Il 22 aprile 2021 Netflix rilascia sulla propria piattaforma streaming Homunculus, film tratto dall'omonimo manga del maestro Hideo Yamamoto. Il compito di dar vita a questo thriller dai forti connotati psicologici è affidato al regista Takashi Shimizu, già famoso per aver diretto i film horror Ju-on e Ju-on 2.
Homunculus è la storia di un uomo che ha perso il suo passato e le sue emozioni, che vive nella sua adorata Mazda Carol 360 bianca perché è diventato un clochard. Un uomo, Susumu Nakoshi, che non ha ben chiaro quale sia il suo posto del mondo poiché non conosce davvero sé stesso. L'opportunità di tornare a respirare gli viene data da Manabu Ito, studente di neurologia, che gli propone una trapanazione al cranio grazie alla quale Nakoshi potrebbe riuscire a trovare quello che cerca. Il senzatetto, costretto dalle circostanze, accetta con ovvia riluttanza.
La trapanazione del cranio è una pratica le cui origini risalgono già presso i popoli neolitici e, sopravvissuta durante il medioevo e il rinascimento, negli anni '60 ha trovato nuova linfa grazie a Bart Huges e Amanda Feilding, i quali erano convinti che procurando un foro nel cranio, il cervello potesse ossigenarsi meglio fornendo così al paziente maggiori capacità cognitive.
Nakoshi, con l'apertura del terzo occhio, l'occhio dell'anima, acquista la capacità di vedere gli homunculus, ovvero la trasposizione, in chiave grottesca e tangibile, delle paure e dei turbamenti dell'animo di ognuno. Se però il primo impatto con la nuova realtà lo sconvolge, presto Nakoshi capisce che la sua capacità può essere in grado di donare salvezza a chi è afflitto da sensi di colpa e inadeguatezza. Egli è infatti in grado di scrutare nelle profondità del cuore delle persone che hanno in comune con lui lo stesso disagio.
“Voglio conoscere gli esseri umani”
La conoscenza dell'animo umano è il fulcro di ogni cosa. La società fa dell'omologazione la propria forza e l'essere umano è portato a nascondere la propria personalità pur di sopravvivere e sentirsi accettato, creando al contempo un senso di malessere interiore che seppellito nel profondo evita ogni tipo di sofferenza. L'unica salvezza è dunque indossare una maschera, la maschera pirandelliana, che aiuta a non indagare sul proprio "io".
E se, a un certo punto, arrivasse qualcuno in grado di scrutare i sentimenti dimenticati, lasciati a marcire nell'angolo della coscienza, che accadrebbe? Come potrebbero mai apparire gli esseri umani, a chi possiede gli occhi della verità?
In questo senso Nakoshi si fa portatore di verità per quelle persone che hanno avuto i suoi stessi traumi e si portano dietro i suoi stessi sensi di colpa. Facendo emergere la frustrazione, egli libera l'animo riportandolo alla luce, curando piano piano sé stesso e riuscendo a colmare anche la vuotezza del suo cuore.
“Questo mondo è una comoda illusione creata dal cervello.”
Nel mondo però non c'è salvezza per tutti e strappare via la maschera con forza porta alla follia; l'anima si circonda di illusioni in grado di isolarla e alleviare le sofferenze.
La ricerca spasmodica del proprio "io", quindi, è il rovescio della medaglia: se ci si concentra troppo su sé stessi e sui propri desideri, si perde la percezione del mondo e di chi lo vive al proprio fianco; si cerca di trovare a tutti i costi il portatore di verità assoluta, ma ci si dimentica che lo si potrebbe essere per qualcun altro. In questo contesto si inserisce perfettamente il personaggio di Manabu, che ossessionato dal capire sé stesso, ha perso completamente la percezione di cosa e chi lo circonda, vedendo in Nakoshi l'unica salvezza. Ma non c'è via di fuga: non si può pretendere di essere guardati, se prima non ci si sforza di guardare l'altro.
I lettori 'puristi' del manga potrebbero storcere il naso in quanto la sceneggiatura del film si prende molte licenze narrative, riscrivendo la storia e dando vita a nuovi personaggi come Chihiro, interpretata da una magnifica Yukino Kishii (Monte Cristo Haku Karei Naru Fukushu, Watashi-tachi wa Dōka Shiteiru, Tengoku to Jigoku: Psycho na 2nin), mentre il ruolo di Nanako è relegato a un mero ricordo.
Anche le figure maschili trovano un riadattamento nella trasposizione cinematografica, infatti i due uomini sono al contempo protagonisti e coprotagonisti, e i due ruoli si fondono per poi lasciarsi nuovamente.
Gō Ayano (Ryo Urushibara in Crows Zero 2, Kurofuku-ichi in Gantz, Satō in Ajin: Demi-Human) è bravissimo nel creare un Nakoshi vuoto, disperso e incapace di riappacificarsi con sé stesso, ma in grado di trasmettere empatia con lo spettatore. Ryō Narita (Shunpei Haitani in Code Blue 3, Junichi Sakura in Ningen Shikkaku 2019, Wataru Imagase in Kyuso wa Cheese no Yume wo Miru) è altrettanto bravo nei panni un Manabu strambo e ossessionato, quasi disgustoso, dipendente dagli altri ma allo stesso tempo egoista. I due attori danzano sullo schermo creando un duo indissolubile, nessuno dei due potrebbe esistere senza l'altro.
La sceneggiatura, tuttavia, in alcuni passaggi risulta poco chiara e poco fluida poiché non riesce a sostenere lo scambio di ruoli dei personaggi, mancando di spiegazioni e generando alcuni buchi in cui lo spettatore si perde.
Il film non si vuole fare trasposizione fedele del manga e dà una chiave di lettura meno annichilente, seppur ad esso affine e con gli stessi punti di riflessione.
Grazie a un'ambientazione ben curata, dai toni cupi e alle musiche presenti quanto basta per trasmettere un senso di schiacciamento, si avverte perfettamente lo stesso grado di oppressione e claustrofobia dell’opera originale.
Homunculus è la storia di un uomo che ha perso il suo passato e le sue emozioni, che vive nella sua adorata Mazda Carol 360 bianca perché è diventato un clochard. Un uomo, Susumu Nakoshi, che non ha ben chiaro quale sia il suo posto del mondo poiché non conosce davvero sé stesso. L'opportunità di tornare a respirare gli viene data da Manabu Ito, studente di neurologia, che gli propone una trapanazione al cranio grazie alla quale Nakoshi potrebbe riuscire a trovare quello che cerca. Il senzatetto, costretto dalle circostanze, accetta con ovvia riluttanza.
La trapanazione del cranio è una pratica le cui origini risalgono già presso i popoli neolitici e, sopravvissuta durante il medioevo e il rinascimento, negli anni '60 ha trovato nuova linfa grazie a Bart Huges e Amanda Feilding, i quali erano convinti che procurando un foro nel cranio, il cervello potesse ossigenarsi meglio fornendo così al paziente maggiori capacità cognitive.
Nakoshi, con l'apertura del terzo occhio, l'occhio dell'anima, acquista la capacità di vedere gli homunculus, ovvero la trasposizione, in chiave grottesca e tangibile, delle paure e dei turbamenti dell'animo di ognuno. Se però il primo impatto con la nuova realtà lo sconvolge, presto Nakoshi capisce che la sua capacità può essere in grado di donare salvezza a chi è afflitto da sensi di colpa e inadeguatezza. Egli è infatti in grado di scrutare nelle profondità del cuore delle persone che hanno in comune con lui lo stesso disagio.
“Voglio conoscere gli esseri umani”
La conoscenza dell'animo umano è il fulcro di ogni cosa. La società fa dell'omologazione la propria forza e l'essere umano è portato a nascondere la propria personalità pur di sopravvivere e sentirsi accettato, creando al contempo un senso di malessere interiore che seppellito nel profondo evita ogni tipo di sofferenza. L'unica salvezza è dunque indossare una maschera, la maschera pirandelliana, che aiuta a non indagare sul proprio "io".
E se, a un certo punto, arrivasse qualcuno in grado di scrutare i sentimenti dimenticati, lasciati a marcire nell'angolo della coscienza, che accadrebbe? Come potrebbero mai apparire gli esseri umani, a chi possiede gli occhi della verità?
In questo senso Nakoshi si fa portatore di verità per quelle persone che hanno avuto i suoi stessi traumi e si portano dietro i suoi stessi sensi di colpa. Facendo emergere la frustrazione, egli libera l'animo riportandolo alla luce, curando piano piano sé stesso e riuscendo a colmare anche la vuotezza del suo cuore.
“Questo mondo è una comoda illusione creata dal cervello.”
Nel mondo però non c'è salvezza per tutti e strappare via la maschera con forza porta alla follia; l'anima si circonda di illusioni in grado di isolarla e alleviare le sofferenze.
La ricerca spasmodica del proprio "io", quindi, è il rovescio della medaglia: se ci si concentra troppo su sé stessi e sui propri desideri, si perde la percezione del mondo e di chi lo vive al proprio fianco; si cerca di trovare a tutti i costi il portatore di verità assoluta, ma ci si dimentica che lo si potrebbe essere per qualcun altro. In questo contesto si inserisce perfettamente il personaggio di Manabu, che ossessionato dal capire sé stesso, ha perso completamente la percezione di cosa e chi lo circonda, vedendo in Nakoshi l'unica salvezza. Ma non c'è via di fuga: non si può pretendere di essere guardati, se prima non ci si sforza di guardare l'altro.
“E' quando guardi l'altra persona che puoi creare il mondo”
Anche le figure maschili trovano un riadattamento nella trasposizione cinematografica, infatti i due uomini sono al contempo protagonisti e coprotagonisti, e i due ruoli si fondono per poi lasciarsi nuovamente.
Gō Ayano (Ryo Urushibara in Crows Zero 2, Kurofuku-ichi in Gantz, Satō in Ajin: Demi-Human) è bravissimo nel creare un Nakoshi vuoto, disperso e incapace di riappacificarsi con sé stesso, ma in grado di trasmettere empatia con lo spettatore. Ryō Narita (Shunpei Haitani in Code Blue 3, Junichi Sakura in Ningen Shikkaku 2019, Wataru Imagase in Kyuso wa Cheese no Yume wo Miru) è altrettanto bravo nei panni un Manabu strambo e ossessionato, quasi disgustoso, dipendente dagli altri ma allo stesso tempo egoista. I due attori danzano sullo schermo creando un duo indissolubile, nessuno dei due potrebbe esistere senza l'altro.
La sceneggiatura, tuttavia, in alcuni passaggi risulta poco chiara e poco fluida poiché non riesce a sostenere lo scambio di ruoli dei personaggi, mancando di spiegazioni e generando alcuni buchi in cui lo spettatore si perde.
Il film non si vuole fare trasposizione fedele del manga e dà una chiave di lettura meno annichilente, seppur ad esso affine e con gli stessi punti di riflessione.
Grazie a un'ambientazione ben curata, dai toni cupi e alle musiche presenti quanto basta per trasmettere un senso di schiacciamento, si avverte perfettamente lo stesso grado di oppressione e claustrofobia dell’opera originale.
Netflix ci gratifica regalandoci, a pochi giorni dall'uscita nei cinema nipponici, avvenuta il 2 Aprile del 2021, un film nel complesso ben congegnato che vuole far riflettere lasciandosi alle spalle il fatalismo dell'opera originaria. Homunculus è dunque un film fruibile da tutti, anche da chi non ha letto il manga, che gode di una vita propria ma che porta con sé lo stesso malessere.
Personalmente, nonostante alcuni passaggi siano risultati un po' oscuri, ho preferito questo adattamento proprio perché (forse) c'è una luce in fondo al tunnel.
Personalmente, nonostante alcuni passaggi siano risultati un po' oscuri, ho preferito questo adattamento proprio perché (forse) c'è una luce in fondo al tunnel.
Pro
- Non perde niente dello spirito del manga
- Gō Ayano e Ryō Narita
Contro
- Sceneggiatura con qualche buco
- I fan puristi potrebbero storcere il naso di fronte a certe scelte nell'adattamento
L'importante è approcciarsi all'opera sapendo che il mezzo è diverso dall'originale e quindi non è possibile fare la stessa identica storia. Una volta accettato questo, l'unica cosa che conta è una storia ben scritta.
Senza fare spoiler mi limiterò a dire che ho trovato alcune scene della parte finale veramente brutte e fin poco credibili.
Molto bravi invece gli attori principali che non conoscevo.
Solo sub al momento.
Bello per una serata, ma Miike è un'altra cosa (e direi anche grazie al ca).
Instant drop. La versione Walt disney se la possono tenere.
E la Terra è piatta
E allora faremo la setta dei recensori estinti 👍
Il film non l'ho visto e il manga lo conosco solo di fama; il film non credo purtroppo sia qualcosa che riuscirei a reggere come visione, e devo dire che la cosa mi turba e rattrista parecchio perché intuisco che Ayano e Narita hanno qui offerto delle performance notevoli di cui non posso che rallegrarmi. Non sono stupita per nessuno dei due, dei quali già ho potuto notare la valenza in altre opere, ma piango sapendo che non me li potrò godere in questo film forse mai, sigh T_T
L'ultima recensione che abbiamo dedicato a un titolo live action di Netflix risale al mese di dicembre 2020; quella ancora precedente al mese di settembre 2019. Quindi è un tipo di "ogni giorno" che intendiamo di maniera diversa, io temo.
Proverò sicuramente a dare un'occhiata al live action. Poi considerando che il film in due ore deve adattare 15 volumi del manga, dò quasi per scontato che ci siano mancanze e buchi.
Oltre quello che ha detto ZettaiLara sopra di me ma "grosso calo di visite"? Ti garantisco che sei fuori strada e di parecchio pure
E' senz'altro possibile che sia vero che il film sia inferiore al manga in questo caso, ma il "come al solito" non può essere considerato una verità assoluta. Esistono film che sono dei veri gioielli, pur con delle differenze rispetto alle opere originali (penso a Fune wo Amu o Se i gatti scomparissero dal mondo, per fare due esempi 'banali', ma anche il sempre e solito Rurouni Kenshin). Esistono film che persino migliorano il manga originale (penso ad un manga 'sciocchino' come Bugie d'Amore, il film ne è una trasposizione assai migliore sotto praticamente tutti i punti di vista).
Esistono drama che a volte non sono neanche paragonabili (in quanto capolavori) all'adattamento anime di un manga o romanzo originale, come nel caso di Ikebukuro West Gate Park, dove è stato semmai l'orrido anime a 'rovinare' ogni possibile fascino che una persona avrebbe potuto serbare per la storia originale (ma di questo non parla mai nessuno, ad esempio).
E poi sì, esistono i film che nel trasporre perdono tanto o troppo del manga, è indubbio che esistono. Ma non esistono di certo solo quelli.
Peraltro, come ben spiega l'autrice di questa recensione, il film offre una via diversa, e ci può essere chi apprezza maggiormente quest'ultima rispetto al manga.
Il "come al solito," pertanto, non ha ragione di esistere come affermazione assoluta, di questo bisogna esserne ben consci.
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