L'Anime Mirai Festival di AnimeClick tenutosi il 21-22 settembre a Torino ha ospitato non solo proiezioni cinematografiche, ma anche panel con ospiti d'eccezione. In questo modo si ha avuto modo di offrire una bella esperienza a tutti i fan dell'animazione giapponese senza dimenticare il proprio obiettivo culturale.

Il 20 settembre, come apertura della kermesse, si è svolto un panel moderato dal nostro Alessandro Falciatore intitolato "Il presente e futuro dell'animazione in Italia" presso l'Università di Torino. I relatori, Emiliano Fasano e Valentina Mazzola di ASIFA Italia (che riunisce gli artisti e i professionisti dell'animazione italiana e che promuove la cultura dell'animazione), Luca Chiarotti dell'Accademia Nemo di Firenze (che con i suoi 25 anni di esperienza è una delle migliori scuole in Europa per l’offerta formativa che propone ai giovani talenti di tutto il mondo che vogliono lavorare nel campo dell'animazione) e Sandro Cleuzo, animatore ed insegnante d'animazione.
 
Anime Mirai Festival

Sandro Cleuzo ci ha raccontato la sua storia e la sua carriera nel mondo dell'animazione. Nato in Brasile, aveva solo 15 anni quando ha iniziato a realizzare pubblicità per la TV.  Dopo 4 anni è andato a lavorare per Don Bluth (Fievel sbarca in America) e innanzi a lui si è aperto il mondo dell'animazione votata alla fiction: lavorando per la pubblicità, si era abituato ad animare per vendere i prodotti ma con Bluth ha imparato le basi dell'animazione che tanto amava e ha sviluppato il suo stile espressivo: i suoi personaggi pensano e agiscono come se fossero degli attori umani. Dopo 6 anni, dopo Anastasia, è andato a lavorare per la Disney in California dove è rimasto per 8 anni. Successivamente è andato alla Dreamworks e attualmente è un freelancer e lavora a contratto con diversi studi, cosa che gli ha permesso di crescere molto professionalmente poiché sempre alle prese con stili differenti. È giunto in Italia una decina di anni fa per un workshop alla Nemo Academy dove ha continuato ad insegnare. Nel corso del tempo ha visto anche la nascita e lo sviluppo dell'animazione in CGI e lavora per essa come character designer, ma animare in CGI non è il suo forte: apprezza più vederla che processarla.

Durante il panel si è fatto il punto della situazione sull'animazione in Italia partendo dal passato fino ai giorni attuali. 
In Italia ci sono circa 80 studi di animazione e quasi 6000 professionisti dell'animazione tra animatori, organizzatori di festival, sceneggiatori, docenti e musicisti, perché l'animazione è fatta da tutte le arti messe assieme: il settore in Italia è vivo e vegeto. Una branca debole però è ancora quella degli sceneggiatori perché in Italia non esiste una vera e propria scuola per sceneggiatori per l'animazione.
Si è parlato di come anni fa si siano viste molte produzioni italiane quali La Pimpa, La Linea di Osvaldo Cavandoli, e le opere di Bruno Bozzetto, autore italiano che è stato spesso citato durante la conferenza per via delle sue innumerevoli produzioni e il riconoscimento che ha ottenuto anche all'estero.
Si può cadere in fallo nel pensare che oggi ci sia meno animazione nostrana rispetto al passato, ma è una percezione errata in quanto siamo abituati a pensare alle opere di animazione come esclusivamente seriali o cinematografiche, ma molto del lavoro viene fatto in ambito pubblicitario. Anni fa sembrava ci fosse più animazione ma semplicemente perché al tempo non vi era la concorrenza di oggi, il pubblico era più ingenuo e innocente e, soprattutto con la diffusione della televisione a colori, voleva vedere spettacolo, magia e movimento. Ciò che ad esempio Bozzetto faceva ai tempi, era usare gli introiti derivati dalla produzione di pubblicità per fare film d'autore. Oggi fondamentalmente mancano produttori e persone disposte ad investire in un processo lento ed estremamente dispendioso che è quello d'animazione.
Perché non si investe? Forse perché in quanto italiani, perennemente circondati dalla cultura di retaggio classico, facciamo fatica a concepire che una forma d'arte nuova come l'animazione possa essergli equiparata. Infatti un animatore in Italia guadagna in maniera sufficiente ma la sua paga è un ottavo rispetto ai colleghi francesi. Ovviamente le questioni economiche sono una motivazione importante per cui molti ragazze e ragazzi che escono dalle scuole per animatori devono guardare all'estero: la vetrina è mondiale ma anche la concorrenza.
 
Anime Mirai Festival

Emiliano Fasano ci racconta poi la storia di ASIFA, inesorabilmente legata alla nascita del Festival dell'Animazione di Annecy e il Festival di Zagabria a fine anni '60. Nel 1982 Gianni Rondolino, docente dell'Università degli Studi di Torino e scrittore del tomo "Storia del cinema d'animazione", incarica il suo dottorando Alfio Bastiancich di dargli una mano e fare ricerca di autori. La ricerca lo condusse fino alla fondazione, proprio a Torino, della sede Italiana di ASIFA con lo storico Giannalberto Bendazzi e i principali autori dell'animazione: Bruno Bozzetto, Emanuele Luzzati, Giuseppe Laganà e molti altri. Più volte è stato sottolineato come tutti loro fossero di fatto artigiani perché l'animazione in quegli anni era a bottega e popolata da giovani artisti. Questi trovavano spazio nella televisione italiana grazie alla Rai che ha realizzato fino a fine anni '60 il mitico Carosello nel quale figuravano moltissimi spot pubblicitari animati. Con la chiusura del programma nessuno ha più finanziato l'animazione nel nostro paese.
Dal 1997 la Rai è tornata a produrre animazione grazie a un contratto di servizio tra con il Governo dove è stato messo nero su bianco l'obbligo di realizzare una quota di intrattenimento per l'infanzia, e quindi anche animazione: ecco da dove deriva il principale target Rai per i cartoni animati.
Le tempistiche però sono state poco felici perché, dopo tutto quel tempo, coloro che in passato facevano animazione nel frattempo, in mancanza di finanziatori e quindi di lavoro, avevano cambiato occupazione. Alcuni sono tornati sui loro passi e la Rai riparte con Campedelli e il suo Lupo Alberto, o Cocco Bill. La Rai ha poche risorse da investire e non riesce a dar da lavorare a tutti gli studi; si concentra quindi sul farne crescere pochi così da non disperdere le finanze e le energie. Finisce così lo statuto "artigianale" dell'animazione in Italia che si proietta verso l'industrializzazione. Campedelli, ad esempio, aveva precedenti di lavoro nell'industria di distribuzione cibaria: quando scopre che c'è possibilità di business per produrre i cartoni animati fonda uno studio per realizzarli. Le sue origini, in effetti, sono industriali e non artistiche. La sua azienda si struttura quindi come studio che non realizza concretamente le opere ma si occupa di mettere in piedi progetti finanziari per farle produrre, lasciando la lavorazione ad altri studi minori.
 


Anche Cartoons on the Bay, altro evento italiano dedicato all'animazione, nasce negli anni Novanta proprio perché la Rai è obbligata a investire sull'animazione: ha così origine il primo festival mondiale dedicato alla serie TV; infatti, tranne che in Italia, negli altri paesi la serialità era considerata come di poca qualità. Per far capire quale fosse il peso che è stato dato a Cartoons on the Bay, basti pensare che la prima giornata è stata ospitata in prima serata su Rai 1 con la conduzione di Pippo Baudo e gli ospiti dell'evento non furono studi o personaggi famosi per attirare il grande pubblico ma persone e paesi in funzione dei progetti di co-produzione che Rai aveva in mente, quindi Canada, Francia e via dicendo. Ecco perché si è visto poco Giappone nelle intenzioni produttive dell'animazione Italiana.

E adesso? Tre anni dopo nasce Rai Ragazzi per unire produzione, programmazione dei canali e la presenza sui mercati internazionali dell'animazione italiana. Da qui il tentativo di rilancio dell'industria dell'animazione italiana assieme alla legge del 2016, la Legge Cinema Franceschini, per riformare la produzione di cinema nazionale. Grazie al testo della riforma per la prima volta vi è una definizione legale di animazione; se qualcosa viene nominato in una legge di conseguenza ha dei diritti: devono essere fatti dei bandi, ai professionisti devono essere riconosciuti oneri e onori. All'epoca i mestieranti erano 500, oggi sono 6000: siamo ancora in un periodo favorevole per lo sviluppo di animazione in Italia, ma il problema rimane sempre quello della produzione. All'estero per esempio ci sono molti più fondi destinati alla cultura e ci sono molti enti interessati sia alla produzione che alla distribuzione di opere animate. In Italia si compra molto dall'estero per distribuire in locale ma non perché nel nostro paese manchino le competenze e le idee, bensì manca interesse nell'investire. Produzioni come quelle di Zerocalcare, Questo mondo non mi renderà cattivo e Strappare lungo i bordi, hanno funzionato perché era un autore che già funzionava. Inoltre è stato prodotto grazie alla costante insistenza di Netflix.

C'è stato di recente il tentativo di ricreare una legge che vincolasse alla produzione di animazione locale, cioè una normativa che costringesse le piattaforme a produrre in locale una parte dei prodotti che mette in vetrina in un dato paese. In Francia questa riforma è passata ma in Italia no. Eppure, per quanto positive, tutte queste leggi proposte andrebbero riviste. La vecchia Legge Cinema del 2016 aveva delle pecche: incentivava la produzione ma non la distribuzione, ad esempio, e ha inserito un tax credit, cioè la possibilità per le aziende di scaricare fiscalmente il 40% dei costi di produzione, e ciò ha sicuramente incentivato la crescita economica degli studi italiani. L'aspetto però negativo è che le più importanti aziende di animazione italiane sono state comprate da francesi e canadesi proprio per poter usufruire di queste agevolazioni fiscali. Molti studi italiani, quindi, nei fatti non sono più italiani.

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I cambiamenti ci sono stati anche a livello generale. Cleuzo ci ha raccontato di come fosse diverso ai tempi di quando iniziò a lavorare, ma la sostanza è rimasta la medesima perché anche se si anima al computer, si parte sempre dai disegni, ma ora lo si fa in digitale. 

Tornando al discorso produttivo, è stato detto che al momento i fondi per l'animazione ci sono ma variano in base a ciò di cui si vuole parlare: ad esempio i maggiori investimenti attuali si fanno nei confronti di opere che promuovono l'"italianità", e in questo frangente viene meno la creatività perché autrici e autori sono incatenati ad un tema specifico. Qui è anche dove i confini culturali si sentono concretamente, e sono ancor più forti quando si parla di co-produzioni. Ad esempio, da parte degli allievi della Nemo Academy, è stato più volte espresso il desiderio di co-produrre con il Giappone: la risposta che viene data loro è sempre la stessa, cioè che gli italiani non riescono a comprendere come sia diversa la cultura del lavoro in Giappone e che non riuscirebbero mai a mantenere i loro ritmi.

Ovviamente è stato affrontato il discorso dei target perché è sempre più difficile essere allineati con i gusti dei più piccoli. Chi sceneggia e crea opere è ovviamente adulta o adulto e poco capisce cosa amino i giovani. Talvolta avere figli piccoli non basta: i nuovi giovani sono più maturi e crescono più velocemente rispetto alle generazioni passate ed è molto complesso tararsi sui nuovi sviluppi comunicativi e cognitivi. Inoltre è stato dimostrato che i bambini negli ultimi anni reagiscono non tanto alla variazioni di senso quanto alle variazioni di ritmo o di colore di ciò che vedono. Il bambino si affeziona di più a quel tipo di storytelling e non alle narrative complesse di un tempo. Si tratta poi di generazioni sin da subito abituate al mondo dei social, veloce e variopinto, ma che costituisce un problema per i mestieranti: se da un lato i piani alti non vogliono che i piccoli vengano turbati da tematiche o scene troppo scioccanti, dall'altro sono esposti a uno stuolo di contenuti maturi e potenzialmente privi di supervisione. Non è che i bambini oggi siano sbagliati, sono semplicemente diversi e bisogna comprenderli.

Insomma, il problema dell'animazione in Italia non è da riscontrarsi in uno specifico capro espiatorio, non c'è un singolo nodo da sciogliere ma un intero ecosistema di relazioni, linee editoriali, paletti culturali, storie e professionisti che vanno prese in considerazione. Ma, com'è stato più spesso ribadito durante la conferenza, le nuove generazioni, più sensibili ed educate al medium, si stanno facendo carico di portare avanti l'eredità di questo settore in continua evoluzione anche nel nostro paese.



Ringraziamo gli ospiti e tutti coloro che ci hanno seguito. Ringraziamo anche Michele Mari per aver registrato l'evento visibile nel suo video in alto.