Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Yurikuma Arashi
6.0/10
Kunihiko Ikuhara è senz'altro uno dei più talentuosi registi del panorama dell'animazione giapponese. Dopo aver diretto perle come “La rivoluzione di Utena” e “Mawaru Penguindrum”, era lecito aspettarsi che la sua successiva opera sarebbe stata attesa con impazienza da tutti i cultori dell'animazione giapponese di qualità. Tuttavia, con grande rammarico, bisogna constatare che sfortunatamente qualcosa è andato storto, e questo “Yuri Kuma Arashi” non è affatto al livello delle precedenti produzioni del regista.
Ora, prima di iniziare la disamina dell'opera, credo sia meglio fare una piccola premessa: Ikuhara è uno di quegli artisti che fanno larghissimo uso del simbolismo (visivo e non), e questo, oltre a dare al suo stile un aspetto alquanto complesso e più difficilmente accessibile, porta naturalmente lo spettatore a cercare il significato intrinseco di ogni possibile metafora o sfumatura.
Questo può essere senza dubbio positivo, specialmente se si amano le opere ricercate, ma può rappresentare un problema se le cose non vengono fatte nella maniera più appropriata (come spiegherò in seguito). Ma ora è meglio parlare dell'ambientazione.
Nel mondo di “Yuri Kuma Arashi” esistono due specie senzienti: gli esseri umani e gli orsi (in realtà all'apparenza teneri orsacchiotti o individui ibridi dal corpo umano con appendici e orecchie da orso). Questi ultimi sono diventati un pericolo per l'umanità in seguito a un determinato evento, e si sono messi a “mangiare le persone”. A causa di ciò, fra il mondo degli uomini e il mondo degli orsi è stato costruito un muro, il muro dell'estinzione, per tenere separate le due specie.
La quasi totalità dell'opera è ambientata nella scuola, o nei pressi della stessa, frequentata dalla protagonista Tsubaki Kureha (apparentemente una scuola totalmente femminile, o addirittura un mondo totalmente femminile). Attorno alla protagonista inizieranno a muoversi degli eventi, la misteriosa “tempesta invisibile”, dove agiranno sia esseri umani sia orsi che hanno acquisito la forma umana dopo aver superato il muro dell'estinzione.
Come già visto in altre opere di Ikuhara, in quest'anime verranno dati spazi ad atti più o meno espliciti di omosessualità femminile. E, come visto in altre opere di Ikuhara, il regista utilizzerà l'omosessualità femminile per parlare marginalmente dell'omosessualità femminile. So che può sembrare una contraddizione, ma la forte presenza di elementi di forma fallica la dice abbastanza lunga, e di conseguenza le tematiche amoroso/relazionali trattate risultano abbastanza universali. Ma queste sono trivialità, il vero problema è la quantità: se da un lato Ikuhara ha sempre utilizzato tale elemento, va purtroppo ammesso che in questo caso c'è stato un vero e proprio abuso. Ciò è ampiamente riscontrabile nei primi episodi, dove si assiste anche a eccessi che sarebbero più consoni all'ennesimo ecchi-fotocopia di stagione con lo 0% di fantasia. Purtroppo, l'unico motivo che posso ritenere valido per giustificare tali scelte è quello di tentare di attirare una certa parte di pubblico alla propria opera, ovvero un fine prettamente commerciale. E questo spiega anche il ridimensionamento di tale compagine dopo le prime battute.
Nonostante questo, l'opera presenta una certa continuità con i temi cari a Ikuhara. Per esempio viene trattata l'emarginazione, cosa già vista in “Mawaru Penguindrum”; oppure viene trattata la tematica della crescita e della maturazione interiore, elemento già visto in “Utena”. Il problema è il modo in cui vengono trattati: in “Mawaru Penguindrum” veniva fatta, in modo simbolico, una finissima disamina della società giapponese e della modalità di emarginazione in tale società. Questo rendeva l'opera di difficile comprensione per i non giapponesi o i non affini alla cultura orientale (anche per via dei riferimenti storici come quelli alla setta dell'Aum Shinrikyo e del famoso attentato alla metropolitana di Tokyo), tuttavia il contesto estremamente preciso permetteva di trattare tali tematiche in modo brillante. Purtroppo in “Yuri Kuma Arashi” non vi è che una minima frazione di tale perizia, e il forte simbolismo dell'opera va a sostenere delle tematiche trattate in maniera alquanto superficiale, risultando fin troppo spesso fine a sé stesso.
Discorso simile si potrebbe fare per gli elementi di affinità con “Utena” (ve ne sono più di quanti ne immaginiate, come per esempio la struttura scolastica al centro degli avvenimenti), presenti anche con vaghi riferimenti a personaggi di tale opera (che però risultano abbastanza scialbi).
Se “Yuri Kuma Arashi” non è originale nelle tematiche, tenta almeno di esserlo nell'impremeditazione delle stesse e nelle sfumature utilizzate. Come ho già accennato, Orsi e Umani sono due razze inconciliabili e in aperta lotta fra di loro, e questo è il primo elemento dove si possono riscontrare riferimenti a tematiche più complesse. Gli umani sono individui caratterizzati da una forte coesione sociale e da un conformismo pressoché totale (qui sta il riferimento alla società giapponese), mentre gli orsi sono creature estremamente istintive, volubili e spinte dalle proprie passioni (per voler semplificare sino a sfiorare il limite della banalizzazione, si può dire che sono “individui eccentrici”). Una sorta di “apollineo” e “dionisiaco”, per dirla in termini nietzschiani.
E, proprio come tali termini, il messaggio dell'autore è che convergenza e convivenza di tali componenti porterebbe a un miglioramento da ambo le parti.
Questo viaggia in parallelo a una disamina dell'elemento “amore” in virtù di tali aspetti, che possono essere visti come facce opposte della stessa medaglia: gli umani razionalizzano e, se necessario, rinnegano in ottica della stabilità e del bene comune, mentre gli orsi tendono a idealizzare e a vivere le emozioni appieno, con il rischio di divenire schiavi delle proprie pulsioni e consumare l'oggetto della propria passione, “divorandolo”. Attraverso questi opposti, si assisterà a una trattazione della tematica amorosa perennemente in bilico fra le due posizioni estreme, che rischiano di portare inesorabilmente a una condizione arida per l'autentico e genuino sentimento.
E qui si inserisce la già accennata “tempesta invisibile”, che tende ad essere una sintesi di ciò che è caro al regista. Essa somma la crescita individuale, dove tale “tempesta” rappresenta uno degli ostacoli, e la possibile emarginazione, in quanto la tempesta viene subita, attraverso il “processo di esclusione”, da coloro che non si conformano alla società.
Sulla carta tutto ciò sembra essere interessante. Ma il problema è che, come ho già detto, l'approfondimento di tali posizioni lascia un po' a desiderare, tanto che Ikuhara si concede più volte il ricorso a degli “spiegoni” per far quadrare tutto (fra l'altro alcuni di essi inutili, in quanto le posizioni del regista sarebbero state comprensibili con un minimo sforzo d'acume: verrebbe quasi da dire che c'era una scarsa fiducia nelle capacità analitiche del possibile spettatore).
Purtroppo, oltre alla superficialità, assistiamo anche a una certa ridondanza degli elementi sopracitati, come se si tentasse di dare profondità attraverso la reiterazione. Il che, ovviamente, ha poco senso.
Quindi ci troviamo di fronte a un anime che propone e ripropone le solite tematiche care al regista, senza però andare oltre o dire di più di ciò che è già stato detto in passato (anzi... da questo punto di vista l'opera è alquanto trascurabile).
E ora veniamo alla struttura dell'opera, sicuramente la componente più interessante. Il fulcro della narrazione è sicuramente Tsubaki Kureha, ma Ikuhara ha deciso di non dipanare la sua storia in modo lineare, utilizzando diversi salti narrativi di natura temporale al fine di mettere le rivelazioni giuste al punto giusto. I flashback sono molto frequenti e, oltre al proverbiale utilizzo per approfondire i vari personaggi, servono anche a delineare i fatti precedenti alla storia per aumentarne la comprensione. Per questo una buona parte di essi è associata a Sumika, una grandissima amica della protagonista che, a causa di certi eventi, apparirà nell'opera prevalentemente tramite i rimandi al passato. Le varie storie viaggiano fondamentalmente in parallelo per tutta l'opera, con in aggiunta un'altra riguardante la madre di Kureha e il rapporto con il “muro dell'estinzione”.
Queste varie linee si intersecano con la storia principale, dove viene costruito il rapporto fra l'umana Kureha e le orse Ginko e Lulu, con diversi personaggi a corredo. Vi è anche un elemento vagamente “fiabesco”, correlato alla natura dell'ambientazione dell'opera e finalizzato a mostrare il fine ultimo delle decisioni intraprese dalle protagoniste.
Nonostante l'apparente complessità della struttura, va ammesso che la trama viene percepita in maniera abbastanza chiara e completa, permettendo allo spettatore di poterla recepire chiaramente.
Interessante l'episodio finale, decisamente il più intenso dell'intera opera, che in qualche modo ripaga lo spettatore per la fiducia data nonostante i primi episodi.
E ora, prima di tirare le somme, due parole sul comparto tecnico. Come di frequente nelle opere di Ikuhara, gli sfondi e le sezioni statiche sono di buon livello, anche perché spesso e volentieri accompagnano la spinta simbolistica del regista. Il character design invece è decisamente poco vario, e nemmeno le animazioni fanno gridare al miracolo (più per quantità che per qualità).
Le sigle non colpiscono, e il comparto audio si limita alla funzionalità.
A chi consigliare quest'opera? Agli estimatori di Ikuhara? Difficile, in quanto c'è il serio rischio di rimanere delusi dal divario con le sue opere precedenti. A coloro che vogliono approcciarsi al regista? Anche qui si pone un problema, visto che partire dall'opera qualitativamente inferiore è forse il modo peggiore per conoscerlo (ma, ovviamente, se si apprezza qualcosa di quest'opera, allora gli altri lavori del regista saranno una goduria).
“Yuri Kuma Arashi” è difficile da collocare, e ne consiglio la visione solo a chi nutre qualche interesse nelle tematiche trattate (ribadendo però che ci sono opere migliori) o a chi cerca qualcosa di diverso ma non troppo impegnato (questo grazie ai soli dodici episodi).
Purtroppo questa volta Ikuhara ci ha dato un'opera al di sotto delle sue aspettative. C'è da sperare che i suoi prossimi lavori mostrino un'ispirazione migliore.
Questo sì che sarebbe sexy.
Shaba-da-du.
Ora, prima di iniziare la disamina dell'opera, credo sia meglio fare una piccola premessa: Ikuhara è uno di quegli artisti che fanno larghissimo uso del simbolismo (visivo e non), e questo, oltre a dare al suo stile un aspetto alquanto complesso e più difficilmente accessibile, porta naturalmente lo spettatore a cercare il significato intrinseco di ogni possibile metafora o sfumatura.
Questo può essere senza dubbio positivo, specialmente se si amano le opere ricercate, ma può rappresentare un problema se le cose non vengono fatte nella maniera più appropriata (come spiegherò in seguito). Ma ora è meglio parlare dell'ambientazione.
Nel mondo di “Yuri Kuma Arashi” esistono due specie senzienti: gli esseri umani e gli orsi (in realtà all'apparenza teneri orsacchiotti o individui ibridi dal corpo umano con appendici e orecchie da orso). Questi ultimi sono diventati un pericolo per l'umanità in seguito a un determinato evento, e si sono messi a “mangiare le persone”. A causa di ciò, fra il mondo degli uomini e il mondo degli orsi è stato costruito un muro, il muro dell'estinzione, per tenere separate le due specie.
La quasi totalità dell'opera è ambientata nella scuola, o nei pressi della stessa, frequentata dalla protagonista Tsubaki Kureha (apparentemente una scuola totalmente femminile, o addirittura un mondo totalmente femminile). Attorno alla protagonista inizieranno a muoversi degli eventi, la misteriosa “tempesta invisibile”, dove agiranno sia esseri umani sia orsi che hanno acquisito la forma umana dopo aver superato il muro dell'estinzione.
Come già visto in altre opere di Ikuhara, in quest'anime verranno dati spazi ad atti più o meno espliciti di omosessualità femminile. E, come visto in altre opere di Ikuhara, il regista utilizzerà l'omosessualità femminile per parlare marginalmente dell'omosessualità femminile. So che può sembrare una contraddizione, ma la forte presenza di elementi di forma fallica la dice abbastanza lunga, e di conseguenza le tematiche amoroso/relazionali trattate risultano abbastanza universali. Ma queste sono trivialità, il vero problema è la quantità: se da un lato Ikuhara ha sempre utilizzato tale elemento, va purtroppo ammesso che in questo caso c'è stato un vero e proprio abuso. Ciò è ampiamente riscontrabile nei primi episodi, dove si assiste anche a eccessi che sarebbero più consoni all'ennesimo ecchi-fotocopia di stagione con lo 0% di fantasia. Purtroppo, l'unico motivo che posso ritenere valido per giustificare tali scelte è quello di tentare di attirare una certa parte di pubblico alla propria opera, ovvero un fine prettamente commerciale. E questo spiega anche il ridimensionamento di tale compagine dopo le prime battute.
Nonostante questo, l'opera presenta una certa continuità con i temi cari a Ikuhara. Per esempio viene trattata l'emarginazione, cosa già vista in “Mawaru Penguindrum”; oppure viene trattata la tematica della crescita e della maturazione interiore, elemento già visto in “Utena”. Il problema è il modo in cui vengono trattati: in “Mawaru Penguindrum” veniva fatta, in modo simbolico, una finissima disamina della società giapponese e della modalità di emarginazione in tale società. Questo rendeva l'opera di difficile comprensione per i non giapponesi o i non affini alla cultura orientale (anche per via dei riferimenti storici come quelli alla setta dell'Aum Shinrikyo e del famoso attentato alla metropolitana di Tokyo), tuttavia il contesto estremamente preciso permetteva di trattare tali tematiche in modo brillante. Purtroppo in “Yuri Kuma Arashi” non vi è che una minima frazione di tale perizia, e il forte simbolismo dell'opera va a sostenere delle tematiche trattate in maniera alquanto superficiale, risultando fin troppo spesso fine a sé stesso.
Discorso simile si potrebbe fare per gli elementi di affinità con “Utena” (ve ne sono più di quanti ne immaginiate, come per esempio la struttura scolastica al centro degli avvenimenti), presenti anche con vaghi riferimenti a personaggi di tale opera (che però risultano abbastanza scialbi).
Se “Yuri Kuma Arashi” non è originale nelle tematiche, tenta almeno di esserlo nell'impremeditazione delle stesse e nelle sfumature utilizzate. Come ho già accennato, Orsi e Umani sono due razze inconciliabili e in aperta lotta fra di loro, e questo è il primo elemento dove si possono riscontrare riferimenti a tematiche più complesse. Gli umani sono individui caratterizzati da una forte coesione sociale e da un conformismo pressoché totale (qui sta il riferimento alla società giapponese), mentre gli orsi sono creature estremamente istintive, volubili e spinte dalle proprie passioni (per voler semplificare sino a sfiorare il limite della banalizzazione, si può dire che sono “individui eccentrici”). Una sorta di “apollineo” e “dionisiaco”, per dirla in termini nietzschiani.
E, proprio come tali termini, il messaggio dell'autore è che convergenza e convivenza di tali componenti porterebbe a un miglioramento da ambo le parti.
Questo viaggia in parallelo a una disamina dell'elemento “amore” in virtù di tali aspetti, che possono essere visti come facce opposte della stessa medaglia: gli umani razionalizzano e, se necessario, rinnegano in ottica della stabilità e del bene comune, mentre gli orsi tendono a idealizzare e a vivere le emozioni appieno, con il rischio di divenire schiavi delle proprie pulsioni e consumare l'oggetto della propria passione, “divorandolo”. Attraverso questi opposti, si assisterà a una trattazione della tematica amorosa perennemente in bilico fra le due posizioni estreme, che rischiano di portare inesorabilmente a una condizione arida per l'autentico e genuino sentimento.
E qui si inserisce la già accennata “tempesta invisibile”, che tende ad essere una sintesi di ciò che è caro al regista. Essa somma la crescita individuale, dove tale “tempesta” rappresenta uno degli ostacoli, e la possibile emarginazione, in quanto la tempesta viene subita, attraverso il “processo di esclusione”, da coloro che non si conformano alla società.
Sulla carta tutto ciò sembra essere interessante. Ma il problema è che, come ho già detto, l'approfondimento di tali posizioni lascia un po' a desiderare, tanto che Ikuhara si concede più volte il ricorso a degli “spiegoni” per far quadrare tutto (fra l'altro alcuni di essi inutili, in quanto le posizioni del regista sarebbero state comprensibili con un minimo sforzo d'acume: verrebbe quasi da dire che c'era una scarsa fiducia nelle capacità analitiche del possibile spettatore).
Purtroppo, oltre alla superficialità, assistiamo anche a una certa ridondanza degli elementi sopracitati, come se si tentasse di dare profondità attraverso la reiterazione. Il che, ovviamente, ha poco senso.
Quindi ci troviamo di fronte a un anime che propone e ripropone le solite tematiche care al regista, senza però andare oltre o dire di più di ciò che è già stato detto in passato (anzi... da questo punto di vista l'opera è alquanto trascurabile).
E ora veniamo alla struttura dell'opera, sicuramente la componente più interessante. Il fulcro della narrazione è sicuramente Tsubaki Kureha, ma Ikuhara ha deciso di non dipanare la sua storia in modo lineare, utilizzando diversi salti narrativi di natura temporale al fine di mettere le rivelazioni giuste al punto giusto. I flashback sono molto frequenti e, oltre al proverbiale utilizzo per approfondire i vari personaggi, servono anche a delineare i fatti precedenti alla storia per aumentarne la comprensione. Per questo una buona parte di essi è associata a Sumika, una grandissima amica della protagonista che, a causa di certi eventi, apparirà nell'opera prevalentemente tramite i rimandi al passato. Le varie storie viaggiano fondamentalmente in parallelo per tutta l'opera, con in aggiunta un'altra riguardante la madre di Kureha e il rapporto con il “muro dell'estinzione”.
Queste varie linee si intersecano con la storia principale, dove viene costruito il rapporto fra l'umana Kureha e le orse Ginko e Lulu, con diversi personaggi a corredo. Vi è anche un elemento vagamente “fiabesco”, correlato alla natura dell'ambientazione dell'opera e finalizzato a mostrare il fine ultimo delle decisioni intraprese dalle protagoniste.
Nonostante l'apparente complessità della struttura, va ammesso che la trama viene percepita in maniera abbastanza chiara e completa, permettendo allo spettatore di poterla recepire chiaramente.
Interessante l'episodio finale, decisamente il più intenso dell'intera opera, che in qualche modo ripaga lo spettatore per la fiducia data nonostante i primi episodi.
E ora, prima di tirare le somme, due parole sul comparto tecnico. Come di frequente nelle opere di Ikuhara, gli sfondi e le sezioni statiche sono di buon livello, anche perché spesso e volentieri accompagnano la spinta simbolistica del regista. Il character design invece è decisamente poco vario, e nemmeno le animazioni fanno gridare al miracolo (più per quantità che per qualità).
Le sigle non colpiscono, e il comparto audio si limita alla funzionalità.
A chi consigliare quest'opera? Agli estimatori di Ikuhara? Difficile, in quanto c'è il serio rischio di rimanere delusi dal divario con le sue opere precedenti. A coloro che vogliono approcciarsi al regista? Anche qui si pone un problema, visto che partire dall'opera qualitativamente inferiore è forse il modo peggiore per conoscerlo (ma, ovviamente, se si apprezza qualcosa di quest'opera, allora gli altri lavori del regista saranno una goduria).
“Yuri Kuma Arashi” è difficile da collocare, e ne consiglio la visione solo a chi nutre qualche interesse nelle tematiche trattate (ribadendo però che ci sono opere migliori) o a chi cerca qualcosa di diverso ma non troppo impegnato (questo grazie ai soli dodici episodi).
Purtroppo questa volta Ikuhara ci ha dato un'opera al di sotto delle sue aspettative. C'è da sperare che i suoi prossimi lavori mostrino un'ispirazione migliore.
Questo sì che sarebbe sexy.
Shaba-da-du.
Yagate kimi ni naru
8.5/10
“Yagate Kimi ni Naru”, conosciuto anche con il titolo inglese “Bloom Into You”, è un anime yuri di tredici episodi realizzato nel 2018 dallo studio TROYCA e tratto dall’omonimo manga scritto e disegnato da Nio Nakatani.
La storia segue le vicende di Yuu Koito, una liceale che ha un rapporto molto complesso con l’amore: pur avendone sentito parlare tante volte in libri e canzoni, la ragazza non è mai riuscita a provare tale sentimento. Anche quando ha ricevuto la sua prima dichiarazione, Yuu è rimasta completamente indifferente.
Una volta entrata alle superiori, la ragazza conosce Touko Nanami, una studentessa più grande che rifiuta ogni dichiarazione perché nessuna le fa battere il cuore. Yuu la prende subito in simpatia, pensando che siano simili, ma ecco che Touko inizia a provare dei sentimenti per lei.
Negli ultimi tempi la produzione di anime yuri è stata abbastanza proficua rispetto agli anni passati; purtroppo, però, la qualità delle opere prodotte è stata tutt’altro soddisfacente, e molti fan che hanno provato ad avvicinarsi al genere in questione sono rimasti profondamente delusi. Se siete tra quelli che hanno odiato “Citrus” o “Netsuzou Trap”, quindi, vi prego di dare un’altra opportunità ad uno dei miei generi preferiti e guardarvi questo stupendo “Bloom into you”.
L’anime, infatti, non si configura come il solito sentimentale piccante e nulla più: al contrario, costruisce una stupenda relazione tra le due protagoniste con la delicatezza che essa richiede, trattando al tempo spesso temi importanti e fornendo una magnifica introspezione delle due componenti della coppia.
Ecco quindi che la serie, che di primo acchito poteva sembrare una storiella d’amore come tante altre, si rivela invece un complicato viaggio alla scoperta di sé stessi e dell’altro, dei propri sentimenti e di quelli di coloro che ci circondano. Yuu, da un lato, sorprende per la grande capacità con cui comprende Touko e ciò di cui ha bisogno, nonostante sia una ragazza che sembra non legarsi emotivamente a nessuno; Touko, dall’altro, colpisce per la grande fragilità che nasconde a causa del ruolo imposta a sé stessa, il quale la obbliga ad essere una persona che in realtà non è. Il bisogno di sentirci qualcuno, e di trovare conferma della nostra identità nell’altro, è dunque il cardine di questa serie; un peccato, quindi, che non abbiamo potuto assistere alla “piena fioritura” delle nostre protagoniste, dato che l’ultimo episodio non costituisce un finale vero e proprio (il manga, infatti, è ancora in corso).
Per quanto riguarda l’introspezione degli altri personaggi, possiamo affermare che lo stesso ottimo trattamento di Touko e Yuu è stato riservato solamente a Sayaka; gli altri attori, infatti, sono ancora abbastanza acerbi, ma potrebbero rivelarsi dei validi comprimari in caso di una seconda stagione.
Passando al lato tecnico, il character design semplice e minimale non mi ha provocato particolari fastidi; tuttavia, la qualità dei disegni e delle animazioni ha vacillato per gran parte del tempo e ha in parte influito sulla piena riuscita di alcune scene. A compensare troviamo dei colori caldi e delicati, i quali si sposano perfettamente con la regia rilassata e armoniosa di Makoto Katou. Menzione d’onore per le due sigle, sia per la musica che per le immagini: da un lato abbiamo un’opening che incanta grazie al tripudio floreale e alla magnifica interpretazione di Riko Azuna; dall’altro troviamo una ending simpatica e colorata, dal ritmo dolce ma frizzante.
Tirando le somme, “Yagate Kimi ni Naru” è uno dei migliori yuri degli ultimi anni: un anime capace di affrontare in modo tutt’altro che scontato la nascita di importanti sentimenti e dei rapporti che ne conseguono, nonché di concentrarsi sull’intricata psicologia delle sue protagoniste. Spero vivamente che venga prodotta una seconda stagione, in modo da dare una degna conclusione a ciò che in questa prima serie è stato solamente, ma magnificamente, inaugurato. Voto: 8,5.
La storia segue le vicende di Yuu Koito, una liceale che ha un rapporto molto complesso con l’amore: pur avendone sentito parlare tante volte in libri e canzoni, la ragazza non è mai riuscita a provare tale sentimento. Anche quando ha ricevuto la sua prima dichiarazione, Yuu è rimasta completamente indifferente.
Una volta entrata alle superiori, la ragazza conosce Touko Nanami, una studentessa più grande che rifiuta ogni dichiarazione perché nessuna le fa battere il cuore. Yuu la prende subito in simpatia, pensando che siano simili, ma ecco che Touko inizia a provare dei sentimenti per lei.
Negli ultimi tempi la produzione di anime yuri è stata abbastanza proficua rispetto agli anni passati; purtroppo, però, la qualità delle opere prodotte è stata tutt’altro soddisfacente, e molti fan che hanno provato ad avvicinarsi al genere in questione sono rimasti profondamente delusi. Se siete tra quelli che hanno odiato “Citrus” o “Netsuzou Trap”, quindi, vi prego di dare un’altra opportunità ad uno dei miei generi preferiti e guardarvi questo stupendo “Bloom into you”.
L’anime, infatti, non si configura come il solito sentimentale piccante e nulla più: al contrario, costruisce una stupenda relazione tra le due protagoniste con la delicatezza che essa richiede, trattando al tempo spesso temi importanti e fornendo una magnifica introspezione delle due componenti della coppia.
Ecco quindi che la serie, che di primo acchito poteva sembrare una storiella d’amore come tante altre, si rivela invece un complicato viaggio alla scoperta di sé stessi e dell’altro, dei propri sentimenti e di quelli di coloro che ci circondano. Yuu, da un lato, sorprende per la grande capacità con cui comprende Touko e ciò di cui ha bisogno, nonostante sia una ragazza che sembra non legarsi emotivamente a nessuno; Touko, dall’altro, colpisce per la grande fragilità che nasconde a causa del ruolo imposta a sé stessa, il quale la obbliga ad essere una persona che in realtà non è. Il bisogno di sentirci qualcuno, e di trovare conferma della nostra identità nell’altro, è dunque il cardine di questa serie; un peccato, quindi, che non abbiamo potuto assistere alla “piena fioritura” delle nostre protagoniste, dato che l’ultimo episodio non costituisce un finale vero e proprio (il manga, infatti, è ancora in corso).
Per quanto riguarda l’introspezione degli altri personaggi, possiamo affermare che lo stesso ottimo trattamento di Touko e Yuu è stato riservato solamente a Sayaka; gli altri attori, infatti, sono ancora abbastanza acerbi, ma potrebbero rivelarsi dei validi comprimari in caso di una seconda stagione.
Passando al lato tecnico, il character design semplice e minimale non mi ha provocato particolari fastidi; tuttavia, la qualità dei disegni e delle animazioni ha vacillato per gran parte del tempo e ha in parte influito sulla piena riuscita di alcune scene. A compensare troviamo dei colori caldi e delicati, i quali si sposano perfettamente con la regia rilassata e armoniosa di Makoto Katou. Menzione d’onore per le due sigle, sia per la musica che per le immagini: da un lato abbiamo un’opening che incanta grazie al tripudio floreale e alla magnifica interpretazione di Riko Azuna; dall’altro troviamo una ending simpatica e colorata, dal ritmo dolce ma frizzante.
Tirando le somme, “Yagate Kimi ni Naru” è uno dei migliori yuri degli ultimi anni: un anime capace di affrontare in modo tutt’altro che scontato la nascita di importanti sentimenti e dei rapporti che ne conseguono, nonché di concentrarsi sull’intricata psicologia delle sue protagoniste. Spero vivamente che venga prodotta una seconda stagione, in modo da dare una degna conclusione a ciò che in questa prima serie è stato solamente, ma magnificamente, inaugurato. Voto: 8,5.
Release the Spyce
5.0/10
Di solito decido quale anime guardare basandomi, oltre che sui gusti, sull'istinto personale già consolidato dalle mie consuetudini abitudinarie, scegliendo spesso qualcosa che mi stuzzichi in qualche modo veniale. Magari è più facile che la scelta cada dove l'occhio vede una grafica carina e molto colorata, ad esempio...
Raramente, se non quasi mai, scelgo in base a chi ha realizzato l'opera, a chi era il regista o a chi ha disegnato gli sfondi. Semmai, è meglio andare in base a quali doppiatori ci sono nel cast...
Comunque sia, in questo "Release the Spyce" c'era di mezzo un certo Takahiro a sceneggiare. Costui ha dato vita a opere potenti come "Akame ga Kill" (gran bel dark shounen) e "Yuuki Yuuna wa Yuusha de Aru" (un evocativo esemplare delle storie delle magical girls nel versante drammatico), magari dunque poteva esprimersi bene con una storia di pulzelle che sono liceali di giorno e poi delle "spie" di notte. In questa produzione, però, c'era di mezzo anche una certa Namori, autrice di quella gran fetenzia identificata con il titolo di "Yuru Yuri". Questo in realtà l'ho scoperto solo dopo, ma credo che a conti fatti non avrebbe cambiato molto il risultato finale.
La storia di "Release the Spyce" si svolge in quel di Sorasaki, una fantomatica capitale occulta del Giappone, centro nevralgico di tutto e di più. In "Civilization VI", questa città avrebbe anche un distretto speciale unico, dove, con appena cento yen di investimento iniziale, chiunque potrebbe aprirsi una agenzia di spionaggio e farsi i c***i degli altri a spron battuto. Tutto questo ha attirato l'Inter(nazionale) del crimine, che vuole conquistare la città affogandola nella droga, e partire quindi alla conquista del mondo, dell'oltremondo e così via. A difendere la tranquilla(nte) vita della popolazione, ci sono però le Tsukikage, una fazione di giovani spie che da generazioni protegge di nascosto la città. Codeste spie sono costrette ad agire nella clandestinità, perché si sono costruite di nascosto una enorme base operativa abusiva e mai condonata, pertanto non devono farsi neanche scoprire dalla tributaria, altrimenti sarebbero mazzate di IMU. Per portare a termine le varie missioni, le Tsukikage possono poi contare sul loro vero asso nella manica: la "spyce", una cosiddetta spezia che, se assunta, aumenta di parecchio le capacità fisiche e mentali dell'agente. Secondo la tradizione poi, la parola "spy" ha origine proprio dalla "spice", che la fondatrice dell'organizzazione commerciava per il mondo, facendo, manco a dirlo, molti quattrini... Un po' come se l'antenato di Solid Snake fosse stato un commerciante globale di crotali.
Giunti dunque alla generazione attuale, è il momento di rimpolpare le fila della prima linea, ingaggiando una certa Momo Minamoto... E' più o meno lì, che comincia invero la storia.
Battutacce a parte, si dovrebbero esporre ora pregi e difetti di questa serie, per formulare il giudizio, ma taglierò corto.
"Release the Spyce" ha un grosso problema di fondo: non si capisce bene cosa voglia essere in realtà, o meglio, non si capisce quale sarebbe dovuta essere per gli autori la vera via da percorrere né, tantomeno, in che modo farlo.
Vorrebbe essere una storia sulle spie? Quelle non sono spie, semmai delle ninja (dopate). Forse vorrebbe essere una commedia d'azione? Di commedia ce n'è poca, e l'azione spesso ha poca sostanza. Magari una cosa leggera che sfrutti con allegria l'alternanza vita da studentesse/vita da spie? Di scuola non se ne parla nemmeno un po'. Almeno avranno voluto puntare a un qualcosa dall'atmosfera moe con degli spunti yuri? Un pochino di moe effettivamente c'è, mentre la venatura "girls love" si risolve maldestramente in una continua lagna data dal rapporto morbosamente affettivo tra allieva e maestra.
La sceneggiatura manca poi di decisione, e si perde sempre l'occasione per insistere quando ci vuole. Emblematico il momento in cui le protagoniste sono catturate e stanno per essere "decisamente interrogate" dai nemici. Esse invece scappano in modo neanche rocambolesco. Insomma, quando ci si dovrebbe divertire, non ci si diverte granché, quando ci vorrebbe del fan-service, neanche l'ombra, quando occorre fare sul serio, non si calca la mano.
Praticamente le Tsukikage non sono mai realmente in difficoltà. Del resto con una fazione nemica che può schierare tra le sue fila dei veri fenomeni come la suocera di Hulk vestita come per andar sulla Salaria, una tipa di Okinawa con la fissa per i vichinghi, un tizio in bermuda versione rachitica di Heihachi Mishima, non ci si può che chiedere come mai non siano andati vicino neanche una volta alla conquista della città.
Le cose migliori degli episodi spesso e volentieri sono state le sigle, effettivamente carucce entrambe. Delle protagoniste non me ne sono certo innamorato, anzi le ho trovate ad ampi tratti abbastanza supponenti e pure raccomandate. Il design dei personaggi è carino ma non certo memorabile. L'ambientazione della "fondamentale" Sorasaki è decisamente anonima: una megalopoli nipponica, ma senza il fervente brulicare di persone risulta solo un freddo agglomerato di cemento e acciaio.
"Release the Spyce" è stata una visione abbastanza trascinata, con una forte tentazione al drop che si faceva strada non di rado e con assai pochi picchi di esaltazione generati. Direi che non sarà certamente difficile trovare in giro qualche altra serie che possa offrire ben più sostanza.
Raramente, se non quasi mai, scelgo in base a chi ha realizzato l'opera, a chi era il regista o a chi ha disegnato gli sfondi. Semmai, è meglio andare in base a quali doppiatori ci sono nel cast...
Comunque sia, in questo "Release the Spyce" c'era di mezzo un certo Takahiro a sceneggiare. Costui ha dato vita a opere potenti come "Akame ga Kill" (gran bel dark shounen) e "Yuuki Yuuna wa Yuusha de Aru" (un evocativo esemplare delle storie delle magical girls nel versante drammatico), magari dunque poteva esprimersi bene con una storia di pulzelle che sono liceali di giorno e poi delle "spie" di notte. In questa produzione, però, c'era di mezzo anche una certa Namori, autrice di quella gran fetenzia identificata con il titolo di "Yuru Yuri". Questo in realtà l'ho scoperto solo dopo, ma credo che a conti fatti non avrebbe cambiato molto il risultato finale.
La storia di "Release the Spyce" si svolge in quel di Sorasaki, una fantomatica capitale occulta del Giappone, centro nevralgico di tutto e di più. In "Civilization VI", questa città avrebbe anche un distretto speciale unico, dove, con appena cento yen di investimento iniziale, chiunque potrebbe aprirsi una agenzia di spionaggio e farsi i c***i degli altri a spron battuto. Tutto questo ha attirato l'Inter(nazionale) del crimine, che vuole conquistare la città affogandola nella droga, e partire quindi alla conquista del mondo, dell'oltremondo e così via. A difendere la tranquilla(nte) vita della popolazione, ci sono però le Tsukikage, una fazione di giovani spie che da generazioni protegge di nascosto la città. Codeste spie sono costrette ad agire nella clandestinità, perché si sono costruite di nascosto una enorme base operativa abusiva e mai condonata, pertanto non devono farsi neanche scoprire dalla tributaria, altrimenti sarebbero mazzate di IMU. Per portare a termine le varie missioni, le Tsukikage possono poi contare sul loro vero asso nella manica: la "spyce", una cosiddetta spezia che, se assunta, aumenta di parecchio le capacità fisiche e mentali dell'agente. Secondo la tradizione poi, la parola "spy" ha origine proprio dalla "spice", che la fondatrice dell'organizzazione commerciava per il mondo, facendo, manco a dirlo, molti quattrini... Un po' come se l'antenato di Solid Snake fosse stato un commerciante globale di crotali.
Giunti dunque alla generazione attuale, è il momento di rimpolpare le fila della prima linea, ingaggiando una certa Momo Minamoto... E' più o meno lì, che comincia invero la storia.
Battutacce a parte, si dovrebbero esporre ora pregi e difetti di questa serie, per formulare il giudizio, ma taglierò corto.
"Release the Spyce" ha un grosso problema di fondo: non si capisce bene cosa voglia essere in realtà, o meglio, non si capisce quale sarebbe dovuta essere per gli autori la vera via da percorrere né, tantomeno, in che modo farlo.
Vorrebbe essere una storia sulle spie? Quelle non sono spie, semmai delle ninja (dopate). Forse vorrebbe essere una commedia d'azione? Di commedia ce n'è poca, e l'azione spesso ha poca sostanza. Magari una cosa leggera che sfrutti con allegria l'alternanza vita da studentesse/vita da spie? Di scuola non se ne parla nemmeno un po'. Almeno avranno voluto puntare a un qualcosa dall'atmosfera moe con degli spunti yuri? Un pochino di moe effettivamente c'è, mentre la venatura "girls love" si risolve maldestramente in una continua lagna data dal rapporto morbosamente affettivo tra allieva e maestra.
La sceneggiatura manca poi di decisione, e si perde sempre l'occasione per insistere quando ci vuole. Emblematico il momento in cui le protagoniste sono catturate e stanno per essere "decisamente interrogate" dai nemici. Esse invece scappano in modo neanche rocambolesco. Insomma, quando ci si dovrebbe divertire, non ci si diverte granché, quando ci vorrebbe del fan-service, neanche l'ombra, quando occorre fare sul serio, non si calca la mano.
Praticamente le Tsukikage non sono mai realmente in difficoltà. Del resto con una fazione nemica che può schierare tra le sue fila dei veri fenomeni come la suocera di Hulk vestita come per andar sulla Salaria, una tipa di Okinawa con la fissa per i vichinghi, un tizio in bermuda versione rachitica di Heihachi Mishima, non ci si può che chiedere come mai non siano andati vicino neanche una volta alla conquista della città.
Le cose migliori degli episodi spesso e volentieri sono state le sigle, effettivamente carucce entrambe. Delle protagoniste non me ne sono certo innamorato, anzi le ho trovate ad ampi tratti abbastanza supponenti e pure raccomandate. Il design dei personaggi è carino ma non certo memorabile. L'ambientazione della "fondamentale" Sorasaki è decisamente anonima: una megalopoli nipponica, ma senza il fervente brulicare di persone risulta solo un freddo agglomerato di cemento e acciaio.
"Release the Spyce" è stata una visione abbastanza trascinata, con una forte tentazione al drop che si faceva strada non di rado e con assai pochi picchi di esaltazione generati. Direi che non sarà certamente difficile trovare in giro qualche altra serie che possa offrire ben più sostanza.
Grazie mille
Ma mi ha fatto ridere il fatto che sia stato puntualizzato che la base sia abusiva, non condonata...cioè è un'anime le spiegazioni si devono dare ad altre cose, no se la base paga l'imu Ahahah.
Poi quasi d'accordo su tutto, poteva dare di più però intrattiene, io a dire il vero mi sono innamorato della coppia goe e la bionda. Poi sono gusti, un passatempo carino, non penso pretendere più di tanto
Cmq se la questione della base non registrata rientra tra le battutacce...chiedo venia XD
Release the Spyce ancora mi manca, l'avevo messo in lista per il character design di Namori, nella speranza magari di trovarmi un altro shojo-ai esilarante come Yuru Yuri.
Complimenti ai recensori e anche a grandebonzo che cura la rubrica cercando sempre un filo logico per unire gli scritti ^-^
beh, conosco poco queste serie, ma non sono un novellino del genere. Sto leggendo Bloom into you, che non è affatto tirata sul fanservice o con facili approcci per attirare, e devo dire che è davvero bella, leggera, delicata e piena di sentimento. Sono curioso di conoscere anche queste
Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.