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A volte ci sono delle serie che passano e nessuno se ne accorge, che in mezzo al mare magnum della produzione animata nipponica finiscono per non ricevere attenzione, perché nel rumore dei titoli nuovi il loro non è così risonante o la pubblicità loro dedicata non è così ossessiva. Perché queste opere non fanno marketing e non fanno tendenza. Perché le contingenze che concorrono all’attenzione sono imperscrutabili.
<b>Bounen no Xamdou - Xam’d Lost Memories</b> è l’emblema di queste opere. Così in un 2009 che ha riservato dei buoni titoli, dei titoli anche interessanti, ma niente di veramente entusiasmante – qualcosa che sia in grado di far scendere anche una lacrima –, nessuno o quasi si è accorto di lui. Ed è un’ingiustizia che non merita, non merita assolutamente.

Innanzitutto per il livello della sua realizzazione tecnica (<b>Studio Bones</b>), la quale è molto più vicina a quella di un lungometraggio piuttosto che a una di una serie televisiva, o almeno di quelle che si è visto uscire ultimamente anche dai grandi studi di produzione. Il primo episodio è sbalorditivo non soltanto per la fluidità, per la precisa naturalezza e per la sovrabbondanza delle animazioni; non solo per la pulizia, per le proporzioni e per la costanza dei disegni e per l’eleganza e per l’elaborazione del character design (<i>Ayumi Kurashima</i>); ma pure perché a questi si uniscono colori limpidissimi, effettivi visivi di grandissimo impatto scenico, luci e atmosfere vivide e un dettaglio dei particolari, delle ambientazioni e dei fondali che ha tanto il sapore dello <b>Studio Ghibli</b>. Inoltre si notano una fotografia semplice, ma in grado di riservare al momento opportuno dei tocchi pregevolissimi; un taglio delle inquadrature studiato e un ritmo vorticoso e incessante.
Ovviamente dal terzo episodio in poi ci sono un piccolo e comprensibile calo e qualche sbavatura qua e là, soprattutto registica e relativa al fatto che alla direzione si alternano, sotto la supervisione del regista unico <i>Masayuki Miyaii</i>, diverse figure. Tuttavia lo standard visivo si mantiene sempre unitario e su livelli d’eccellenza fino all’impennata finale mozzafiato.

In secondo luogo la storia è originale, fantastica nel senso proprio della parola, ambientata in un mondo ambiguo, dove la tecnologia e il magico si mescolano, dove sono presenti eserciti di mecha ed eserciti di esseri dalle forme stravaganti definiti umanoidi. Un mondo dove si legano diverse regioni, etnie e sette, e dove il conflitto è la presenza perenne e lo sfondo di infiniti misteri e culti ed entità i cui nomi sono l’unica attestazione della loro esistenza. L’intreccio strutturato in tale scenario presenta una varietà di personaggi, di luoghi, di suggestioni e di azione molto più che notevole, e i suoi sviluppi, sino alla fine, restano imprevedibili e coinvolgenti.
La narrazione è portata avanti dapprima in modo funambolico, poi la velocità si abbassa giustamente, si riprende fiato, si è già coinvolti perché la mole degli elementi tirati in ballo fin da subito è enorme, e il viaggio iniziato procede con costanza ma incessante alternando, forse a volte con qualche pecca di arsi, gli eventi, gli incontri e le diramazioni della trama con eccellente cadenza. Il percorso dei protagonisti acquista un respiro ampio, giungendo a un climax finale densissimo, dove tutte le vicende convergono con prepotenza, trovando soluzioni anche tragiche – un finale di grandissima potenza emotiva.

In aggiunta, a sottolineare l’apparato globale dell’opera accorrono le musiche di <i>Michiru Oshima</i>, le quali giocano il ruolo determinante nell’esaltare ogni elemento sopracitato e sono arrangiante in modo ottimo, perfettamente in tono con lo spirito evocativo e immaginifico che permea <b>Bounen no Xamdou</b>.
Introdotti dalle sonorità trascinanti della <a href="http://www.youtube.com/watch?v=qVk4hgt11nU">sigla</a> dei <i>Boom Boom Satellites</i>, in cui le immagini si combinano, con effetti sorprendenti, alle note e ai colpi di grancassa, a ogni puntata si è lasciati da un’ending, <a href="http://www.youtube.com/watch?v=W63NsOqRklU"><i>Vacancy</i></a> di Kylee, struggente, la cui sovrapposizione di musica, parole e immagini, oltre a essere anche “significativa” nel contesto della trama, crea quella malinconia finale che lascia un senso di nostalgia per la conclusione di ciascun singolo episodio.

Infine, e mai fu più esatto il termine “dulcis in fundo”, il fulcro che dà l’anima a un’opera e le fa prendere vita in questa è addirittura ipertrofico. I protagonisti, perché <b>Xam’d</b> è un’opera corale, e i personaggi secondari, ma ognuno con una parte rilevante, sono in numero elevatissimo, e la cosa che lascia basiti è come in questa quantità trovi spazio l’accuratezza della delineazione di ognuno di essi. Ogni personaggio è a tuttotondo, possiede una propria personalità, definita e coerente, ognuna diversa, tutte però credibili e sincere, molte – quasi tutte – in conflitto, e i personaggi nella loro parte si approssimano tutti a un destino che li lega e collega come una rete.

Infatti, se inizialmente il plot sembra incentrato sul cambio improvviso di vita di Akiyuki, sul suo essere diventato in modo rocambolesco e involontario Xam’d, sulla sua scoperta del significato dell’Hiruko e su ciò che esso comporta, pian piano tutte le figure troveranno il loro spazio nell’affresco generale. C’è la storia di Nakiami, della sua conoscenza degli Xam’d, del suo animo, della sua separazione da Akiyuki dopo essersi presa cura di lui e del viaggio a ritroso verso i luoghi natali e verso il passato abbandonato che diventano centrali. C’è l’equipaggio della nave postale – cui lei appartiene e di cui entra a far parte Akiyuki – del quale qualunque membro, partendo da Akushiba e finendo con Yumbo, è a suo modo indimenticabile. Ci sono Raigyo, che piomba nel gruppo cui è unito da un filo pregresso, e il capitano Ishu, che ricorda in molte cose la Balalaika di <b>Black Lagoon</b>, figura di donna dura atipica, filosofica, senza compromessi, dalle frasi incisive e indimenticabile. Ci sono Furuichi e Haru, i due ex compagni di Akiyuki che, in seguito all’allontanamento di quest’ultimo, cambieranno rotta alle proprie vite e saranno, il primo, il responsabile di un colpo di scena eclatante e, la seconda, la chiave di volta di due nodi fondamentali della trama. (Inoltre Haru è la protagonista attorno alla quale ruotano tutte le vicende relative all’isola di Sentan).

Tuttavia i personaggi sono tantissimi e tutti meriterebbero di essere citati, da Fusa e da Ryuuzou-sensei, con la loro vicenda familiare, al comandate Kagisu e alla sua segretaria Sukkaki; dalla sorella di Nakiami a quella di Haru; dal piccolo Yango a Teshin-sama; da Sannova ai vari diffusori dei semi dell’Hiruko; per non parlare di Zeygend, il sacerdote che appare verso la fine della serie. Ognuno è unico, ognuno resta dentro, indimenticabile. In loro, nelle loro esperienze, in quello che vivono, nel mondo in cui vivono, si palesano il continuo rapportarsi alla separazione, il significato del diverso e dell’identità, il senso che possono avere un sacrificio, una vita, la memoria. Attraverso quello che passano emerge il bisogno di una vicinanza, una qualsiasi, anche quella di un nemico, che non ci faccia sprofondare nella solitudine e dimenticare noi stessi. Emerge la necessità di un sentimento, sia esso amore o odio, che ci faccia sentire vivi mediante lo sforzo di prendere posto nel mondo e di capire quale sia quel posto, e il bisogno di trovare qualcuno con cui affrontare, sostenendosi a vicenda, la via dell’esistenza, qualcuno che possa definire per antitesi chi siamo.

Quanti sono i personaggi, ancora di più sono i contenuti che permeano in modo più o meno velato il dipanarsi ricchissimo della trama, e malgrado l’azione sia spesso prorompente essi non sono mai esposti esplicitamente né portati per bocca, ma passano quasi per osmosi, e alla fine ci si accorge di quanto è successo e di quanto era in esso contenuto. Tuttavia l’epilogo della serie è, per contrasto con l’arsi carica al massimo grado di eventi e di tensione che lo precede, di grandissima delicatezza e di malinconia senza fine.
Per tutto ciò, tu che leggi e hai avuto la santa pazienza di arrivare fino a qui nonostante la mia prolissità estenuante, le faresti un grande torto a lasciarla passare come un’opera qualsiasi nel mare delle serie qualunque, e perderesti tanto. Non solo perché <b>Bounen no Xamdou</b> è la serie del 2009, o perché è una serie grandissima in assoluto: per tutto questo e anche per un’altra cosa, legata alla mia insensibilità.
Perché molti episodi sono riusciti a farmi piangere, e ogni episodio è riuscito a emozionarmi, e questo non è poco, credimi, anzi, è tantissimo.