Sono però deluso dal fatto che non sia mai stato preso in considerazione uno Shin Goranger, dato che io parteggio più per i sentai che per i Kamen Rider.
In quasi 2 appunto tutta quella roba fai fatica a farcela stare, specialmente con quello che tiri in ballo dopo ogni mini arco narrativo del film.
Ciò non toglie che a livello generale si possa vedere più come un bicchiere mezzo pieno che vuoto, tutto considerato.
Appunto, se al prossimo giro non fanno fare le tracce dei sottotitoli di machine translation non si dispiacerebbe nessuno.
Sarebbe venuta fuori una roba tipo il film LA di Gatchaman di anni fa.
...o una versione Live Action di Birdmen.
Non avendo né visto la serie classica né letto il fumetto di Ishinomori la prima visione in effetti non è stata il massimo, vuoi per la mancanza dei riferimenti ai titoli precedenti o per il ritmo che non dava troppe pause allo svolgimento della storia, per quanto comunque è stato a tratti divertente e molto incalzante da seguire (rivedendolo poi consapevole dei rimandi a Kamen Rider e alle altre serie legate al nome di Ishinomori è stato sicuramente molto più interessante e apprezzabile). L'aspetto sulla teatralità è molto interessante: di per sé sembra messa in evidenza e al contempo lasciata sottintintesa allo spettatore, in qualche modo consapevole che la messinscena che sta vedendo sia piena di artifizi ed interpretazioni a volte sopra le righe e a volte più d'effetto; il che risulta un'arma a doppio taglio dato che, nonostante si percepiscano le scene più sentite e drammatiche, emotivamente non si è completamente coinvolti dai sentimenti dei personaggi.
Sarà interessante rivederlo più avanti, magari non appena il fumetto Shocker Side che ne racconta gli antefatti andrà ad avvicinarsi sempre di più verso gli eventi del film.
Date le premesse, non resta che vedere cosa ci aspetta
Fate uscire almeno Kamen Rider (in edizione de-DVisualizzata) e soprattutto Spirits (si sempre per l'ultimo pannello nello spoiler.
Grazie ancora Anno, grazie ancora di nulla editoria italiana
Sicuramente quanto appena letto influenzerà positivamente la seconda visione che farò, aiutandomi ad approcciare con occhi diversi e maggiore consapevolezza alcune sequenze.
Forse più che “raggiungere” trovo più adeguato il termine “sperimentare”, ovvero la possibilità di provare, altrimenti sembra voler suggerire una condizione di arrivo, di finitezza totalizzante che è esattamente il contrario di ciò che predilige la “poetica” di Anno a mio avviso.
Ti ringrazio per i complimenti!
Sono assolutamente d'accordo con te sulla questione "raggiungere"/"sperimentare", diciamo che non avevo dato troppo peso alla possibilità che la parola "raggiungere" potesse suggerire un arrivo "finito", che è sempre rifiutata da i protagonisti di Anno (il rifiuto più bello della "finitezza" lo fa, a mio avviso, Honey alla fine di Cutie Honey).
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