La storia di Rurouni Kenshin - Samurai Vagabondo conserva tuttora integro il suo fascino, anche a distanza di diversi anni dalla prima stesura dell'opera; è quindi tutto sommato soltanto legittimo chiedersi come mai tanta popolarità, su questo titolo, non avesse condotto ad un lungometraggio dal vivo già anni addietro.
Il progetto live-action è rientrato invece in quello più ampio dei festeggiamenti per il quindicennale dalla serie animata, che al di là di questo film stand-alone del 2012 ha ricompreso, tra le altre cose, una serie di OVA sul capitolo di Kyoto e un breve remake del manga denominato Cinema Version.
E' certo una rilettura avventurosa, indirizzata idealmente più a un target di lettori adolescenti, piuttosto che ad un pubblico più maturo; per questo, e per quella componente di violenza propria dei fatti accaduti, Rurouni Kenshin non dovrebbe rientrare, a rigor di logica, tra le storie che più ritrovo consone ai miei gusti. Eppure essa è, al tempo stesso, la storia della coscienza di un uomo, con alle spalle un percorso di vita travagliato ma al tempo stesso affascinante e romantico.
A fronte della notizia dell'imminente live action tratto dal manga di Watsuki, pubblicato in Italia per Star Comics, serbavo diversi timori. Trasformare un manga in un lungometraggio, tanto più dal vivo, è spesso e volentieri un'operazione che genera più mormorii di scontento che soddisfazione, sia tra i fan che tra i semplici appassionati del genere: significa necessariamente introdurre dei cambiamenti, intervenire su qualcosa che difficilmente si ritiene migliorabile, e non perché l'opera rasenti la perfezione, quanto piuttosto perché apprezzata così com'era stata pensata originariamente.
Rurouni Kenshin offre tuttavia degli elementi che si prestano con facilità allo scopo: un'appassionata storia di 'cappa e spada' al limite della tragedia, uno sfondo storico affascinante, personaggi il cui carisma non risente dello scorrere del tempo.
L'intreccio originale di Watsuki è stato certamente rielaborato: non troppo, ma nemmeno troppo poco. Eppure per quanto sia assente lo straordinario arco degli Oniwabanshu, la storia narrata di per sé non ne soffre in maniera eccessiva. Le vicende dei primi quattro volumi del manga vengono così ben riassunte in un incastro ex novo, il cui sviluppo non risulta essere affrettato né incoerente, né lascia la percezione che troppi elementi siano stati abbandonati per strada.
La sceneggiatura è riuscita nell'intento di includere nell'intreccio tutto ciò che era necessario inserire, e mai s'insinua la sensazione che 'manchi qualcosa' o, peggio, di incoerenti buchi narrativi. Tutto si colloca, tutto trova il proprio spazio.
La figura di Kenshin Himura è impeccabile: Takeru Sato non ha dovuto faticare alcunché per restituire allo spadaccino i suoi delicati lineamenti, ed è inoltre riuscito con abilità a renderne tangibili le varie sfumature espressive, sia nel viso che nella voce, alternando il gentile ‘rurouni’ vagabondo al freddo assassino dalla voce roca, gelida e irriconoscibile.
L'indecifrabile uomo diviso tra il passato, il presente e il suo conflitto interiore è dotato, per stessa ammissione di Watsuki, di una bellezza neutra, non esattamente femminea, che si estende fino a travalicare i sessi. A ben vedere infatti Sato conserva della ruvidezza nei tratti, ed è molto apprezzabile quanto della sua stessa statura ed esile corporatura trasmigri in Kenshin. E, di nuovo, anche quest'aspetto sembra quasi paradossale, perché non c'è scena di spada che non lasci a bocca aperta, per così tanta e sottile forza celata in un corpo così minuto.
Teatrali, certamente, gli svariati combattimenti di arti marziali, eppure mai eccessivi, mai danno l'impressione di rasentare l'assurdità agli occhi dello spettatore.
Splendida la resa di Sanosuke e della sua spiccata e ingenua irruenza, parimenti ben fatta quella di Megumi Takani: malgrado le variazioni apportate alla storia, rimane invariato ed evidente il desiderio di questo personaggio di sfuggire al destino che l'ha intrappolato in una vita di indesiderate costrizioni.
Il piccolo Yahiko non risalta più di tanto ma la sua figura ha il pregio di essere tanto semplice quanto immediata; il profilo di Kanryu Takeda viene modificato solo dal punto di vista della rappresentazione fisica, così che non si fatica a coglierne l’animo corrotto in tutte le sue sfumature.
Ed infine Jinne, che spicca tra tutti con una preponderanza che ritengo davvero meritata.
A perderci sono, a mio parere, solo due personaggi: da un lato Kaoru, bella, dolce e materna al punto di aver slavato un ruvido lato tsundere non indifferente nella figura originale di Watsuki. Dall'altro Hajime Saito, in una caratterizzazione forse un po' troppo buonista, affascinante e filo-governativa, a scapito del lugubre tormento interiore di contestatore sociale e di spia, che tanto ha reso quest'uomo uno dei personaggi di Watsuki tra i più amati di sempre.
E poi come non parlare degli accostamenti cromatici, dei dialoghi, dei costumi e della colonna sonora: in questo film niente è lasciato al caso, così che i fruitori dell'opera originale non possono non riconoscere le stesse identiche battute pronunciate nel manga, e magari realizzare anche che le tinte dominanti dell'intero film sono tutti i toni del mattone, del rossiccio, dell'indaco e dell'oltremare, colori che assai più spesso di altri sono associati alle illustrazioni di Kenshin e al suo inconfondibile kimono rosso o blu. La ricostruzione storica del periodo Meiji è piacevole alla vista, in una miscela di vestiario occidentale e orientale che mai come in quell’era particolare vedeva i suoi albori. Accattivante e malinconico l'accenno, nemmeno troppo velato, al segreto legato alla cicatrice a forma di croce; altrettanto calzante il nastro blu che Kaoru indossa in chiusura, forse rimando al celebre capitolo del manga, e l'uso di alcuni termini giapponesi desueti, onorifici o meno, legati al gergo un po' rude della casta dei samurai.
La colonna sonora strumentale, di altrettanto chiaro stampo nipponico classico, si propone di accogliere con eleganza l'azione, il ritmo e le sequenze sia dinamiche che più pacate del film, e ben ci riesce. Decisa è anche l'impronta lasciata da “The Beginning”, il tema principale cantato dalla band in ascesa One OK Rock: si tratta di una scelta davvero intelligente ed azzeccata in quanto il mix di lingua inglese e giapponese tipico di questo gruppo rock si pone qui come un evocativo ponte tra due mondi, ben rispecchiando la rappresentazione di un’epoca letteralmente spaccata a metà tra un passato di tradizioni e un futuro di stampo occidentale perlopiù americano.
Tra le altre cose, anche l'accostamento di una band giovane e moderna a un titolo come Rurouni Kenshin conferma di nuovo quanta freschezza ci sia ancora in un'opera che ha già superato i vent'anni di vita, ma non sente nemmeno un acciacco.
Non a caso, a distanza di breve tempo dal suo rilascio, il primo film ha preannunciato non un solo seguito, bensì due titoli gemelli incentrati sull'amatissima saga di Kyoto, usciti al cinema a fine estate 2014 e sostenuti da una campagna mediatica a dir poco colossale con cui Warner Bros ha coperto l'intera Asia. I risultati al botteghino, poi, non si sono fatti attendere.
Peccato che Rurouni Kenshin duri solo un paio di orette. Averne più spesso, di film così.
Il progetto live-action è rientrato invece in quello più ampio dei festeggiamenti per il quindicennale dalla serie animata, che al di là di questo film stand-alone del 2012 ha ricompreso, tra le altre cose, una serie di OVA sul capitolo di Kyoto e un breve remake del manga denominato Cinema Version.
L’opera originale di Nobuhiro Watsuki è nient'altro che la rielaborazione in chiave shounen dei tragici avvenimenti storici che condussero il Giappone alla Restaurazione Meiji prima, e alla trasmigrazione nell'Era Moderna poi: forzata, rapida e non priva di strascichi.
E' certo una rilettura avventurosa, indirizzata idealmente più a un target di lettori adolescenti, piuttosto che ad un pubblico più maturo; per questo, e per quella componente di violenza propria dei fatti accaduti, Rurouni Kenshin non dovrebbe rientrare, a rigor di logica, tra le storie che più ritrovo consone ai miei gusti. Eppure essa è, al tempo stesso, la storia della coscienza di un uomo, con alle spalle un percorso di vita travagliato ma al tempo stesso affascinante e romantico.
A fronte della notizia dell'imminente live action tratto dal manga di Watsuki, pubblicato in Italia per Star Comics, serbavo diversi timori. Trasformare un manga in un lungometraggio, tanto più dal vivo, è spesso e volentieri un'operazione che genera più mormorii di scontento che soddisfazione, sia tra i fan che tra i semplici appassionati del genere: significa necessariamente introdurre dei cambiamenti, intervenire su qualcosa che difficilmente si ritiene migliorabile, e non perché l'opera rasenti la perfezione, quanto piuttosto perché apprezzata così com'era stata pensata originariamente.
Rurouni Kenshin offre tuttavia degli elementi che si prestano con facilità allo scopo: un'appassionata storia di 'cappa e spada' al limite della tragedia, uno sfondo storico affascinante, personaggi il cui carisma non risente dello scorrere del tempo.
L'intreccio originale di Watsuki è stato certamente rielaborato: non troppo, ma nemmeno troppo poco. Eppure per quanto sia assente lo straordinario arco degli Oniwabanshu, la storia narrata di per sé non ne soffre in maniera eccessiva. Le vicende dei primi quattro volumi del manga vengono così ben riassunte in un incastro ex novo, il cui sviluppo non risulta essere affrettato né incoerente, né lascia la percezione che troppi elementi siano stati abbandonati per strada.
La sceneggiatura è riuscita nell'intento di includere nell'intreccio tutto ciò che era necessario inserire, e mai s'insinua la sensazione che 'manchi qualcosa' o, peggio, di incoerenti buchi narrativi. Tutto si colloca, tutto trova il proprio spazio.
Apprezzabile è anche l'inserimento silenzioso di brevi comparse di personaggi comprimari, forse invisibili ad un pubblico neofita, ma che i fan della serie riconoscono a colpo d'occhio.
La figura di Kenshin Himura è impeccabile: Takeru Sato non ha dovuto faticare alcunché per restituire allo spadaccino i suoi delicati lineamenti, ed è inoltre riuscito con abilità a renderne tangibili le varie sfumature espressive, sia nel viso che nella voce, alternando il gentile ‘rurouni’ vagabondo al freddo assassino dalla voce roca, gelida e irriconoscibile.
L'indecifrabile uomo diviso tra il passato, il presente e il suo conflitto interiore è dotato, per stessa ammissione di Watsuki, di una bellezza neutra, non esattamente femminea, che si estende fino a travalicare i sessi. A ben vedere infatti Sato conserva della ruvidezza nei tratti, ed è molto apprezzabile quanto della sua stessa statura ed esile corporatura trasmigri in Kenshin. E, di nuovo, anche quest'aspetto sembra quasi paradossale, perché non c'è scena di spada che non lasci a bocca aperta, per così tanta e sottile forza celata in un corpo così minuto.
Teatrali, certamente, gli svariati combattimenti di arti marziali, eppure mai eccessivi, mai danno l'impressione di rasentare l'assurdità agli occhi dello spettatore.
Splendida la resa di Sanosuke e della sua spiccata e ingenua irruenza, parimenti ben fatta quella di Megumi Takani: malgrado le variazioni apportate alla storia, rimane invariato ed evidente il desiderio di questo personaggio di sfuggire al destino che l'ha intrappolato in una vita di indesiderate costrizioni.
Il piccolo Yahiko non risalta più di tanto ma la sua figura ha il pregio di essere tanto semplice quanto immediata; il profilo di Kanryu Takeda viene modificato solo dal punto di vista della rappresentazione fisica, così che non si fatica a coglierne l’animo corrotto in tutte le sue sfumature.
Ed infine Jinne, che spicca tra tutti con una preponderanza che ritengo davvero meritata.
A perderci sono, a mio parere, solo due personaggi: da un lato Kaoru, bella, dolce e materna al punto di aver slavato un ruvido lato tsundere non indifferente nella figura originale di Watsuki. Dall'altro Hajime Saito, in una caratterizzazione forse un po' troppo buonista, affascinante e filo-governativa, a scapito del lugubre tormento interiore di contestatore sociale e di spia, che tanto ha reso quest'uomo uno dei personaggi di Watsuki tra i più amati di sempre.
E poi come non parlare degli accostamenti cromatici, dei dialoghi, dei costumi e della colonna sonora: in questo film niente è lasciato al caso, così che i fruitori dell'opera originale non possono non riconoscere le stesse identiche battute pronunciate nel manga, e magari realizzare anche che le tinte dominanti dell'intero film sono tutti i toni del mattone, del rossiccio, dell'indaco e dell'oltremare, colori che assai più spesso di altri sono associati alle illustrazioni di Kenshin e al suo inconfondibile kimono rosso o blu. La ricostruzione storica del periodo Meiji è piacevole alla vista, in una miscela di vestiario occidentale e orientale che mai come in quell’era particolare vedeva i suoi albori.
La colonna sonora strumentale, di altrettanto chiaro stampo nipponico classico, si propone di accogliere con eleganza l'azione, il ritmo e le sequenze sia dinamiche che più pacate del film, e ben ci riesce. Decisa è anche l'impronta lasciata da “The Beginning”, il tema principale cantato dalla band in ascesa One OK Rock: si tratta di una scelta davvero intelligente ed azzeccata in quanto il mix di lingua inglese e giapponese tipico di questo gruppo rock si pone qui come un evocativo ponte tra due mondi, ben rispecchiando la rappresentazione di un’epoca letteralmente spaccata a metà tra un passato di tradizioni e un futuro di stampo occidentale perlopiù americano.
Tra le altre cose, anche l'accostamento di una band giovane e moderna a un titolo come Rurouni Kenshin conferma di nuovo quanta freschezza ci sia ancora in un'opera che ha già superato i vent'anni di vita, ma non sente nemmeno un acciacco.
Grazie poi ad un buon bilanciamento tra scene narrative e momenti d'azione ad alto tasso di incrocio di lame, il risultato è di ottimo equilibrio per un prodotto confezionato con un intento evidente e una cura minuziosa, tale da soddisfare le esigenze di svariate tipologie di pubblico e compiacere su più livelli, ma non senza un'adeguata consistenza di fondo.
Non a caso, a distanza di breve tempo dal suo rilascio, il primo film ha preannunciato non un solo seguito, bensì due titoli gemelli incentrati sull'amatissima saga di Kyoto, usciti al cinema a fine estate 2014 e sostenuti da una campagna mediatica a dir poco colossale con cui Warner Bros ha coperto l'intera Asia. I risultati al botteghino, poi, non si sono fatti attendere.
Peccato che Rurouni Kenshin duri solo un paio di orette. Averne più spesso, di film così.
Pro
- ambientazione storica curata e suggestiva
- attori con caratterizzazione perfetta
- buona fedeltà al manga e attenzione ai dettagli
- buon equilibrio tra narrazione e scene d'azione
- theme song The Beginning evocativa e calzante
- colonna sonora di pregio
Contro
- rielaborazione della trama originale che può non piacere ai più puristi
- Una Kaoru molto carina ma poco tsundere
Speriamo che arrivi presto il terzo film, perchè voglio vedere lo scontro tra kenshin e Shishio.
Sono abbastanza appassionato di film "cappa e spada" orientali e sicuramente non mi lascerò sfuggire questo remake dal vivo dello storico samurai vagabondo.
Le musiche poi sono qualcosa di fantastico, consiglierei a tutti di vederlo anche a chi non conosce il manga.
Takeru Sato è perfettamente nella parte, ha fatto un lavoro coi fiocchi. I costumi sono spettacolari e le musiche meriterebbero un discorso a parte (che non sono ovviamente in grado di fare). Il fatto che sia stata inserita una trama che non c'entra nulla con la storia originale, dal momento che è stato mantenuto quasi tutto il resto, non mi disturba. Del resto, sono più che abituata a storie alternative in un universo conosciuto, dato che bazzico con estremo piacere nelle fanfiction da 15 anni.
Certo, la recitazione è un po' diversa da quella a cui siamo abituati nel cinema occidentale, più sanguigna, si potrebbe osare dire caricaturale. Ma qui la cosa è stata mantenuta a livelli accettabili.
Purtroppo non posso dire altrettante belle cose del secondo film che, nonostante erculei sforzi di volontà, non sono riuscita a finire. Noioso, esagerato. Neanche per guardare Takeru sono riuscita a guardarlo. Ammazzatemi di pollici rossi, ma tanto ci ha già pensato il film ad ammazzare l'ottimo ricordo che avevo di questo qui. Due volte delusa, perché mi aspettavo fuoco e fiamme e invece ho trovato ore di cenere. Peccato.
Ho amato molto il manga di Kenshin, per svariatissimi motivi, e resta ancora oggi uno dei miei preferiti, quindi mi sono approcciata a questo film con un bel po' di timore. Alla fine sono rimasta piacevolissimamente colpita, mi è piaciuto tantissimo, in ogni sua aspetto. Recitato benissimo e sceneggiato al meglio possibile; certo i tagli sono tanti ma non ci si poteva aspettare altro, bisognava condensare un sacco di roba e credo che meglio di così non si potesse fare. Concordo su Kaoru come personaggio meno riuscito degli altri, purtroppo sembra troppo una signorina di buona famiglia, materna e femminile, mancano quegli aspetti per cui Yahiko la prendeva in giro! XD Altra cosa che un po' mi è mancata è stata quella parte di Kenshin dolce e buffa che fa capolino ogni tanto, il film mi pare abbia puntato più sul suo lato "malinconico". Forse è giusto così perché a mettere insieme troppi aspetti del suo carattere senza poterli esprimere nel modo giusto, avrebbe portato a qualcosa di abbozzato e incomprensibile (e magari anche incoerente).
Saito credo sia il mio personaggio preferito, forse anche lui, come detto nella recensione, è stato mostrato troppo nel suo lato "buono", manca di quella "ruvidità" che lo caratterizza nel manga, ma io sono una sua fangirl quindi va bene uguale!
Questo è un live che consiglio sempre a chi crede che i film giappi siano tutti fatti e recitati con i piedi, io sarò pure ignorante in campo cinematografico ma secondo me è fatto molto bene.
Ora spetto la rece del successivo film, anche perché in quello c'è tanta altra bella robina!
Con questo film è accaduto così, ho fatto un po' di fatica a scriverne una recensione che potesse cogliere appieno tutto ciò che volevo dirne.
Ma il film è stato qualcosa di talmente significativo per me che a presentarlo in vetrina per AnimeClick ci tenevo moltissimo, e per quanto la lavorazione dello scritto sia stata oltremodo lunga e vagamente sofferta, tutto sommato anche in questo rispecchia l'imbarazzato affetto che nutro per il titolo.
Io amo Rurouni Kenshin, adoro da sempre quest'opera in maniera cieca e viscerale e per dirla in tutta sincerità, pur amando i live action ero terrorizzata che il film uscisse uno schifo. Razionalmente parlando non ce n'era più di tanto motivo, ma il cuor doleva. Poi però quando l'ho visto... non ce n'è stato più per nessuno. E io lo sapevo già da tempo che Takeru Sato era un bravo attore, ma anche qui è stato perfetto. Oltre ogni possibile aspettativa.
E oltre a lui anche tutto il resto è stato perfetto, e senza dilungarmi oltre in cose di cui ho già parlato più diffusamente sopra, cito di nuovo la colonna sonora, perché sia le BGM che la theme cantata sono qualcosa di spettacolare. Non che da sole "facciano il film", ma ritengo che le musiche siano sempre una componente fondamentale (talora sottovalutata), e qui davvero "fanno da ciliegina" a un prodotto bellissimo. Mi hanno lasciato a bocca aperta.
@ dawnraptor
Per motivi vari purtroppo non ho ancora visto il secondo e terzo film, spero che però ci sia più avanti la possibilità di discuterne di nuovo insieme in un appuntamento ad hoc ^^
@ Arashi84
Credo tu abbia espresso con molta naturalezza tante cose che nella recensione ho toccato quasi solo di sfuggita, quindi grazie mille, perché le condivido tutte :3
Io non sono mai stato un grandissimo amante di drama e film giapponesi, prima di questo ne avevo visti davvero pochi e in generale non mi avevano mai convinto troppo. Questo live su Kenshin però è stato di fatto capace di farmi ricredere e avvicinarmi davvero a questo mondo.
Innanzitutto l'ho trovato recitato davvero benissimo. Anche io reputo che Takeru Sato si sia calato perfettamente nella parte e secondo me è un Kenshin praticamente perfetto, quello che ho sempre apprezzato, esattamente come me lo ricordavo nel manga. In ogni caso ottime le interpretazioni di tutti, anche se pure io ho trovato un po' troppo buonista la caratterizzazione di Saito, che comunque resta uno dei miei personaggi preferiti in assoluto tanto nel manga quanto nei film.
Anche dal punto di vista scenografico, il film mi ha letteralmente impressionato in senso positivo. La ricostruzione storica l'ho trovata molto curata: ottime le ambientazioni, i costumi e tutto il resto. Sembra quasi davvero di essere nel Periodo Meiji.
Per quanto riguarda la storia, è vero, è stata in parte rielaborata e condensata rispetto a quella del manga, ma credo che difficilmente si sarebbe potuto fare di meglio nel raccontare in un paio d'ore i primi volumi dell'opera di Watsuki.
Detto questo, io ho visto anche il secondo film e mi è piaciuto tanto quanto il primo e adesso, che ho appena finito di leggere questa recensione, mi è venuta una gran voglia di andarmi subito a vedere il terzo!! XD
Mi fai piangere di commozione
Anche se avevamo già avuto modo di parlarne, sapere che un'opera fatta bene può DAVVERO far ricredere qualcuno -come nel tuo caso- sul bistrattato mondo dei live action sembra sempre un miracolo, quando invece dovrebbe poter succedere ben più spesso, perché le motivazioni ci sono ^^
La scenografia poi qui è un altro punto forte, già solo con quello mi ci ero rifatta gli occhi ed è tutto dire *O*
Mi è anche molto piaciuto che abbiano dato il giusto spazio "scenografico" alla palestra Kamiya, che in fondo è un po' il "campo base" di tutti nel manga originale, e nel film la si vede per bene dentro e fuori, esterni compresi. Ed è bellissima!
Dei film orientali quello che mi ha sempre un po' frenato è il tipo di recitazione che non mi ha mai attratto e ho sempre reputato mediocre. Dopo aver visto Kenshin (chissà chi è che me lo avrà consigliato... ) ho invece subito pensato che fosse recitato davvero bene. Mi ha davvero colpito in positivo innanzitutto sotto questo aspetto. Mesi più tardi ho poi visto il bellissimo drama coreano God's Gift, quindi il secondo film di Kenshin ed ecco poi che grazie anche ai sempre ottimi e mirati consigli di Arashi ho finito per appassionarmi anche io a questo mondo
Insomma, come dice proprio lei qualche messaggio più sopra, anche io sono convinto che questo sia proprio il film giusto da far vedere a chi pensa che i film giapponesi siano tutti recitati e fatti male.
@ Gordy
Hai ragionissima
Alla fine non possiamo pensare che un film giapponese per piacere debba fare finta di essere un film occidentale e comportarsi come tale. Sono due cose diverse, e diverse rimangono. Che poi ci siano dei punti di contatto tra due stili così diversi è indubbio, perché tante sono le opere che possono essere portate in film o serie televisiva e potenzialmente infinite le modalità per mezzo di registi, sceneggiatori e altro ancora. Insomma, le combinazioni tantissime, le belle opere che possono scaturirne altrettanto. Per fortuna
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