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Come piccola premessa, per restare in parallelismi “spaziali”, la condizione di Matsumoto mi sembra la stessa di quella di <i>Lucas</i>: le cose migliori nate dalle sue idee sono quelle in cui non ha messo mano. D’altronde la stessa postilla all’inizio di ogni episodio ribadisce che <i>The Endless Odyssey</i> è un Herlock versione Rintaro. E meno male. Con tutta la buona volontà di questo mondo, il primo Harlock degli anni ’70 sarà anche rimasto nella storia, e soprattutto nei ricordi nostalgici di coloro che, più o meno bambini allora, lo guardarono ai tempi delle trasmissioni italiane; ma a dargli un’occhiata oggigiorno risulta improponibile, sia ovviamente come aspetto grafico sia per molti dei suoi concetti.

Come sta messo l’<i>Endless Odyssey</i> del 2002? Be’, senza dubbio meglio. La fantascienza da barzelletta della serie storica qui lascia il posto a pesanti ingarbugliamenti astrofisici, tanto per dirne una. Il che vale alla nuova serie OAV ben più di un punto a favore, considerando che nello sci-fi, soprattutto in quello spaziale, un buon impianto scientifico conferisce solidità all’impianto narrativo. Certo, sono presenti sempre una buona dose d’immaginazione e molte licenze, tipo la bandiera svolazzante dell’Arcadia e il suo castello di poppa in legno, ma la coerenza di fondo e la “credibilità” della storia non ne risentono e nel tutto ogni pezzo s’assembla in maniera compiuta. Anzi, la serie garantisce pure una certa complessità nella comprensione in alcuni passaggi chiave, e molte teorie messe in mezzo possono risultare piuttosto affascinanti.

I temi trattati poi esulano dal pietismo, dal patetismo e da quella drammaticità stucchevole e didascalica cari al loro – dei fan – Leiji; nell’<i>Endless Odyssey</i>di posto per la pietà ce n’è ben poco, e in essa il pathos e il dramma, nonostante non siano a livelli considerevoli, vengono ricreati in modo più duro e anche “scomodo”. Gli assi portanti di tutto l’anime sono due: la paura e la volontà. La prima è un virus che s’insinua in ogni elemento gravitante entro il suo orizzonte. Ogni scheggia contagiata la propaga a sua volta in una spirale di terrore.
La volontà è l’unico scoglio su cui può impattare la paura. La volontà di cui è appunto personificazione Herlock. Un Herlock davvero cazzuto, cupo e spietato.

C’è da dire che senza Herlock come protagonista l’anime non sarebbe niente. Difatti i momenti in cui il Capitano non è in scena, e quegli episodi nei quali viene messo da parte per cause varie ed eventuali, non hanno un granché di appeal, e nemmeno molto senso. È Herlock che tiene su tutto il baraccone con il suo carisma e il suo magnetismo – grande parte in ciò ha la profondissima voce di D’Errico. Gli altri personaggi, su tutti Tadashi, Irita e Yattaran, sono sì ben caratterizzati, anche se in generale l’approfondimento psicologico non è stato tra le priorità di Rintaro, ma il gap della loro rispetto alla presenza scenica di Herlock è gigante. Comunque non ci sono personaggi sgradevoli o fastidiosi, almeno non come tratteggio comportamentale e tipologico.

Non si può dire tuttavia lo stesso per quanto riguarda l’aspetto fisico della maggior parte dei comprimari o delle comparse. Ok, quello è lo stile di Matsumoto, piacerà a lui e a chi gli va appresso. Ma nell’anime la maggior parte dei tizi somigliano a oranghi, altri paiono scimpanzé un po’ “impicassiti” o patate, e molti ancora sono macrocefali o riportano deformità da riempirci un catalogo degli orrori. Per farla breve, nell’anime i personaggi con un aspetto gradevole si contano sulle dita delle mani, tutti gli altri sono mostriciattoli con diversi gradi di ripugnanza. Così una domanda sorge spontanea: “Siccome la versione è di Rintaro, non si poteva fare qualcosa anche per il chara?”.

Ma sto divagando spinto dal disgusto del mio senso estetico. Tornando perciò alla serie, a proposito di estetica, l’<i>Endless Odyssey</i> si difende bene, anche se con qualche riserva, sotto la maggior parte degli aspetti tecnici. I disegni, dalla qualità medio-alta tenuta costante lungo tutto, o quasi, l’arco degli episodi, vengono mossi da animazioni sicure, forse a tratti un po’ parsimoniose, ma ben gestite. Notevole è l’effetto della parallasse prospettica differenziale: non si trova di certo in tutti gli anime, anzi.
Da parte loro, il mecha e soprattutto i fondali partono benissimo, ma poi perdono per strada parte dell’ispirazione iniziale. Gli scenari si fanno via via più spogli e “frettolosi” e mancano della ricchezza di dettagli e della potenza visiva di quelli delle prime puntate. Un piccolo colpo di coda lo dà il finale, con la visualizzazione dell’interno della Nebulosa Clessidra e della dimensione dagli spin invertiti. Stessa cosa vale per il mecha: tutto si gioca al principio, con l’Arcadia e la nave ammiraglia di Irita, entrambe monumentali, le quali restano, con le loro componenti, i vertici di un design che poi non ha avuto cose altrettanto notevoli da mostrare. Piuttosto curati e vari appaiono gli interni delle astronavi, tra cui quello della Fata Morgana, la nave degli zombie, spicca per l’originale fusione tra tecnologia e rovine. Colpiscono d’altra parte pure alcuni ambienti dell’Arcadia, i quali in certi frangenti sembrano fare propria la lezione dell’<i>Alien</i> di <i>Ridley Scott</i>.

Il comparto video dell’<i>Endless Odyssey</i> vanta un accompagnamento musicale di spessore. Le tracce spaziano dall’orchestrale al blues: esemplificative da tale punto di vista sono l’opening e l’ending, la prima solenne e di ampio respiro, la seconda dalle tonalità più languide e sensuali. Sulla stessa falsariga si muove tutta l’OST, la quale sottolinea bene tutti i passaggi e le sfumature emozionali delle azioni. Inquietanti poi sono alcuni effetti sonori, come la voce di Noo, che riecheggia primordiale e terrificante dal non luogo della paura profonda.

Così l’<i>Endless Odyssey</i> di Rintaro ci restituisce una visione molto più originale, matura e moderna dell’Harlock di Matsumoto. Una visione fantascientifica contaminata da grandi dosi di mistero esoterico e con chiare venature horror. Certo, la serie deve essere presa per quella che è: non ha pretese di “altezza” in senso lato, né è esente da difetti strutturali, tra i quali uno dei più pesanti è la farraginosità nei ritmi narrativi, alquanto discontinui e dall’organizzazione non proprio “pensata”. Però l’<i>Endless Odyssey</i> resta in ogni caso un titolo interessante che offre dei buoni spunti, una storia densa, un impianto scenico di buon livello e, oltre a dei comprimari ben tratteggiati, un Herlock che, da solo, vale bene il prezzo del biglietto.