Katsura Hashino, game director dei moderni Persona e più di recente di Metaphor: ReFantazio, ha rilasciato un'intervista ad IGN USA nella quale evidenzia di avere le idee molto chiare quando si tratta di sapere cosa volere da un videogioco, a differenza di quello che pensano tanti altri che paiono semplicemente ossessionati dal numero di pixel e dal frame rate. "Voglio qualcosa, anche se non è completo, anche se è davvero grezzo, anche se è qualcosa di davvero incompiuto, che mi dia un'idea dell'umanità che c'è dietro. Voglio sapere chi l'ha creato e che mi dia un'idea dell'emozione che l'ha ispirato."
È una filosofia che gli è servita negli ultimi 30 anni ed è uno dei motivi per cui i giochi Persona hanno un seguito così devoto. Sì, la direzione artistica è impeccabile, così come l'attenzione ai dettagli, persino all'interfaccia utente, ma sono i personaggi che popolano questa fantastica serie a fare davvero la differenza. Chie, Junpei, Ann, sembrano tutti persone vere, con tratti ed emozioni con cui possiamo relazionarci, tanto da sembrare vecchi amici piuttosto che personaggi di un videogioco. È del tutto intenzionale ed è ciò che spinge Hashino a creare giochi: un approccio personale che va contro alcuni dei progetti più grandi là fuori che sono necessari per soddisfare le aspettative sia dei fan che degli azionisti dell'azienda.
Hashino ha preso in mano la serie Persona a partire da Persona 3, riprendendo alcuni dei temi più oscuri di Shin Megami Tensei e mescolandoli con l'atmosfera pop più stilosa di Persona, dando vita a un'estetica vibrante influenzata dagli anime, ambientata in uno scenario da liceo che affrontava tematiche psicologiche assieme ai concetti di dei e demoni. È una serie che ha consacrato Hashino come uno dei direttori più rispettati del gaming.
Persona 3 ha catapultato la serie verso una popolarità di massa e ha coinciso con un rinnovato interesse per gli anime in Nord America. Tuttavia, nonostante le sue immagini da cartone animato, il gioco e soprattutto i personaggi sono molto profondi, come spiega Hashino: "Penso che il divario tra il tipo di realismo dei personaggi stessi e l'estetica anime sia una parte davvero interessante e importante del gioco. All'inizio potresti fermarti a guardare questi personaggi e questo contesto in stile anime, per poi essere sorpreso ed interessato nello scoprire che c'è un mondo molto reale alla base. Guardare oltre l'anime e vedere il realismo è davvero una parte meravigliosa dei nostri giochi".
"Una cosa che assolutamente non mi entusiarma è pensare di avere questi giochi super rifiniti che sembrano progettati da un gruppo di persone in una sala riunioni di un CEO." Insomma il director vuole che il successo nelle vendite dei suoi giochi sia figlio di un lavoro di creatività libero e ben fatto, piuttosto che di una sterile pianificazione a tavolino.
Questo realismo, lo sforzo che Hashino e il suo team fanno per garantire che ogni personaggio sembri reale, è ciò che guida ogni decisione nel processo di progettazione, dalle idee generali ai dialoghi specifici, come spiega il director: "C'è questa bambina di nome Nanako [in Persona 4] che frequenta la scuola elementare. Quando abbiamo scritto per la prima volta i suoi dialoghi, li abbiamo scritti per essere davvero, davvero carini. Ma poi abbiamo fatto un passo indietro e abbiamo pensato: 'Aspetta un attimo, tutte le sue battute sono così carine e sono così ben fatte che non sembrano di una vera bambina umana a quell'età'. Sembrava semplicemente troppo".
Invece di appoggiarci al fatto che Nanako è un personaggio di un videogioco e quindi potrebbe avere dialoghi che non suonano veramente autentici, Hashino e il suo team sono tornati nella stanza degli sceneggiatori. "Abbiamo iniziato a tagliare quei dialoghi eccessivamente carini e abbiamo cercato di radicarli nella realtà. Quindi, anche se Persona 4 è un gioco fantasy moderno, volevamo che sembrasse più vicino a qualcosa che potrebbe accadere accanto a te".
Per capire ancora meglio il suo modo di pensare, basta vedere qual è il suo momento preferito in Persona 5: quando il cast di personaggi riesce a passare il tempo nel bar in stile retrò di Shibuya, dove i Phantom Thieves si nascondono.
"In Persona 5, molti personaggi non hanno davvero un posto in cui sentirsi al sicuro, quindi volevo trovare un posto dove potessero andare e avere davvero quel senso di sicurezza. E a Shibuya [un quartiere di Tokyo] è davvero difficile trovare quel posto. Ci sono molte strade, molti corridoi, ma non c'è davvero un posto in cui pensi, 'Ok, ragazzi, potete semplicemente sedervi qui e rilassarvi e usarlo come base'. Trovare un posto simile è davvero difficile, quindi ho cercato di dare loro un posto dove sarebbero stati benvenuti. È stato allora che mi è venuta l'idea di quello che in Giappone chiamiamo junkissa, che è un bar vecchio stile".
Non sorprende che l'amore di Hashino per i personaggi che crea sia qualcosa che trova eco nei fan e, anche se Metaphor: ReFantazio si allontana dalla familiare ambientazione di Persona (è ambientato in un nuovo mondo fantasy piuttosto che a Tokyo), ha molto in comune con i giochi che ha creato in precedenza. Allo stesso modo i personaggi di Metaphor, nonostante siano diversi dai Phantom Thieves che conosciamo, devono affrontare molte delle stesse pressioni emotive come pregiudizi, paura e ansia.
"Metaphor è un gioco in cui i personaggi sono più o meno adolescenti, ma non affrontano i problemi classici degli adolescenti", sottintendendo che i personaggi che incontrerai avranno a che fare con molto più del tipico dramma adolescenziale, delle pressione dei coetanei e delle storie d'amore. "Affrontano l'ansia e tutte queste altre grandi cose che colpiscono tutti, non importa chi siano, dove siano o quanti anni abbiano".
Fonte consultata
È una filosofia che gli è servita negli ultimi 30 anni ed è uno dei motivi per cui i giochi Persona hanno un seguito così devoto. Sì, la direzione artistica è impeccabile, così come l'attenzione ai dettagli, persino all'interfaccia utente, ma sono i personaggi che popolano questa fantastica serie a fare davvero la differenza. Chie, Junpei, Ann, sembrano tutti persone vere, con tratti ed emozioni con cui possiamo relazionarci, tanto da sembrare vecchi amici piuttosto che personaggi di un videogioco. È del tutto intenzionale ed è ciò che spinge Hashino a creare giochi: un approccio personale che va contro alcuni dei progetti più grandi là fuori che sono necessari per soddisfare le aspettative sia dei fan che degli azionisti dell'azienda.
Hashino ha preso in mano la serie Persona a partire da Persona 3, riprendendo alcuni dei temi più oscuri di Shin Megami Tensei e mescolandoli con l'atmosfera pop più stilosa di Persona, dando vita a un'estetica vibrante influenzata dagli anime, ambientata in uno scenario da liceo che affrontava tematiche psicologiche assieme ai concetti di dei e demoni. È una serie che ha consacrato Hashino come uno dei direttori più rispettati del gaming.
Persona 3 ha catapultato la serie verso una popolarità di massa e ha coinciso con un rinnovato interesse per gli anime in Nord America. Tuttavia, nonostante le sue immagini da cartone animato, il gioco e soprattutto i personaggi sono molto profondi, come spiega Hashino: "Penso che il divario tra il tipo di realismo dei personaggi stessi e l'estetica anime sia una parte davvero interessante e importante del gioco. All'inizio potresti fermarti a guardare questi personaggi e questo contesto in stile anime, per poi essere sorpreso ed interessato nello scoprire che c'è un mondo molto reale alla base. Guardare oltre l'anime e vedere il realismo è davvero una parte meravigliosa dei nostri giochi".
"Una cosa che assolutamente non mi entusiarma è pensare di avere questi giochi super rifiniti che sembrano progettati da un gruppo di persone in una sala riunioni di un CEO." Insomma il director vuole che il successo nelle vendite dei suoi giochi sia figlio di un lavoro di creatività libero e ben fatto, piuttosto che di una sterile pianificazione a tavolino.
Questo realismo, lo sforzo che Hashino e il suo team fanno per garantire che ogni personaggio sembri reale, è ciò che guida ogni decisione nel processo di progettazione, dalle idee generali ai dialoghi specifici, come spiega il director: "C'è questa bambina di nome Nanako [in Persona 4] che frequenta la scuola elementare. Quando abbiamo scritto per la prima volta i suoi dialoghi, li abbiamo scritti per essere davvero, davvero carini. Ma poi abbiamo fatto un passo indietro e abbiamo pensato: 'Aspetta un attimo, tutte le sue battute sono così carine e sono così ben fatte che non sembrano di una vera bambina umana a quell'età'. Sembrava semplicemente troppo".
Invece di appoggiarci al fatto che Nanako è un personaggio di un videogioco e quindi potrebbe avere dialoghi che non suonano veramente autentici, Hashino e il suo team sono tornati nella stanza degli sceneggiatori. "Abbiamo iniziato a tagliare quei dialoghi eccessivamente carini e abbiamo cercato di radicarli nella realtà. Quindi, anche se Persona 4 è un gioco fantasy moderno, volevamo che sembrasse più vicino a qualcosa che potrebbe accadere accanto a te".
Per capire ancora meglio il suo modo di pensare, basta vedere qual è il suo momento preferito in Persona 5: quando il cast di personaggi riesce a passare il tempo nel bar in stile retrò di Shibuya, dove i Phantom Thieves si nascondono.
"In Persona 5, molti personaggi non hanno davvero un posto in cui sentirsi al sicuro, quindi volevo trovare un posto dove potessero andare e avere davvero quel senso di sicurezza. E a Shibuya [un quartiere di Tokyo] è davvero difficile trovare quel posto. Ci sono molte strade, molti corridoi, ma non c'è davvero un posto in cui pensi, 'Ok, ragazzi, potete semplicemente sedervi qui e rilassarvi e usarlo come base'. Trovare un posto simile è davvero difficile, quindi ho cercato di dare loro un posto dove sarebbero stati benvenuti. È stato allora che mi è venuta l'idea di quello che in Giappone chiamiamo junkissa, che è un bar vecchio stile".
Non sorprende che l'amore di Hashino per i personaggi che crea sia qualcosa che trova eco nei fan e, anche se Metaphor: ReFantazio si allontana dalla familiare ambientazione di Persona (è ambientato in un nuovo mondo fantasy piuttosto che a Tokyo), ha molto in comune con i giochi che ha creato in precedenza. Allo stesso modo i personaggi di Metaphor, nonostante siano diversi dai Phantom Thieves che conosciamo, devono affrontare molte delle stesse pressioni emotive come pregiudizi, paura e ansia.
"Metaphor è un gioco in cui i personaggi sono più o meno adolescenti, ma non affrontano i problemi classici degli adolescenti", sottintendendo che i personaggi che incontrerai avranno a che fare con molto più del tipico dramma adolescenziale, delle pressione dei coetanei e delle storie d'amore. "Affrontano l'ansia e tutte queste altre grandi cose che colpiscono tutti, non importa chi siano, dove siano o quanti anni abbiano".
Fonte consultata
Peccato che non la pensino anche nell'azienda dove lavoro io... u.u
in entrambi si produce giochi per vendere, il pensiero di Hashino non è un pensiero condiviso dai suoi stessi connazionali.
fino a ieri i videogiochi erano escapismo e adesso si cerca il realismo?
Praticamente se vuoi il gioco completo, nel momento in cui esce devi pagare 100-120 Euro, una pratica che purtroppo non morirà mai visto che la persona media l'ha perfettamente accettata.
Vabbé sempre a guardare il Giappone con gli occhiali rosa. I gacha che sono l'apice dei giochi creati solo per vendere e a spillare soldi sono tutti Giapponesi, Coreani e Cinesi. Poi giochi ispirati a anime/manga che sono 60-70 euro quando ne dovrebbero valere molto meno per come sono fatti male. Poi c'é Atlus (a cui appartiene la persona dell'intervista) e SEGA (non dimentichiamoci del casino di inizio anno dove al nuovo capitolo di Yakuza like a dragon é chiesto di pagare un dlc per fare il game+). E come hanno detto i commenti sopra al mio non parliamo del DLC di Persona 3 Reload che nel gioco originale "The answer" era compreso nel gioco ma qui venduto addirittura a 35 euro. Quindi questo qui é l'ultima persona che dovrebbe parlare di queste cose.
Trovo peraltro strano che la stampa, specie quella anglosassone, adesso gli parli considerato gli insulti che si è beccato per Catherine (e non per il gioco in se).
C'è chi ha inventato i gacha da una parte ma anche chi dall'altra ha inventato i season pass, le loot box, le microtransazioni nei giochi da 70 euro, le skin a pagamento, i giochi venduti in early access a prezzo pieno, i paywall nei free to play per invogliare agli acquisti in game, gli openworld sempre uguali tra di loro che oramai non distingui più un Assassin's Creed da un Far Cry e non dimentichiamoci i giochi sportivi dal pallone, al basket passando per il football americano che escono in bundle anche fino a 130 euro ogni anno per giocare allo stesso gioco ma con le rose aggiornate.
Diciamo che ci difendiamo bene.
Proprio loro che ogni nuovo capitolo di Persona che fanno uscire lo spremono fino all'osso e proprio loro che poco tempo fa hanno fatto uscire un gioco mobile gacha a tema Persona 5 il cui scopo era di spillare soldi alla gente? 😅
... Ovvero i gacha? Il punto è che entrambi lo fanno, quindi il tuo commento "Occidente vs Giappone" non ha senso, la Atlus degli ultimi anni è peggio del 90% delle aziende Occidentali.
Ora si capisce molto facilmente in quali giochi è nata prima l'idea di creare un gioco rispetto all'idea di venderlo, sia in oriente che in occidente abbiamo esempi di entrambi i casi.
Bravissimo. Spesso si tende a confondere i ruoli o a fare di tutta l'erba un fascio, ma è invece importante sottolineare che - in estrema sintesi - un director è fondamentalmente un creativo, una persona con il compito di ideare una trama ed una serie di personaggi di ogni tipo funzionali alla stessa, chiaramente coadiuvato da un team. Più il director è bravo e rinomato, più avrà carta bianca. Lo stesso verrà poi supportato dai tecnici di varia natura, per la realizzazione di tutto quello che gli passa per la testa (stile estetico, grafica, audio, fisica ecc)
La decisione sulle politiche di marketing, salvo rari casi di aziende quasi unipersonali (tipo Kojima Productions) è materia di competenze di tutt'altro reparto, oltre a rispondere ovviamente a direttive che vengono dall'alto.
Finalmente un commento sensato.
Confondere sviluppo e produzione (e promozione) di un gioco è sbagliato per tanti motivi. Ed è ovvio che chi comanda in un'azienda voglia guadagnare, mentre il creativo di turno sia più idealista.
Aggiungo solo che Makoto Niijima/Queen (Persona 5) è una mia Waifu, ma mi viene difficile pensare che una ragazza così intelligente e brillante non avesse mai pensato di ribellarsi alla società e alla sorella fino a quando non ha conosciuto i Phantom Thieves (dato che si parla di realismo).
Mi spiego meglio...da una parte condivido appieno ciò che hanno scritto alcuni utenti e ossia che è necessario fare una distinzione tra lo staff tecnico-artistico e lo staff del marketing di un'azienda videoludica(e non, direi), ma allo stesso tempo, anche se mi rendo conto che i rischi nel fare ciò siano tanti, penso che i creativi che la pensano come quello protagonista di questa news non siano obbligati a lavorare in certe aziende...cioè, io non mi intendo di Atlus e dei suoi prodotti, ma se il creativo di turno, famoso per essere nello staff che ha lavorato ai prodotti di quest'azienda, rilascia certe affermazioni(che condivido) continuando a lavorare per Atlus che, a quanto detto da altri utenti, fa esattamente l'opposto di ciò che dice io, sinceramente, ci vedo un pizzico di incoerenza in tutto ciò!
Qualcuno mi potrebbe dire che "i creativi possono pensarla in un certo modo perchè non rappresentano l'azienda per cui lavorano" e io sarei anche d'accordo, ma qui ci troviamo di fronte a un creativo che, a quanto ho capito, è famoso per aver lavorato a titoli di Atlus e quest'ultima è famosa per voler puntare più al guadagno, ossia qualcosa che il creativo di cui sopra non condivide come atteggiamento primario nella creazione di videogiochi.
Non sarà condivisibile, ma io ho una sensazione di vedere dell'incoerenza tra le parole e le azioni fatte da quest'uomo...cioè, se davvero il suo pensiero è quello che ha espresso perchè continua a lavorare per un'azienda che fa esattamente l'opposto di ciò che dice lui?
Va bene distinguere tra creativi e marketing, va bene distinguere tra personaggio e persona, ma io, alla fine, lo vedo come rappresentante della sua azienda(a me hanno insegnato a lavoro che, anche ciò che faccio nella vita privata sui social e non o ciò che dico e faccio indipendentemente ha comunque delle ripercussioni perchè io rappresento sempre la mia azienda per tutte quelle persone che ci hanno a che fare) in quanto pur parlando in un modo(semina bene) poi mette da parte tutto ciò e torna a lavorare per la Atlus che rappresenta ciò che critica contribuendo a diffondere il problema e ad evitare che il lato vero e umano vinca contro il marketing del guadagno prima di tutto(razzola male)! Boh...
Per il resto, come già detto più sopra, il suo discorso lo condivido e vorrei che si possa tornare almeno un pò a vedere più titoli realizzati secondo questa "filosofia"!
Esatto, nessuno sta incolpando direttamente lui, ma fa un po' ridere perché facendo questa affermazione è come se stesse dicendo che i giochi ai quali lavora/ha lavorato, o comunque i giochi di Atlus in generale, non sono così, quando poi di fatto sono proprio il tipo di giochi che critica qui, e tutti ad applaudire.
Secondo me c'è un errore di fondo in tutti questi discorsi che stanno venendo fatti sotto la news: Hashino non sta criticando un comportamento che la Atlus ha.
Hashino critica i giochi creati solo per vendere (come dice il titolo della news), e i giochi Atlus solitamente non rientrano in questa categoria da lui disprezzata. Con i giochi Atlus subentra il marketing e la voglia di fare soldi quando si arriva alla distribuzione del gioco, quando si deve scegliere se inserire subito certi contenuti o metterli in dei DLC, ecc... Ma nella fase di creazione del gioco è assente la pura e semplice voglia di fare soldi, visto che è appunto lui il creativo che si occupa della loro realizzazione, e lui dà priorità ad altro.
Lui parla di come gli piace vedere l'umanità dietro un videogioco, anche quando esso è ancora grezzo. Lui parla di come non gli piacciono quei videogiochi dove sembra che ogni aspetto sia stato stabilito in un ufficio da persone senza né arte né parte. In tutto il discorso che fa si parla sempre del videogioco e di chi lo crea, non di come poi verrà distribuito. La Atlus quindi non fa il contrario di ciò che apprezza lui, perché appunto finché avranno qualcuno come Hashino a lavorarci non sarà possibile che creino giochi solo per vendere, visto che non sono le intenzioni di Hashino.
La penso esattamente come te. Ho notato però che molti sono sicuri che chi cura lo sviluppo sia sempre coinvolto in ogni altro aspetto, cosa non vera neppure in una sh piccola (basti pensare ai continui fraintendimenti tra il ceo di Jyamma Games riguardo alla distribuzione e il marketing di "Enotria, The Last Song" con aziende come Microsoft o il problema delle chiavi di gioco, problemi che non riguardano la parte dello studio italiano, molto piccolo, che si è occupata di ideazione e sviluppo). Figuriamoci una sh enorme come Atlus.
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