Recensione
Una lettera per Momo
8.0/10
Recensione di Kabutomaru
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Sono passati ben tredici anni da quel capolavoro di "Jin-Roh: Uomini e Lupi", quando finalmente Hiroyuki Okiura ha deciso di interrompere la sua pausa dalla regia di un film per realizzare "Una Lettera per Momo". Ci si ritrova innanzi a un film molto più personale rispetto alla precedente pellicola, visto che la mano di Mamoru Oshii era ben evidente, mentre con quest'opera Okiura riversa tutto sé stesso, curandone anche il soggetto, la sceneggiatura, il character design e lo storyboard. Il regista con questa pellicola doveva dimostrare agli scettici che l'opera precedente fosse di notevole spessore anche per via del suo talento registico e non solo per l'apporto determinante di Oshii. Il film, uscito nelle sale Giapponesi a inizio del 2012, è stato portato nel nostro Paese dalla Dynit, che si interessa sempre più pellicole d'animazione cinematografiche.
La storia è di una semplicità estrema: Momo Miyaura è una timida ragazzina di undici anni che ha da poco perso il padre, con il quale aveva litigato prima del tragico evento. Tutto ciò che le resta del defunto genitore è una lettera incompiuta le cui uniche parole sono "Cara Momo". La ragazza, trasferitasi con la madre in una nuova casa nell'isola di Shio per ricominciare una nuova vita, trova in soffitta un libro antico e improvvisamente intorno a lei cominciano a succedere strani eventi di natura soprannaturale.
Nonostante una costante per tutta la durata della pellicola sia un'atmosfera malinconica, ci si ritrova innanzi a un'opera molto più solare e allegra rispetto alla cupezza che permeava il precedente film del regista. Okiura, pur infondendo nella pellicola alcuni elementi tipici del suo stile, decide di distaccarsi nettamente dai film pessimistici e tristi in cui non solo aveva lavorato come regista, ma anche come direttore dell'animazione. Il regista decide di mettere in scena il conflitto tra genitori e figli, toccando il tema in modo apparentemente leggero, ma al contempo incisivo e schietto.
Momo è una ragazzina che a soli undici anni ha perso qualunque parvenza di felicità, chiudendosi in una totale, quanto dolorosa, solitudine interiore. La ragazza rifiuta ogni tentativo di socializzare e di creare un benché minimo legame con qualcuno, trattando tutte le persone che la circondano in modo freddo, poiché egoisticamente crede che sia solo lei a soffrire della perdita del padre, con il quale non potrà mai più scusarsi del pesante litigio avvenuto prima che morisse. Ikuku, madre di Momo, cerca con sorrisi forzati di far sì che non sia successo niente, portandosi l'intero dolore sulle proprie spalle, non conscia che in questo modo attira su di sé l'odio della figlia, con la quale avrà numerose discussioni e litigi.
Una storia molto delicata quanto al contempo leggera, ma capace comunque di veicolare un messaggio molto maturo, nonostante il target di riferimento per stessa ammissione del regista siano i bambini. Nonostante l'impostazione da slice of life per quasi tutta la durata del film (circa due ore), Okiura ha l'idea di inserire un elemento fantastico, tramite le figure dei tre demoni che hanno il compito di vigilare su Momo e Ikuku, nell'attesa che il padre della ragazza possa raggiungere l'aldilà per provvedervi personalmente. Grazie a questi simpatici mostri, avremo modo di scoprire il lato più solare e positivo di Momo, anche grazie a qualche siparietto comico divertente.
Nonostante "Una Lettera per Momo" sia un prodotto semplice e leggero, ci sono voluti ben sette anni per realizzarlo. La forza del film non risiede assolutamente nella trama (alla stesura della quale, se Okiura ci avrà dedicato un paio di giorni è già tanto), ma nell'uso sapiente ed efficace della regia. Un occhio esperto noterà subito come nell'intera pellicola non vi sia una sola inquadratura buttata via, ma tutte quante hanno una ragion d'essere, così che il cinefilo possa percepire come Okiura abbia dedicato giorni interi prima di preparare una singola scena.
Il marchio di fabbrica dell'autore lo si riconosce nei primi piani dove si focalizza sulla testa abbassata di Momo, la quale, con i suoi occhi strabici e persi nel vuoto, sembra essere alla ricerca di una risposta che non riesce a trovare. Chi non si interessa di queste sottigliezze cinematografiche potrà comunque essere ammaliato per tutte le due ore di film dalle splendide animazioni, nonché dallo splendido comparto grafico, semplice, ma pulsante freschezza da ogni poro, accompagnato dai magnifici quanto dettagliati fondali dell'isola di Shio con tutti i suoi elementi moderni (supermarket zeppi di roba e ponti) e rurali (le case e le coltivazioni sulla collina). Da segnalare inoltre la fotografia di Tanaka, che vira su colori crepuscolari tendenti al giallo ocra e all'arancione chiaro, nel sottolineare il triste stato d'animo di Momo, per poi virare nel lieto finale su colori più luminosi.
Tirando le somme, "Una Lettera per Momo" risulta un fulgido esempio di come fare un film d'autore senza che esso sfoci nel "tre persone in una stanza che parlano dell'esistenza, la vita e la società" (i film di Oshii per esempio), che tanto sono idolatrati da gran parte della critica stagionata, ancora imperante al giorno d'oggi. Un'opera leggera, semplice, fresca, non originale certo, ma che risulta di sicuro ben narrata, con un ritmo molto sostenuto che ben si confà ai luoghi in cui è ambientata la storia.
Il film non è perfetto, visto qualche calo di continuità nella seconda parte del film, un paio di raccordi di montaggio per niente convincenti e soprattutto i dieci minuti sulla collina, girati con una regia da manuale, ma risultanti dei veri e propri filler inutili all'interno della pellicola, oltre che mostrare una povertà di idee su piano realizzativo. In sostanza, Okiura confeziona un lungometraggio fruibile da tutte le tipologie di spettatori, ad appannaggio anche di coloro che provano avversione verso il cinema d'autore.
La storia è di una semplicità estrema: Momo Miyaura è una timida ragazzina di undici anni che ha da poco perso il padre, con il quale aveva litigato prima del tragico evento. Tutto ciò che le resta del defunto genitore è una lettera incompiuta le cui uniche parole sono "Cara Momo". La ragazza, trasferitasi con la madre in una nuova casa nell'isola di Shio per ricominciare una nuova vita, trova in soffitta un libro antico e improvvisamente intorno a lei cominciano a succedere strani eventi di natura soprannaturale.
Nonostante una costante per tutta la durata della pellicola sia un'atmosfera malinconica, ci si ritrova innanzi a un'opera molto più solare e allegra rispetto alla cupezza che permeava il precedente film del regista. Okiura, pur infondendo nella pellicola alcuni elementi tipici del suo stile, decide di distaccarsi nettamente dai film pessimistici e tristi in cui non solo aveva lavorato come regista, ma anche come direttore dell'animazione. Il regista decide di mettere in scena il conflitto tra genitori e figli, toccando il tema in modo apparentemente leggero, ma al contempo incisivo e schietto.
Momo è una ragazzina che a soli undici anni ha perso qualunque parvenza di felicità, chiudendosi in una totale, quanto dolorosa, solitudine interiore. La ragazza rifiuta ogni tentativo di socializzare e di creare un benché minimo legame con qualcuno, trattando tutte le persone che la circondano in modo freddo, poiché egoisticamente crede che sia solo lei a soffrire della perdita del padre, con il quale non potrà mai più scusarsi del pesante litigio avvenuto prima che morisse. Ikuku, madre di Momo, cerca con sorrisi forzati di far sì che non sia successo niente, portandosi l'intero dolore sulle proprie spalle, non conscia che in questo modo attira su di sé l'odio della figlia, con la quale avrà numerose discussioni e litigi.
Una storia molto delicata quanto al contempo leggera, ma capace comunque di veicolare un messaggio molto maturo, nonostante il target di riferimento per stessa ammissione del regista siano i bambini. Nonostante l'impostazione da slice of life per quasi tutta la durata del film (circa due ore), Okiura ha l'idea di inserire un elemento fantastico, tramite le figure dei tre demoni che hanno il compito di vigilare su Momo e Ikuku, nell'attesa che il padre della ragazza possa raggiungere l'aldilà per provvedervi personalmente. Grazie a questi simpatici mostri, avremo modo di scoprire il lato più solare e positivo di Momo, anche grazie a qualche siparietto comico divertente.
Nonostante "Una Lettera per Momo" sia un prodotto semplice e leggero, ci sono voluti ben sette anni per realizzarlo. La forza del film non risiede assolutamente nella trama (alla stesura della quale, se Okiura ci avrà dedicato un paio di giorni è già tanto), ma nell'uso sapiente ed efficace della regia. Un occhio esperto noterà subito come nell'intera pellicola non vi sia una sola inquadratura buttata via, ma tutte quante hanno una ragion d'essere, così che il cinefilo possa percepire come Okiura abbia dedicato giorni interi prima di preparare una singola scena.
Il marchio di fabbrica dell'autore lo si riconosce nei primi piani dove si focalizza sulla testa abbassata di Momo, la quale, con i suoi occhi strabici e persi nel vuoto, sembra essere alla ricerca di una risposta che non riesce a trovare. Chi non si interessa di queste sottigliezze cinematografiche potrà comunque essere ammaliato per tutte le due ore di film dalle splendide animazioni, nonché dallo splendido comparto grafico, semplice, ma pulsante freschezza da ogni poro, accompagnato dai magnifici quanto dettagliati fondali dell'isola di Shio con tutti i suoi elementi moderni (supermarket zeppi di roba e ponti) e rurali (le case e le coltivazioni sulla collina). Da segnalare inoltre la fotografia di Tanaka, che vira su colori crepuscolari tendenti al giallo ocra e all'arancione chiaro, nel sottolineare il triste stato d'animo di Momo, per poi virare nel lieto finale su colori più luminosi.
Tirando le somme, "Una Lettera per Momo" risulta un fulgido esempio di come fare un film d'autore senza che esso sfoci nel "tre persone in una stanza che parlano dell'esistenza, la vita e la società" (i film di Oshii per esempio), che tanto sono idolatrati da gran parte della critica stagionata, ancora imperante al giorno d'oggi. Un'opera leggera, semplice, fresca, non originale certo, ma che risulta di sicuro ben narrata, con un ritmo molto sostenuto che ben si confà ai luoghi in cui è ambientata la storia.
Il film non è perfetto, visto qualche calo di continuità nella seconda parte del film, un paio di raccordi di montaggio per niente convincenti e soprattutto i dieci minuti sulla collina, girati con una regia da manuale, ma risultanti dei veri e propri filler inutili all'interno della pellicola, oltre che mostrare una povertà di idee su piano realizzativo. In sostanza, Okiura confeziona un lungometraggio fruibile da tutte le tipologie di spettatori, ad appannaggio anche di coloro che provano avversione verso il cinema d'autore.