Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Ergo Proxy
8.5/10
Ho ripescato questa serie originale del 2006 incuriosito dalle numerose recensioni presenti sul sito su un prodotto che per gli argomenti trattati rappresenta uno dei miei generi preferiti.
E così ho iniziato la visione. Se dovessi riassumere l'opera in poche parole potrei scrivere: "originale"... nella sua esposizione, non tanto nei suoi contenuti e, soprattutto, "ambizioso" e "coraggioso".
Si tratta di un'opera non frutto di trasposizione, ma concepita come anime in 23 episodi e trasmessa nel 2006. Il regista è Shuko Murase e lo sceneggiatore Dai Sato (tra le tante opere: "Cowboy Bebop", "Wolf's Rain", "Eureka Seven") la produzione è stata a cura dello Studio Manglobe (non più esistente da qualche anno).
Scriverne a distanza di ben 16 anni fa specie al pari del numero di recensioni, segno che nel bene e (poco) nel male si tratta di un prodotto che ha lasciato il segno...
"Ergo Proxy" appartiene al genere sci-fi, cyberpunk, futuro distopico, filosofico, psicologico, mistero in cui partendo dall'occasione di "sviscerare" un classico dei generi sovra citati quali il rapporto uomo-esseri artificiali più o meno senzienti (idea iniziale dell'opera) vira sulle riflessioni sull'origine e sull'esistenza umana utilizzando un linguaggio visivo e parlato metaforico e profondamente citazionistico che mette a dura prova la capacità di comprensione e concentrazione dello spettatore.
Ci si ritrova immersi in una sorta di viaggio onirico e simbolico (a tratti quasi psichedelico), attraverso un anime che presenta episodi lenti, in apparenza scollegati, ricchi di "indizi" più o meno celati tra le immagini e i dialoghi anche criptici, cupo e misterioso... un'opera che, limitatamente alla mia piccola esperienza sul tema, non ha trovato ancora eguali...
Mi manca la visione di "Neon Genesis Evangelion", lo ammetto (recupererò appena possibile), ma se vogliamo fare un paragone molto azzardato "Ergo Proxy" ha cercato di "scimmiottare" in originalità i mostri sacri della fantascienza lontano passato quali S. Kubrick e R. Scott: il primo soprattutto per la visionarietà e il secondo per parte dei contenuti.
Il tutto mixandolo in un meltin pot di generi che spaziano dalla filosofia esistenzialista alle fiabe (Pinocchio e Alice nel paese delle meraviglie), alla storia e all'arte (vedi gli automi ispirati alle statue realizzate da Michelangelo nella Sagrestia Nuova in onore di Lorenzo i Magnifico e il cui tema è il "tempo consuma tutto")... canzonando anche i generi di prodotto tanto in voga in questi anni quali i giochi a premi (in un particolare episodio solo in apparenza filler) e i parchi divertimento (allegoria della finta felicità dell'esistenza umana in una realtà artificiale e consumistica?).
Quindi "Ergo Proxy" sembra più un'odissea, una metafora che contiene una riflessione sulla vita dell'uomo, sulla sua continua tensione all'eternità e ai suoi più o meno goffi e inutili tentativi di ergersi a "divinità" per superare i propri limiti e errori...
Benché l'umanità abbia creato per necessità una realtà di apparente benessere e felicità in un ambiente terreste distrutto e reso ostile dall'uomo stesso, i personaggi dell'opera, inclusi i autoreiv (gli androidi che a seguito del virus "cogito" diventano più o meno consapevoli di sé, similmente agli umani), sono a vario titolo "irrequieti" (come in "Harmony" di Project Itoh), insoddisfatti di ciò che vivono e possiedono e anelano alla conoscenza di tutto ciò che loro manca: la verità. Ma anche quando pensano di averla scoperta, devono interfacciarsi con i limiti di comprensione tipici dell'essere umano, in un loop senza fine. E il finale è paradigmatico di questa concezione: dopo gli indizi inseriti nell'episodio del quiz, la divinità tanto attesa non avrà alcuna sembianza e parvenza divina...
Descritto in questo modo "Ergo Proxy" potrebbe essere definito un capolavoro. Per quanto lo abbia apprezzato, devo riconoscere che l'anime mi è sembrato più un tentativo di sincretismo di generi e di visioni ontologico metafisiche che appesantiscono in maniera, anche letale, l'opera, mettendo a dura prova la pazienza e il desiderio di continuare nella visione.
Soprattutto la notevole serie di citazioni e riferimenti che da un lato contribuiscono alla sua atmosfera di "ricercatezza", dall'altro rappresentano anche la pretenziosità dell'anime, un aspetto negativo proprio per l'eccesso di numero e complessità dei riferimenti che spesso danno l'idea che gli autori si siano concentrati più su questo aspetto formale, che su quello sostanziale del messaggio che volevano trasmettere...
Dal punto di vista grafico, l'anime risulta molto curato. Le animazioni sono comunque di livello la grafica riesce a mixare bene i disegni con la CG. La fotografia si dimostra coerente con i contenuti dell'anime: tanto chiara nel descrivere la città felice da cui parte la narrazione e tanto cupa nel descrivere il mondo esterno.
Anche il linguaggio visivo ha la sua importanza nell'opera: mi riferisco al citazionismo del trucco degli occhi della bella protagonista Re-L che è simile a quello di Pris replicante di "Blade Runner" (e che inizialmente contrasta con il carattere austero del personaggio) o al costume con le sembianze del coniglietto che Pino (l'androide) indossa spesso nell'anime (riferimento a "Alice nel paese delle meraviglie") o alla metafora dell'apertura degli occhi del protagonista Vincent Law dopo alcuni significativi momenti...
Comparto musicale che mi ha veramente convinto: la opening "Kiri" dei Monoral è azzeccatissima, oltre ad essere di gusto e stile internazionale (il duo è comunque giapponese), nonché ben amalgamata con le immagini dell'anime: il ritornello "Come and save me" ripetuto fino all'ossessione sembra l'urlo di dolore dei personaggi dell'anime che non trovano pace ai loro tormenti esistenziali. L'ending "Paranoid Android" dei Radiohead non necessiterebbe di ulteriori commenti e rende bene la sofisticatezza dei temi trattati nell'animazione.
"Ergo proxy" è uno di quegli anime che tocca tanti temi impegnativi quali la ricerca del senso della vita, il libero arbitrio, la consapevolezza e l'autodeterminazione di sé, in cui i personaggi sono sfaccettati e abbastanza complessi con particolare riguardo ai tre protagonisti: V. Law, Re-L Mayer e Pino, che pur essendo un androide infettato dal virus, si evolve e cresce anche dal punto di vista affettivo come farebbe un bambino umano.
Merita di essere visto con un consiglio in linea con lo spirito dell'anime: "handle with care".
E così ho iniziato la visione. Se dovessi riassumere l'opera in poche parole potrei scrivere: "originale"... nella sua esposizione, non tanto nei suoi contenuti e, soprattutto, "ambizioso" e "coraggioso".
Si tratta di un'opera non frutto di trasposizione, ma concepita come anime in 23 episodi e trasmessa nel 2006. Il regista è Shuko Murase e lo sceneggiatore Dai Sato (tra le tante opere: "Cowboy Bebop", "Wolf's Rain", "Eureka Seven") la produzione è stata a cura dello Studio Manglobe (non più esistente da qualche anno).
Scriverne a distanza di ben 16 anni fa specie al pari del numero di recensioni, segno che nel bene e (poco) nel male si tratta di un prodotto che ha lasciato il segno...
"Ergo Proxy" appartiene al genere sci-fi, cyberpunk, futuro distopico, filosofico, psicologico, mistero in cui partendo dall'occasione di "sviscerare" un classico dei generi sovra citati quali il rapporto uomo-esseri artificiali più o meno senzienti (idea iniziale dell'opera) vira sulle riflessioni sull'origine e sull'esistenza umana utilizzando un linguaggio visivo e parlato metaforico e profondamente citazionistico che mette a dura prova la capacità di comprensione e concentrazione dello spettatore.
Ci si ritrova immersi in una sorta di viaggio onirico e simbolico (a tratti quasi psichedelico), attraverso un anime che presenta episodi lenti, in apparenza scollegati, ricchi di "indizi" più o meno celati tra le immagini e i dialoghi anche criptici, cupo e misterioso... un'opera che, limitatamente alla mia piccola esperienza sul tema, non ha trovato ancora eguali...
Mi manca la visione di "Neon Genesis Evangelion", lo ammetto (recupererò appena possibile), ma se vogliamo fare un paragone molto azzardato "Ergo Proxy" ha cercato di "scimmiottare" in originalità i mostri sacri della fantascienza lontano passato quali S. Kubrick e R. Scott: il primo soprattutto per la visionarietà e il secondo per parte dei contenuti.
Il tutto mixandolo in un meltin pot di generi che spaziano dalla filosofia esistenzialista alle fiabe (Pinocchio e Alice nel paese delle meraviglie), alla storia e all'arte (vedi gli automi ispirati alle statue realizzate da Michelangelo nella Sagrestia Nuova in onore di Lorenzo i Magnifico e il cui tema è il "tempo consuma tutto")... canzonando anche i generi di prodotto tanto in voga in questi anni quali i giochi a premi (in un particolare episodio solo in apparenza filler) e i parchi divertimento (allegoria della finta felicità dell'esistenza umana in una realtà artificiale e consumistica?).
Quindi "Ergo Proxy" sembra più un'odissea, una metafora che contiene una riflessione sulla vita dell'uomo, sulla sua continua tensione all'eternità e ai suoi più o meno goffi e inutili tentativi di ergersi a "divinità" per superare i propri limiti e errori...
Benché l'umanità abbia creato per necessità una realtà di apparente benessere e felicità in un ambiente terreste distrutto e reso ostile dall'uomo stesso, i personaggi dell'opera, inclusi i autoreiv (gli androidi che a seguito del virus "cogito" diventano più o meno consapevoli di sé, similmente agli umani), sono a vario titolo "irrequieti" (come in "Harmony" di Project Itoh), insoddisfatti di ciò che vivono e possiedono e anelano alla conoscenza di tutto ciò che loro manca: la verità. Ma anche quando pensano di averla scoperta, devono interfacciarsi con i limiti di comprensione tipici dell'essere umano, in un loop senza fine. E il finale è paradigmatico di questa concezione: dopo gli indizi inseriti nell'episodio del quiz, la divinità tanto attesa non avrà alcuna sembianza e parvenza divina...
Descritto in questo modo "Ergo Proxy" potrebbe essere definito un capolavoro. Per quanto lo abbia apprezzato, devo riconoscere che l'anime mi è sembrato più un tentativo di sincretismo di generi e di visioni ontologico metafisiche che appesantiscono in maniera, anche letale, l'opera, mettendo a dura prova la pazienza e il desiderio di continuare nella visione.
Soprattutto la notevole serie di citazioni e riferimenti che da un lato contribuiscono alla sua atmosfera di "ricercatezza", dall'altro rappresentano anche la pretenziosità dell'anime, un aspetto negativo proprio per l'eccesso di numero e complessità dei riferimenti che spesso danno l'idea che gli autori si siano concentrati più su questo aspetto formale, che su quello sostanziale del messaggio che volevano trasmettere...
Dal punto di vista grafico, l'anime risulta molto curato. Le animazioni sono comunque di livello la grafica riesce a mixare bene i disegni con la CG. La fotografia si dimostra coerente con i contenuti dell'anime: tanto chiara nel descrivere la città felice da cui parte la narrazione e tanto cupa nel descrivere il mondo esterno.
Anche il linguaggio visivo ha la sua importanza nell'opera: mi riferisco al citazionismo del trucco degli occhi della bella protagonista Re-L che è simile a quello di Pris replicante di "Blade Runner" (e che inizialmente contrasta con il carattere austero del personaggio) o al costume con le sembianze del coniglietto che Pino (l'androide) indossa spesso nell'anime (riferimento a "Alice nel paese delle meraviglie") o alla metafora dell'apertura degli occhi del protagonista Vincent Law dopo alcuni significativi momenti...
Comparto musicale che mi ha veramente convinto: la opening "Kiri" dei Monoral è azzeccatissima, oltre ad essere di gusto e stile internazionale (il duo è comunque giapponese), nonché ben amalgamata con le immagini dell'anime: il ritornello "Come and save me" ripetuto fino all'ossessione sembra l'urlo di dolore dei personaggi dell'anime che non trovano pace ai loro tormenti esistenziali. L'ending "Paranoid Android" dei Radiohead non necessiterebbe di ulteriori commenti e rende bene la sofisticatezza dei temi trattati nell'animazione.
"Ergo proxy" è uno di quegli anime che tocca tanti temi impegnativi quali la ricerca del senso della vita, il libero arbitrio, la consapevolezza e l'autodeterminazione di sé, in cui i personaggi sono sfaccettati e abbastanza complessi con particolare riguardo ai tre protagonisti: V. Law, Re-L Mayer e Pino, che pur essendo un androide infettato dal virus, si evolve e cresce anche dal punto di vista affettivo come farebbe un bambino umano.
Merita di essere visto con un consiglio in linea con lo spirito dell'anime: "handle with care".
Recensione di Fabbrizio_on_the_Road
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“Lupin III: Green vs Red” è il secondo OAV di Lupin, pubblicato originariamente nel 2008 e diretto da Shigeyuki Miya, il quale aveva già lavorato sul franchise qualche anno prima dirigendo “Le tattiche degli angeli”, uno degli special televisivi più originali e particolari del brand. Anche questa volta Miya fa centro, regalandoci uno dei lavori più singolari e impegnati mai fatti sul personaggio. Tuttavia, anche se i lati positivi sono parecchi, mi permetto comunque di fare qualche piccolo appunto su ciò che non ho gradito fino in fondo.
Partendo però da ciò che ho apprezzato, dico fin da subito che il lato tecnico è pienamente soddisfacente. La differenza con gli special televisivi dell’epoca e con il precedente OAV “Il ritorno di Pycal” si nota abbastanza presto, con dei disegni e delle animazioni molto buoni.
Certamente uno dei punti forti del film è la volontà di richiamarsi a un insieme di simbologie e miti che da sempre contraddistinguono la serie, non ultima la contrapposizione tra le due giacche più celebri, quella verde e quella rossa. Ci si addentra quindi in una serie di quesiti parecchio interessanti che raramente vengono messi al centro delle vicende, uno su tutti, la vera origine e identità di Lupin. Ne consegue che la trama ha un pretesto ben più importante rispetto a molti altri lavori sul personaggio, sia precedenti che successivi, che per quanto godibili spesso si limitano a fare il compitino e a non entrare nel dettaglio sulle origini e sul passato dei vari protagonisti, con ovvie e apprezzabili eccezioni, ovviamente.
La visione è quindi molto interessante e i personaggi coinvolti sono stati tutti gestiti a dovere. Ma vi è un punto sul quale fatico ad apprezzare pienamente questo OAV, ovvero il pesante carico di mistero e cripticità che muove tutte le vicende. Certo, non mi aspettavo che su certi quesiti il film avrebbe dato delle risposte chiare, e non vi è dubbio che un po’ di mistero aumenti il fascino della storia. Ma ammetto che tutta questa ambiguità a un certo punto mi è pesata e almeno su alcune cose avrei voluto una narrazione un po’ più sincera. Inoltre, aver reso tutta la visione così enigmatica l’ha totalmente spogliata di quel lato comico e umoristico di solito presente in questi lavori. Anche qui, non mancano delle buone eccezioni, di lavori seri e maturi su Lupin già ne erano stati fatti e ne sarebbero stati fatti altri. Ma credo che in assoluto questo sia uno di quelli che ha meno da offrire per chi ama il lato ironico del personaggio, pur convincendo su molto altro.
In conclusione, “Lupin III: Green vs Red” è un buon OAV e rimane ad oggi uno dei lavori più ambiziosi e interessanti mai fatti sul personaggio. Personalmente, avrei gradito qualche ambiguità in meno, visto che la mancata chiarezza su certe questioni di trama la vedo ormai più come una precisa volontà di sceneggiatura per tornare allo status quo originale, piuttosto che come una ricercata libertà interpretativa. Ma al di là di questo rimane uno dei film più evocativi e carichi di significato mai fatti sul personaggio, che riesce abilmente a raccontare una storia intrigante, regalando numerose perle che i fan non potranno fare a meno di notare e apprezzare.
Partendo però da ciò che ho apprezzato, dico fin da subito che il lato tecnico è pienamente soddisfacente. La differenza con gli special televisivi dell’epoca e con il precedente OAV “Il ritorno di Pycal” si nota abbastanza presto, con dei disegni e delle animazioni molto buoni.
Certamente uno dei punti forti del film è la volontà di richiamarsi a un insieme di simbologie e miti che da sempre contraddistinguono la serie, non ultima la contrapposizione tra le due giacche più celebri, quella verde e quella rossa. Ci si addentra quindi in una serie di quesiti parecchio interessanti che raramente vengono messi al centro delle vicende, uno su tutti, la vera origine e identità di Lupin. Ne consegue che la trama ha un pretesto ben più importante rispetto a molti altri lavori sul personaggio, sia precedenti che successivi, che per quanto godibili spesso si limitano a fare il compitino e a non entrare nel dettaglio sulle origini e sul passato dei vari protagonisti, con ovvie e apprezzabili eccezioni, ovviamente.
La visione è quindi molto interessante e i personaggi coinvolti sono stati tutti gestiti a dovere. Ma vi è un punto sul quale fatico ad apprezzare pienamente questo OAV, ovvero il pesante carico di mistero e cripticità che muove tutte le vicende. Certo, non mi aspettavo che su certi quesiti il film avrebbe dato delle risposte chiare, e non vi è dubbio che un po’ di mistero aumenti il fascino della storia. Ma ammetto che tutta questa ambiguità a un certo punto mi è pesata e almeno su alcune cose avrei voluto una narrazione un po’ più sincera. Inoltre, aver reso tutta la visione così enigmatica l’ha totalmente spogliata di quel lato comico e umoristico di solito presente in questi lavori. Anche qui, non mancano delle buone eccezioni, di lavori seri e maturi su Lupin già ne erano stati fatti e ne sarebbero stati fatti altri. Ma credo che in assoluto questo sia uno di quelli che ha meno da offrire per chi ama il lato ironico del personaggio, pur convincendo su molto altro.
In conclusione, “Lupin III: Green vs Red” è un buon OAV e rimane ad oggi uno dei lavori più ambiziosi e interessanti mai fatti sul personaggio. Personalmente, avrei gradito qualche ambiguità in meno, visto che la mancata chiarezza su certe questioni di trama la vedo ormai più come una precisa volontà di sceneggiatura per tornare allo status quo originale, piuttosto che come una ricercata libertà interpretativa. Ma al di là di questo rimane uno dei film più evocativi e carichi di significato mai fatti sul personaggio, che riesce abilmente a raccontare una storia intrigante, regalando numerose perle che i fan non potranno fare a meno di notare e apprezzare.
I figli del mare
7.0/10
Utente109323
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Tratto dall’omonimo manga di Daisuke Igarashi, “Children of the Sea” è un film di quelli che lasciano il segno negli occhi dello spettatore.
Affidato alla regia di Ayumu Watanabe, la trasposizione cinematografica del viaggio iniziatico della giovane Ruka, alla scoperta dei segreti delle profondità marine, non lesina su fantasmagorie visive: il tratto peculiare di Igarashi, caratterizzato da esili figure umane in cui ad essere valorizzata è l’espressività degli sguardi, viene accuratamente replicato sul grande schermo ed è accompagnato da un tour de force sensoriale, che inchioda lo spettatore alla poltrona nell’ultimo quarto d’ora del film: creature marine, disegnate in modo minuzioso, sono accostate a immagini dal forte valore simbolico, che si aprono a sorprendenti squarci pittorici di colori e luci. Suggestioni, queste, le quali rimandano in modo non troppo velato ai sublimi deliri di pellicole come “2001: Odissea nello spazio”.
Inutile evidenziare come al centro del film vi sia il tema ecologico, affrontato da una prospettiva religiosa: il mare, elemento così caratteristico del Giappone, viene rivestito di un’aura divina e sacrale.
Simbolo di vita, morte e rinascita, esso è al centro dello sfruttamento che ne fa l’uomo, e la storia di “Children of the Sea” racconta la minaccia di un’apocalisse imminente, necessaria per ristabilire quell’equilibrio tra forze naturali che l’essere umano mette costantemente in pericolo. Vittime sacrificali di questo rituale, nonché messaggeri del grande evento, sono i due bambini del mare Umi e Sora, così diversi nel fisico e nel carattere, ma uniti nelle intenzioni. Testimone della palingenesi è la protagonista Ruka, ragazza smarrita alla ricerca del suo posto nel mondo, primo essere umano a sperimentare la rinascita spirituale, simboleggiata attraverso la criptica parte finale del film.
Grande rilevanza è naturalmente data all’elemento acquatico, presente nella quasi totalità delle inquadrature del film e costantemente suggerito: la resa dell’acqua è straordinaria e i panorami costieri sono così ben disegnati da sembrare dipinti.
Menzione d’onore per l’ottima colonna sonora del veterano Joe Hisaishi, qui in una prova di sicuro convincente ma forse un po’ sottotono rispetto ad altri lavori.
Purtroppo, però, non tutto funziona alla perfezione nel meccanismo del film e a soffrire sono essenzialmente due componenti: i personaggi e la trama.
La sensazione è che due ore di film non fossero affatto sufficienti per raccontare al meglio una vicenda così complessa, con il risultato che alcuni eventi accadono in maniera troppo repentina e con dei notevoli scarti logici, con in più la generale impressione che il quadro complessivo sia incompleto. È vero, il film non si pone mai con l’intenzione di tenere per mano lo spettatore, ma ci si può accorgere facilmente della differenza che intercorre fra la complessità studiata del segmento finale con quella, un po’ gratuita, di alcuni snodi della parte centrale.
Per quanto riguarda i personaggi invece, se a livello grafico questi sono tutti unici e riconoscibili, la loro caratterizzazione lascia un po’ a desiderare e l’impressione è sempre quella di cui sopra: avrebbero forse avuto bisogno di più respiro, che per motivi di minutaggio non è stato possibile conferir loro.
Tralasciando i secondari, poco più che abbozzati, sono proprio i due gemelli e la protagonista a soffrirne: i tre non di rado si lanciano in lunghi dialoghi abbastanza faticosi da seguire, che mal si accostano alla forte narrazione per immagini.
La loro verbosità cozza contro la volontà generale di affidare il senso del film non tanto alle parole, quanto alle sequenze animate. Questo dualismo penalizza la possibilità dello spettatore di entrare in empatia e li fa apparire in gran parte distanti.
Al di là di tutto, “Children of the Sea” resta un coraggioso esperimento, che avrebbe però avuto bisogno di ancora più coraggio per esprimere appieno il proprio potenziale, in parte vanificato.
In ogni caso, per quanto detto prima, la visione è senza dubbio consigliata.
Affidato alla regia di Ayumu Watanabe, la trasposizione cinematografica del viaggio iniziatico della giovane Ruka, alla scoperta dei segreti delle profondità marine, non lesina su fantasmagorie visive: il tratto peculiare di Igarashi, caratterizzato da esili figure umane in cui ad essere valorizzata è l’espressività degli sguardi, viene accuratamente replicato sul grande schermo ed è accompagnato da un tour de force sensoriale, che inchioda lo spettatore alla poltrona nell’ultimo quarto d’ora del film: creature marine, disegnate in modo minuzioso, sono accostate a immagini dal forte valore simbolico, che si aprono a sorprendenti squarci pittorici di colori e luci. Suggestioni, queste, le quali rimandano in modo non troppo velato ai sublimi deliri di pellicole come “2001: Odissea nello spazio”.
Inutile evidenziare come al centro del film vi sia il tema ecologico, affrontato da una prospettiva religiosa: il mare, elemento così caratteristico del Giappone, viene rivestito di un’aura divina e sacrale.
Simbolo di vita, morte e rinascita, esso è al centro dello sfruttamento che ne fa l’uomo, e la storia di “Children of the Sea” racconta la minaccia di un’apocalisse imminente, necessaria per ristabilire quell’equilibrio tra forze naturali che l’essere umano mette costantemente in pericolo. Vittime sacrificali di questo rituale, nonché messaggeri del grande evento, sono i due bambini del mare Umi e Sora, così diversi nel fisico e nel carattere, ma uniti nelle intenzioni. Testimone della palingenesi è la protagonista Ruka, ragazza smarrita alla ricerca del suo posto nel mondo, primo essere umano a sperimentare la rinascita spirituale, simboleggiata attraverso la criptica parte finale del film.
Grande rilevanza è naturalmente data all’elemento acquatico, presente nella quasi totalità delle inquadrature del film e costantemente suggerito: la resa dell’acqua è straordinaria e i panorami costieri sono così ben disegnati da sembrare dipinti.
Menzione d’onore per l’ottima colonna sonora del veterano Joe Hisaishi, qui in una prova di sicuro convincente ma forse un po’ sottotono rispetto ad altri lavori.
Purtroppo, però, non tutto funziona alla perfezione nel meccanismo del film e a soffrire sono essenzialmente due componenti: i personaggi e la trama.
La sensazione è che due ore di film non fossero affatto sufficienti per raccontare al meglio una vicenda così complessa, con il risultato che alcuni eventi accadono in maniera troppo repentina e con dei notevoli scarti logici, con in più la generale impressione che il quadro complessivo sia incompleto. È vero, il film non si pone mai con l’intenzione di tenere per mano lo spettatore, ma ci si può accorgere facilmente della differenza che intercorre fra la complessità studiata del segmento finale con quella, un po’ gratuita, di alcuni snodi della parte centrale.
Per quanto riguarda i personaggi invece, se a livello grafico questi sono tutti unici e riconoscibili, la loro caratterizzazione lascia un po’ a desiderare e l’impressione è sempre quella di cui sopra: avrebbero forse avuto bisogno di più respiro, che per motivi di minutaggio non è stato possibile conferir loro.
Tralasciando i secondari, poco più che abbozzati, sono proprio i due gemelli e la protagonista a soffrirne: i tre non di rado si lanciano in lunghi dialoghi abbastanza faticosi da seguire, che mal si accostano alla forte narrazione per immagini.
La loro verbosità cozza contro la volontà generale di affidare il senso del film non tanto alle parole, quanto alle sequenze animate. Questo dualismo penalizza la possibilità dello spettatore di entrare in empatia e li fa apparire in gran parte distanti.
Al di là di tutto, “Children of the Sea” resta un coraggioso esperimento, che avrebbe però avuto bisogno di ancora più coraggio per esprimere appieno il proprio potenziale, in parte vanificato.
In ogni caso, per quanto detto prima, la visione è senza dubbio consigliata.
E basta.
Grande potenziale sprecato in una storia completamente confusionaria e inconcludente.
Concordo pienamente.
Una serie che parte alla Grande nei primissimi episodi e che poi si perde pian piano nei meandri della mediocrità (mi viene in mente Wolf's Rain, stesso caso).
L'unico modo per recuperarli è sul mercato dell'usato, tipo ebay, però non ho idea di che prezzi girino...
Comunque ergo proxy è una serie di cui hi sentito spesso parlare, prima o poi la recupererò.
Verde contro Rosso per me è uno dei più bei film di Lupin, gli dato 8, e forse sono pure sito basso.
I figli del mare l'ho in lista ma non è una priorità, ho letto il primo volume del manga e non mi aveva convinto.
Mi sa che chi ce li ha per ora se li tiene.
Mi ha illuso che avesse una storia, mi ha fatto sprecare 8 ore di vita. Se vuoi fare un 'mpepata di cozze, almeno abbi il buon gusto di iniziare da subito cosi droppo
Ogni tanto qualche copia dell'edizione completa su Amazon sbuca fuori, devi starci attento però. Si trovano anche i cofanetti sfusi DVD, addirittura quelli panini. L'usato attualmente lo fanno pagare una fortuna proprio per la sua rarità, anche se non più un paio di anni fa era in stock su Amazon.
Se i dvd li vendono a 100 euro, a quanto vendono i bluray?
Nemmeno io sono riuscita ad appassionarmi a quest'opera. Perciò la ricordo pochissimo, ora non potrei nemmeno scrivere commenti.
Io presi l'edizione da collezione in DVD ad aprile/maggio su Amazon, è durata pochissimo. Ho anche un edizione in Blu-Ray ancora incellophanata presa poco dopo su IBS, anche quella durata poco... Per ora la tengo lì come una reliquia, dato che mi è piaciuto molto! 😁
QUanto ci tenevo a Children of sea! L'ho aspettato tanto per essere amaramente deluso. Un film sufficiente che non lascia il segno, dove perfino Joe Hisaishi è anonimo. Il manga è meraviglioso ma non è tanto l'attinenza o meno, è la regia, la direzione, il voler essere un film di oggi a far crollare tutto, proprio perché il manga e la sua storia appartengono ad un altro mondo... con il suo stile, la sua lentezza, la classicità che nella pellicola manca totalmente.
Quello di Lupin lo devo recuperare ...
Stile e design, opening, ending, atmosfera, regole e caratterizzazione del mondo dove si svolge, caratterizzazione dei personaggi... è tutto così perfetto che persino una storia mediocre risulta gradevole.
Consiglio a chiunque non l'abbia visto di vederlo, è semplicemente una pietra miliare dell'animazione giapponese, a prescindere da tutti i suoi difetti.
@esseci be c'è chi la identifica come un capolavoro, innovativa, un cult di genere e ci sta... se non ricordo male era del 2006 o 2008...
Verde contro rosso è bello proprio per quel mistero, il film è molto veloce, ma anche molto lento, per la prima volta il personaggi di Lupin viene visto da una prospettiva diversa, ci sono dei momenti memorabili, come l'inseguimento in 500 in omaggio a Cagliostro, o le riflessioni di Zenigata sulle funzioni dello stato, mai viste in una serie dallo stampo di Lupin. E poi la colonna sonora è una delle migliori che io ricordi, non solo di Lupin, ma dell'animazione tutta.
Un film per me molto bello che va ben oltre a tutto quello che ci si aspetterebbe da Lupin. Per me da 9, premiando il fatto di portare qualcosa di nuovo ad una saga che andava perdendosi sempre più in film un po' mediocri.
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