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Avete mai ascoltato la voce del mondo?
Star Driver, nel caso in cui sia per voi un'occasione mancata, è una serie abbastanza sicura sul come sia possibile farlo.

Ho a lungo cercato, ultimamente, un prodotto che potesse intrattenermi, attanagliandomi il petto. I risultati sono - finalmente - stati positivi. Il segreto dell'anime sta nel gioco di ciò che è detto e ciò che non lo è. La serie, infatti, si veste di diversi strati narrativi, in cui la ricerca di un'unica macrotrama immediata, che porti avanti la storia stessa, farebbe lasciar sfiorire tutte le bellezze che Star Driver vuole seminare.

Andando con ordine, siamo su un'isola a forma di croce in cui, da generazioni, vi sono quattro sacerdotesse che governano la dimensione denominata Zero Jikan, ossia "Tempo Zero"; esse devono preservare l'ordine poiché è in esso che dimora un robot umanoide che non deve essere in alcun modo liberato. A seguito di eventi che vengono alla luce diversi anni prima dell'epoca in cui è ambientata la storia, si fa avanti un gruppo di persone riunite dall'intento di debellare le barriere che intrappolano il robot; essi per questo vanno alla ricerca delle sacerdotesse, le quali non possono abbandonare l'isola, e incappano in Wako, sacerdotessa del Sud. La quale, nel giorno precedente, ha incontrato un misterioso ragazzo arrivato da lontano, a nuoto, fino all'isola.

Taluni potrebbero chiamarlo "prodotto impazzito". Io lo definirei piuttosto un prodotto veramente interessante. Ciò su cui si costruisce la serie è una base decisamente fumosa: catapultati a bruciapelo, senza alcuna introduzione di sorta, farebbe perdere la bussola a chiunque del progetto non conosca alcun dettaglio. Il ritmo ripetitivo di una parte della storia è solo una maschera del vero canovaccio; il ciclo, lo schema fisso di cui si serve puntualmente la trama viene sfruttato per mostrare un certo tipo d'interazione tra i personaggi altrimenti non riproducibile. Tra battaglie che hanno visivamente del mirabile, scene retoriche, spezzoni narrativi intensi e comici intrecciati, la regia di Takuya Igarashi ("Soul Eater") fa lo stesso effetto, ma, in qualche modo, tale processo si manifesta con un'eleganza e un trasporto incredibili.

Nella danza a cui si presta la sceneggiatura piombano personaggi e altri escono dalla scena, quasi ciclicamente - ed è proprio questo il fenomeno che va assecondato nella giusta inquadratura. Per essere più chiaro: tra luci e arpeggi di storia non v'è un filo conduttore o una tela su cui scivolare sicuri. A dirla tutta, la sequenza degli eventi è gestita in maniera magistrale, seppur a livello contenutistico soffra dell'assenza, talvolta, di un nesso consistente che conduca da uno sviluppo della storia fino all'altro. Si deduce che quindi giudicarla negativamente per questo sarebbe poco significativo, poiché essa non ha mai lasciato trapelare l'intento di voler spiccare il volo con una narrazione fitta. Al più, la serie utilizza come proprio trampolino di lancio non la storia in sé, quanto la capacità di raccontarne una. E allo stesso tempo di intrecciarne altre dieci, di ricollegarle sullo scorrere di una e sulla fine di un'altra e, ancora, di farne germogliare una nuova sulla conclusione di quella precedente.
Sia quindi chiaro che, in fondo, la storia non rimane incompleta; si tratta solo di fare ordine, avendo preso coscienza di tutti gli elementi lanciati in campo. È per questo che suggerisco una seconda visione, col senno di poi.

Vengono disposti sulla scena di Star Driver personaggi differenti, la cui caratterizzazione va dinamicamente prendendo forme diverse, il più delle volte in maniera inaspettata, ma comunque non innaturale (e, quindi, collegata a delle vicende, talvolta psicologiche, che gli stessi personaggi hanno modo di vivere). Abbinata a una schiera numerosa di volti differenti vi è, sapientemente gestito, il gioco di regia: ciò che è detto, ciò che non è detto, ciò che viene mostrato; gli stacchi, le musiche che ci fanno scivolare da una scena all'altra, la scelta di momenti retorico-metaforici velati. Assistiamo a un uso veramente cosciente e profondo di escamotage(s) tecnico-registici che permettono di ricreare ambienti e situazioni suggestive e acute.

Per citarne un esempio, vi è la storia di Sam, narrata tramite l'espediente narrativo della cornice interna; una simil-leggenda che due personaggi si raccontano e portano avanti, e che si lega indirettamente alle vicende passate e future della storia.
O, ancora, in tutt'altra prospettiva, si potrebbero evidenziare diversi avvenimenti poco chiari, di cui si fa inizialmente fatica ad afferrare la logica, che grazie alla progressione delle differenti storie assumono in un secondo momento uno spessore maggiore, ma soprattutto un significato nuovo. Portare avanti la visione ci fa rivalutare spesso ciò che abbiamo visto addietro, rendendo maggiormente intrigante il percorso. Ci troviamo senza dubbio di fronte a un'opera complessa, i cui tasselli vanno distribuiti in nuove collocazioni con cura e attenzione dopo la visione.

Il punto più debole va individuato nei personaggi. In sostanza, in alcuni momenti la loro caratterizzazione raggiunge il grottesco: li si porta all'estremo, e oltre, quand'anche non ce n'è motivo razionale. Ciò viene controbilanciato dall'interesse che, di riflesso, altri personaggi esercitano sullo spettatore. Alcune sequenze dialogiche, che sono quindi direttamente connesse ai personaggi, hanno dell'arcano, del penetrante. Sanno essere veramente, insomma, romantiche, nell'accezione più antica del termine.

Tecnicamente non ha che da essere invidiato. Soprattutto se si conta che è una produzione appartenente all'annata del 2010. A partire dal character design di Yoshiyuki Ito ("Space Dandy", "Soul Eater", "Fullmetal Alchemist"), alle inquadrature e ai tagli della fotografia, impeccabili, fino alle musiche, tendenti all'orchestrale, di Satoru Kousaki ("Monogatari Series", "OreImo", "Lucky Star", "Haruhi Suzumiya").
L'apparato tecnico è dunque sicuro e costante, e anche la parte che accompagna quella visiva si fa - letteralmente - sentire, gradevolissima, intensissima, che raggiunge apici difficilmente replicabili con la Vocal "Monochrome". Senza la stessa sfera musicale la serie non sarebbe stata altrettanto brillante.

"Nessuno in questo mondo sconosciuto freme nell'attesa di una nuova alba. La luce, di cui la galassia ci farà risplendere, ci manterrà connessi ovunque andremo."

Si potrebbe proprio definire Star Driver una serie musicale. Un anime che, come per un musicista affermato, sia uno spartito originale e tremendamente armonioso, trasognante. Un grande brano, a cavallo tra l'onirico e il profondo, la cui incisione difficilmente andrà via dalla memoria. Anzi, il cui marchio difficilmente abbandonerà il mio petto, per rimaner in tema.
Ma quest'ultimo spezzone potrete capirlo solo intraprendendo il viaggio di venticinque episodi che è Star Driver. Così come è stato per Sam, l'infilza-calamari.

Avete mai ascoltato la voce del mondo?
Star Driver afferma, lungo la scia delle proprie scene, che solo quando ciò che vogliamo fare e ciò che dobbiamo fare coincidono riusciremo a sentire quella voce.

«Così il ragazzo si innamorò.
Proprio così. Si innamorò in modo passionale e travolgente della ragazza incontrata sulla spiaggia.»
«Che bella. Una storia d'amore, eh? Mi piacciono. Dov'è accaduto?»
«Era... Sul pianeta dei pesci. Il ragazzo era un giovane pescatore, ed il suo nome era... Che ne dici di Sam?»
«Sam. Mi piace.»