Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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In certi casi c’è veramente poco da dire. Quando una macchina funziona, per quanto semplice essa sia, quando i suoi ingranaggi scorrono fluidamente l’uno sull’altro in completa armonia, si vede. E “The Promised Neverland” è proprio una macchina che funziona, nella sua velata semplicità.

Trama: Emma è una bambina che vive nell’orfanotrofio di Grace Field assieme a tanti altri bambini, allevati e cresciuti sin dall’infanzia da una tutrice che si fa chiamare Mamma. Essa cresce i suoi prediletti istruendoli alla vita quotidiana, scandendo i tempi tra faccende, studio, svago e riposo come una qualsiasi educatrice. Unico neo che caratterizza il tranquillo asilo dei ragazzini è il fatto che non possono uscirne oltre i confini, se non chiamati per essere adottati. Perché vengono costretti a questo confinamento? Di fatti quello che appare come un semplice collegio di prestigio risulta essere in tutto e per tutto una fattoria, dove ad essere allevati sono appunto i bambini, destinati ad impreziosire le tavole di una razza demoniaca umanoide che pare avere il controllo sulla razza umana. Dietro all’adozione si nasconde l’inscatolamento della carne con tanto di conservanti. Da questa scoperta nasce l’intento dei bambini di fuggire dalla villa.

Impossibile in questo contesto non partire da lei, Emma. Sì, Emma, perché Grace Field potrà pure vantare i bambini più intelligenti in assoluto, dei veri e propri prodigi, anche chiamati “prodotti di qualità suprema”, Norman e Ray in primis, ma Emma ha qualcosa di più, quel qualcosa che ti porta ad essere un condottiero predestinato, la giustizia. “Dobbiamo salvarli tutti.” Ecco la prima cosa che pensa Emma, ecco la prima cosa che una persona degna di essere seguita pone come unico obiettivo, non eventuale, unico. Non passerà molto prima che da menti più razionali della sua le giunga voce che “salvarli tutti” è impossibile. Ma Emma, forte, fortissima, invincibile, dice no. E non esiste raggiro che tenga, le altre menti sono condannate a seguire la volontà della loro sovrana, per poi riscoprirsi addirittura compiaciute di questa scelta. “Salvarli tutti” è impossibile perché c’è Isabella, quella che i bambini chiamano Mamma, la custode di Grace Field, disposta a tutto pur di evitare che qualcosa non vada secondo i propri piani, anche a costo di giocare a carte scoperte. Nella definizione dei suoi personaggi, “The Promised Neverland” ha uno dei suoi ingranaggi migliori. Nonostante non esternino una caratterizzazione particolarmente elaborata, godono del privilegio di essere dei bei personaggi sin dalle prime apparenze, di facile impatto emotivo, delineati per essere dotati di grande intelligenza e una mente fredda e razionale. Ray e Norman rappresentano sicuramente la crème de la crème di Grace Field. Sarebbe riduttivo definirli semplicemente come dei bambini prodigio.

In un contesto che per più tratti tende a richiamare un “Attacco dei Giganti in miniatura”, Emma, con Ray e Norman e Isabella danno vita a un avvincente scontro mentale che in più frangenti ricorda altri due giganti dell’animazione, tali Light e L, in un continuo tentativo dall’una e dall’altra parte di fregare il nemico, che poi a ben guardare proprio nemico non è, da qualsiasi parte la si guardi. Ed è probabilmente proprio qui che “The Promised Neverland” cala il suo asso vincente: l’alta tensione che si è portati a respirare, finendo inevitabilmente per fare il tifo per i più piccoli fin da subito, è palpabile in qualsiasi frangente, grazie a una regia che orchestra ogni evento con sapienza magistrale, e al prezioso supporto che le splendide colonne sonore offrono nel contornare il susseguirsi degli eventi.

“The Promised Neverland” nasce per essere una storia avvincente e coinvolgente, ma sempre calcando terreni relativamente sicuri, interpretando e seguendo alla lettera quelli che sono considerati ormai canoni semplicistici e “tradizionali” nel mondo dell’animazione e non solo. È qui che probabilmente viene a mancare (almeno per ora) quel qualcosa in più che avrebbe reso questa piccola perla dell’animazione un vero e proprio gioiello. Del potenziale di “The Promised Neverland” viene valorizzata quella parte che si potrebbe definire più scontata. Non si può ammettere di percepire la mancanza di un intenso arricchimento in termini di dettagli, quali potrebbero comodamente essere il microcosmo dell’orfanotrofio, ai fatti appena abbozzato, o un tratto piuttosto che un altro che distingua i bambini tra loro, eccezion fatta, ovviamente direi, per i protagonisti, ma la presenza di una contestualizzazione di maggiore spessore e che non facesse esclusivamente da sfondo avrebbe solo che giovato a quella che resta in ogni caso una storia bella in ogni suo aspetto.

Al netto di effettive ma comunque numericamente scarse forzature narrative, ai fini di andare a creare situazioni cariche di impatto emotivo, si può tranquillamente dire che “The Promised Neverland” svolge il suo compito egregiamente, introducendo quella che sarà la vera storia di Emma & Co. al di fuori di Grace Field, offrendoci dei protagonisti pronti a tutto, che preferirebbero governare all’Inferno piuttosto che essere schiavi in Paradiso. C’è da dire che quando il materiale a disposizione è tale, risulta fortemente controproducente sottostare a regole non scritte di minutaggio. E' sbagliato da ogni punto di vista in questo contesto andare ad attuare tagli, magari necessari, ma totalmente ingiusti, danneggiando una narrazione che fa delle paranoie di un gruppo di bambini in gabbia la sua arma vincente. Parliamo di un ottimo inizio, che avrebbe potuto essere migliore sotto molti aspetti, e che però rimane comunque solo l’inizio.

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Dopo quasi tre anni dall'uscita della prima serie, torna “Mob Psycho 100”, e questa volta con degli episodi veramente interessanti. Oltre ad aver mantenuto le ottime animazioni dello studio Bones, ha anche subito un notevole sviluppo per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi.

Anche in questo caso il protagonista della serie è Shigeo che, dopo aver sconfitto l'Artiglio, ha ripreso la sua normale vita scolastica, ma oltre a ciò ha iniziato anche a riflettere sulle sue azioni e su ciò che lo circonda, iniziando a pensare seriamente ai sentimenti che prova nei confronti della sua amica d'infanzia Tsubomi. Inizialmente le sue decisioni verranno condizionate molto da Reigen e Ichi Mezato, ma grazie ai consigli di alcuni amici veri, Mob capirà che è lui l'artefice del suo destino e in quanto tale inizierà per la prima volta a prendere delle decisioni autonomamente.
Ho molto apprezzato questo cambiamento di Mob, in quanto fino ad ora era sempre stato un ragazzo estremamente passivo che lasciava uscire le sue emozioni solo in corrispondenza del massimo sfogo dei suoi poteri. In questa serie, invece, è molto più umano. Si imbarazza facilmente, si chiede il perché di molti suoi atteggiamenti, nonché di quelli degli altri.

Sia “Mob Psycho 100” che la prima parte di “One-Punch Man” sono animate divinamente, ma ciò che manca al secondo è proprio un interessante sviluppo del protagonista. Ciò che ho apprezzato di questa serie, infatti, è lo sviluppo di Mob, che abbandona il suo lato apatico e inizia a pensare con la sua testa, dando ampio spazio alle sue emozioni. Oltre ai soliti combattimenti tra psichici con poteri inimmaginabili, la serie si concentra sulla vita privata di Mob, ed è proprio qui che l’anime riesce a dare il meglio di sé, grazie anche a un uso particolarmente efficace di alcune musiche in grado di rendere al meglio scene commoventi ed estremamente drammatiche. Oltre all'evoluzione di Mob, che fin dal primo episodio riesce a conquistarci con la sua simpatia e il suo comportamento maldestro, mi ha colpito anche lo sviluppo di Reigen, a cui sono stati dedicati alcuni episodi. Sebbene Reigen abbia spesso aiutato Mob fornendogli utili consigli, di fatto è sempre stato un truffatore che ha sfruttato il ragazzo per aumentare i propri guadagni nell’ambito dei fenomeni paranormali. Questa volta però, dopo una serie di eventi si ritroverà a riflettere seriamente sul suo comportamento e, esattamente come Mob, su cosa intende fare del proprio futuro.

Un altro aspetto molto positivo di questa serie sono le sigle di apertura e chiusura, ma su questo non avevo dubbi, e infatti attendevo impazientemente di vederle. L’opening, anche in questo caso, presenta una moltitudine di personaggi in movimento e riesce a mantenere quel lato divertente e fantasioso presente anche nella sigla precedente. Al giorno d’oggi è difficile trovare sigle veramente sorprendenti, dato che molte riciclano sempre alcune scene diventate ormai di moda, tanto da dar l’impressione di essere fatte con lo stampino, ma l’opening di “Mob Psycho 100” è molto particolare e fa uso di molte tecniche di animazione differenti e fantasiose, ottenendo un risultato sorprendente.
L’ending purtroppo non è altrettanto spettacolare, anche se in effetti il livello della prima ending è praticamente inarrivabile, ma si tratta ugualmente di una bella sigla e per di più molto simpatica e carina.

Di fatto è una serie che supera di gran lunga la prima grazie soprattutto a un ottimo sviluppo dei protagonisti. Cala un po' solamente nella seconda parte in cui, pur essendo ottima, non riesce a intrattenere allo stesso modo. Non mi sento di assegnare un 10 per una questione puramente soggettiva, perché, pur essendo una serie interessante, non sempre riesce a tenerti incollato allo schermo, e infatti qualcuno potrebbe ritenerla un po’ noiosa sotto certi aspetti, ma resta sicuramente una delle serie più interessanti di quest’anno.

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“Fushigi no Umi no Nadia” (letteralmente “Nadia dei mari misteriosi”, portata in Italia col titolo “Nadia - Il mistero della Pietra Azzurra”) è una serie di trentanove episodi prodotta nel 1990 dallo studio Gainax. La regia dell’anime è affidata a Hideaki Anno, mentre la sceneggiatura a Hisao Okawa e Kaoru Umeno.

La prima puntata dell’opera è ambientata a Parigi, durante l’Esposizione Universale del 1889. Qui il giovanissimo inventore Jean-Luc Lartigue, determinato a vincere il premio per il miglior prototipo di aeroplano, incontra una ragazza dalla pelle scura di nome Nadia che lavora come acrobata in un circo. Quest’ultima è inseguita da un trio di ladri che cercano di rubarle la misteriosa pietra azzurra che porta al collo, ma riesce a sfuggire loro grazie all’aiuto del ragazzo. I due intraprenderanno dunque un viaggio verso l’Africa, quella che Nadia sente sia la sua terra natale.

L’opera qui analizzata può fregiarsi di diverse sfaccettature, diverse “anime” che tutte insieme hanno contribuito a decretarne il successo. “Nadia”, infatti, si presenta innanzitutto come una serie all’insegna dell’avventura, un viaggio rocambolesco dalle tinte fanciullesche ricco di inseguimenti e scoperte. La parte più leggera e spensierata, presente soprattutto nei primi episodi, col passare del tempo finisce però per fare spazio a una più seria e sicuramente indicata per un pubblico più maturo. Il lato dell’anime che più mi ha affascinata è difatti quello più squisitamente ricercato, che fa largo uso di citazioni (a volte nei contenuti, altre solo nelle immagini o nei nomi) storiche, scientifiche, mitologiche, bibliche e letterarie. Come è semplicissimo intuire, l’anime si ricollega in più punti alle opere di Jules Verne, in particolare a “Ventimila leghe sotto i mari”, sia nelle vicende narrate sia nell’impostazione avventuriera-fantascientifica che contraddistingue lo scrittore francese.

La contrapposizione tra i miracoli compiuti dalla tecnologia e dall’ingegno umano e la forza imprevedibile della natura che supera ogni aspettativa dell’uomo rappresenta uno dei temi ricorrenti dell’opera, la quale mostra tutta la sua grandezza e profondità anche nella fantasiosa ma intrigante spiegazione che cerca di dare alle origini della nostra specie. A questo proposito, ci si concentra più volte sullo scontro tra razze differenti, in cui una si ritiene superiore all’altra, e sul modo in cui si utilizza un potere così grande che potrebbe salvare o spazzare via il mondo intero.

Grazie a tutti questi elementi, “Nadia - Il mistero della Pietra Azzurra” aveva tutte le carte in regola per guadagnarsi un meritato posticino tra i capolavori dell’animazione giapponese: un peccato, dunque, che tutta la sua bellezza sia stata parzialmente inficiata da una sfilza di episodi che terribili è dir poco. Le puntate dalla 23 alla 34 (la cosiddetta “saga delle isole”), oltre ad essere ammorbate da un comparto visivo paragonabile a una legnata sui denti, presentano il vuoto a livello dei contenuti: la trama orizzontale non procede neanche di una virgola, mentre quella verticale ci propina gag malriuscite condite con la noia più totale.

Per quanto riguarda i personaggi, l’opera può vantare un cast ricco di figure caratterizzate a dovere. I due protagonisti, in particolare, sono diametralmente opposti e incarnano alla perfezione il conflitto scienza/natura di cui parlavo poco fa: da una lato abbiamo Jean, ottimista e avido di conoscenza, che costituisce l’esempio lampante del positivista fiducioso del progresso scientifico e dei benefici che può apportare; dall’altro Nadia, scettica e testarda, amante della natura e di tutti gli esseri viventi, che dà valore ad ogni vita e per questo si rifiuta di mangiare carne e pesce o uccidere qualcuno per difendere sé stessa. Non v’è dubbio che la ragazza abbia certe caratteristiche affascinanti, che tanto la rendono simile a eroine miyazakiane quali Nausicaa o Mononoke; tuttavia quei difetti che la contraddistinguono vengono troppo marcati nel fatidico capitolo delle isole, e la rendono fastidiosa e petulante oltre ogni sopportazione.
Gli altri personaggi, per fortuna, mantengono una personalità coerente per tutta la durata dell’anime: da ricordare, in particolare, il tenebroso capitano Nemo, la vendicativa Electra o il villain per eccellenza Gargoyle; anche i personaggi più utili al lato comico, come Grandis, Sanson, Hanson e la piccola ma intelligente Marie riescono a conquistarsi in poco tempo la simpatia dello spettatore.

Passando al comparto tecnico, l’anime mantiene disegni e animazioni discreti per gran parte degli episodi, eccezion fatta ovviamente per le puntate di cui sopra (che tra l’altro non furono dirette da Anno ma dal suo assistente Shinji Higuchi); il character design originale di Yoshiyuki Sadamoto si presta bene al tipo di opera raccontata, mentre gli sfondi si attestano sugli standard dell’epoca. Le musiche composte da Shiro Sagisu accompagnano alla perfezione sia i momenti più spensierati che quelli più drammatici, e le sigle di apertura e chiusura entrambe cantate da Miho Morikawa risultano abbastanza orecchiabili.

Tirando le somme, “Nadia - Il mistero della Pietra Azzurra” è una splendida avventura alla ricerca delle proprie origini e di quelle dell’intera umanità. I temi trattati e i continui riferimenti ai più disparati campi del sapere umano la rendono un’opera complessa e variegata: questa, però, non riesce a guadagnarsi l’appellativo di capolavoro per via di un momentaneo flop narrativo e tecnico che ne intacca non poco la visione. Voto: 8 e mezzo.