Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo al mecha, con Soukou Kihei Votoms Case Irvine, Getter Robot: The Last Day e Mobile Fighter G Gundam.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Non si può certo negare come il 2010 sia stato di grande interesse per il futuro del franchise Votoms. Non si spiegherebbero, altrimenti, l'uscita di Phantom Arc e l'annuncio di tre nuovi OVA, a testimonianza dell'interesse che a tutt'oggi il pubblico nipponico nutre per il primo vero Real Robot della storia, creato a inizio anni '80 da Ryousuke Takahashi.

Accanto, però, ai nuovi capitoli diretti da Takahashi (Phantom Arc e Alone, again), la saga vede anche l'arrivo di Case; Irvine e Votoms Finder, a rappresentare l'infausta idea Sunrise di trasformare Votoms in un nuovo Gundam, creando i presupposti per un franchise lunghissimo e commerciale, adatto a tutte le nuove generazioni, non più diretto e disegnato dalla coppia Takahashio/Shioyama, ma affidato ai più noti registi e chara designer moderni. Il tempo dirà se questo nuovo avvio della saga, purtroppo non rappresentante un reboot - i nuovi progetti saranno disgraziatamente considerati in continuity, pur non azzeccandoci nulla con le atmosfere classiche -, avrà fortuna o si tramuterà nell'epitaffio definitivo a una storia che ormai lo stesso creatore ha ammesso di non saper più come continuare. Quello che conta è che il primo passo del revival, Case; Irvine, è assolutamente da bocciare.

Ambientato in un anno dell'Astragius History, che curiosamente non ci è dato sapere (visto che fa riferimento alla fine della guerra Gilgamesh-Balarant lo considero una side-story ambientata nell'anno di pace narrato nell'ultimo episodio della serie tv originale, come Big Battle), Case; Irvine narra le vicissitudini di questo biondo, reduce della guerra, che per badare a se stesso e alla sorella si guadagna da vivere combattendo in arene clandestine con gli AT. Il suo avversario sarà lo psicopatico lottatore Paegan, che in questi scontri criminali s'è fatto il nome di Shinigami uccidendo tutti i suoi avversari: scontato che l'animale sarà sconfitto e risparmiato da Irvine (nella sequenza d'apertura), così come che prenderà la cosa parecchio male, andando di matto e distruggendo tutti fino alla scontro finale con l'eroe.

Poco da dire su un soggetto talmente esile e banale da sembrare un affronto: Case; Irvine è proprio un filler allungato a dismisura per stare in 50 minuti, comprensivo di personaggi fatti con lo stampino, temi potenzialmente interessanti buttati qua e là tanto per (il soldato che ha compiuto orribili azioni in guerra ed è perseguitato dal rimorso, peccato Irvine non abbia la profondità di Chirico) e confezionato con una patina ultra-commerciale insopportabile.

Rivolevamo gli AT senza CG? Li abbiamo - ovviamente con colorazioni e ombreggiature ultra-moderne, i modelli "sporchi", artigianali e disegnati a mano degli anni '80 scordiamoceli una volta per tutte -, ma calati in ambientazioni che sono un pugno in un occhio: rosa, fucsia, giallo e altri colori sgargianti e pacchianissimi rappresentano l'aspetto estetico dell'opera, un Votoms scandalosamente truzzo che nessuno avrebbe mai voluto vedere. Idem con patate per il chara di Hirokazu Hisayuki: io stesso ho decantato l'espressività del suo tratto in "My-Hime", ma poco da fare, qui i suoi volti gommosi e semplicistici sono tremendamente fuori posto nel contesto serioso della serie, rappresentando solo altro motivo di sdegno per lo sputtanamento di una delle saghe più drammatiche di Sunrise.

Per concludere, se la produzione tutto sommato si lascia guardare senza troppa noia nonostante la prevedibilità totale e tutti i suoi momenti telefonati, riesce a irritare, se possibile ancora di più, l'assenza di scene particolarmente esplicite, in questa "storia" di un folle che si mette a dare vita a massacri per divertimento: mancano sangue, cattiveria, atmosfera... Case; Irvine è proprio rivolto a una fascia di ragazzini che non hanno mai visto Votoms e, come tutti i revival atti ad addolcire le serie classiche per espanderle a più pubblico possibile, riesce solo a disgustare i fan storici e a non comunicare niente alle nuove generazioni.



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Posso affermare senz'ombra di dubbio che al momento Getter Robot: the Last Day sia l'anime che io ho più rivisto in assoluto nonostante sia un prodotto non immune da una discreta mole di difetti. Il fatto che l'abbia visto così tante volte è riassumibile nella sua incredibile epicità e nel suo altissimo grado di spettacolarità che questa serie sa offrire, oltre che ad una mole di combattimenti più che considerevole. È sempre un piacere osservare delle manovre di aggancio estreme e come, con crudele gioia, si distruggano gli orripilanti alieni invasori.

Getter Robot The last Day è un anime della stagione estiva 1998 composta da 13 episodi. Tale opera deriva da un remake (in chiave alternativa) delle precedenti serie della saga (Getter Robot e Getter Robot G). L'adattamento italiano fu repentino tanto che la serie ha fin da subito creato un cospicuo numero di fans.

Trama: tramite lo studio e l'utilizzo dei misteriosi raggi Getter (una forza di origine sconosciuta che stimola la vita e l'evoluzione), l'umanità è riuscita a progredire, tuttavia è proprio per colpa dei raggi Getter che una razza aliena dalla forma indefinita e mutevole intende colonizzare la luna ed invadere la terra. Grazie all'entrata in scena di Getter Robot, l'umanità riuscì a sconfiggere gli alieni sulla luna e a riportare la pace sulla terra; tuttavia sulla terra il professor Saotome (maggiore studioso al mondo dei raggi getter e creatore di Getter Robot) viene misteriosamente ucciso e la colpa ricade su Ryoma Nagare, uno dei piloti della squadra Getter. Dopo 8 anni Saotome ricompare e intende realizzare "l'ultimo giorno del mondo". Ryoma viene scarcerato per fermare i suoi folli piani, ed è in quel momento che fanno la loro ricomparsa gli alieni, decisi a tutto pur d'impossessarsi della misteriosa forza dei raggi getter e colonizzare definitivamente la terra.

Grafica: la grafica non sembra essere il punto forte di The Last Day. Questo dipende sostanzialmente dal cambio di studio e da una certa disuniformità stilistica che si manifesta particolarmente attraverso i dettagli. Le ambientazioni spesso sono piuttosto ben realizzate e curate (ma non iperdettagliate) le animazioni sono altalenanti, splendide per le trasformazioni dello Shin Getter, talvolta più scattose e scarne per i mostri (si perdono le pupille degli occhi mostruosi o talvolta scompaiono o riappaiono magicamente certi dettagli, altra nota sui dettagli: spesso cambiano repentinamente, come i pomelli delle leve di trasformazioni, dapprima colorate, poi uniformi, ecc…), il character design è "brutto", in perfetto stile Nagai/Ishikawa, che spesso sfocia nel mostruoso, il mecha design è altalenante. I Getter precedenti (fino al G) sono profondamente stravolti rispetto al design originale, spesso perdendo in funzionalità e armi (oltre che alla mera estetica, soprattutto il Poseidon), mentre lo Shin Getter è semplicemente fantastico in tutte le sue versioni. L'alien design è deliziosamente orrendo.

Sonoro: eccelso con lode. L'intero comparto sonoro di quest'anime è un tripudio per l'udito. L'opening è un concentrato di epicità allo stato puro, lo stesso dicasi per l'ending. Gli OST sono semplicemente fantastici, tali da esaltare e gasare lo spettatore, lo stesso si può dire per gli ottimi effetti sonori. Encomiabile l'adattamento italiano che supera di gran lunga il doppiaggio originale giapponese. Si sente che si sono impegnati a fondo per rendere al meglio i vari personaggi (tra risate grottesche ed urli esaltanti).

Personaggi: basterebbe una parola per definirli, epici. I personaggi di Getter Robot the Last Day ripescano dal loro glorioso passato assumendo tinte più cupe, grottesche e misteriose. La loro caratterizzazione è molto ben fatta, giungendo all'estremizzazione dei loro caratteri. Si può parlare di lavoro introspettivo così come di evoluzione dei personaggi (che pur conservando il loro "stile" riescono a mutare nel corso della storia).

Sceneggiatura: assieme alla grafica, anche la sceneggiatura rappresenta il punto debole dell'anime. La gestione temporale è estremamente altalenante, si compiono salti nel futuro (anche di decine di anni) e tali salti ricevono delle spiegazioni non sempre chiare. Il ritmo si altalena dal frenetico al medio/lento, tale alternanza di ritmi narrativi è spesso giustificata dalle scene di combattimento. Il fanservice è quasi del tutto assente (una sola scena in tutto l'anime), in compenso la violenza sovrabbonda con scene di crudeltà e truculenza. I dialoghi puntano tutto sull'epicità e sulla spettacolarizzazione, tralasciando spesso la logica e puntano fin troppo spesso sulla strategia narrativa del "non detto", le frasi spesso risultano troncate alla fine.

Finale: una battaglia di proporzioni universali, poiché lo scenario della battaglia finale è l'intero universo. La battaglia per l'ultimo giorno del mondo insorge in tutta la sua ferocia e drammaticità, e com'è d'uopo, tra mezzi discorsi e dialoghi epici. molti misteri rimarranno tali fino all'ultimo.

In sintesi: guardare Getter Robot the Last Day è come tuffarsi in un universo iper caotico stracolmo di cose non spiegate e quasi mai intuibili. Non si cerchi una logica, non si cerchi una spiegazione, non si cerchi una ragione. Si accetti quest'ondata di furiosa emotività (oltre alla qualità altalenante dei disegni) e questa spettacolarizzazione della guerra. Solo in questo modo è possibile cogliere la vera essenza quest'anime, ed è solo in questo modo che mi sento di consigliarlo.




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Nella seconda metà degli anni '90, la casa editrice Star Comics pubblicò una rivista mensile dedicata al mondo dei videogiochi, dove uscirono a puntate diversi manga dedicati ai successi videoludici del tempo, come Street Fighter, Fatal Fury, Samurai Spirits e... G Gundam!
Scelta un po' strana, visto che il manga di G Gundam non era tratto da un videogioco, bensì da una serie televisiva.
Eppure, basta un semplice sguardo alla serie per capire che, in realtà, il manga di G Gundam, su una rivista di videogiochi a fumetti, ci stava benissimo, anche se non era direttamente tratto da un gioco.
Eccezione più unica che rara nel mondo di Gundam, infatti, questa serie ha ben poco a che spartire con il drammatico universo della Guerra di un anno di Amuro Ray e Char Aznable, da cui si distacca completamente per narrare una storia completamente diversa, che col Gundam originale ha in comune soltanto il design del robot principale, la presenza di colonie spaziali e di un esercito di robot minori di colore verde (che comunque non dura più di tre episodi). Essendo atipica all'interno del franchise di Gundam, quindi, questa serie può tranquillamente essere vista a sé, senza necessitare per forza una conoscenza di tutto il brand Gundam dal 1979 al 1994.
Assai più numerosi sono, invece, i punti di contatto proprio col mondo dei videogiochi e, nel particolare, dei picchiaduro a incontri, che negli anni '90 facevano furore nelle sale giochi di tutto il mondo.
Lo si capisce sin dal primo episodio, quando G Gundam si mostra incentrato su un torneo internazionale di lotta e facciamo la conoscenza del nostro protagonista, un combattente giapponese che gira di paese in paese scontrandosi con i guerrieri di tutto il mondo. Vi ricorda qualche videogioco anni '90 piuttosto famoso? Ha anche la fascia rossa sulla fronte, non è un caso!

La struttura di G Gundam è esattamente quella che ci si aspetterebbe dall'adattamento in animazione di un videogioco di combattimento (che tra l'altro uscì davvero per Super Nintendo, anche se è lui ad essere tratto dall'anime e non viceversa): il protagonista Domon viaggerà di paese in paese, vivendo rocambolesche avventure ed emozionanti combattimenti che lo contrapporranno a diversi lottatori. Alcuni di questi saranno dei terribili rivali, altri si trasformeranno in inseparabili amici, che si uniranno a lui, nonostante un'iniziale rivalità, per affrontare un comune e malvagio "boss finale".
Particolarità della serie, che lo differenzia dai normali picchiaduro, è, però, la presenza dei Gundam: ogni combattente svolge i suoi scontri non a mani nude, ma pilotando un gigantesco robot e facendo compiere a lui le mosse di arti marziali o le tecniche da usare durante la lotta.

L'incipit della serie si concentra sui viaggi di Domon e sui primi combattimenti da lui affrontati. Come da tradizione di questo tipo di opere, ogni paese toccato dal nostro eroe è ritratto in maniera diversa ed incantevole, anche se non ci si risparmia qualche stereotipo ed assurdità di troppo (l'Italia del primo episodio è uno scenario post-apocalittico dove teppisti punkettoni dai nomi assurdi e certamente non italiani girano nella piazza della Fontana di Trevi, per dirne una). Se, però, le locations che ci mostrano i vari episodi sono molto affascinanti, altrettanto non si potrà dire dei personaggi. La serie mostra il viaggio di Domon già cominciato, quindi, nelle prime puntate, il nostro protagonista è solo un tamarro girovago di cui si sa poco e a cui si fa fatica ad affezionarsi. I primi flashback che ci raccontano la sua backstory sono, come se non bastasse, abbastanza confusi.
Proseguendo nella visione, fortunatamente, la lentezza e l'anonimato che affliggono le prime avventure di Domon scompaiono e la storia si fa più complessa, articolata e affascinante.
Si vanno delineando maggiormente il carattere e i trascorsi di Domon e i legami che lo uniscono ai molti personaggi della sua storia passata e presente. Così facendo, Domon cresce e lo spettatore lo sente più vicino a sé e vede che anche lui ha dei dubbi, prova dei sentimenti, commette degli errori e impara da essi.

Ci rendiamo conto, man mano che proseguiamo nella visione, che buona parte della forza di G Gundam sta proprio nei suoi personaggi. Quella che prima sembrava solo la storia di un tamarro con la fascia che gira per il mondo e combatte si trasforma in una storia che parla di tante persone.
In fondo, uno degli elementi di maggior fascino dei picchiaduro a incontri cui G Gundam si ispira è proprio la presenza di numerosi personaggi diversi, ognuno con una propria storia e un proprio background ben definiti.
Anche questo bizzarro picchiaduro coi robot non sfugge alla regola e dunque, piacevolmente, possiamo seguire anche le vicende personali di altri personaggi insieme a quella di Domon.
Largo spazio è infatti dedicato ai quattro compagni di battaglie del nostro eroe: ognuno di loro viene da una nazione diversa, ha un interessante passato da raccontare, uno scopo da raggiungere, problemi e battaglie da affrontare, uno stile di lotta tutto suo e un entourage di personaggi secondari splendidamente caratterizzati che non mancheranno di donargli un po' di calore strappando spesso e volentieri qualche risata allo spettatore.
La serie pone una grande attenzione a tutti i suoi personaggi, presentando dei comprimari che sapranno farsi ricordare per un motivo o per un altro anche quando il loro ruolo nella storia sarà abbastanza ristretto e dei cattivi dal carattere tutto sommato interessante.

Pian piano, a rotazione, gli episodi cominceranno a incentrarsi non solo su Domon e la sua sottotrama personale, ma anche su ognuno dei suoi compagni, analizzandone i caratteri, i problemi e i rapporti con gli altri personaggi che incontreranno nelle loro battaglie.
Si verrà a creare uno splendido affresco ricco di colori, personalità e sentimenti diversi, che renderà impossibile per gli spettatori non trovare almeno un personaggio preferito di cui seguire con passione le vicende.
Un affresco che, sin dalla meravigliosa ambientazione tutta cinese della seconda metà della serie, rispecchia alla perfezione le migliori caratteristiche dei videogiochi di combattimento da sala: tanti personaggi diversi, provenienti da varie parti del mondo, che si scontrano in un torneo di arti marziali in cui il ring diventa il palcoscenico più adatto per mettere in scena sogni, vendette, lealtà, sacrifici, intrighi, amicizie, virtù, passioni, amori.
Fra i tanti attori che calcano il palcoscenico del Gundam Fight fra le baie, i tramonti, i mercati e i grattacieli di Hong Kong ci sono: un pugile smargiasso che insegue il sogno americano, un detenuto russo che ha una pena da scontare, un ragazzino cinese ultimo erede di una casta di marzialisti di lunga tradizione, un nobile francese che persegue la bellezza e la virtù, un boscaiolo canadese in cerca di vendetta, un bellicoso gigante greco, un santone indiano, un vichingo, un misterioso ninja tedesco che indossa un pacchianissimo costume coi colori della bandiera della Germania, una graziosa e agguerrita ragazza svedese per cui i combattimenti sono come uno splendido gioco che la fanno sentire viva e libera (e che guida un robottone con le fattezze di Sailor Moon!).
E poi c'è lui, il meraviglioso Master Asia, l'ex maestro di arti marziali di Domon che sembra la parodia di Lau Chan di "Virtua Fighter", tanto forte e figo quanto pieno di ombre, contraddizioni, misteri e fascino. Un personaggio straordinario, che sovrasta con facilità la quasi totalità del cast e irrompe sul palcoscenico del torneo mettendo in scena, al grido di "Guarda! L'Oriente sta ardendo di un color rosso!", una storia epica, tragica, romantica e sofferente che lo spettatore difficilmente dimenticherà.

"Quando ti sentirai triste, prova a stendere la mano.
Sicuramente, i tuoi amici ti sosterranno.
Per quanto le epoche cambino, io non ti dimenticherò mai.
I'll trust you forever."
Così canta la seconda sigla d'apertura della serie, parole perfette per simboleggiare l'essenza di tutta la storia e per accompagnare una splendida parte finale in cui si avrà risposta a tutte le domande del giovane Domon, inizialmente tamarro girovago e poi, man mano che avanzano gli episodi, guerriero alle prese con scelte sofferte, i cui continui incontri e scontri coi suoi avversari lo aiutano a comprendere qualcosa di sé e degli altri.
Forse che i rivali che oggi calcano quel ring, un domani potranno diventare suoi amici?
Forse che ognuno di loro, esattamente come lui, ha un sogno da realizzare che merita rispetto?
Forse che, di fronte ad una malvagia minaccia che può mettere in pericolo l'intera umanità, non esistono più vendette, rivalità, barriere territoriali e linguistiche, ma solo esseri umani, che lottano insieme in nome di ideali e sogni?
Forse che, impegnato a combattere e con gli occhi e il cuore accecati dalla vendetta, non aveva mai fatto caso a quanto bello fosse il sorriso della splendida Rain, la sua assistente e amica d'infanzia, a quanto quel sorriso lo rendesse felice e a quanto desideri proteggerlo, affinché entrambi possano vivere insieme un futuro radioso?
Mai, nei videogiochi di combattimento e dunque anche in G Gundam che ad essi si ispira, la lotta è stata un mero scambio di pugni, ma è sempre stata vista come un mezzo per esprimere se stessi, le proprie convinzioni, i propri sentimenti. Non sorprende, quindi, che Domon si trovi a conquistare a pugni anche il proprio amore, in una delle scene romantiche più emozionanti mai narrate in un anime, dove il nostro strambo principe-guerriero col mantello rosso sale in groppa al suo bianco (ed elettronico) destriero per salvare l'amata principessa in difficoltà e coprirne il corpo nudo con quel mantello rosso che si tramuta nel simbolo del loro amore e nella forza che muove il loro sogno.

Una grafica accesa e colorata, ricca di riflessi di luce, accompagna il viaggio di Domon e compagni in giro per il mondo. Un viaggio raccontato con uno stile di disegno assai piacevole, a volte un po' retrò e caricaturale, ma tendenzialmente molto sullo stile degli anni '90, capace di ritrarre con efficacia diverse tipologie di personaggi e di dare gran fascino a quelli femminili senza mai esagerare, oltre, ovviamente, a sbizzarrirsi nell'aspetto dei vari robot.
Il doppiaggio è sapiente e ben orchestrato, con un esaltato Tomokazu Seki (Domon) e un istrionico Yousuke Akimoto (Master Asia e narratore) a fare da mattatori incontrastati e a comandare una schiera di colleghi divertiti ed estremamente professionali.
Splendide anche le musiche, dalle due, energiche, sigle d'apertura, agli efficaci motivi strumentali della colonna sonora. Non rare sono le canzoni d'accompagnamento alle scene più emozionanti o significative, pescate a piene mani dai tanti album musicali dedicati alla serie, fra cui uno interamente cantato in lingua cinese, accompagnamento splendidamente d'atmosfera per la seconda parte ambientata ad Hong Kong. Unico, tutto sommato trascurabile, neo sono le due sigle di chiusura, che sfigurano rispetto alla bellezza di quelle d'apertura.

Un'inaspettata e bellissima sorpresa, questo G Gundam, che affascina e intrattiene, dopo un inizio un po' traballante, con mille e più robot dalle fattezze strambe e altrettanti personaggi bizzarri a cui, però, pian piano, non si fa fatica ad affezionarsi, fino a giungere ad un finale talmente esaltante, romantico e coinvolgente che trattenere la lacrimuccia in certi punti sarà difficile se non impossibile. Una serie che parla più di persone, di lotte, d'amicizia e d'amore, più che di robot, e che, perciò, potrebbe riuscire a conquistare anche chi di robot e fantascienza non se ne intende. Chi, invece, è appassionato di storie e videogiochi d'arti marziali, non faticherà a sentirsi a suo agio.
Ci vuole un po' affinché la storia ingrani, i primi episodi sono un po' noiosetti e alcune nazioni più sfortunate (fra cui, ahinoi, l'Italia) sfuggono dallo splendido messaggio di pace e fratellanza che il finale della serie insegna ai suoi spettatori.
Tutto sommato, però, son piccolezze, di fronte ad una serie d'atmosfera, sorprendentemente ricca di emozioni e divertimento, che ripesca il mito dei super robot e, mescolandolo con i picchiaduro da sala giochi e tanto carisma, gli dona nuova linfa e riesce a creare una storia dal sapore magico, squisitamente anni '90, da gustare tutta d'un fiato fra un'emozione e l'altra.