Titoli poco conosciuti, passati in sordina all'epoca dell'uscita o dimenticati col tempo... su AnimeClick.it abbiamo migliaia di schede anime e manga senza alcuna recensione, privando quindi i lettori di uno dei principali punti di forza delle stesse.
Per cui, ad ogni appuntamento di questa rubrica vi proporremo alcuni di questi titoli, con la preghiera di recensirli qualora li conosciate. Tutti gli utenti che recensiranno le opere proposte entro la scadenza assegnata riceveranno l'icona premio Scheda adottata. Per le regole da seguire nella stesura delle recensioni rimandiamo al blog apposito, che vi preghiamo di utilizzare anche per commenti, domande o tenere traccia dei premi (non commentate l'iniziativa in questa news).
I titoli al momento disponibili sono:
[MANGA] Shoma - Cronache della guerra leggendaria (Scadenza: 11/3/2015)
[ANIME] Abarenbo Rikishi!! Matsutaro (Scadenza: 15/3/2015)
[LIVE] 13 assassini (Scadenza: 18/3/2015)
[MANGA] Valzer delle magnolie (Scadenza: 22/3/2015)
[ANIME] Lo scoiattolo Banner (Scadenza: 25/3/2015)
Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Dancougar, Ping Pong The Animation e Mangaka-san to Assistant-san to.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Recensione di AkiraSakura
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Ed eccomi a recensire l'ultimo super robot "tradizionale" della storia, "Dancouga", anime prodotto dalla Ashi Productions (la stessa di "Baldios") e abbastanza famoso nel paese del sol levante, dove nutre una certa celebrità e un discreto numero di fans. Essendo targato 1985 questo anime, allo stesso modo del "Layzner" di Ryosuke Tahakashi uscito lo stesso anno, risente molto dell'influenza di "Macross", "Gundam" e "Ken il Guerriero": si potrebbe dire che "Dancouga" sia effettivamente un tradizionalissimo super robot anni '70 camuffato da "Gundam", con trovate alla "Macross" (riflessi sui caschi e sui capelli, mecha design iperdettagliato, ampio spettro nella scelta dei colori, acconciature Glam Rock, turbe adolescenziali) e con degli inserti alla "Hokuto no Ken" (tamarri alla "Terminator", trasmigrazione attraverso Satori che funge da deus ex machina ecc...) "Dancouga" è figlio dei suoi tempi, almeno nella facciata: non mancano belle musiche j-pop anni '80, che più anni '80 di così si muore; un character design stilosissimo e reminescente di Mamuru Nagano, delle sigle dall'indiscutibile mood anni '80 trainanti e coinvolgenti (quante volte ho usato la parola anni '80?). Indubbiamente i problemi di Dancouga non stanno nella confezione, ma nella sostanza. Cosa c'è dietro al suo make up? Niente che non si sia già visto in precedenza, e per di più sviluppato assai aprossimativamente: in primis il tema dell'istinto che vince sulla ragione, concetto chiave della filosofia nagaiana; poi il tema della religione, sia essa orientale che occidentale, trattato in modo superficiale, come se fosse una nota a margine stesa frettolosamente; infine il tema del potere, esposto sterilmente e senza un'adeguata analisi, con la solita penuria contenutistica tipica dell'anime.
Il punto chiave della questione è: serve a qualcosa travestire secondo i dettami della moda in voga negli anni '80 un robotico che sarebbe andato bene a metà anni '70 ? No, a mio modesto avviso. L' umanizzazione dei cattivi (Nagahama Tadao), l'invasione aliena, lo scontro finale nello spazio, i cambi di fazione ecc... sono cliché tipici del genere già sviluppati egregiamente nel passato, in modo molto più virile ed incisivo, magari con messaggi antimilitaristi e con moniti autoriali alle nuove generazioni. I cattivi di "Dancouga", con il loro spessore psicologico nullo e la loro ottusità, non sono più accettabili in un robotico del 1985, uscito qualche anno dopo "Daimos", "Gundam", "Baldios", "Dunbine" e "Ideon", che vantavano tutti di cattivi umanizzati di prim'ordine, caratterizzati allo stesso modo dei protagonisti. Gli antagonisti di "Dancouga" sono ridicoli per i loro tempi, sopratutto quando nello stesso anno andavano in onda cose come "Z Gundam" e "Layzner"; Shapiro poi è il prototipo del cattivone di bell'aspetto e senza spessore messo lì giusto per attirare le fungirls: egli pare un demente nel suo desiderio di diventare un Dio, concetto che ribadisce in ogni puntata senza argomentazioni, perché fa figo dirlo, con le sue pose da cantante Glam e con la sua tirapiedi dai capelli verdi che se ne compiace. Quindi, a mio avviso, sugli antagonisti di "Dancouga" c'è da stendere un velo pietoso. Tuttavia devo ammettere che almeno i protagonisti si salvano: seppur non buchino lo schermo per carisma, le "Cyber Bestie" dimostrano di essere un bel gruppetto affiatato di ragazzi ben caratterizzati: c'è il tamarro che agisce prima di pensare tipico del robotico, c'è la tsundere dall'acconciatura Glam, c'è quello che pratica le arti marziali (ripeto che "Ken Shiro" andava di moda all'epoca), c'è il buontempone che con la sua simpatia alleggerisce i momenti pesanti della serie, c'è l'orfanella sfigata che tanto andava di moda negli anni '70. Ovviamente non mancano il professore e il capo dell'esercito, presenza fisse nella tradizione del super robotico nagaiano. Insomma, con i protagonisti lo spettatore si sente a casa.
All'inizio e nella metà degli anni '70, i super robotici a cui si ispirava "Dancouga" davano molta importanza ai combattimenti contro il mostro della settimana. Quelli di transizione di fine anni '70 e inizio '80, invece, davano più spazio ai personaggi, mettendo sovente il robottone in secondo piano. Su questa falsariga si muove "Dancouga", che come accadeva in "Danguard" anni prima, fa comparire il robottone a serie inoltrata (la sedicesima puntata per essere precisi). I combattimenti durano pochissimo e sono poco spettacolari, in quanto "Dancouga" preferisce atteggiarsi a sci-fi duro e puro, con scenari di guerra verosimili, robottini trasformabili in belve feroci (in quegli anni andavano di moda anche i "Transformers"), vicende militaresche piene di testosterone e condite di dramma.
Indubbiamente riconosco al "Dancouga" di essere il super robottone anni '80 più figo e sborone in assoluto, subito dopo l'inarrivabile "Dangaioh" disegnato da Shoji Kawamori; tuttavia, per quanto sia figo, il robot che dà il nome alla serie è troppo potente, e possiede un numero di attacchi troppo limitato: quando arriva "Dancouga", introdotto dalla sua scena di agganciamento mozzafiato, basta un pugno tirato a caso per devastare in un batter d'occhio intere legioni di nemici (!). Fine episodio. La poca spettacolarità la posso comprendere in un anime come "Baldios", che mette il robot in secondo piano al fine di affrontare tematiche rilevanti e di spessore, ma non la posso accettare in un anime come questo, che punta tutto sulle musiche e sulla grafica, tralasciando i contenuti e l'impronta autoriale.
Dal punto di vista della grafica, delle musiche e del design, "Dancouga" è indubbiamente all'avanguardia. Ma non lo è affatto nelle animazioni: esse sono statiche, a pochi frames, sopratutto nella prima parte della serie, in cui alcune puntate presentano una qualità bassissima dei disegni sui rodovetri: le facce dei personaggi spesso appaiono addirittura deformate (molte animazioni devono essere state commissionate a studi coreani di serie B per risparmiare). Infatti la Ashi productions è sinonimo di robotico al risparmio, esattamente come "Baldios", che non brillava di certo per la fluidità delle animazioni. I rivali Sunrise di "Dancouga" dello stesso anno, tali "Z Gundam" e "Layzner", erano avanti anni luce per le animazioni e la spettacolarità dei combattimenti.
Le prime sedici puntate di "Dancouga", quelle senza il "Dancouga", sono troppo lente e statiche, nel loro voler essere uno sci-fi di guerra con l'aggiunta di "Transformers" e mostri invasori alieni. Tuttavia la serie diventerà più coinvolgente nella seconda metà, anche se non arriverà mai a livelli di epicità stellare. Diciamo che tutto è retto dai protagonisti, dal loro carisma e dalla loro simpatia; certamente, se andiamo a guardare anche lo script, in "Dancouga" ci sono abbastanza ingenuità narrative, accettabili in un robotico anni '70, ma non in uno del 1985, che deve comunque rispettare, in qualche modo, i criteri di verosomiglianza delle vicende trattate introdotti da "Gundam". Inoltre il finale è tronco per il basso share della prima messa in onda, quindi per vedere la trentanovesima puntata è necessario ricorrere all'OAV "Requiem for Victims". Se la serie vi è piaciuta vi consiglio comunque anche il film "God Bless Dancougar" (le rimanenti produzioni con il nome "Dancouga" sono a mio avviso trascurabili). Considerando che negli anni '80 è stato fatto molto di meglio, questa serie è nella media per il suo periodo, e pertanto la consiglio esclusivamente ai "nostalgiafag" del mood anni '80, che ne saranno certamente entusiasti, e ai fans del robotico di tutte le epoche che vogliono ampliare la loro cultura personale. Il mio voto è un sei e mezzo, contando anche quello del mediocre OAV conclusivo, che di fatto è l'ultima puntata della serie.
Il punto chiave della questione è: serve a qualcosa travestire secondo i dettami della moda in voga negli anni '80 un robotico che sarebbe andato bene a metà anni '70 ? No, a mio modesto avviso. L' umanizzazione dei cattivi (Nagahama Tadao), l'invasione aliena, lo scontro finale nello spazio, i cambi di fazione ecc... sono cliché tipici del genere già sviluppati egregiamente nel passato, in modo molto più virile ed incisivo, magari con messaggi antimilitaristi e con moniti autoriali alle nuove generazioni. I cattivi di "Dancouga", con il loro spessore psicologico nullo e la loro ottusità, non sono più accettabili in un robotico del 1985, uscito qualche anno dopo "Daimos", "Gundam", "Baldios", "Dunbine" e "Ideon", che vantavano tutti di cattivi umanizzati di prim'ordine, caratterizzati allo stesso modo dei protagonisti. Gli antagonisti di "Dancouga" sono ridicoli per i loro tempi, sopratutto quando nello stesso anno andavano in onda cose come "Z Gundam" e "Layzner"; Shapiro poi è il prototipo del cattivone di bell'aspetto e senza spessore messo lì giusto per attirare le fungirls: egli pare un demente nel suo desiderio di diventare un Dio, concetto che ribadisce in ogni puntata senza argomentazioni, perché fa figo dirlo, con le sue pose da cantante Glam e con la sua tirapiedi dai capelli verdi che se ne compiace. Quindi, a mio avviso, sugli antagonisti di "Dancouga" c'è da stendere un velo pietoso. Tuttavia devo ammettere che almeno i protagonisti si salvano: seppur non buchino lo schermo per carisma, le "Cyber Bestie" dimostrano di essere un bel gruppetto affiatato di ragazzi ben caratterizzati: c'è il tamarro che agisce prima di pensare tipico del robotico, c'è la tsundere dall'acconciatura Glam, c'è quello che pratica le arti marziali (ripeto che "Ken Shiro" andava di moda all'epoca), c'è il buontempone che con la sua simpatia alleggerisce i momenti pesanti della serie, c'è l'orfanella sfigata che tanto andava di moda negli anni '70. Ovviamente non mancano il professore e il capo dell'esercito, presenza fisse nella tradizione del super robotico nagaiano. Insomma, con i protagonisti lo spettatore si sente a casa.
All'inizio e nella metà degli anni '70, i super robotici a cui si ispirava "Dancouga" davano molta importanza ai combattimenti contro il mostro della settimana. Quelli di transizione di fine anni '70 e inizio '80, invece, davano più spazio ai personaggi, mettendo sovente il robottone in secondo piano. Su questa falsariga si muove "Dancouga", che come accadeva in "Danguard" anni prima, fa comparire il robottone a serie inoltrata (la sedicesima puntata per essere precisi). I combattimenti durano pochissimo e sono poco spettacolari, in quanto "Dancouga" preferisce atteggiarsi a sci-fi duro e puro, con scenari di guerra verosimili, robottini trasformabili in belve feroci (in quegli anni andavano di moda anche i "Transformers"), vicende militaresche piene di testosterone e condite di dramma.
Indubbiamente riconosco al "Dancouga" di essere il super robottone anni '80 più figo e sborone in assoluto, subito dopo l'inarrivabile "Dangaioh" disegnato da Shoji Kawamori; tuttavia, per quanto sia figo, il robot che dà il nome alla serie è troppo potente, e possiede un numero di attacchi troppo limitato: quando arriva "Dancouga", introdotto dalla sua scena di agganciamento mozzafiato, basta un pugno tirato a caso per devastare in un batter d'occhio intere legioni di nemici (!). Fine episodio. La poca spettacolarità la posso comprendere in un anime come "Baldios", che mette il robot in secondo piano al fine di affrontare tematiche rilevanti e di spessore, ma non la posso accettare in un anime come questo, che punta tutto sulle musiche e sulla grafica, tralasciando i contenuti e l'impronta autoriale.
Dal punto di vista della grafica, delle musiche e del design, "Dancouga" è indubbiamente all'avanguardia. Ma non lo è affatto nelle animazioni: esse sono statiche, a pochi frames, sopratutto nella prima parte della serie, in cui alcune puntate presentano una qualità bassissima dei disegni sui rodovetri: le facce dei personaggi spesso appaiono addirittura deformate (molte animazioni devono essere state commissionate a studi coreani di serie B per risparmiare). Infatti la Ashi productions è sinonimo di robotico al risparmio, esattamente come "Baldios", che non brillava di certo per la fluidità delle animazioni. I rivali Sunrise di "Dancouga" dello stesso anno, tali "Z Gundam" e "Layzner", erano avanti anni luce per le animazioni e la spettacolarità dei combattimenti.
Le prime sedici puntate di "Dancouga", quelle senza il "Dancouga", sono troppo lente e statiche, nel loro voler essere uno sci-fi di guerra con l'aggiunta di "Transformers" e mostri invasori alieni. Tuttavia la serie diventerà più coinvolgente nella seconda metà, anche se non arriverà mai a livelli di epicità stellare. Diciamo che tutto è retto dai protagonisti, dal loro carisma e dalla loro simpatia; certamente, se andiamo a guardare anche lo script, in "Dancouga" ci sono abbastanza ingenuità narrative, accettabili in un robotico anni '70, ma non in uno del 1985, che deve comunque rispettare, in qualche modo, i criteri di verosomiglianza delle vicende trattate introdotti da "Gundam". Inoltre il finale è tronco per il basso share della prima messa in onda, quindi per vedere la trentanovesima puntata è necessario ricorrere all'OAV "Requiem for Victims". Se la serie vi è piaciuta vi consiglio comunque anche il film "God Bless Dancougar" (le rimanenti produzioni con il nome "Dancouga" sono a mio avviso trascurabili). Considerando che negli anni '80 è stato fatto molto di meglio, questa serie è nella media per il suo periodo, e pertanto la consiglio esclusivamente ai "nostalgiafag" del mood anni '80, che ne saranno certamente entusiasti, e ai fans del robotico di tutte le epoche che vogliono ampliare la loro cultura personale. Il mio voto è un sei e mezzo, contando anche quello del mediocre OAV conclusivo, che di fatto è l'ultima puntata della serie.
Ping Pong The Animation
10.0/10
Recensione di traxer-kun
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<b>Sostituita da una versione più recente - grandebonzo</b>
Arrivare a utilizzare il termine "capolavoro" è, di questi tempi, diventata un'impresa ardua. Nell'ondata di produzioni animate commerciali e omologate che ci sta investendo in questo periodo, è sempre più in calo la presenza di opere che vadano controcorrente, che si distinguano e si elevino dalla massa anteponendo il fattore "qualità" ai gusti del pubblico.
Ping Pong nasce nel 1996 dalla penna, anzi dal pennino, di Taiyou Matsumoto, mangaka di culto che ha fatto di uno stile graffiante e irregolare e della psicologia finemente approfondita il proprio marchio di fabbrica. La serie di fumetti originale, che conta cinque volumi, non è stata purtroppo mai pubblicata in Italia, ma ciò non ha in alcun modo penalizzato la trasposizione animata, che conta un più che discreto numero di estimatori forse in primis attirati, come il sottoscritto, dal nome del regista: Masaaki Yuasa. Questo signore - già autore visionario e geniale di opere come Kaiba, The Tatami Galaxy e Kemonozume - è riuscito nell'ardua impresa di valorizzare completamente il manga originale e di offrire anche qualcosa in più, intessendo una trama che in undici episodi, a dispetto del soggetto non propriamente eccitante, mantiene sempre viva l'attenzione e colpisce al cuore lo spettatore, grazie anche alla cura e all'abilità dello staff nel realizzare partite mozzafiato e alternarle con grande maestria a momenti invece più riflessivi, che tratteggiano la psicologia dei personaggi in maniera a dir poco superba.
La serie, che a prima vista si definirebbe uno spokon (ovvero un, seppur atipico, anime sportivo) ma che in realtà ha più i caratteri di un racconto di formazione, narra la storia di due amici d'infanzia, Hoshino detto Peco e Tsukimoto detto Smile, uniti dalla comune passione per il ping pong. Il primo, dotato di un indubbio talento e di un carattere solare e un po' spaccone, ha iniziato a prendere lo sport sottogamba, crogiolandosi nei suoi successi. Il secondo, di carattere molto introverso e laconico, tanto che pare quasi privo di sentimenti, ha sempre vissuto il tennis-tavolo all'ombra dell'amico, e ora gioca senza particolare coinvolgimento e interesse. La totale disfatta subita da Peco contro un giocatore cinese, Kong Wenge, giunto in Giappone per ristabilire la propria immagine dopo essere stato escluso dalla squadra in patria, lo riporterà con i piedi per terra, e il successivo torneo interscolastico delle superiori, alla quale parteciperanno i migliori giocatori adolescenti del Giappone, sarà per i numerosi personaggi l'occasione per conoscere sé stessi, i propri limiti, le proprie aspirazioni per il futuro e le ragioni che li spingono a giocare.
Dal punto di vista tecnico lo staff della Tatsunoko Production ha svolto a mio parere un lavoro coi fiocchi. Lo stile grafico, che ha fatto storcere il naso a molti, è sicuramente molto particolare; è uno stile dal tratto grezzo, minimalista e quasi spezzettato e "incerto", molto vicino a quello originale del maestro Matsumoto, mentre i fondali sono leggermente velati da pennellate acquarellate. Le animazioni sono assolutamente fenomenali, fluide e visivamente spettacolari, composte da riprese e inquadrature studiatissime che rasentano lo sperimentalismo e da tecniche innovative ma sicuramente d'effetto (come il tanto criticato split screen). Le critiche mosse al comparto grafico a mio avviso sono dettate principalmente dalle diverse abitudini dello spettatore, mentre appunto lo stile "alternativo" di Ping Pong the Animation conferisce all'opera una maggiore focalizzazione sull'aspetto psicologico e simbolista, che viene così valorizzato esponenzialmente. Tutto, a partire proprio dal comparto tecnico, fa parte di un unicum, un congegno armonioso e ben compensato, volto a rendere la massima potenza espressiva possibile. Difficilmente riuscirei a immaginare questa serie, le sue partite e le sue riflessioni con un altro stile di grafica e animazione, perché sarebbe una cosa completamente differente e certamente non di altrettanto impatto. Un'altra nota di merito va data al comparto sonoro, davvero ben realizzato, e soprattutto alla fenomenale soundtrack, assolutamente perfetta in ogni sua sfumatura, che potenzia ulteriormente ogni scena dell'anime. Un plauso va fatto agli autori anche per l'estrema cura nel rappresentare lo sport in questione, facendo attenzione alle esatte attrezzature, tecniche e stili di gioco.
Come ho già fatto intendere in precedenza il punto forte di questa serie sta nei suoi personaggi, tutti magnificamente caratterizzati, e nell'introspezione. La storia, che si avvale di una sceneggiatura perfetta, si sviluppa lentamente, e i cambi di ritmo si verificano più frequentemente durante le meravigliose partite, che oltre alla dimensione puramente spettacolare del gioco ne nascondono un'altra più profonda, di sviluppo dei personaggi. Da ogni partita, da ogni colpo, da ogni movimento traspaiono le mille sfaccettature dei giocatori, le loro emozioni, i loro pensieri, il loro stato d'animo. È come se le intere partite fossero costruite sui carattere dei personaggi, che possono così "esplodere" in una miriade di colori e sensazioni, liberare la loro energia e rivelare la propria essenza. Tutti, quando giocano, esprimono loro stessi. Qua lo sport non è rappresentato come un semplice "mezzo per migliorarsi e impegnarsi tutti insieme con gli amici" (tipico stereotipo da spokon classico), ma piuttosto è un mondo spietato fatto di sacrifici e sofferenze, una continua lezione di vita, ma anche un pretesto per conoscersi, per crescere e inseguire il proprio percorso. Tutti attraverso il ping pong cercano la loro strada, imparano, maturano, cadono e si rialzano, e infine riescono a volare. Perché tutti, dal primo all'ultimo, spiccano il volo; vincono la sfida più importante e, in un modo o nell'altro, arrivano in alto nella vita. L'anime stesso in ogni sua parte è un inno alla vitalità, al desiderio di rivalsa e di traguardi, che trova la sua forza nella condizione reale dei personaggi, delineati con un'umanità sconcertante; un'umanità che traspare da ogni metafora, da ogni espressione, da ogni parola, capace di sprigionare un calore che arriva al cuore. Ping Pong the Animation è un piccolo affresco che rappresenta la vita in modo toccante e diretto, un'opera poetica, talmente pregna di significati che è quasi impossibile, e di ciò mi scuso, analizzarli tutti nel dettaglio. Artistico ed emozionante, profondo e irriverente, capace di regalare momenti esaltanti e altri commoventi, questo gioiello si innalza molto al di sopra del normale, meritandosi ampiamente l'appellativo di "capolavoro" e raggiungendo picchi raramente toccati nella storia dell'animazione giapponese moderna.
Arrivare a utilizzare il termine "capolavoro" è, di questi tempi, diventata un'impresa ardua. Nell'ondata di produzioni animate commerciali e omologate che ci sta investendo in questo periodo, è sempre più in calo la presenza di opere che vadano controcorrente, che si distinguano e si elevino dalla massa anteponendo il fattore "qualità" ai gusti del pubblico.
Ping Pong nasce nel 1996 dalla penna, anzi dal pennino, di Taiyou Matsumoto, mangaka di culto che ha fatto di uno stile graffiante e irregolare e della psicologia finemente approfondita il proprio marchio di fabbrica. La serie di fumetti originale, che conta cinque volumi, non è stata purtroppo mai pubblicata in Italia, ma ciò non ha in alcun modo penalizzato la trasposizione animata, che conta un più che discreto numero di estimatori forse in primis attirati, come il sottoscritto, dal nome del regista: Masaaki Yuasa. Questo signore - già autore visionario e geniale di opere come Kaiba, The Tatami Galaxy e Kemonozume - è riuscito nell'ardua impresa di valorizzare completamente il manga originale e di offrire anche qualcosa in più, intessendo una trama che in undici episodi, a dispetto del soggetto non propriamente eccitante, mantiene sempre viva l'attenzione e colpisce al cuore lo spettatore, grazie anche alla cura e all'abilità dello staff nel realizzare partite mozzafiato e alternarle con grande maestria a momenti invece più riflessivi, che tratteggiano la psicologia dei personaggi in maniera a dir poco superba.
La serie, che a prima vista si definirebbe uno spokon (ovvero un, seppur atipico, anime sportivo) ma che in realtà ha più i caratteri di un racconto di formazione, narra la storia di due amici d'infanzia, Hoshino detto Peco e Tsukimoto detto Smile, uniti dalla comune passione per il ping pong. Il primo, dotato di un indubbio talento e di un carattere solare e un po' spaccone, ha iniziato a prendere lo sport sottogamba, crogiolandosi nei suoi successi. Il secondo, di carattere molto introverso e laconico, tanto che pare quasi privo di sentimenti, ha sempre vissuto il tennis-tavolo all'ombra dell'amico, e ora gioca senza particolare coinvolgimento e interesse. La totale disfatta subita da Peco contro un giocatore cinese, Kong Wenge, giunto in Giappone per ristabilire la propria immagine dopo essere stato escluso dalla squadra in patria, lo riporterà con i piedi per terra, e il successivo torneo interscolastico delle superiori, alla quale parteciperanno i migliori giocatori adolescenti del Giappone, sarà per i numerosi personaggi l'occasione per conoscere sé stessi, i propri limiti, le proprie aspirazioni per il futuro e le ragioni che li spingono a giocare.
Dal punto di vista tecnico lo staff della Tatsunoko Production ha svolto a mio parere un lavoro coi fiocchi. Lo stile grafico, che ha fatto storcere il naso a molti, è sicuramente molto particolare; è uno stile dal tratto grezzo, minimalista e quasi spezzettato e "incerto", molto vicino a quello originale del maestro Matsumoto, mentre i fondali sono leggermente velati da pennellate acquarellate. Le animazioni sono assolutamente fenomenali, fluide e visivamente spettacolari, composte da riprese e inquadrature studiatissime che rasentano lo sperimentalismo e da tecniche innovative ma sicuramente d'effetto (come il tanto criticato split screen). Le critiche mosse al comparto grafico a mio avviso sono dettate principalmente dalle diverse abitudini dello spettatore, mentre appunto lo stile "alternativo" di Ping Pong the Animation conferisce all'opera una maggiore focalizzazione sull'aspetto psicologico e simbolista, che viene così valorizzato esponenzialmente. Tutto, a partire proprio dal comparto tecnico, fa parte di un unicum, un congegno armonioso e ben compensato, volto a rendere la massima potenza espressiva possibile. Difficilmente riuscirei a immaginare questa serie, le sue partite e le sue riflessioni con un altro stile di grafica e animazione, perché sarebbe una cosa completamente differente e certamente non di altrettanto impatto. Un'altra nota di merito va data al comparto sonoro, davvero ben realizzato, e soprattutto alla fenomenale soundtrack, assolutamente perfetta in ogni sua sfumatura, che potenzia ulteriormente ogni scena dell'anime. Un plauso va fatto agli autori anche per l'estrema cura nel rappresentare lo sport in questione, facendo attenzione alle esatte attrezzature, tecniche e stili di gioco.
Come ho già fatto intendere in precedenza il punto forte di questa serie sta nei suoi personaggi, tutti magnificamente caratterizzati, e nell'introspezione. La storia, che si avvale di una sceneggiatura perfetta, si sviluppa lentamente, e i cambi di ritmo si verificano più frequentemente durante le meravigliose partite, che oltre alla dimensione puramente spettacolare del gioco ne nascondono un'altra più profonda, di sviluppo dei personaggi. Da ogni partita, da ogni colpo, da ogni movimento traspaiono le mille sfaccettature dei giocatori, le loro emozioni, i loro pensieri, il loro stato d'animo. È come se le intere partite fossero costruite sui carattere dei personaggi, che possono così "esplodere" in una miriade di colori e sensazioni, liberare la loro energia e rivelare la propria essenza. Tutti, quando giocano, esprimono loro stessi. Qua lo sport non è rappresentato come un semplice "mezzo per migliorarsi e impegnarsi tutti insieme con gli amici" (tipico stereotipo da spokon classico), ma piuttosto è un mondo spietato fatto di sacrifici e sofferenze, una continua lezione di vita, ma anche un pretesto per conoscersi, per crescere e inseguire il proprio percorso. Tutti attraverso il ping pong cercano la loro strada, imparano, maturano, cadono e si rialzano, e infine riescono a volare. Perché tutti, dal primo all'ultimo, spiccano il volo; vincono la sfida più importante e, in un modo o nell'altro, arrivano in alto nella vita. L'anime stesso in ogni sua parte è un inno alla vitalità, al desiderio di rivalsa e di traguardi, che trova la sua forza nella condizione reale dei personaggi, delineati con un'umanità sconcertante; un'umanità che traspare da ogni metafora, da ogni espressione, da ogni parola, capace di sprigionare un calore che arriva al cuore. Ping Pong the Animation è un piccolo affresco che rappresenta la vita in modo toccante e diretto, un'opera poetica, talmente pregna di significati che è quasi impossibile, e di ciò mi scuso, analizzarli tutti nel dettaglio. Artistico ed emozionante, profondo e irriverente, capace di regalare momenti esaltanti e altri commoventi, questo gioiello si innalza molto al di sopra del normale, meritandosi ampiamente l'appellativo di "capolavoro" e raggiungendo picchi raramente toccati nella storia dell'animazione giapponese moderna.
Stairway90
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Pantsu pantsu pantsu oh adoro le tue tettine piccine Mihari-san! Pantsu pantsu la scadenza per la consegna del manoscritto è domani cavolo! Devo giocare ai galge! Pantsu pantsu devo nascondere i giornaletti porno! Pantsu pantsu Ashisu-san mi faresti toccare le tue tette? Pantsu pantsu...
Non sono impazzito, sto solo cercando di rappresentare il flusso dei pensieri di Yuuki Aito, protagonista del manga Mangaka-san to Assistant-san to, disegnato da Hiroyuki fra il 2008 e il 2013 (con un seguito iniziato subito dopo e intitolato, con gran fantasia, Mangaka-san to Assistant-san to 2). Questo stesso manga ha ricevuto poi un adattamento animato in dodici episodi della durata di tredici minuti l'uno, prodotto dallo studio ZEXCS e mandato in onda nella stagione primaverile del 2014.
Una vera e propria trama non c'è, infatti ogni episodio è costituito da una serie di segmenti autoconclusivi, in cui assistiamo alle peripezie quotidiane di Aito e dello stuolo di donne che gli ruota attorno: la sua prima assistente Sahoto Ashisu, che sogna di diventare anche lei una mangaka effettiva con una serie tutta sua da scrivere e disegnare; la seconda assistente Rinna Fuwa, ingenua e dalle curve abbondanti; la "super assistente" Sena Kuroi, una tsundere dall'aspetto di ragazzina; l'editrice Mihari Otosuna, amica di vecchia data di Aito in quanto i due frequentavano la stessa classe e condividevano la passione per i fumetti. Aito è l'autore di un manga intitolato Hajicafe e, come ho cercato di far capire fin da subito, ha prevalentemente una cosa in testa: le mutandine. Poi vengono anche le tette e i galge, ma l'intimo femminile è al primo posto, e questo si riflette sia nel manga a cui lavora (pieno di inquadrature e mutandine a tutto spiano) sia nei suoi rapporti con le quattro donne. E, ciliegina sulla torta, ognuna di loro è in qualche modo attratta da lui, per motivi ancora sconosciuti visto che il mangaka in questione è un pervertito privo di spina dorsale e di qualsivoglia serietà.
Chi si aspetta una serie che parli del lavoro di mangaka, delle sue difficoltà e dei sacrifici che bisogna compiere per poter raggiungere la vetta, dei metodi di realizzazione di un fumetto e del compito degli assistenti rimarrà deluso, così come lo sarà chi si aspetta, a giudicare dal titolo, una storia romantica fra il mangaka e l'assistente: questi dodici episodi sono una sfilza di situazioni comiche (almeno in teoria) infarcite di fanservice, discorsi sulle mutandine e sulla lettura della personalità femminile attraverso esse, gite alle terme e in spiaggia, equivoci e situazioni piccanti, bisogni fisiologici impellenti che ti colgono nell'ascensore bloccato, metodi poco ortodossi per raccogliere "materiale" per il proprio manga. Almeno in teoria, ho scritto, perché una buona parte delle situazioni proposte sono già state mostrate in decine e decine di simili commedie ecchi, spesso in maniera migliore, altre volte in maniera peggiore, oppure sono gag che non riescono a far ridere come vorrebbero. Ma non tutto è male: quando la storia cerca di farsi più seria e di scavare nel passato dei personaggi o nelle loro ambizioni e nei loro sogni, la serie prende una piega più piacevole, dimostra di possedere tutte le potenzialità per tirarne fuori uno slice of life decente. Potenzialità sprecate, ovviamente.
Essendo una commedia fondata sul fanservice e su situazioni moderatamente piccanti, Man-gaka-san to Assistant-san to non offre personaggi indimenticabili, dalla caratterizzazione psicologica solida e approfondita: ci si limita a ricalcare i soliti stereotipi del pervertito ingenuo, della ragazza seria, del capo autoritario, della tettona, della tsundere che sembra più piccola di quanto sia, infilandoci in mezzo anche la sorellina minore della ragazza seria che deve metterla in imbarazzo in alcune situazioni rivelandone i segreti e un capo redattore minorenne per la gioia degli amanti delle lolicon; non manca nemmeno la mascotte animale, in questo caso un gatto con un reggiseno in testa ribattezzato Branya. I personaggi più interessanti sono proprio i due che vengono approfonditi un po' di più rispetto agli altri, ossia Miharu e Ashisu, e la loro cotta per Aito sembra avere ragioni più convincenti rispetto a quanto avvenga per le altre due assistenti, Rinna e Sena, visto che sono a contatto con Aito da più tempo di loro e conoscono anche alcuni lati particolari del suo carattere come l'impegno sul lavoro, il talento nel disegno, la gentilezza.
Dal punto di vista grafico ci troviamo di fronte a un anime colorato, luminoso, senza discontinuità qualitative nell'arco dell'intera serie e pieno di personaggi dal character design molto grazioso, soprattutto per quanto riguarda le figure femminili. La colonna sonora non è nulla di memorabile, a parte le sigle e soprattutto l'ending dell'ultimo episodio, Endless Panties, che è diversa da quella degli altri undici episodi e che strappa un sorriso perché è una sorta di serenata alle mutandine cantata dallo stesso Aito.
Mangaka-san to Assistant-san to è una di quelle opera da visionare a cervello spento, se si è alla ricerca di una commedia senza troppe pretese, per farsi due risate. Il problema è che il tipo di situazioni e di battute su cui si basa il suo umorismo non sempre funziona, anzi spesso e volentieri invece di sorrisi strappa degli sbadigli, mentre l'elemento sentimentale è a malapena abbozzato e il lavoro del mangaka viene oscurato da discorsi su tette e mutandine. La visione scorre comunque leggera e non pesa molto nemmeno nei peggiori episodi, complice anche la durata ridotta delle puntate, ma si poteva fare molto di meglio, partendo da una simile idea di base.
Non sono impazzito, sto solo cercando di rappresentare il flusso dei pensieri di Yuuki Aito, protagonista del manga Mangaka-san to Assistant-san to, disegnato da Hiroyuki fra il 2008 e il 2013 (con un seguito iniziato subito dopo e intitolato, con gran fantasia, Mangaka-san to Assistant-san to 2). Questo stesso manga ha ricevuto poi un adattamento animato in dodici episodi della durata di tredici minuti l'uno, prodotto dallo studio ZEXCS e mandato in onda nella stagione primaverile del 2014.
Una vera e propria trama non c'è, infatti ogni episodio è costituito da una serie di segmenti autoconclusivi, in cui assistiamo alle peripezie quotidiane di Aito e dello stuolo di donne che gli ruota attorno: la sua prima assistente Sahoto Ashisu, che sogna di diventare anche lei una mangaka effettiva con una serie tutta sua da scrivere e disegnare; la seconda assistente Rinna Fuwa, ingenua e dalle curve abbondanti; la "super assistente" Sena Kuroi, una tsundere dall'aspetto di ragazzina; l'editrice Mihari Otosuna, amica di vecchia data di Aito in quanto i due frequentavano la stessa classe e condividevano la passione per i fumetti. Aito è l'autore di un manga intitolato Hajicafe e, come ho cercato di far capire fin da subito, ha prevalentemente una cosa in testa: le mutandine. Poi vengono anche le tette e i galge, ma l'intimo femminile è al primo posto, e questo si riflette sia nel manga a cui lavora (pieno di inquadrature e mutandine a tutto spiano) sia nei suoi rapporti con le quattro donne. E, ciliegina sulla torta, ognuna di loro è in qualche modo attratta da lui, per motivi ancora sconosciuti visto che il mangaka in questione è un pervertito privo di spina dorsale e di qualsivoglia serietà.
Chi si aspetta una serie che parli del lavoro di mangaka, delle sue difficoltà e dei sacrifici che bisogna compiere per poter raggiungere la vetta, dei metodi di realizzazione di un fumetto e del compito degli assistenti rimarrà deluso, così come lo sarà chi si aspetta, a giudicare dal titolo, una storia romantica fra il mangaka e l'assistente: questi dodici episodi sono una sfilza di situazioni comiche (almeno in teoria) infarcite di fanservice, discorsi sulle mutandine e sulla lettura della personalità femminile attraverso esse, gite alle terme e in spiaggia, equivoci e situazioni piccanti, bisogni fisiologici impellenti che ti colgono nell'ascensore bloccato, metodi poco ortodossi per raccogliere "materiale" per il proprio manga. Almeno in teoria, ho scritto, perché una buona parte delle situazioni proposte sono già state mostrate in decine e decine di simili commedie ecchi, spesso in maniera migliore, altre volte in maniera peggiore, oppure sono gag che non riescono a far ridere come vorrebbero. Ma non tutto è male: quando la storia cerca di farsi più seria e di scavare nel passato dei personaggi o nelle loro ambizioni e nei loro sogni, la serie prende una piega più piacevole, dimostra di possedere tutte le potenzialità per tirarne fuori uno slice of life decente. Potenzialità sprecate, ovviamente.
Essendo una commedia fondata sul fanservice e su situazioni moderatamente piccanti, Man-gaka-san to Assistant-san to non offre personaggi indimenticabili, dalla caratterizzazione psicologica solida e approfondita: ci si limita a ricalcare i soliti stereotipi del pervertito ingenuo, della ragazza seria, del capo autoritario, della tettona, della tsundere che sembra più piccola di quanto sia, infilandoci in mezzo anche la sorellina minore della ragazza seria che deve metterla in imbarazzo in alcune situazioni rivelandone i segreti e un capo redattore minorenne per la gioia degli amanti delle lolicon; non manca nemmeno la mascotte animale, in questo caso un gatto con un reggiseno in testa ribattezzato Branya. I personaggi più interessanti sono proprio i due che vengono approfonditi un po' di più rispetto agli altri, ossia Miharu e Ashisu, e la loro cotta per Aito sembra avere ragioni più convincenti rispetto a quanto avvenga per le altre due assistenti, Rinna e Sena, visto che sono a contatto con Aito da più tempo di loro e conoscono anche alcuni lati particolari del suo carattere come l'impegno sul lavoro, il talento nel disegno, la gentilezza.
Dal punto di vista grafico ci troviamo di fronte a un anime colorato, luminoso, senza discontinuità qualitative nell'arco dell'intera serie e pieno di personaggi dal character design molto grazioso, soprattutto per quanto riguarda le figure femminili. La colonna sonora non è nulla di memorabile, a parte le sigle e soprattutto l'ending dell'ultimo episodio, Endless Panties, che è diversa da quella degli altri undici episodi e che strappa un sorriso perché è una sorta di serenata alle mutandine cantata dallo stesso Aito.
Mangaka-san to Assistant-san to è una di quelle opera da visionare a cervello spento, se si è alla ricerca di una commedia senza troppe pretese, per farsi due risate. Il problema è che il tipo di situazioni e di battute su cui si basa il suo umorismo non sempre funziona, anzi spesso e volentieri invece di sorrisi strappa degli sbadigli, mentre l'elemento sentimentale è a malapena abbozzato e il lavoro del mangaka viene oscurato da discorsi su tette e mutandine. La visione scorre comunque leggera e non pesa molto nemmeno nei peggiori episodi, complice anche la durata ridotta delle puntate, ma si poteva fare molto di meglio, partendo da una simile idea di base.
La metto in coda tra le tante cose che ho da vedere
Non ho nulla da eccepire sulla recensione di Akira, tutti i difetti che cita ci sono. D'altra parte non e' cosi' malaccio, Dancougar e' un gradito ritorno al super robot in un periodo in cui erano scomparsi, quindi mi sento di arrotondare il mio 6,5/7 per eccesso.
Ottima la recensione di traxer-kun, pero' il mio parere su Ping Pong e' diverso. Avesse avuto un chara normale gli avrei assegnato un 7,5/8, ma visto l'orrore del chara che e' stato usato (che io interpreto come pretenziosita' per un anime che poi alla fine si rivela essere uno spokon normale) lo riduco a un mero 7.
Di Mangaka-san to Assistant-san to ho letto il primo volume del manga e l'ho droppato subito. Come dice anche Stairway il problema e' che non fa ridere. Anzi, fa sbadigliare a rivedere per la millesima volte le solite scenette ecchi stantie e la manie delle mutante. Bocciato.
Per QUALITY:THE ANIMATION, personalmente è sopravvalutato parecchio: e' uno spokon normale, senza grandi innovazioni, e con uno stile di animazione che volendo essere originale finisce per essere (almeno per me) poco gradevole. Personalmente l'ho droppato dopo 3 o 4 puntate, per eccesso di noia. Non va oltre il 6 personalmente.
Per Mangaka-san, e' una commedia ecchi di quelle che alla fine non emergono in alcunche, ma che fa il suo compito. Ed è anche un corto allungato, quindi va visto nell'ottica di un anime di poco impegno, e in questo riesce. Personalmente un 6, ma se non si ha nelle corde un certo tipo di commedia si può togliere un punto tranquillamente.
Riguardo a Ping Pong the Animation: ammetto di essere un grande fan di Yuasa e del suo stile, e ciò ha sicuramente influito parecchio, ma secondo me questo è un anime che sfiora l'eccellenza.
Sul comparto grafico ormai se ne è già ampiamente discusso, e posso capire che non tutti lo apprezzino, ma la maturità di Ping Pong sta nel fatto che a mio parere va ben oltre un semplice anime sportivo. Negli anime prettamente spokon - che quindi non sono influenzati da altri generi (come il romance) - il fine ultimo dei personaggi di solito è il coronamento del loro sogno sportivo, raggiunto con impegno e sacrifici; invece PPtA non si ferma a una visione così semplicistica dello sport, ma ne esplora tutte le possibilità e le sfaccettature, concentrandosi sui personaggi in quanto persone, prima che sugli atleti. Se a ciò aggiungiamo una regia (manco a dirlo) immensa, sperimentazioni visive, scavo psicologico e metafore artistiche e profonde, secondo me quest'anime si può definire davvero un capolavoro del suo genere, che tutti dovrebbero provare a vedere, Yuasafag e non (a maggior ragione, per una volta che Yuasa mette da parte il mind-fuck ).
Le altre due serie non le ho viste, per cui mi tocca esinermi dal commentare, ma faccio comunque i complimenti agli instancabili Akira e Stairway.
E qual e' la differenza con Ping Pong?
@Micheles che in Ping Pong the Animation la componente del ping pong ha un ruolo marginale, è di contorno per raccontare le vicissitudini dei protagonisti. Una dimostrazione è data dal fatto che ci sono praticamente pochissime informazioni riguardo alle tecniche usate, e seppure è fedele al gioco, questo dimostra l'intento dell'anime di raccontare una storia tramite lo sport, senza soffermarsi su di esso.
Perché non è vero per Sakuma (che ad un certo punto si gioca volontariamente ogni residua speranza, dopo essersi reso conto di non essere all'altezza), non è vero per Kong (che cambia completamente dopo aver accettato i suoi compagni di club) e soprattutto non è vero per Smile (a cui del successo sportivo proprio importava meno di 0).
(e per certi versi può valore lo stesso discorso per quasi tutti gli altri personaggi)
Alla fine il manga fa un discorso un po' simile a quello dell'ultimo volume di Rough, la prestazione sportiva non è il focus del tutto, lo sono i personaggi, e l'evoluzione degli stessi non avviene per forza attraverso la prestazione sportiva.
La differenza sta appunto nel fatto che al contrario degli altri spokon, Ping Pong non si accontenta di mostrare semplici vicende sportive fini a sé stesse, ma punta a qualcosa di più. Come ho detto è un racconto di formazione più che uno sportivo, e il gioco non significa solo "impegnarsi per ottenere ogni risultato possibile", ma è prima di tutto un modo per scandagliare le personalità dei giocatori, i loro dubbi, la loro maturazione.
Senza contare che presenta la realtà sportiva in modo più cinico - e per questo realistico - della media dei vari spokon (adesso non voglio entrare nei particolari per non fare degli spoiler, ma basta pensare ai personaggi di Sakuma e Makoto).
Ora sia chiaro, non ho nulla contro gli sportivi classici, anzi, alcuni di quelli che ho visto mi sono piaciuti; ma questo lo considero "qualcosa di più", non si ferma solo allo sport. Poi può essere che sbagli, ma questa è l'idea che mi ha dato.
Premesso che non ho visto Ping Pong ma queste caratteristiche ci sono in tanti spokon che non parlano sono dell'aspetto sportivo come possono essere un Rocky Joe, Uomo Tigre, Motori in Pista, Real, Climber le opere di Adachi ecceccecc insomma non mi sembra una caratteristica nuova, anzi c'è sempre stata, visto che una volta gli spokon rappresentavano il riscatto sociale dei giapponesi...
Certo, ovviamente quella frase era in risposta alla domanda di micheles, per cui con l'espressione "gli altri spokon" ovviamente intendevo gli spokon "medi". Quelle da te citate è risaputo che siano per la maggior parte opere immense, che in un modo o nell'altro hanno influenzato il genere, ma sono più l'eccezione che la regola.
PPTA lo rifiuto categoricamente. Si tratta di una aborto oltre ogni limite e confine umanamente comprendibile.
JoJo semplicemente non mi piace, ma non lo disprezzo.
La differenza sta appunto nel fatto che al contrario degli altri spokon, Ping Pong non si accontenta di mostrare semplici vicende sportive fini a sé stesse, ma punta a qualcosa di più. Come ho detto è un racconto di formazione più che uno sportivo
Non so che spokon hai visto tu, ma quasi tutti gli spokon che ho visto io hanno l'aspetto formativo in primo piano e c'e' altro oltre alle prestazione agonistica. Sara' che io sono abituato agli spokon della vecchia scuola. In questi spokon mica tutto andava bene, di comprimari costretti a abbandonare lo sport per vari motivi ce n'erano a decine, Ping Pong non e' innovativo in questo senso. Poi bisogna ricordare che il protagonista di Ping Pong non e' Smile, e' Peco. L'unica cosa davvero originale di Ping Pong e' la grafica e la regia e quella non mi e' piaciuta per nulla. Come storia invece e' proprio vecchio stile e quella mi e' piaciuta, nonostante la confezione indigesta. Per gli amici dei numeri:
Grafica e regia: 2
Storia: 8
Media pesata (tenendo conto che per me la storia conta molto di piu' della confezione): 7
Non esiste un'opera che possa o debba essere apprezzata da tutti né un'opera che debba far schifo a tutti (eccetto PUPA ) ^__^'
Per il resto quoto in toto le parole di Nyx al messaggio 27), a me piace molto leggere chi la pensa diversamente a me ed espone dettagliatamente il suo punto di vista: spesso si trovano degli interessanti spunti di riflessione.
È un peccato, dico sul serio. Mi rendo conto che andare contro quella che viene considerata la corrente principale non è facile, ma così ci private del piacere di conoscere davvero vostro punto di vista, che è valido e prezioso esattamente come quello di chiunque altro.
Letti i tanti commenti positivi si evince che Ping POng debba avere qualcosa di profondo al suo interno, qualcosa che probabilmente piacerebbe anche a me, ma l'aspetto grafico risulta davvero brutto e tiene alla larga tantissime persone; non si deve giudicare un'opera solo da quello ma anche l'occhio vuole la sua parte. In più anche lì'argomento trattato (il ping pong) non è il massimo dell'attrattiva per molti. Il character design anche è un leemento che riveste un rulo importante per me...
E dire che da giovane partecipai a parecchi tornei di ping pong con riusltati più che discreti... ma il ping pong può essere un argomento narrativamente attraente? Credo di no. Sicuramente quest'opera ha qualcosa di profondo da offrire, che non può certo essere colto ad un'occhiata superficiale, me ne rendo conto, ma sotto tanti altri aspetti porge il fianco a diverse critiche.
Per questo io credo che, allo stesso modo, sbagli sia chi lo definisce un aborto indifendibile che chi lo proclama un capolavoro da guardare a prescindere.
;)
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