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Ispirato al libro "Pictures letters from commander in chief", Letters from Hiwo Jima è il secondo capitolo del progetto di Clint Eastwood dedicato all'epica battaglia combattuta su uno scoglio arido e inospitale del Pacifico da soldati americani e giapponesi: una lotta cruenta che avrebbe segnato le sorti della II Guerra Mondiale.
Il film si contrappone al precedente Flags of our fathers con il quale forma un dittico asimmetrico ma speculare. In entrambe le pellicole i toni sono dominati dalla pietas e dalla compassione per le innumerevoli vittime sacrificate sull'altare della ragion di stato e dell'ottusa logica militare. Del resto le affinità finiscono qui perché siamo di fronte a due opere per altri versi molto differenti. Il regista applica un coraggioso ribaltamento di prospettiva, abbandona la messa in scena spettacolare e un po' eccessiva del primo film, in cui si analizzava criticamente il meccanismo distorto e fagocitante della propaganda (la leggendaria foto scattata ai marines che innalzano lo stars and stripes sul monte Surubachi), per immergersi nell'atmosfera composta, intensa e drammatica del secondo film, che chiude il cerchio e racconta lo stesso episodio storico dal punto di vista nipponico. In Flags il coraggio e l'onore diventano strumento mediatico su scala macroscopica; in Letters, attraverso il filo rosso delle lettere dei soldati imperiali ai loro cari, si osserva il rapporto intimo ed esistenziale con la morte onorevole, in un ottica di rigido patriottismo ed etica kamikaze a sancire il carattere premeditatamente sacrificale di quella battaglia. Inoltre, alle ardite panoramiche di grande respiro di Flags fanno da contraltare gli spazi chiusi e claustrofobici di Letters.
Eastwood delinea le figure del suo teatro bellico con assoluto rigore, sottraendo alla guerra le sue ragioni per lasciar emerger, in contro luce, le ragioni degli uomini, che da ambo le parti finiscono per confondersi risultando molto simili, quando non identiche: le lettere dei nipponici differiscono poco da quelle degli americani, così come non bisogna pensare che il Male sia schierato solo da una delle due parti.
La vicenda ci narra dello scontro impari in cui gli statunitensi (equipaggiati molto meglio) sovrastano in numero gli orientali in proporzione di 5 a 1, e, nonostante l'evidente superiorità, le forze dello zio Sam impiegarono ben più dei cinque giorni stimati per impadronirsi dell'isola: l'irriducibile coraggio e abnegazione dei 20.000 soldati giapponesi (se ne salvarono poco più di mille) contribuì in parte alla decisione definitiva sull'uso dell'atomica.
La follia e l'insensatezza della guerra è tratteggiata in tutte le sue gamme di grigio, grazie ad una fotografia desaturata e monocromatica, salvo sporadici lampi di giallo/arancio (per il fuoco) e squarci di rosso (per il sangue). La toccante sceneggiatura, scritta a quattro mani da Iris Yamashita e dal premio oscar Paul Haggis (Crash), ci restituisce dei ritratti intensissimi e grondanti umanità, che Eastwood dipinge efficacemente ricorrendo a un massiccio uso del flashback. Nel cast spicca l'interpretazione del protagonista Ken Wtanabe nei panni del comandante assegnato alla difesa dell'isola con l'immane compito di resistere il più a lungo possibile. La sua è una figura sfumata nei dettagli e complessa, divisa tra l'appartenenza al credo imperiale e una cultura di più ampio respiro. E' a questo personaggio, con la sua dignità e il suo spessore morale, che il regista affida il compito di lanciare un messaggio che non scade mai in atteggiamenti predicatori.
Senza ipocrisie Eastwood lascia i dialoghi originali in giapponese ma non rinuncia del tutto al suo punto di vista di yankee, non a caso i portatori di vera pietas, e che hanno cognizione di ciò che sta intorno a loro accadendo, sono proprio il comandante e il barone, ovvero gli unici che parlano inglese, essendo stati negli USA, e che conoscono lo stile di vita americano.
A otto anni di distanza dal capolavoro panteistico e metafisico La sottile linea rossa di Terence Malick, Clint Eastwood torna a rivisitare l'inferno delle battaglie nel Pacifico con un film denso e toccante, un poema lucido e dolente che si fa al contempo fiction, documentario storico e profonda coscienza morale, in altre parole Cinema con la "C" maiuscola.