È da poco iniziato il mese di gennaio, Aizawa Yuuichi è uno studente delle superiori appena trasferito in una innevata città dove, fino a sette anni prima, era solito passare dei brevi periodi di vacanza. Qui viene ospitato a casa di sua zia Minase Akiko e della figlia di quest’ultima, Nayuki, dello stesso anno di Yuuichi. Inspiegabilmente, il ragazzo sembra non avere più alcuna memoria delle persone che aveva conosciuto in questi luoghi, a parte brevi flashback. Ben presto, però, entrerà in contatto con diverse ragazze, che sembrano in qualche modo legate con il suo passato, interagendo con loro, forse, i ricordi dimenticati della sua infanzia riemergeranno. 


In fondo, One: Kagayaku Kisetsu e ("verso la stagione radiosa"), non fu che un prototipo, seminale sotto molti aspetti, terribilmente lacunoso sotto altri. Da una parte, è giusto sottolineare l’ambizione di un manipolo di scrittori in erba, intento ad andare oltre quelli che erano i regimi di sviluppo nei videogiochi per adulti, ma dall’altra, non si può negare quanto l’impalcatura narrativa fosse fallace, acerba e oggi sotto molti aspetti vetusta. Ma non è facile, a così tanti anni di distanza e senza un’esperienza diretta, capire cosa abbiano rappresentato questi prodotti per una generazione di videogiocatori. L’economia stagnante del “decennio perduto” (Ushinawareta Jūnen) si contrappone con la vivacità di Akihabara e delle code davanti ai negozi, manifesto di un sentimento di disillusione da una realtà sempre più grigia e di un futuro incerto, caratteristico dell’epoca Heisei. C’è meno lavoro, ma i giovani consumatori spendono di più. Anche questi possono essere dei fattori che hanno contribuito ad avere un loro peso, nel contesto del mercato dei videogiochi per PC anni Novanta il quale, inevitabilmente, si interseca con quello dei bishoujo game, un genere che dal 1992 circa attraversa quella che sarà riconosciuta come la sua Golden Age

In seguito allo scoppio della bolla economica, l’opinione pubblica ha iniziato a mettere in discussione l'impalcatura della propria stanca idea di “lavorare duro a scuola per poter lavorare in una buona azienda”, anche se lentamente. In Akihabara: Conditioning a Public OtakuPatrick W. Galbraith descrive questo periodo come quello della nascita di un nuovo modello di maschio consumatore, lontano dall'otaku sociopatico di fine anni ‘80/primi ‘90, un ragazzo represso che cerca di "diplomarsi" (sotsugyōsuru) dallo stile di vita otaku, che è solo una fase, il suo consumo doveva essere reindirizzato dal piacere personale alle relazioni sociali produttive”. Il racconto Densha Otoko diviene in tal senso l’opera simbolo di questo processo di “normalizzazione” dell’otaku. “Nei primi anni 2000, gli otaku furono riconosciuti come ultraconsumatori e forza creativa nel settore dei contenuti, e vengono incorporati nel marchio "cool Japan", i cui prodotti divengono attrazione turistica. Questa transizione viene registrata dalle onnipresenti telecamere e dal flusso di giornalisti e turisti che convergevano ad Akihabara”. Oggi, a oltre vent’anni di distanza, possiamo affermare con ragionevole certezza che questo mutamento ha avuto effetti positivi, ma anche negativi, sul processo creativo delle opere di finzione così come in altri aspetti, che non stiamo ad affrontare. 

Scandagliando decine di blog e discussioni su X, in virtù anche del recente ventennale di Clannad, è possibile trovare diversi appassionati giapponesi definire il periodo a cavallo dell’uscita delle prime visual novel Key, come quello della “bolla moe”, poiché anche questa tipologia di prodotti, come quella finanziaria del decennio prima, ha visto il raggiungimento di un suo picco in un determinato periodo, per poi, inesorabilmente, scoppiare, ridursi o cambiare radicalmente forma dopo il primo decennio del nuovo millennio. Il 1999 sembra l’apice di questo boom, è l’anno di Comic Party, nuovo successo di Leaf dopo quello di To Heart (1997) che ha come tema principale il vivace mondo delle doujinshi, è l’anno in cui il Comiket raggiunge il suo nuovo record con 35000 circoli e 400,000 visitatori, è l’anno dell’installazione dell’enorme insegna di Dejiko, la mascotte kawaii di Broccoli protagonista di Di Gi Charat, che per anni svetterà sul panorama di Akihabara divenendone icona riconoscibile, ed è l’anno della nascita dell’influente forum 2channel, dando definitivamente il via all’era delle community di internet. Infine, ultimo ma non meno importante, nel 1999 viene pubblicato Kanon, prima fondamentale visual novel sviluppata da Key. 

Il 18 e il 19 maggio 2024, si è tenuto al Tachikawa Stage Garden un ritrovo di duemila appassionati, con il cast vocale al completo, per il 30° anniversario dall’uscita di Tokimeki Memorial, altra opera fondante e fondamentale su più livelli, appartenente ad un genere, il dating sim, certamente diverso, per regole e struttura, da quelli che saranno i romanzi visivi di fine anni Novanta, ma in linea di massima si attribuisce a queste due declinazioni un’origine comune, collocabile tra Tenshi-tachi no Gogo (JAST, 1985) e soprattutto Dōkyūsei (Leaf 1992). Ora tocca a Kanon spegnere le candeline, per l’esattezza venticinque, essendo uscito originariamente il 4 giugno del 1999, anche nel suo caso ci sono state alcune iniziative in quel di Akihabara, con nuovi gadget in vendita e un cafè a tema con tayaki fuori stagione, oltre all’arrivo, finalmente, di una pubblicazione ufficiale in occidente. Vale la pena, a venticinque anni di distanza, recuperare il videogioco di debutto di Key? Kanon è davvero il capolavoro descritto da Konoha Akisato, l’appassionata e vivace protagonista di 16Bit Sensation

Vi sono dei fattori che, inevitabilmente, frenano il consiglio spassionato di una visual novel del 1999, ma una cosa è certa, Kanon è un passo avanti enorme rispetto al prototipo One, ed è migliore di tante visual novel moderne, a patto di scendere a compromessi con quelle che sono le sue regole, i suoi limiti narrativi e la sua natura un po’ subdola acchiappa-otaku. Ma affermare, in maniera dispregiativa, che Kanon è per otaku, è un po’ come dire che FIFA è per calciofili, sottolineare l’ovvio non è interessante, è più interessante capire se prodotti come questi hanno qualcosa da dire, e da dare, anche ad altre tipologie di lettori, nonché ripercorrere l’influenza che hanno avuto anche su altri generi e media. Così come ogni quattro anni, in occasione delle Olimpiadi, ti ritrovi in quelle tre settimane a seguire sport di cui tendenzialmente in altri periodi non ti importa nulla, è possibile provare occasionalmente un bishoujo game, apprezzandolo o meno, senza per questo andare ad ordinare una action figure inerente o riempire la camera di poster ecchi. Semmai, il problema non è tanto il moe o il genere delle VN, quanto piuttosto lo stile di narrazione nakige, che per un lettore più scafato e meno incline a farsi “manipolare”, può trasmettere una sensazione di repulsione. Come scrive Jacob Chapman in un articolo di ANN del 2015: “Se una storia tocca le corde del cuore di qualcuno nel modo sbagliato, il rifiuto sarà solitamente violento. A nessuno piace sentirsi manipolato, soprattutto manipolato fino a sentirsi triste, di conseguenza le critiche ai lavori di Maeda sono spesso altrettanto feroci quanto l'affetto per essi.”[1]. Il che, è legittimo, comprensibile, cionondimeno il nakige è stato un mezzo, o comunque uno dei mezzi, di emancipazione del genere dai vincoli commerciali preimposti (introducendone di contro altri), con questo tipo di storie gli autori volevano dimostrare ai produttori che i bishoujo game per PC potevano vendere anche senza l’erotismo, e perché no, intercettare nuovo pubblico facilitando l’approdo sul remunerativo mercato console. 

Il successo di To Heart del 1997 convince altri produttori ad investire in questo genere con commoventi storie d'amore e immagini moe, andando progressivamente a diminuire la componente erotica, fino ad allora ritenuta dai produttori essenziale per le vendite su PC. Tra loro c'era la coppia di Tactics formata da Naoki Hisaya e Jun Maeda, che con One introdussero la formula semplice ma efficace del nakige ("gioco del pianto"), consistente nella struttura "prima metà comica + parte centrale romantica e commovente + separazione tragica + incontro emotivo" (A History of Adult Games, Satoshi Todome). Con l'avvento di Kanon, uscito appena una settimana dopo il già menzionato Comic Party dei rivali di Leaf (azienda da cui proveniva il compositore Shinji Orito, uno “scippo” che si rivelerà fondamentale), il mercato dei giochi bishoujo per PC raggiunge un punto di svolta, con una forte tendenza a rappresentare emozioni profonde tra i personaggi, piuttosto che il semplice erotismo. D’altro canto, alcuni più cinici potrebbero chiedersi se il moe misto a dramma, utilizzato in questo modo come mezzo attrattivo, sovraesposto e suppletivo al sesso, non sia anch’esso una forma di pornografia. 

“Il mercato dei cosiddetti eroge iniziò a concentrarsi sempre di più sulle storie romantiche, di conseguenza, le scene R18 furono trattate come se potessero essere assenti. A questo punto, alcuni acquistarono la versione per tutte le età, c’era la sensazione che le scene pornografiche potessero intralciare la storia [...]. Era un desiderio di auto-identificazione e di accettazione di innocenza fanciullesca”.[2] 


Del resto, le scene H non erano certo un granché, anzi, sono proprio brutte, palesemente forzate e spesso fuori contesto (e neanche doppiate, dato che il doppiaggio fu aggiunto con la versione Dreamcast), tutto si può dire sul character design di Itaru Inoue, fuorché definirlo anche solo minimamente sensuale. Non stupisce se dal 2004, anno di uscita della Standard Edition per Windows XP, non siano più state riproposte, come se fossero effettivamente disconosciute dalla Key stessa, mentre nel fandom, in barba alle cinque eroine protagoniste, la più "gettonata" della Rule34 sarà Akiko-san con il suo fascino da milf.

Pur essendo stato un anno addietro un discreto successo per Tactics, One, uscito lo stesso mese di White Album, aveva perso totalmente il confronto con il gioco di Leaf, azienda più attrezzata dal punto di vista grafico e già affermata, avendo dato il via con le due visual novel horror Shizuku e Kizuato, all'era dello sviluppo su Windows, lanciato da Microsoft in grande stile, decretando la fine del PC98. Questa volta, il nuovo gioco di Hisaya e Maeda irrompe in maniera più aggressiva e farà subito parlare di sé. Ad Akihabara, il giorno dell’uscita di Kanon, molte persone sono state viste uscire dai negozi con un poster in formato A0 (84,1 x 118,9 cm) nei loro zaini, uno dei gadget che le catene erano solite consegnare agli acquirenti con la First Press Limited Edition; il tubo contenitore sembrava un cannone e la parola "Kanon Cannon" divenne un meme ante-litteram su alcune community, quasi come a rappresentare l’impatto che questo videogioco ebbe sul mercato. 
Il confronto ravvicinato tra Comic Party e Kanon è interessante perché mai due opere potrebbero essere più diverse; la prima rappresenta la vivacità tipica della Akihabara del 1999, inserita in un contesto contemporaneo ben preciso, con personaggi appassionati di doujinshi plasmati per “ripulire” la figura dell’otaku e di ciò che sta intorno, mentre la seconda è malinconica, surreale, vaga nella sua collocazione rurale, con personaggi che paiono fuori dal tempo, figure astratte di un gelido gennaio che tutto ferma, andando a cementificare uno stile che sarà caratteristico del suo studio.


È bene innanzitutto sottolineare che Kanon, così come i precedenti Moon e One di Tactics, vede due scrittori, Naoki Hisaya e Jun Maeda, dividersi i cinque percorsi della novel, ma essendo questi dispari, l’attribuzione dello scenario writer chiaramente non è equivalente, dato che Hisaya ha scritto le storie di NayukiShiori e Ayu, mentre Maeda si è occupato di Mai e Makoto. Questa spartizione è importante da tenere a mente, prima di tutto perché la qualità, come spesso avviene in questo genere di giochi, non è costante, e in secondo luogo perché vi sono sostanziali differenze tra i due autori, nel modo di narrare, nel modo di gestire i rapporti tra il protagonista Yuuichi e le ragazze così come nel ruolo che queste hanno nelle altre route, divergenze creative che, probabilmente, sono state tra le cause della loro separazione professionale durante la lavorazione del successivo Air (2000), periodo in cui Maeda prenderà le redini principali dello studio. In Kanon è ancora Hisaya a primeggiare come scrittore e i suoi sono i percorsi generalmente più apprezzati, con il personaggio di Ayu Tsukimiya che svetta ovviamente su tutti gli altri, contribuendo, tra le altre cose, a lanciare la fenomenale carriera di una allora debuttante Yui Horie.

Ma qual è il più indicato per iniziare? Kanon ha una struttura “a imbuto” tipica di molte visual novel, in particolare quelle più datate, la quale non prevede un percorso aggiuntivo come quello di Air, o un True Ending come chiusura complessiva. Una volta indirizzata la storia in base alle scelte collocate nei primi giorni, fase che funge da introduzione per far conoscere i personaggi, ogni route diviene indipendente dalle altre, finché non giunge alla sua naturale conclusione. Questa struttura narrativa è uno degli aspetti che contraddistingue la novel dalla comunque ben fatta trasposizione animata del 2006 (quella del 2002 non vale la pena neanche prenderla in considerazione); se prendiamo la serie animata, nella sua prima metà vediamo Yuuichi interagire la mattina con Nayuki, subire gli scherzi di Makoto, pranzare con Mai e Sayuri a scuola, incontrare in cortile Shiori e interagire con Ayu nella via commerciale. TroppoCon il proseguire degli episodi, Yuuichi diviene la figura salvifica di tutte le ragazze che sembrano fare a gara a chi è la più strana ed enigmatica, ed è comprensibile che questa sovraesposizione possa risultare stucchevole per qualche spettatore. Nel gioco originale, invece, una volta imboccato un percorso dopo la succitata fase introduttiva, il protagonista si concentra su una e quella soltanto tra le figure femminili, lasciando alle altre il ruolo di comprimarie, con alcune più presenti di altre. Mai, in particolare, al di fuori della sua route è possibile non incontrarla neppure una volta. 


Esiste, tuttavia, un ordine consigliato per fruire al meglio della storia di Kanon, la maggior parte dei giocatori indica quello di Nayuki Minase come il percorso ideale per iniziare, per vari motivi. Nayuki è la prima persona che incontri, è la cugina con cui condividi il tetto ed è al contempo il più classico cliché, già abusato all’epoca, dell’amica d’infanzia, di quella che ti viene a svegliare la mattina, anche se in questo caso, Hisaya sembra giostrare su tale stereotipo: è lei che dorme come un sasso e deve essere svegliata. Insomma, Nayuki è ciò che si definisce la prima portata servita su un piatto d’argento, ma la sua è anche la storia più semplice e lineare, per la maggior parte della sua durata si presenta con un tipico stile da slice of life, fatto di sveglie al mattino, normali lezioni a scuola e pomeriggi spensierati, salvo poi interrompere bruscamente questa routine, ciò in funzione di trasmettere così una sensazione di vuoto, una volta che la presenza di una persona, che hai dato per scontata, viene improvvisamente a mancare. C’è ovviamente sullo sfondo il mistero sul passato di Yuuichi e il suo rapporto con Nayuki, ma ai titoli di coda di questo primo percorso rimane l’impressione di aver solo scalfito la superficie di ciò che Kanon vuole mostrare. 

A questo punto si riparte e decidiamo di seguire l’ordine suggerito implicitamente dall'opening stessa del gioco. Con Shiori l’asticella si alza e Hisaya ci mette di fronte al rapporto con la morte, in una vicenda di confronti, accettazione ma anche rifiuto tramite il personaggio di Kaori. La storia di Shiori, forse quella trattata peggio nell’anime di Kyoto Animation, è il primo nakige nella sua più intrinseca manifestazione, nel bene e nel male, tra momenti morti, un countdown abilmente costruito e forzature di vario genere (allucinante la scena finale nel parco), ma è anche la storia d’amore generalmente più apprezzata, forse perché la più naturale, meno sdolcinata, priva di flashback e momenti magici, con alcuni dialoghi che penetrano come un ago nella pelle per veemenza espressiva. 


Con Makoto Sawatari il timone passa a Jun Maeda, che scrive una storia strana, con una protagonista a tratti insopportabile, per buona parte ci sembrerà di perdere tempo in sua compagnia con scene idiote, salvo poi decollare nella fase finale, insomma in pieno stile Maeda. Già iniziando a riflettere sul mistero dell’identità di Makoto, ma soprattutto sul suo comportamento irritante, infantile, quando non proprio privo delle più basilari regole dell’educazione, si capisce dove la storia vuole andare a parare. La ragazza si comporta esattamente come un animale, piombato in casa Minase come un gatto randagio, tra scherzi senza senso, capricci per attirare l’attenzione che nascondono il timore di essere di nuovo abbandonata. 
La perdita di un animale domestico è forse il primo lutto che affrontiamo nella nostra vita, a volte già in tenera età, con i nostri genitori che ci spiegano a grandi linee cosa sta succedendo; è un passaggio comune nella crescita, e la route di Makoto sembra voler dire anche questo, lascia perplessi infatti la freddezza che mostra Nayuki nei confronti di quella che diventa quasi un membro della famiglia, che non fa letteralmente nulla per aiutare Yuuichi, mentre la zia Akiko al solito sembra sapere tutto. Vedere Makoto perdere sempre più le facoltà fisiche e cognitive, fino anche a dimenticare il suo nome (di cui andava tanto fiera) è una delle scene più strazianti del gioco, non è un personaggio memorabile né è protagonista di un percorso scritto così bene (vedasi Amano apparsa dal nulla solo per spiegare a Yuuichi chi è Makoto), ma alla fine, bene o male, qualcosa ti rimane. 


Con Mai Kawasumi è difficile dire lo stesso, in questo percorso si capisce quanto sia diverso lo stile di scrittura di Maeda da quello di Hisaya. Hisaya nella narrazione è snello, lineare, ma infarcisce questa semplicità di emozioni e carattere. Maeda, al contrario, crea vicende più ingarbugliate per poi rimanere sul vago su molti aspetti, come risultato, si avverte a volte la sensazione di assistere a numerose forzature, i messaggi diventano astratti e questo rende più difficile capire le chiavi di lettura. I “demoni” contro cui combatte Mai sembrerebbero una manifestazione del suo carattere autodistruttivo e un’allegoria all’autolesionismo, un malessere interiore che finisce per schiacciarla e ferire l’unica persona a lei cara (Sayuri), In questa sua lotta, l’arrivo di Yuuichi assume chiaramente un ruolo importante, forse persino maggiore rispetto alle storie precedenti, anche se tutta la questione sul “rendere Mai più femminile”, oltre ad essere una riproposizione (non l’unica) dal personaggio Nanase Rumi di One, fa molto manga degli equivoci anni ottanta e, diciamo, non è invecchiata benissimo. Al netto di sparsi spunti interessanti e della sua atmosfera più dark, questo percorso soffre di un ritmo mal gestito, per larghi tratti soporifero, rendendolo indubbiamente il più pesante del gioco. 


Errori che Naoki Hisaya non commette con Ayu Tsukimiya, ritenuta, non a torto, non solo la storia migliore del gioco ma ancora oggi tra le migliori di tutte le produzioni Key, entrando nel novero delle indimenticabili. Ti aspetti che il suo percorso sia il più lungo ma in realtà è uno dei più brevi, ma è anche questo che lo rende così speciale nel genere delle visual novel, non punta a farti perdere tempo e mantiene un ritmo relativamente buono per buona parte della sua durata. La route di Ayu è unica perché sfrutta ambientazione, musica e dialoghi per creare mistero e tensione, ma sempre con la leggerezza e la tenerezza che contraddistingue il personaggio. Ayu va lasciata per ultima perché la sua storia unisce tematicamente tutte le altre. 
La relazione tra lei e Yuuichi funziona nella sua leggerezza da commedia, più che come sviluppo romantico. I dialoghi più seri, come quelli in cui Ayu inizia ad aprirsi sul balcone della tua stanza, servono a portare avanti la storia, ma anche la precedente routine, fatta di prese in giro e di uguu, è in funzione di questo tipo di narrazione. Pertanto, è uno dei percorsi più facili da leggere in Kanon, poiché il linguaggio è semplice e conciso, dove serio e faceto rimangono ben bilanciati, lasciando al lettore sempre quel retrogusto dolceamaro, fino agli ultimi due rivelanti giorni. Ayu merita la copertina di Kanon, fin dal 1999, perché ne racchiude il significato tutto. 

Nello strano, e metafisico episodio 8 di 16Bit Sensation – Another Layer, ambientato nel 1985, agli albori del mercato dei bishoujo games, una misteriosa figura di nome Echo cerca di comprendere e riprodurre il potere attrattivo che hanno alcuni videogiochi, piuttosto che altri, chiedendosi come mai quelli che sviluppa lui, programmati in maniera perfetta e basati su calcoli precisi, non trasudino la stessa “magia”. “I giochi che faccio non hanno alcuna energia”, le sue parole ci sembrano quasi un monito al sempre più attuale sviluppo e utilizzo delle IA. Mamoru è confuso, lui è un programmatore smanettone di computer e non un creativo, ma prova comunque a rispondere al suo dilemma riferendosi alla copertina: “Il design della confezione non mi dà l’impressione di divertire”, in pratica, manca di immaginazione. 
Ma cos’è l’immaginazione? Per gli antichi greci era l’εἰκασία, ovvero la capacità di pensare al di là di ogni precisa elaborazione logica, è quell'energia che scaturisce dalla propria forza di immaginare, anche ammirando una singola illustrazione esposta, di un libro, di un manga, di un videogioco. L'immaginazione ha il potere di alterare tempo e spazio, è ciò che definisce la realtà, e quindi, la facoltà di creare storie e mondi. 


“Per coloro che conoscono la storia, l'immagine qui sopra è molto triste. La figura di Ayu in un giorno passato, seduta su un tronco d’albero che simboleggia i ricordi di loro due, sembra scomparire da un momento all'altro, ricordandoci l’addio di quel giorno”

La protagonista di 16Bit Sensation – Another Layer, Konoha Akisato, dopo essere stata catapultata nel 1999, crea con la piccola compagnia Alcohol Soft, forte delle sue conoscenze del futuro, un bishoujo game talmente avveniristico, talmente bello, da stravolgere l’intero mercato dei videogiochi giapponese. Al suo ritorno nel 2023, scopre con suo enorme stupore che tutte le visual novel che tanto amava, sulle quali si era ispirata per creare il suo videogioco, come Steins;Gate e Fate/stay night, non esistono più, di fatto, non sono mai state sviluppate, e Akihabara è ora un ricco, ma freddo quartiere residenziale. Cosa ci dice, quell’episodio di 16Bit Sensation? Che ogni piccola innovazione, ogni tentativo di deviare dalle regole di mercato, sia esso casuale o studiato, può scatenare una serie di cambiamenti, collocandosi in un tassello temporale ben preciso, cui si lega in maniera indissolubile, lasciando un ricordo che può essere indelebile in coloro che quel periodo l'hanno vissuto.
Pur con mezzi narrativi a tratti amatoriali, quando non subdoli nel loro accalappiare un certo tipo di pubblico, Leaf, Key e altre compagnie hanno saputo emanciparsi da dettami commerciali prestabiliti, ispirando futuri autori, i quali compiranno il passo successivo, andando oltre il piccolo, deviato e disordinato mondo dei romanzi visivi per computer.

 

[1]Why Clannad Made You Cry - Anime News Network
[2]「萌え絵」と呼ばれるスタイルがジャポニズムを超える日 - 狐の王国 (hateblo.jp)
Akihabara: Conditioning a Public "Otaku" Image | Request PDF (researchgate.net)