Leggendo "A cena con la strega" di Rumiko Takahashi mi ha colpito molto come spesso i protagonisti delle brevi storie all'interno del volume fossero persone giunte all'età della pensione che però cercavano un nuovo lavoro in modo da avere un introito fino a che non avessero raggiunto l'età per percepire la pensione. Mi è sembrata una contraddizione: e infatti una nota a margine confermava che praticamente a 60 anni si è obbligati a ritirarsi dal lavoro, ma fino ai 65 non si ricevono soldi. Facendo qualche ricerca si scopre una realtà davvero particolare a tal proposito.
La pensione in Giappone si chiama nenkin (年金), letteralmente "denaro dell'anno". È gestito dal Japanese Pension Service (日本 年金 機構 ・Nihon Nenkin Kiko) e dal Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare (厚生 労 働 省 ・Kosei Rodo-sho).
Esistono due tipi principali di piani pensionistici: il piano di assicurazione pensionistica dei dipendenti, detto kosei nenkin (厚生年金), e il piano pensionistico nazionale chiamato kokumin nenkin (国民 年金).
La regola che c'è da diversi anni a questa parte costringe la maggior parte delle persone a ritirarsi a 60 anni o subito dopo. Ma se si inizia la pensione a 60 anni si riceve solo il 70% dell'importo di base. Mentre se si aspettano i 70 o anche oltre si può ottenere fino al 142% dell'importo della pensione di base. Inoltre una volta che si inizia a ricevere la pensione, il suo importo non cambierà più. Quindi è ovvio che in tanti aspettino a richiederla, ma nel frattempo occorre trovare un'altra fonte di guadagno che permetta loro di scavallare quei 5/10 anni senza finire in mezzo ad una strada.
Il pensionamento obbligatorio era stato originariamente concepito per proteggere gli anziani dallo sfruttamento, ma al giorno d'oggi sottrae a un paese affamato di lavoro una preziosa fonte di manodopera. Inoltre discrimina gli ultrasessantenni: le persone dovrebbero essere libere di scegliere quando andare in pensione.
Se prima della Seconda Guerra Mondiale l'età pensionabile iniziava a 50 anni, con il passare del tempo è stata portata a 60 ma con un'aspettativa di vita che aumenta sempre di più, si stanno varando progetti di legge per sollecitare le imprese a lasciare che i dipendenti lavorino fino a 70 anni. In questo modo si prenderebbero due piccioni con una fava: non si rischierebbe di vedere persone anziane sul lastrico e si avrebbe un'espansione della pooplazione attiva per coprire i crescenti costi del welfare. Secondo i dati del governo, 1 persona su 3 in Giappone dovrebbe avere 65 anni o più nel 2025.
Si chiede perciò alle aziende o di innalzare l'età pensionabile o di concedere ai dipendenti che lo vogliono di lavorare oltre il limite di età ma con salari ridotti per ridurre l'onere per i datori di lavoro, magari anche come freelance o su progetti creati ad hoc o addirittura di abolire del tutto l'età pensionabile obbligatoria. La mossa è vista come un rimedio alla grave crisi del lavoro.
È probabile che molte aziende optino per la seconda opzione, ovvero la prosecuzione dell'occupazione con salario ridotto, perché economicamente è la soluzione più conveniente. Ma costringere le persone a uscire dalla forza lavoro a una certa età o ridurgli lo stipendio quando hanno la capacità e la volontà di lavorare è inefficiente e ingiusto soprattutto in un paese che sta vivendo un grave calo demografico e che lotta contro una crescente carenza di manodopera.
Bisogna sottolineare che il pensionamento obbligatorio si accompagna quasi sempre al posto fisso in una grande azienda o presso strutture governative dove secondo la legge e la prassi del lavoro giapponese, è quasi impossibile per un datore di lavoro licenziare un dipendente anche con prestazioni insoddisfacenti. Si trova molto meno in aziende più piccole con meno di 30 dipendenti. Il pensionamento obbligatorio è strettamente correlato a quello che viene definito "lavoro a vita". Una volta entrato in un'azienda ci si può ragionevolemente aspettare di rimanervi fino al raggiungimento dell'età pensionabile obbligatoria. Gli aumenti salariali annuali in base all'età e all'esperienza possono essere goduti fino al pensionamento.
Ma i recenti cambiamenti che devono affrontare le aziende giapponesi, compresa la concorrenza globale, una spinta per una maggiore flessibilità e la carenza di competenze, stanno incoraggiando i dirigenti a rivedere i loro sistemi salariali e di promozione. Le aziende stanno iniziando ad adeguare l'occupazione in modo più flessibile e incoraggiano i giovani dipendenti a cambiare lavoro più liberamente. Il pensionamento obbligatorio come corollario del lavoro a vita sta diventando insostenibile. Inoltre così come i dipendenti non dovrebbero essere differenziati in base al sesso o all'origine etnica, non dovrebbero subire discriminazioni in base all'età.
La questione non è semplice perché, sebbene il pensionamento obbligatorio si applichi alla maggior parte dei dipendenti delle grandi aziende, non riguarda invece la categoria dei dirigenti. Coloro che raggiungono i livelli più alti nell'organigramma di un'azienda possono tranquillamente rimanere al lavoro dopo i 60 anni anche per più di un decennio. E anche quando gli alti dirigenti alla fine rinunciano ai loro incarichi, sono assunti come consulenti sempre di alto livello. Alcuni dirigenti ai vertici continuano ad esercitare un'influenza significativa anche dopo che si sono dimessi dalle cariche dirigenziali e questo sta iniziando a diventare un problema. Rispetto per gli anziani non sempre si traduce in una gestione efficace nelle grandi aziende.
Una riforma su vasta scala del pensionamento obbligatorio, compresa la sua abolizione, non può essere prevista senza una revisione completa delle politiche e delle pratiche del mercato del lavoro. Un cambiamento del genere è lungo e complesso. L'abolizione del pensionamento obbligatorio non dovrebbe essere considerata come un modo per consentire semplicemente ai lavoratori anziani di restare al loro posto fisso ed immutabile. Al contrario, dovrebbero essere incoraggiati a cambiare lavoro liberamente secondo le loro capacità, conoscenze, attitudini e preferenze.
Allo stesso tempo esistono in Giappone privilegi generosi per gli anziani, come le pensioni, la riduzione dei costi sanitari e le tariffe preferenziali che dovrebbero essere ridotti.
Fonti consultate:
TheJapanTimes
Nenkin
La pensione in Giappone si chiama nenkin (年金), letteralmente "denaro dell'anno". È gestito dal Japanese Pension Service (日本 年金 機構 ・Nihon Nenkin Kiko) e dal Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare (厚生 労 働 省 ・Kosei Rodo-sho).
Esistono due tipi principali di piani pensionistici: il piano di assicurazione pensionistica dei dipendenti, detto kosei nenkin (厚生年金), e il piano pensionistico nazionale chiamato kokumin nenkin (国民 年金).
La regola che c'è da diversi anni a questa parte costringe la maggior parte delle persone a ritirarsi a 60 anni o subito dopo. Ma se si inizia la pensione a 60 anni si riceve solo il 70% dell'importo di base. Mentre se si aspettano i 70 o anche oltre si può ottenere fino al 142% dell'importo della pensione di base. Inoltre una volta che si inizia a ricevere la pensione, il suo importo non cambierà più. Quindi è ovvio che in tanti aspettino a richiederla, ma nel frattempo occorre trovare un'altra fonte di guadagno che permetta loro di scavallare quei 5/10 anni senza finire in mezzo ad una strada.
Il pensionamento obbligatorio era stato originariamente concepito per proteggere gli anziani dallo sfruttamento, ma al giorno d'oggi sottrae a un paese affamato di lavoro una preziosa fonte di manodopera. Inoltre discrimina gli ultrasessantenni: le persone dovrebbero essere libere di scegliere quando andare in pensione.
Se prima della Seconda Guerra Mondiale l'età pensionabile iniziava a 50 anni, con il passare del tempo è stata portata a 60 ma con un'aspettativa di vita che aumenta sempre di più, si stanno varando progetti di legge per sollecitare le imprese a lasciare che i dipendenti lavorino fino a 70 anni. In questo modo si prenderebbero due piccioni con una fava: non si rischierebbe di vedere persone anziane sul lastrico e si avrebbe un'espansione della pooplazione attiva per coprire i crescenti costi del welfare. Secondo i dati del governo, 1 persona su 3 in Giappone dovrebbe avere 65 anni o più nel 2025.
Si chiede perciò alle aziende o di innalzare l'età pensionabile o di concedere ai dipendenti che lo vogliono di lavorare oltre il limite di età ma con salari ridotti per ridurre l'onere per i datori di lavoro, magari anche come freelance o su progetti creati ad hoc o addirittura di abolire del tutto l'età pensionabile obbligatoria. La mossa è vista come un rimedio alla grave crisi del lavoro.
È probabile che molte aziende optino per la seconda opzione, ovvero la prosecuzione dell'occupazione con salario ridotto, perché economicamente è la soluzione più conveniente. Ma costringere le persone a uscire dalla forza lavoro a una certa età o ridurgli lo stipendio quando hanno la capacità e la volontà di lavorare è inefficiente e ingiusto soprattutto in un paese che sta vivendo un grave calo demografico e che lotta contro una crescente carenza di manodopera.
Bisogna sottolineare che il pensionamento obbligatorio si accompagna quasi sempre al posto fisso in una grande azienda o presso strutture governative dove secondo la legge e la prassi del lavoro giapponese, è quasi impossibile per un datore di lavoro licenziare un dipendente anche con prestazioni insoddisfacenti. Si trova molto meno in aziende più piccole con meno di 30 dipendenti. Il pensionamento obbligatorio è strettamente correlato a quello che viene definito "lavoro a vita". Una volta entrato in un'azienda ci si può ragionevolemente aspettare di rimanervi fino al raggiungimento dell'età pensionabile obbligatoria. Gli aumenti salariali annuali in base all'età e all'esperienza possono essere goduti fino al pensionamento.
Ma i recenti cambiamenti che devono affrontare le aziende giapponesi, compresa la concorrenza globale, una spinta per una maggiore flessibilità e la carenza di competenze, stanno incoraggiando i dirigenti a rivedere i loro sistemi salariali e di promozione. Le aziende stanno iniziando ad adeguare l'occupazione in modo più flessibile e incoraggiano i giovani dipendenti a cambiare lavoro più liberamente. Il pensionamento obbligatorio come corollario del lavoro a vita sta diventando insostenibile. Inoltre così come i dipendenti non dovrebbero essere differenziati in base al sesso o all'origine etnica, non dovrebbero subire discriminazioni in base all'età.
La questione non è semplice perché, sebbene il pensionamento obbligatorio si applichi alla maggior parte dei dipendenti delle grandi aziende, non riguarda invece la categoria dei dirigenti. Coloro che raggiungono i livelli più alti nell'organigramma di un'azienda possono tranquillamente rimanere al lavoro dopo i 60 anni anche per più di un decennio. E anche quando gli alti dirigenti alla fine rinunciano ai loro incarichi, sono assunti come consulenti sempre di alto livello. Alcuni dirigenti ai vertici continuano ad esercitare un'influenza significativa anche dopo che si sono dimessi dalle cariche dirigenziali e questo sta iniziando a diventare un problema. Rispetto per gli anziani non sempre si traduce in una gestione efficace nelle grandi aziende.
Una riforma su vasta scala del pensionamento obbligatorio, compresa la sua abolizione, non può essere prevista senza una revisione completa delle politiche e delle pratiche del mercato del lavoro. Un cambiamento del genere è lungo e complesso. L'abolizione del pensionamento obbligatorio non dovrebbe essere considerata come un modo per consentire semplicemente ai lavoratori anziani di restare al loro posto fisso ed immutabile. Al contrario, dovrebbero essere incoraggiati a cambiare lavoro liberamente secondo le loro capacità, conoscenze, attitudini e preferenze.
Allo stesso tempo esistono in Giappone privilegi generosi per gli anziani, come le pensioni, la riduzione dei costi sanitari e le tariffe preferenziali che dovrebbero essere ridotti.
Fonti consultate:
TheJapanTimes
Nenkin
Articolo molto interessante.
Le due cose insieme non danno un bel quadro.
Il che indica pure un'ottica miope, sia da un punto di vista umano che utilitaristico.
Se infatti basta aspettare qualche anno per godere di un buon introito pensionistico, alle famiglie converrebbe mantenersi cari i propri "nonni" in previsione di una condivisione delle loro pensioni. Se si può arrivare ad ottenere oltre il 100% del dovuto, senza decurtazioni, come investimento non è male.
Possiamo dire che loro, come noi, sono in una fase di transizione dove il sistema pensionistico, presto o tardi, subirà dei cambiamenti, solo che noi paghiamo pegno per le scelte scellerate fatte dagli anni 60' in poi.
dipende quali intendi, comunque non mi sembra ci siano cambiamenti all'orizzonte
*Ho imparato molto.
Ora anche la grammatica italiana.
Sono curiosa, da noi in Corea le grandi aziende hanno un sistema dove ti mettono soldi ogni mese in banca, su un conto separato fatto a posta, e i soldi accumulati possono essere ritirati soltanto se lasci l'azienda, a prescindere dall'età, o da quanto a lungo hai lavorato (tuttavia, ovviamente, più tempo passa e maggiore è la quantità di soldi accumulata).
Penso che in Giappone un tale sistema aiuterebbe le persone anziane in questa situazione. Non esiste già?
Mi pare di aver visto tale concetto nel manga di Weathering With You.
Grazie per l'interessante articolo, dato che ho comprato "A cena con la strega" mi è stato utile.
Nel dettaglio, non ti so dare una risposta certa ed inequivocabile. Da quello che ho capito guardando il sito in inglese del nenkin (messo anche come fonte), la divisione è fra grandi imprese/pubblico dove si ha il posto a vita assicurato (ti licenziano giusto se ammazzi qualcuno) e le piccole imprese con meno di 30 dipendenti.
Ecco un altro che mangia biscotti e simpatia la mattina a colazione...
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