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Un nome noto, inciso a chiare lettere nel firmamento della fumettistica e dell'animazione orientali, la maestosa eco di Arsenio Lupin III risulta sempre chiara e limpida, pur dopo decadi, il formarsi di sempre nuove generazioni di spettatori e i cambiamenti nei gusti estetici.
Ciò che ci si trova ora a valutare non è una prosecuzione in continuità con lo spirito delle ultime opere degli anni '80 dedicate al celeberrimo ladro, s'avvicina ben più alla prima serie o, ancora, alla stessa opera cartacea di Monkey Punch, nondimeno non rinuncia a marcar bene la propria originalità rispetto a queste, in un pericoloso gioco ossimorico fra istanze lontane e vicine alla sensibilità contemporanea: la perfetta ricetta per farsi detestare dal pigro pubblico odierno, tanto avverso ai cimeli storici e ancor più agli sperimentalismi, e questa è cosa che alla coraggiosa opera in esame non può che fare estremo onore.

Dunque, quale originalità fa emergere quest'opera rispetto alla pur sempre eccellente tradizione che la precede? Certamente non la figura della perennemente affascinante Fujiko in veste di protagonista, cosa che agli effetti non accade strettamente. Si ha soltanto la sua preponderanza sugli altri personaggi, ma affatto la centralità scenica. E' piuttosto il suo essere il nodo attorno a cui tutte le vicende s'imbastiscono e gravitano ad alterare pesantemente la condizione del precedentemente trio di fuorilegge e il loro prender posto in scena: i personaggi vengono introdotti l'un l'altro in un'ipotetica prima volta, il loro relazionarsi sarà fortemente conflittuale e solo Lupin e Jigen giungeranno a unire le forze per obiettivi comuni, ben lungi dalle articolate e mirabolanti rapine che insieme a Goemon venivano pianificate in passato.
I caratteri, per tutta conseguenza, risultano mutati, più diffidenti e cinici, meno scanzonati, un tocco di classe che, seppur interdica chiunque, per quanto poco possa essere nostalgico, avvicina l'opera al tenore della prima serie del '71.

E in tutto questo la sempre splendida signorina Mine, anzi, forse mai così bella, nell'ostentata esaltazione della sua sensualità che il tratto del disegnatore compie. Non mi si fraintenda, non voglio qui attribuire meriti a quell'esecrabile e morboso amore per la sessualità spicciola che con il nome di fanservice impera su larghissima parte della produzione contemporanea.
Innegabilmente l'opera è costellata da tocchi d'erotismo sovente inutile, ma molto meno spesso di quanto la frustrazione iniziale possa far credere: il personaggio dell'avvenente truffatrice è infatti più che sensatamente legata a tale arma naturale, sulla quale costruisce la gran parte dei suoi piani.

La serie, con piena aderenza alla tradizione di cui porta il nome, è costruita sopra episodi autoconclusivi e svincolati (eccetto nella chiusa finale), sebbene siano ben evidenti tre archi, distinti per approccio narrativo: i primi episodi, d'introduzione per ogni singolo personaggio del trio storico e per il vecchio - ma sarebbe meglio dire nuovo - Zazà, il corpo centrale di avventure miscellanee e infine gli ultimi capitoli, a concludere il leitmotiv dell'opera.
In ciò è inevitabilmente amaro constatare un deciso climax discendente, con il mordente dei primi episodi che va dissolvendosi, in una sceneggiatura altalenante, verso una più che ovvia conclusione; certo non si può biasimare troppo la produzione, se non nella scrittura del progetto, che si è trovata in perfetto scacco avvicinandosi all'epilogo, stretta fra l'alternativa di ridisegnare un ingombrante passato per la bella Fujiko, in netto contrasto con il mistero che avvolge l'intimità di ogni personaggio centrale della saga, o, per contro, la prevedibile conclusione.
A conti fatti, perdere un pezzo anziché l'intera partita è stata la scelta più saggia, ma in questo sono state decisamente sopite molte delle aspettative prima alimentate.
Non trovo nulla da eccepire sulla nuova caratterizzazione dei personaggi, meno spensierati, ma talvolta persino ridicolizzati (vedasi Goemon), un'interessante rivisitazione alternativa delle loro figure, seppure con taluni vistosi fallimenti, sopra a tutti l'introduzione di Oscar, figura le cui dubbie potenzialità non incidono sulla scena, facendogli agli effetti rubar tempo alle riprese.

Per ultimo, tanta è la sua evidenza che parlarne è fiato sprecato, il comparto grafico raggiunge vertici sommi, con uno splendido tratto grezzo e inattuale, fortemente evocativo e rétro, in grado di adattarsi con grande spontaneità sia ai tratti duri dei personaggi maschili sia alla grazia dell'avvenente eponima dell'opera.

Una serie per gli amanti di "Lupin", ma non troppo, che rischia di andare in conflitto sia con le meno audaci sensibilità moderne sia con i più severi puristi del genere.
In conclusione, se v'interessasse sapere chi sia "la donna chiamata Fujiko Mine", guardatevi la serie del '71, ma se volete godervi una piacevole rivisitazione in chiave moderna del pilastro dell'animazione che è "Lupin", eccovi il piatto bell'e servito.