Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Psycho-Pass 3
7.5/10
Recensione di Ataru Moroboshii
-
La serie "Psycho-Pass 3" continua il restyling del franchise iniziato con "Sinners of the System". Come prevedibile per chi ha visto i tre film, i nuovi sceneggiatori hanno abbandonato l'atmosfera caratteristica dell'auotre Urobuchi, per cimentarsi in una storia ad alto grado di complessità; le differenze rispetto all'approccio precedente sono moltissime, ma non per questo automaticamente peggiori.
Si inizia subito da una Prima Sezione della Pubblica Sicurezza con dei membri e dei protagonisti completamente diversi, poiché i precedenti membri, ad eccezione dell'analista dei dati, nei cinque anni trascorsi hanno tutti cambiato status o lavoro: l'unica nostra vecchia conoscenza all'inizio della serie è l'ex ispettore Mika, promossa ora al ruolo di Commissario e a capo dei vari ispettori; gli altri membri del vecchio staff compariranno comunque più avanti, ma relegati a ruoli secondari.
La diretta conseguenza di questi cambi di organigramma è che a capo della Prima Sezione ci sono ora due nuovi ispettori: il primo è Arata Shindou, un mentalista in possesso di particolari facoltà psichiche che gli permettono di mettersi nei panni degli altri, spesso le vittime, e "vedere" indizi che altrimenti sarebbero invisibili agli altri agenti e alla polizia scientifica. Arata sarebbe lo svogliato e "piacione" della squadra, che sta simpatico praticamente ad ogni personaggio.
Il secondo ispettore è invece Kei Ignatov, dalle probabili origini russe e immigrato in Giappone con la sorella, per sfuggire alla violenza dilagante nel resto del mondo, dai metodi spesso bruschi; velatamente cita il film "Danko" e risulta a tutti molto meno simpatico dell'altro ispettore, non solo per il carattere ma anche per il fatto di non essere giapponese.
In questo sequel, quasi uno spin-off, il ruolo del Sybil System è molto ridimensionato, passando da arbitro e giudice ultimo di ogni persona e situazione, come era nella serie originale, ad essere solo uno dei poteri forti in campo: grande importanza avranno anche la politica, il Ministero degli Esteri, la nuova religione permessa dal Sybil, e sopratutto il Bifrost, un'organizzazione che ha concepito un complicato sistema atto ad aggirare il giudizio del Sybil in un modo che scopriremo durante l'anime.
Il genere dell'opera è quindi passato da distopico a fanta-politico; scelta che ha dei pro e dei contro: se da un lato questo Giappone futuro è molto più credibile, dall'altro l'eccessiva dispersione e la complessità delle vicende appesantisce la visione.
Fortunatamente, per venire un po' incontro allo spettatore, alla trama più complessa si accompagna una durata doppia degli episodi, aiutandoci così a non perdere il punto della situazione.
Un'altra novità è la prominenza delle scene di lotta corpo a corpo e delle vecchie e tradizionali manette rispetto all'uso dei Dominator, togliendo quindi anche quel pizzico di fanservice gore tanto abusato nella prima e soprattutto nella seconda serie, un marchio di fabbrica di Urobuchi.
Quello che sicuramente non sbaglia "Psycho-Pass 3" è la scelta dei temi da trattare, attuali e scomodi come quelli dell'immigrazione e della responsabilità individuale all'interno di sistemi complessi. Sui contenuti della serie non è purtroppo però possibile esprimere giudizi finali, poiché al passare degli episodi le vicende, invece di chiudersi, si aprono ancora di più, lasciando tutto in sospeso per una quarta serie oppure per alcuni film. La critica principale a questo "Psycho-Pass 3" è infatti quella di avere sempre proceduto a rilento, dando la sensazione di brodo allungato, prospettando rivelazioni tutt'oggi non pervenute e non chiudendo decentemente nemmeno un arco narrativo.
Dal punto di vista tecnico "Psycho-Pass 3" è a un livello leggermente inferiore sia ai film che alle serie precedenti; purtroppo in alcuni episodi si vedono infatti animazioni mal riuscite.
In definitiva, "Psycho-Pass 3" è un grosso e ammirevole lavoro di world buliding che però non riesce a utilizzare i suoi personaggi in modo efficace come nell'originale, risultando nelle scene madre a volte carente del pathos a cui ci eravamo abituati.
Si inizia subito da una Prima Sezione della Pubblica Sicurezza con dei membri e dei protagonisti completamente diversi, poiché i precedenti membri, ad eccezione dell'analista dei dati, nei cinque anni trascorsi hanno tutti cambiato status o lavoro: l'unica nostra vecchia conoscenza all'inizio della serie è l'ex ispettore Mika, promossa ora al ruolo di Commissario e a capo dei vari ispettori; gli altri membri del vecchio staff compariranno comunque più avanti, ma relegati a ruoli secondari.
La diretta conseguenza di questi cambi di organigramma è che a capo della Prima Sezione ci sono ora due nuovi ispettori: il primo è Arata Shindou, un mentalista in possesso di particolari facoltà psichiche che gli permettono di mettersi nei panni degli altri, spesso le vittime, e "vedere" indizi che altrimenti sarebbero invisibili agli altri agenti e alla polizia scientifica. Arata sarebbe lo svogliato e "piacione" della squadra, che sta simpatico praticamente ad ogni personaggio.
Il secondo ispettore è invece Kei Ignatov, dalle probabili origini russe e immigrato in Giappone con la sorella, per sfuggire alla violenza dilagante nel resto del mondo, dai metodi spesso bruschi; velatamente cita il film "Danko" e risulta a tutti molto meno simpatico dell'altro ispettore, non solo per il carattere ma anche per il fatto di non essere giapponese.
In questo sequel, quasi uno spin-off, il ruolo del Sybil System è molto ridimensionato, passando da arbitro e giudice ultimo di ogni persona e situazione, come era nella serie originale, ad essere solo uno dei poteri forti in campo: grande importanza avranno anche la politica, il Ministero degli Esteri, la nuova religione permessa dal Sybil, e sopratutto il Bifrost, un'organizzazione che ha concepito un complicato sistema atto ad aggirare il giudizio del Sybil in un modo che scopriremo durante l'anime.
Il genere dell'opera è quindi passato da distopico a fanta-politico; scelta che ha dei pro e dei contro: se da un lato questo Giappone futuro è molto più credibile, dall'altro l'eccessiva dispersione e la complessità delle vicende appesantisce la visione.
Fortunatamente, per venire un po' incontro allo spettatore, alla trama più complessa si accompagna una durata doppia degli episodi, aiutandoci così a non perdere il punto della situazione.
Un'altra novità è la prominenza delle scene di lotta corpo a corpo e delle vecchie e tradizionali manette rispetto all'uso dei Dominator, togliendo quindi anche quel pizzico di fanservice gore tanto abusato nella prima e soprattutto nella seconda serie, un marchio di fabbrica di Urobuchi.
Quello che sicuramente non sbaglia "Psycho-Pass 3" è la scelta dei temi da trattare, attuali e scomodi come quelli dell'immigrazione e della responsabilità individuale all'interno di sistemi complessi. Sui contenuti della serie non è purtroppo però possibile esprimere giudizi finali, poiché al passare degli episodi le vicende, invece di chiudersi, si aprono ancora di più, lasciando tutto in sospeso per una quarta serie oppure per alcuni film. La critica principale a questo "Psycho-Pass 3" è infatti quella di avere sempre proceduto a rilento, dando la sensazione di brodo allungato, prospettando rivelazioni tutt'oggi non pervenute e non chiudendo decentemente nemmeno un arco narrativo.
Dal punto di vista tecnico "Psycho-Pass 3" è a un livello leggermente inferiore sia ai film che alle serie precedenti; purtroppo in alcuni episodi si vedono infatti animazioni mal riuscite.
In definitiva, "Psycho-Pass 3" è un grosso e ammirevole lavoro di world buliding che però non riesce a utilizzare i suoi personaggi in modo efficace come nell'originale, risultando nelle scene madre a volte carente del pathos a cui ci eravamo abituati.
Babylon
5.5/10
Recensione di Shiho Miyano
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«Babylon» è una serie dell’autunno 2019, di dodici episodi, basata su di una light novel di Mado Nozaki.
L’attacco è estremamente accattivante, con atmosfere da thriller e un finale del primo episodio che fa capire allo spettatore di essere davanti a una scrittura che vuole stupire.
La storia è quella di Zen Seizaki, che lavora presso la Procura di Tokyo, e che inizia una nuova indagine su suicidi sospetti e ricerche illegali in un’Università; l’indagine si allargherà rapidamente: a speculazioni immobiliari a Shiniki - nuovo quartiere autonomo di Tokyo -, alle elezioni in questo quartiere, a una nuova legge sul suicidio... e a molto altro ancora, ma qui mi fermo per evitare spoiler.
Zen è una persona in gamba, un personaggio ben scritto, sa valutare le persone che si trova davanti, ha un grande amore per la giustizia e un buon senso critico: non ragiona per pregiudizi, ma in ogni momento analizza la situazione e si pone domande; ha ben presente l’importanza di continuare a interrogarsi, senza dar mai per acquisita nessuna risposta. Per sfortuna sua, o meglio dello spettatore, è però posto in una storia scritta in modo approssimativo, che manca di coerenza e che si perde nelle fasi finali per “scodinzolare festante” dietro all’antagonista: la figura sfuggente (la cui natura non è ben chiarita) di Ai Magase. Figura che deve aver affascinato a tal punto l’autore da fargli dimenticare tutto il resto.
Oltre al buon protagonista c’è un altro punto positivo in questa serie: la regia di Kiyotaka Suzuki che è veramente magistrale. L’interrogatorio del secondo episodio, i finali del quinto e del settimo episodio, la capacità di movimentare i lunghi momenti di dibattito (anche con l’utilizzo del puntinato Ben Day) sono riuscitissimi e, quasi, riescono a colmare le lacune narrative e l’ingenuità con cui sono trattati temi importanti.
E sì, perché i temi introdotti sono tanti e rilevanti: dubbi etici e morali che toccano la vita privata delle persone, così come la gestione della “res pubblica”, ma nessuno è trattato in modo minimamente soddisfacente. L’autore esibisce una totale ignoranza dei temi che introduce: non sa a chi spetti promulgare una legge, fa dibattere intorno al tema di una “legge sul suicidio” e mai viene citato il termine eutanasia, introduce alcuni temi filosofici in modo incoerente (per lui il darwinismo sociale è una corrente attuale). Documentarsi un minimo non sarebbe stato difficile, quindi immagino che Nozaki non fosse interessato ai temi che introduce, peccato.
Alla fine la mia impressione è che fosse indeciso fra il giallo classico, il giallo paranormale, la serie fantapolitica (o psicologica) e... non riuscendo a scegliere (o credendo di poter maneggiare tutte queste cose insieme) alla fine ne sia stato travolto, lasciando una serie che parte bene e finisce in un gran pasticcio.
Come giudicare nel suo complesso «Babylon»? La scelta è fra dar peso all’originalità dell’idea oppure alla realizzazione. Meglio una buona idea mal portata a termine o una storia semplice narrata bene?
Per come la vedo io, non saper portare avanti una buona idea è un difetto piuttosto grande, così come l’aver trascurato di documentarsi sui temi trattati, quindi per me non raggiunge la sufficienza, però si tratta di pochi episodi e con una regia efficacissima: se i generi piacciono, una visione la può meritare...
L’attacco è estremamente accattivante, con atmosfere da thriller e un finale del primo episodio che fa capire allo spettatore di essere davanti a una scrittura che vuole stupire.
La storia è quella di Zen Seizaki, che lavora presso la Procura di Tokyo, e che inizia una nuova indagine su suicidi sospetti e ricerche illegali in un’Università; l’indagine si allargherà rapidamente: a speculazioni immobiliari a Shiniki - nuovo quartiere autonomo di Tokyo -, alle elezioni in questo quartiere, a una nuova legge sul suicidio... e a molto altro ancora, ma qui mi fermo per evitare spoiler.
Zen è una persona in gamba, un personaggio ben scritto, sa valutare le persone che si trova davanti, ha un grande amore per la giustizia e un buon senso critico: non ragiona per pregiudizi, ma in ogni momento analizza la situazione e si pone domande; ha ben presente l’importanza di continuare a interrogarsi, senza dar mai per acquisita nessuna risposta. Per sfortuna sua, o meglio dello spettatore, è però posto in una storia scritta in modo approssimativo, che manca di coerenza e che si perde nelle fasi finali per “scodinzolare festante” dietro all’antagonista: la figura sfuggente (la cui natura non è ben chiarita) di Ai Magase. Figura che deve aver affascinato a tal punto l’autore da fargli dimenticare tutto il resto.
Oltre al buon protagonista c’è un altro punto positivo in questa serie: la regia di Kiyotaka Suzuki che è veramente magistrale. L’interrogatorio del secondo episodio, i finali del quinto e del settimo episodio, la capacità di movimentare i lunghi momenti di dibattito (anche con l’utilizzo del puntinato Ben Day) sono riuscitissimi e, quasi, riescono a colmare le lacune narrative e l’ingenuità con cui sono trattati temi importanti.
E sì, perché i temi introdotti sono tanti e rilevanti: dubbi etici e morali che toccano la vita privata delle persone, così come la gestione della “res pubblica”, ma nessuno è trattato in modo minimamente soddisfacente. L’autore esibisce una totale ignoranza dei temi che introduce: non sa a chi spetti promulgare una legge, fa dibattere intorno al tema di una “legge sul suicidio” e mai viene citato il termine eutanasia, introduce alcuni temi filosofici in modo incoerente (per lui il darwinismo sociale è una corrente attuale). Documentarsi un minimo non sarebbe stato difficile, quindi immagino che Nozaki non fosse interessato ai temi che introduce, peccato.
Alla fine la mia impressione è che fosse indeciso fra il giallo classico, il giallo paranormale, la serie fantapolitica (o psicologica) e... non riuscendo a scegliere (o credendo di poter maneggiare tutte queste cose insieme) alla fine ne sia stato travolto, lasciando una serie che parte bene e finisce in un gran pasticcio.
Come giudicare nel suo complesso «Babylon»? La scelta è fra dar peso all’originalità dell’idea oppure alla realizzazione. Meglio una buona idea mal portata a termine o una storia semplice narrata bene?
Per come la vedo io, non saper portare avanti una buona idea è un difetto piuttosto grande, così come l’aver trascurato di documentarsi sui temi trattati, quindi per me non raggiunge la sufficienza, però si tratta di pochi episodi e con una regia efficacissima: se i generi piacciono, una visione la può meritare...
Pluto
6.0/10
E dopo la lettura di "Monster" e "20 Century Boys" la tragedia si ripete inesorabile. il voto che assegno ad Urasawa come autore è un dieci con lode, ma non per la bellezza delle sue opere bensì per la sua capacità di creare enormi aspettative nel lettore che sfociano nel nulla filosofico. Perchè è questo che è "Pluto", ne più ne meno che un buco nell'acqua. Parte come un seinen spettacolare, Urasawa riesce a donare al suo mondo pur fantastico un realismo che nulla ha da togliere alle migliori opere di Taniguchi. La caratterizzazione dei personaggi, almeno nei primi volumi è straordinaria, in particolare quella del detective. Ciò che travolge di questo manga, così come delle altre sue opere, è il singolare connubio sempre ben riuscito tra enigmi incredibili ed affascinanti da risolvere, che costringeranno il lettore a volerne sempre sempre più, abbinato a drammi esistenziali di personaggi immersi in realtà intrise di un tocco di delicata decadenza e senso di inquietudine apocalittica.
Purtroppo la magia finisce nel momento in cui ti rendi conto che i misteri iniziali servono solo per creare aspettativa, ma di fondo la trama intrisa fino al midollo di retorica è vuota ed inesistente.Il manga inizia a decadere verso il quarto volume, ma il culmine si raggiungerà nell'ultimo, quando il seinen di Urasawa sfocia nel trash più assoluto trasformandosi in uno dei più beceri shounen. Le caratterizzazioni dei personaggi in primis, apparentemente promettenti all'inizio diventano sempre più buoniste e stereotipate. La trama rimane tuttavia la più grave pecca di questo manga. Tutto il mistero iniziale verrà risolto in modo estremamente frettoloso ed impacciato, oltre che infantile.
Purtroppo la magia finisce nel momento in cui ti rendi conto che i misteri iniziali servono solo per creare aspettativa, ma di fondo la trama intrisa fino al midollo di retorica è vuota ed inesistente.Il manga inizia a decadere verso il quarto volume, ma il culmine si raggiungerà nell'ultimo, quando il seinen di Urasawa sfocia nel trash più assoluto trasformandosi in uno dei più beceri shounen. Le caratterizzazioni dei personaggi in primis, apparentemente promettenti all'inizio diventano sempre più buoniste e stereotipate. La trama rimane tuttavia la più grave pecca di questo manga. Tutto il mistero iniziale verrà risolto in modo estremamente frettoloso ed impacciato, oltre che infantile.
Per carità, il mondo è bello perchè è vario...
Grazie mille
Invece avevo sentito buone cose su Babylon.
PLUTO invece l'ho gradito assai. Splendida novella cyberpunk che partendo da una trama dell'Astroboy di Tezuka traccia un percorso sulla scomparsa dell'Uomo come ente, e sul poco che rimane dell'umanità nei riflessi che vanno avanti per inerzia con i suoi "automi". Viene pure citata l'attualità di allora con la guerra in Iraq. Capolavoro.
... e con questo commento mi sa che mi hai tolto il dubbio se guardare o meno quella miniserie! (Di questa terza serie io ho amato l'ispettore Ignatov, ma poco altro; soprattutto l'introduzione del paranormale non mi è andata giù).
Il mio è il modo "pessimista" di vedere le cose per quello "ottimista" c'è la bella recensione di @ataru moroboshii
Pluto, non l'ho ancora affrontato, ma mi interessa.
Pluto mi è piaciuto ma lo dovrò rileggere non ricordando bene i particolari, vero che Naoki Urasawa sa creare pathos anche in una scena dove si deve aprire un sacchetto di popcorn (e forse si ritrova l'apoteosi di questo concetto in Billy Bat) ma è sempre funzionale alla storia che si legge.
Sì hai ragione
Ma hanno rovinato tutto.
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