La famiglia Numata è quella che si definirebbe la classica “famiglia perfetta”: una bella casa, marito e moglie innamorati, due bei figli educati e rispettabili. Sorrisi gentili a delle vicine che mostrano, forse consapevolmente, una gelosia malcelata, raccolta differenziata, un lavoro di prestigio, cene da gourmet e ottimi voti a scuola formano la patina abbagliante che avvolge una famiglia le cui piccole crepe si insinuano senza sosta all’interno di un edifico che, più che di cemento, sembra fatto di sabbia. La sabbia dei castelli che i bambini costruiscono al mare, quelli che crollano su se stessi alla prima falla, quando un’onda gli si scaglia contro. La falla, in questo caso, ha il nome di Shigeyuki, il più giovane membro dei Numata. Il piccolo frequenta solo le elementari ma è già sulla via per diventare un hikikomori: vittima di bullismo non frequenta più le lezioni, si chiude in camera e passa le giornate nella penombra dello schermo del suo pc in mezzo a videogames e cibo spazzatura. Il fratello più grande, Shinichi, non lo guarda nemmeno, la madre si convince che il problema non sia così grave, il padre è troppo preso dal suo lavoro. L’onda invece ha il nome di Koya Yoshimoto, l’insegnante privato reclutato per risolvere la spinosa questione del piccolo Shigeyuki. Il bizzarro professore inizia la sua lezione con un ceffone e la cura pare dare i suoi frutti. Ma Koya Yoshimoto è un’onda, la famiglia Numata è un fragile castello di sabbia; facile intuire quale sarà il risultato di questo scontro.
 
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“Tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”

Così è la famiglia Numata, infelice a modo suo. Ma quando i membri di quella casa hanno iniziato a perdere la bussola? Quando hanno perso la capacità di mostrare con sincerità i loro sentimenti? Quando hanno iniziato a provare odio o indifferenza l’uno verso l’altro? Il microcosmo familiare è quanto di più naturale possa esistere per molte persone, ma proprio la sua naturalezza intrinseca rischia di innescare un terribile meccanismo per cui ogni membro che ne fa parte sia portato a pensare che essa sia un giardino già fiorito e non una piantina da crescere con cura, con il tempo e la dedizione. I genitori, forse dimenticando le gravose responsabilità del loro ruolo, si sono fatti opprimere da affanni e disillusioni, diventando deboli, così tanto da non riuscire a guidare i figli nel tortuoso percorso dell’infanzia/adolescenza, abbandonandoli a se stessi e ai turbamenti tipici della loro età. Nel periodo della vita in cui i ragazzi camminano in bilico su di una sottilissima linea invisibile, scivolare è fin troppo facile e nella trappola del funambolo incapace ci cascano sia Shinichi che Shigeyuki: il primo è convinto della sua superiorità ma allo stesso tempo desideroso di annullarsi e distruggersi, il secondo è privo dei mezzi per difendere se stesso dalle brutture del mondo che lo circonda e costruire una propria identità. Koya Yoshimoto è disgustato da tutto questo, ma sa già come risolvere tutto, basta coinvolgere i Numata nel suo “gioco della famiglia”. Il gioco perverso dello strambo insegnante segue un percorso molto semplice: egli porta all’estremo i membri della famiglia, li spinge sull’orlo del precipizio sul quale si sono già incamminati, li incita a guardare nel baratro, e magari, anche a buttarsi giù. Ma una terapia così estrema può davvero funzionare? La cura in questo caso, pare essere peggiore del male.
 
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Tratto dal romanzo omonimo pubblicato negli anni ’80 e che già aveva ricevuto un adattamento a film nel 1983, Kazoku Game è un drama di 10 episodi che racconta in modo crudo, diretto, ironico e a tratti anche straziante, la storia di una famiglia come tante che persa nei suoi stessi meandri oscuri non riesce a trovare la salvezza. Bullismo, tradimenti, degrado, disillusioni, sentimenti posticci, turbamenti interiori che non trovano sfogo e comprensione; tutto questo e anche altro è la famiglia Numata, assieme all’insegnante da essa reclutato. In un’opera in cui tutti sono protagonisti, spicca particolarmente la figura di Koya Yoshimoto, l’eccentrico insegnante magistralmente interpretato da Sho Sakurai (membro della famosa band Arashi) che tiene nel palmo della sua mano l’intero nucleo familiare, rigirandolo a suo piacimento, costringendolo a guardarsi continuamente ad uno specchio che ne rivela debolezze e meschinità, in un gioco al massacro che sembra mietere più vittime che redenti.
 
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I metodi spicci e poco ortodossi di Koya sono come zanne che affondano con violenza nei delicati colli dei Numata, i quali a loro volta si barcamenano tra il disperato bisogno di essere salvati e l’incapacità di ammettere tale necessità. Mentre il piccolo Shigeyuki è in qualche modo riparato dalla coperta dell’ingenuità dell’età infantile, è Shinichi, interpretato dal giovane talento Ryunosuke Kamiki (Kenshin, The Kirishima ThingKamisama no Iutoori), a rendersi conto del baratro verso cui l’insegnante li sta spingendo, e pur ammettendo che il malfunzionamento della sua famiglia esisteva già da prima, trova in Koya il capro espiatorio del suo malessere. I due sembrano esibirsi una danza in cui a guidare sono ora uno ora l’altro, ma che in concreto è gestita a senso unico dall’insegnante. Nel corso degli episodi, mentre Koya cerca, a modo suo, di salvare il piccolo Shigeyuki, Shinichi indaga sul suo passato, che chiaramente nasconde macchie e misteri, in un susseguirsi di indizi, ricerche, rivelazioni e drammi umani che si svelano di volta in volta, mischiando bugie e verità. Il piano architettato da Koya Yoshimoto non ha falle, ma in fondo, anche lui è un semplice essere umano e il passato ha lasciato cicatrici anche nel suo animo contorto.
Una sceneggiatura intensa e coinvolgente, l’ottima recitazione di tutti i protagonisti, il dramma ben dosato e perfettamente mischiato alla verosimilità di personaggi e situazioni rendono Kazoku Game una visione interessante e sempre intrigante, che si svela a piccoli passi nelle mille facce dei suoi personaggi e nella loro caratterizzazione romanzata ma credibile.
 
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Kazoku Game non è una storia “buona”, fino alla fine instilla nello spettatore il dubbio che non tutte le famiglie ad un passo dalla distruzione possano salvarsi, e che il potenziale salvatore non ha sempre e comunque il volto e il fare di un angelo benevolo. Non basta urlare, strappare divani, distruggere mobili e suppellettili per ritrovare la serenità di un giardino consapevolmente lasciato andare alle intemperie , la piccola pianta bisognosa di amore e attenzioni potrebbe non trovare ricovero una volta marcita del tutto. Ma forse la famiglia Numata ha davvero bisogno di essere distrutta per poter rinascere e crescere insieme, per la seconda volta, con la consapevolezza del ruolo che ad ognuno compete all’interno di quel piccolo giardino, prendendo coscienza delle proprie debolezze e del brutto che vaga nel mondo esterno ma anche e soprattutto dentro ognuno dei componenti di quella casa.