Il folklore giapponese permea spesso le opere che leggiamo o vediamo. Spesso sono raffigurate adorabili vecchine che si trasformano presto o tardi in terrificanti oni o ancora peggio donne bellissime e aggraziate si rivelano essere demoni dall'aspetto mostruoso.
In questi casi ci troviamo di fronte alla Yama-uba, figura femminile spesso al centro di molte leggende, signora delle montagne, vista come una divinità, un'orchessa o addirittura una strega. Dipinta da molti artisti giapponesi del periodo Edô in varie forme, ritratta come una madre amorevole o uno youkai, come una giovane donna o una persona anziana, ha per questo anche molti nomi: Yamauba, Yamamba, Yamanba, Yamahime, Yamahaha. Scopriamone assieme le origini.
Yama-uba si presenta principalmente in due modi radicalmente diversi: o è ritratta come un personaggio odioso, cannibale, anziano oppure come una donna particolarmente bella, giovane e gentile, con lunghi capelli scuri, una sorta di archetipo della donna saggia. La sua descrizione può variare anche a seconda delle traduzioni e delle regioni, rendendola così una creatura ancora più mitica.
Queste discrepanze possono essere dovute anche alle differenze fra le varie epoche in cui è stata ritratta: le convinzioni, i problemi, i timori popolari, gli interessi cambiano e così anche i miti e le leggende. Resta comune invece il fatto che l'immagine di una donna che vive sola immersa nella natura, indipendente e un po' "rozza" generi le peggiori paure tra le culture di tutto il mondo.
Fondamentalmente le Yama-uba sono vecchie streghe che abitano le montagne e le foreste giapponesi. Un tempo esseri umani, ora sono state corrotte e trasformate in mostri. Di solito appaiono come vecchie signore gentili, senza alcun segno della loro natura malvagia fino a quando non attaccano, mostrando così corna o zanne che tenevano celate.
Spesso vivono da sole in casupole lungo la strada e offrono riparo, cibo e un letto per la notte ai viaggiatori stanchi. Ma quando i loro ospiti dormono profondamente, si trasformano e cercano di mangiarli, usando potenti magie. Quei pochi viaggiatori che sono riusciti a sfuggire alle loro grinfie hanno tramandato il racconto delle loro disavventure diventate poi favole della buonanotte per incutere timore nei bambini disobbedienti.
Altre leggende invece raccontano di una donna incinta che, sulla strada per il suo villaggio, è costretta a dare alla luce il figlio in una vecchia capanna sulle montagne, assistita da un'anziana donna del luogo. Ma la vecchia è una Yama-uba e perciò divora il piccolo appena nato.
Secondo un altro racconto, la vecchia strega è colei che crescerà l'orfano Kintarō, eroe guerriero del folklore giapponese. Altrove la Yama-uba è descritta come una futakuchi-onna, ovvero una donna con una bocca sulla nuca nascosta dai capelli, oppure come una donna maledetta che ha come unica debolezza un fiore segreto che contiene la sua anima.
In altri casi si dice che le Yama-uba siano giovani donne accusate di crimini o azioni malvagie che fuggono e decidono di vivere in esilio, trasformandosi gradualmente nel corso degli anni man mano che invecchiano. In altri casi la loro origine può essere dovuta a carestie o difficoltà economiche; se è impossibile sfamare tutti i membri di un nucleo familiare, spesso si è costretti a compiere una scelta tanto difficile quanto crudele: abbandonare un membro della famiglia in modo che gli altri possano sopravvivere.
Spesso la scelta ricade sui neonati o sugli anziani. Le nonne lasciate nel profondo dei boschi a morire si trasformano così per rabbia o per disperazione in orribili mostri che si nutrono di esseri umani e praticano la magia nera.
Una figura così leggendaria e così presente ha ispirato moltissimi autori: ad esempio la Yama-uba è la protagonista di un'opera teatrale Nō dal titolo "Yama-uba, la dama delle montagne" di Komparu Zenchiku. Qui è descritta come "la fata delle montagne, di cui si prende cura dall'inizio del mondo. Le copre di neve d'inverno, di fiori in primavera... È molto vecchia. I capelli bianchi e selvaggi le ricadono sulle spalle; il suo viso è molto sottile."
L'opera racconta di una cortigiana della Capitale che danzando rappresentava le peregrinazioni di Yama-uba. Aveva avuto un tale successo che le persone chiamavano questa cortigiana Yama-uba anche se il suo vero nome era Hyakuma. Una sera mentre Hyakuma è in viaggio per visitare il Tempio Zenko a Shinano, accetta l'ospitalità di una donna che si rivela essere nientemeno che la vera Yama-uba.
Hearn Lafcadio la descrive con lunghi capelli arruffati bianchi dorati e con indosso un kimono sporco e lacero:
"Poi [essi] videro la Yama-Uba, l'Infermiera della Montagna. La leggenda dice che cattura i bambini piccoli e li allatta per un po' e poi li divora. La Yama-Uba non si aggrappò a noi, perché le sue mani erano occupate da un bel ragazzino, che stava per mangiare. Il bambino era meravigliosamente carino. Lo spettro, che si librava nell'aria sopra una tomba a una certa distanza... non aveva occhi; i suoi lunghi capelli pendevano sciolti; la sua veste bianca fluttuava leggera come fumo."
Mentre alcuni pittori del periodo Edô raffigurarono la Yama-uba proprio com'era descritta dalle leggende, l'artista Kitagawa Utamaro la dipinse invece come una semplice madre amorevole. Con la sua serie di dipinti "Yama-uba e Kintarô" cambiò totalmente la percezione di questa figura, facendola diventare una divinità gentile che nutre e si prende cura di suo figlio.
Questa donna eremita è raffigurata con i codici di bellezza del periodo Edô, cioè con lunghi capelli neri e carnagione chiara. Nella sua stampa "Yama-uba no kami o tsukamu Kintarô" ("La divinità Yama-uba che cattura Kintarô"), realizzata tra il 1801 e il 1806, è vestita con un kimono e ha appunto una lunga capigliatura corvina.
Il suo viso ovale, le sue sopracciglia disegnate di nero, la sua carnagione bianca sono tipiche dell'estetica pittorica giapponese ma anche della bellezza dell'epoca, così come il suo naso lungo e i suoi denti di colore nero. Solo i capelli leggermente spettinati e arruffati evocano la personalità feroce del personaggio. Sebbene siano disordinati, sono dipinti in modo fluido, incorniciando un viso morbido ed enfatizzando così il carattere benevolo della divinità. Kitagawa Utamaro resta però un caso piuttosto unico.
Nel XVIII secolo troviamo rappresentata Yama-uba come la dea della montagna seduta e appoggiata con il mento su un bastone, vecchia e brutta, praticamente già caduta nell'aldilà. Questa immagine di una donna anziana seduta, avvizzita e appoggiata a un bastone è ripresa da Sawaki Suushi nel 1737.
Qui Yama-uba è sull'orlo di un precipizio, in montagna ed è vestita di foglie di quercia. In queste due rappresentazioni, Yama-uba è lontana dall'esprimere poteri soprannaturali e dalla sua immagine di cannibale.
Fu il famoso Katsushika Hokusai, nel 1830, a dipingerla come una divinità mescolata ad un demone: un volto composto da Hannya, una donna che si trasforma in un demone per gelosia, e da Yama-uba, un demone che mangia i bambini portati sulle montagne. Rappresentata con corna e zanne, sorridente e beffarda, indica la testa mozzata di un bambino. Le mani sembrano affette da artrosi e i capelli sono spettinati. Per mano di Hokusai quindi la Yama-uba acquisisce definitivamente la sua immagine di mostro terrificante e temuto.
La leggenda della strega di montagna è ancora fonte di ispirazione per la moderna cultura pop. Il pokemon Jynx sarebbe direttamente ispirato al personaggio di Yama-uba. Senza dimenticare le varie streghe dei film di Miyazaki, una su tutte la famosissima Yubaba di La Città Incantata. Ancora oggi, i genitori giapponesi usano questo mito della strega cattiva per spaventare i loro figli e farsi ubbidire.
Fonte consultata:
Japanization
YokaiFandom
In questi casi ci troviamo di fronte alla Yama-uba, figura femminile spesso al centro di molte leggende, signora delle montagne, vista come una divinità, un'orchessa o addirittura una strega. Dipinta da molti artisti giapponesi del periodo Edô in varie forme, ritratta come una madre amorevole o uno youkai, come una giovane donna o una persona anziana, ha per questo anche molti nomi: Yamauba, Yamamba, Yamanba, Yamahime, Yamahaha. Scopriamone assieme le origini.
Yama-uba si presenta principalmente in due modi radicalmente diversi: o è ritratta come un personaggio odioso, cannibale, anziano oppure come una donna particolarmente bella, giovane e gentile, con lunghi capelli scuri, una sorta di archetipo della donna saggia. La sua descrizione può variare anche a seconda delle traduzioni e delle regioni, rendendola così una creatura ancora più mitica.
Queste discrepanze possono essere dovute anche alle differenze fra le varie epoche in cui è stata ritratta: le convinzioni, i problemi, i timori popolari, gli interessi cambiano e così anche i miti e le leggende. Resta comune invece il fatto che l'immagine di una donna che vive sola immersa nella natura, indipendente e un po' "rozza" generi le peggiori paure tra le culture di tutto il mondo.
Fondamentalmente le Yama-uba sono vecchie streghe che abitano le montagne e le foreste giapponesi. Un tempo esseri umani, ora sono state corrotte e trasformate in mostri. Di solito appaiono come vecchie signore gentili, senza alcun segno della loro natura malvagia fino a quando non attaccano, mostrando così corna o zanne che tenevano celate.
Spesso vivono da sole in casupole lungo la strada e offrono riparo, cibo e un letto per la notte ai viaggiatori stanchi. Ma quando i loro ospiti dormono profondamente, si trasformano e cercano di mangiarli, usando potenti magie. Quei pochi viaggiatori che sono riusciti a sfuggire alle loro grinfie hanno tramandato il racconto delle loro disavventure diventate poi favole della buonanotte per incutere timore nei bambini disobbedienti.
Altre leggende invece raccontano di una donna incinta che, sulla strada per il suo villaggio, è costretta a dare alla luce il figlio in una vecchia capanna sulle montagne, assistita da un'anziana donna del luogo. Ma la vecchia è una Yama-uba e perciò divora il piccolo appena nato.
Secondo un altro racconto, la vecchia strega è colei che crescerà l'orfano Kintarō, eroe guerriero del folklore giapponese. Altrove la Yama-uba è descritta come una futakuchi-onna, ovvero una donna con una bocca sulla nuca nascosta dai capelli, oppure come una donna maledetta che ha come unica debolezza un fiore segreto che contiene la sua anima.
In altri casi si dice che le Yama-uba siano giovani donne accusate di crimini o azioni malvagie che fuggono e decidono di vivere in esilio, trasformandosi gradualmente nel corso degli anni man mano che invecchiano. In altri casi la loro origine può essere dovuta a carestie o difficoltà economiche; se è impossibile sfamare tutti i membri di un nucleo familiare, spesso si è costretti a compiere una scelta tanto difficile quanto crudele: abbandonare un membro della famiglia in modo che gli altri possano sopravvivere.
Spesso la scelta ricade sui neonati o sugli anziani. Le nonne lasciate nel profondo dei boschi a morire si trasformano così per rabbia o per disperazione in orribili mostri che si nutrono di esseri umani e praticano la magia nera.
Una figura così leggendaria e così presente ha ispirato moltissimi autori: ad esempio la Yama-uba è la protagonista di un'opera teatrale Nō dal titolo "Yama-uba, la dama delle montagne" di Komparu Zenchiku. Qui è descritta come "la fata delle montagne, di cui si prende cura dall'inizio del mondo. Le copre di neve d'inverno, di fiori in primavera... È molto vecchia. I capelli bianchi e selvaggi le ricadono sulle spalle; il suo viso è molto sottile."
L'opera racconta di una cortigiana della Capitale che danzando rappresentava le peregrinazioni di Yama-uba. Aveva avuto un tale successo che le persone chiamavano questa cortigiana Yama-uba anche se il suo vero nome era Hyakuma. Una sera mentre Hyakuma è in viaggio per visitare il Tempio Zenko a Shinano, accetta l'ospitalità di una donna che si rivela essere nientemeno che la vera Yama-uba.
Hearn Lafcadio la descrive con lunghi capelli arruffati bianchi dorati e con indosso un kimono sporco e lacero:
"Poi [essi] videro la Yama-Uba, l'Infermiera della Montagna. La leggenda dice che cattura i bambini piccoli e li allatta per un po' e poi li divora. La Yama-Uba non si aggrappò a noi, perché le sue mani erano occupate da un bel ragazzino, che stava per mangiare. Il bambino era meravigliosamente carino. Lo spettro, che si librava nell'aria sopra una tomba a una certa distanza... non aveva occhi; i suoi lunghi capelli pendevano sciolti; la sua veste bianca fluttuava leggera come fumo."
Mentre alcuni pittori del periodo Edô raffigurarono la Yama-uba proprio com'era descritta dalle leggende, l'artista Kitagawa Utamaro la dipinse invece come una semplice madre amorevole. Con la sua serie di dipinti "Yama-uba e Kintarô" cambiò totalmente la percezione di questa figura, facendola diventare una divinità gentile che nutre e si prende cura di suo figlio.
Questa donna eremita è raffigurata con i codici di bellezza del periodo Edô, cioè con lunghi capelli neri e carnagione chiara. Nella sua stampa "Yama-uba no kami o tsukamu Kintarô" ("La divinità Yama-uba che cattura Kintarô"), realizzata tra il 1801 e il 1806, è vestita con un kimono e ha appunto una lunga capigliatura corvina.
Il suo viso ovale, le sue sopracciglia disegnate di nero, la sua carnagione bianca sono tipiche dell'estetica pittorica giapponese ma anche della bellezza dell'epoca, così come il suo naso lungo e i suoi denti di colore nero. Solo i capelli leggermente spettinati e arruffati evocano la personalità feroce del personaggio. Sebbene siano disordinati, sono dipinti in modo fluido, incorniciando un viso morbido ed enfatizzando così il carattere benevolo della divinità. Kitagawa Utamaro resta però un caso piuttosto unico.
Nel XVIII secolo troviamo rappresentata Yama-uba come la dea della montagna seduta e appoggiata con il mento su un bastone, vecchia e brutta, praticamente già caduta nell'aldilà. Questa immagine di una donna anziana seduta, avvizzita e appoggiata a un bastone è ripresa da Sawaki Suushi nel 1737.
Qui Yama-uba è sull'orlo di un precipizio, in montagna ed è vestita di foglie di quercia. In queste due rappresentazioni, Yama-uba è lontana dall'esprimere poteri soprannaturali e dalla sua immagine di cannibale.
Fu il famoso Katsushika Hokusai, nel 1830, a dipingerla come una divinità mescolata ad un demone: un volto composto da Hannya, una donna che si trasforma in un demone per gelosia, e da Yama-uba, un demone che mangia i bambini portati sulle montagne. Rappresentata con corna e zanne, sorridente e beffarda, indica la testa mozzata di un bambino. Le mani sembrano affette da artrosi e i capelli sono spettinati. Per mano di Hokusai quindi la Yama-uba acquisisce definitivamente la sua immagine di mostro terrificante e temuto.
La leggenda della strega di montagna è ancora fonte di ispirazione per la moderna cultura pop. Il pokemon Jynx sarebbe direttamente ispirato al personaggio di Yama-uba. Senza dimenticare le varie streghe dei film di Miyazaki, una su tutte la famosissima Yubaba di La Città Incantata. Ancora oggi, i genitori giapponesi usano questo mito della strega cattiva per spaventare i loro figli e farsi ubbidire.
Fonte consultata:
Japanization
YokaiFandom
La figura della "strega", se così vogliamo chiamarla, si sviluppa in modo molto interessante, in alcuni casi quasi come una "protezione", vedi ad esempio l'abbandono da pare dei familiari...
Nel tempo ha preso effettivamente quasi la stessa concezione che abbiamo noi, concezione influenzata senza dubbio (come ben sottolineato da Ninfea) dalla fiaba dei fratelli Grimm.
I canoni di bellezza citati non possono non ricordami "Kaguya-hime no monogatari" o "La storia della principessa splendente" dove viene messo in evidenza in modo molto accurato questo aspetto culturale del passato.
In più, curioso come il folclore giapponese rimandi spesso alla figura della donna come portatrice di magia, non possono non venirmi in mente tutte le leggende che riguardano la figura delle Kitsune, ma forse in questo sono di parte! Ricordo un bell'articolo di qualche tempo fa.
Per concludere, sono d'accordo... Yubaba de "La città incantata" è senza dubbio il primo riferimento che viene in mente riguardante il mito nell'animazione moderna.
Bell'articolo e soprattutto molto interessante da leggere, l'unico difetto... troppo corto
GRazie Mille
Parlando di anime, la strega che più mi è piaciuta è Urasue di Inuyasha (quella che "resuscita" Kikyo). Anche se è solo una comparsa la sua rappresentazione in senso favolistico è perfetta e restituisce benissimo l'archetipo della stirpe di Ecate, da Medea a Baba Jaga.
Mi associo, grazie davvero
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