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Quello che agli occhi di uno spettatore italiano potrebbe sembrare più uno scioglilingua che non il titolo di un anime (ce ne sono di peggiori, d'accordo, ma quelli almeno li contraggono spesso in una parola sola, vedi "WataMote" o "OreImo"...), in realtà altri non è che la presentazione dei due veri protagonisti della storia: "La ragazza cucciolo del Sakurasou".
I veri protagonisti, infatti, sono proprio loro: da un lato, una splendida ragazza dal corpo statuario, la cui assoluta mancanza di un qualsivoglia senso pratico e capacità di vivere come una persona "normale" è giustificata unicamente dall'inarrivabile genialità artistica del suo cervello; dall'altro, uno studentato che rimanda romanticamente ai fiori di ciliegio, il "Sakurasou", dove vengono parcheggiati tutti quegli studenti che, come appunto la protagonista Mashiro, hanno un talento e un quoziente intellettivo troppo oltre le normali capacità umane, tali da essere considerati un pericolo in grado di turbare la tranquilla quiete pubblica di tutti gli altri studenti, quelli ordinari s'intende.

Già da questa presentazione, notiamo subito come il tema principale della storia sembra proprio essere "la diversità". Attenzione, non parliamo di diversità che potremmo definire "normale"; di storie che trattano i vari aspetti di questa macrotematica, come il razzismo, la disabilità, le menomazioni fisiche, l'omosessualità, la malattia, il pregiudizio e la discriminazione in generale, ne siamo pieni fin sopra al collo. Questa volta parliamo di qualcos'altro: la diversità di chi è lontano da noi perché è "migliore" di noi.
Non so se ci avete mai riflettuto a fondo: quante volte vi è capitato di "discriminare" una persona non perché la consideravate diversa (altro colore di pelle, altro orientamento sessuale, altra situazione sanitaria, eccetera) ma piuttosto perché volevate essere come lei? Per pura e semplice invidia, in sostanza? Se è vero che l'ignoranza è davvero beata, dovremmo dedurne che più una persona sia intelligente e abbia talento, più sia destinata a soffrire e a dover affrontare la solitudine, sempre più isolata da quelle persone che la odiano perché, nel suo essere così speciale, si trasforma in un efficace specchio per la loro mediocrità. E in effetti è proprio questo quello che succede, anche nella nostra realtà di tutti i giorni.

L'anime non si fa attendere nel presentarci una carrellata di personaggi uno più strambo dell'altro, che hanno tutti qualche qualità particolare che li fa spiccare rispetto agli studenti comuni: Misaki è una disegnatrice di anime dal talento superiore, nonché una ragazza dall'energia straordinaria e una videogiocatrice in grado di battere chiunque al mondo con una mano sola; Jin è un incredibile latin lover e uno sceneggiature di caratura superiore, per quanto sia ossessionato dal complesso di inferiorità nei confronti della simpatica Misaki; Ryunosuke è un genio assoluto dell'informatica e un programmatore talmente in gamba che sembra quasi naturale che abbia scelto la filosofia tipica dell'hikikomori come sua personale way of life.
Su tutti, la protagonista Mashiro viene presentata come una delle artiste contemporanee più talentuose di sempre, che solo una mente così tanto folle e stravagante poteva portare alla scelta di concentrare il suo impegno sulla creazione dei manga (anche se io qui ci vedo di brutto lo zampino dell'autore; non vi sembra un po' di parte essere un disegnatore di manga e creare una storia dove la protagonista preferisce accantonare l'arte per dedicarsi ai manga? Sono un recensore malizioso, lo ammetto).
Proprio in mezzo a questa gabbia di matti vediamo spiccare un ragazzo che, paradossalmente, ha come miglior talento proprio quello di "non avere talenti" e risulta essere il personaggio principale della storia in virtù di questa sua "diversità" dal mondo che lo circonda. Del resto, se vivi in un mondo di geni o di pazzi e sei una persona normale, quello "strano" sarai tu, non certo loro.
Sorata (che non è un poco felice insulto all'altrui consanguinea in dialetto pugliese, ma semplicemente il nome del nostro protagonista) viene infatti spedito in questo dormitorio di menti geniali e fuori dal mondo non perché anche lui sia provvisto del loro stesso cervello, ma semplicemente perché a essere speciale, più che la sua testa, è il suo cuore: il ragazzo accoglie nella sua stanza del dormitorio ordinario dei gatti randagi, perché non riesce a ignorare la loro sofferenza nell'essere stati abbandonati alla strada. Peccato che nel posto in cui sta sia assolutamente vietato portare gatti e compagnia bella, motivo per cui il direttore lo metterà di fronte a una scelta: o tu ti liberi dei gatti, oppure noi ci liberiamo di te. Il che tradotto, significa se non butti fuori i micini a calci nel posteriore, ti spediamo dritto dritto al Sakurasou.
Così Sorata fa la sua scelta, e sarà questa scelta a far risaltare la vera forza della sua personalità: sceglie il Sakurasou. Antepone, almeno temporaneamente, la felicità dei gatti (cioè, gli altri) alla sua. Sarà questo il leitmotiv da cui poi si snoderà tutta la trama.
Ecco allora il vero talento che distinguerà Sorata da tutti gli altri personaggi: un cuore d'oro e quella capacità di adattarsi alle situazioni, in modo da supplire, con l'impegno e la forza di volontà, alla mancanza di quelle abilità fondamentali che normalmente servirebbero per avere successo in certe situazioni. Proprio questa caratteristica ci fa normalmente parteggiare per personaggi di questo tipo. Vi siete mai chiesti perché uno dei supereroi più amati di sempre sia Batman? Semplice: non ha superpoteri, il suo essere così forte e in gamba non deriva da qualche dono divino sceso dal cielo ma semplicemente dalla forza d'animo che gli ha permesso di diventare quello che è. Stesso discorso per un personaggio come Rock Lee di "Naruto", anch'esso considerato uno dei più simpatici e amabili proprio in virtù di quella sua straordinaria forza che si è sviluppata a dispetto della sua non conoscenza delle arti magiche, cose che invece tutti gli altri personaggi della serie hanno. Qui sta il punto: quello che è straordinario diventa banale, mentre il banale diventa straordinario.

Eppure Sorata, a dispetto del suo continuo lamentarsi di volersene andare, non ha davvero intenzione di lasciare il Sakurasou. Nel profondo del suo cuore si è ormai totalmente affezionato a quel nuovo gruppo di amici che considera un po' come la sua "famiglia" allargata. È diventato parte integrante di quel microcosmo sociale che l'ha accettato a dispetto della loro diversità, quando invece sono stati proprio quelli come lui a rifiutarlo. L'attesa nel trovare un padrone per i mici, quindi, non è altro che un pretesto e una banale scusa per rimandare a tempo indeterminato l'allontanamento da quel mondo di cui si è innamorato, ma di un amore che non ammetterebbe per nessuna ragione al mondo, né a sé stesso né agli altri.
Proprio per via della sua "normalità nella anormalità", il giovane protagonista viene scelto per diventare la nuova "balia" di una parente della sensei dello studentato. Questa parente è Mashiro, una ragazza che, come detto prima, si scoprirà essere una straordinaria pittrice, dotata di una capacità artistica e immaginativa al di fuori del comune, ma che proprio per questo risulta essere totalmente distaccata dal mondo che la circonda e non riesce nemmeno a compiere quelle che sono le azioni più semplici per un essere umano, come mettersi mutande, pantaloni e scarpe prima di uscire di casa. Forse qui gli autori hanno un pochino calcato la mano, ma che storia intrigante ne sarebbe uscita fuori, altrimenti? Del resto, non mi pare che nessuno si sia mai lamentato dello scarso realismo di questa situazione.

Quella che però poteva sembrare come una bizzarra e sotto sotto romantica storia di "comune assistenza" tra un ragazzo "normale" e una ragazza "anormale", tuttavia, verrà complicata da storie parallele come l'introduzione del personaggio di Rita, pittrice inglese che giungerà in Giappone per poi finire fin troppo coinvolta nell'intreccio della storia, oppure il complicato rapporto che lega con un filo rosso il destino di Jin con la giovane Misaki, conditi da riflessioni sul futuro e su come mantenere i rapporti nonostante le distanze.
Su queste storie, si ergerà poi la sofferta vicenda personale di Nanami Aoyama, uno dei personaggi chiave della vicenda e una ragazza dalla personalità forte racchiusa in un guscio fragile. Nanami, come Sorata, non possiede nessuna abilità particolare; ma se Sorata ha dalla sua quella capacità di sacrificarsi per gli altri pur di vederli felici, Nanami è dotata invece di una forza interiore semplicemente straordinaria. Anche lei riesce a sacrificare sé stessa, ma lo fa in nome di qualcosa di più grande, dei valori in cui crede e dell'obiettivo che ha deciso di raggiungere. Nanami sarà un tassello importante nella crescita personale del protagonista, un esempio da seguire per chiunque si senta abbattuto dalle avversità della vita, per quanto rifletta una concezione della vita molto giapponese che per certi versi è piuttosto distante dal modo di pensare occidentale, e italiano in particolare. E saranno proprio i sentimenti di Nanami, mai velati sin dall'inizio della vicenda, a costruire strade parallele a un intreccio che si rivelerà sempre più intrigante puntata dopo puntata.
Sarà Mashiro, tuttavia, la ragazza che, proprio grazie alla sua abilità nel vedere al di là delle apparenze, riuscirà a scalfire quella corazza che la società ha costruito intorno a Sorata, finendo per mettere il ragazzo a tu per tu con il suo vero io. Sorata scoprirà aspetti della sua personalità che ancora non conosceva; sia in negativo, come l'invidia e la rabbia nei confronti di chi riesce facilmente a fare cose per noi impossibili nonostante il nostro impegno, sia quella forza d'animo che gli permetterà di affrontare la vita con coraggio e di costruirsi da solo la propria strada verso il successo.

Sulla colonna sonora non ho granché da dire, mi è sembrata del tutto e per tutto negli standard. Normalmente tendo a ignorare le opening e le ending, ma ho apprezzato il fatto che in questa serie siano cambiate a metà stagione, per adattarsi al mood che i nuovi avvenimenti stavano prospettando sull'anime. Carina la seconda ending, dalla melodia pacata e decisamente rilassante, per quanto comunque un po' infantile.
Unico appunto sul tema sonoro principale, la bellissima "Days of Dash": non mi riferisco qui alla versione standard ma piuttosto al suo arrangiamento con il pianoforte, che ne fa in assoluto una delle colonne sonore più dolcemente malinconiche che abbia mai ascoltato uscir fuori da quei tasti in avorio.

Adesso mi vedo costretto a introdurre un paragrafo con degli spoiler per poter completare la mia analisi sull'opera; se non avete ancora visto l'anime, vi consiglio di rimandare almeno la lettura di questo paragrafo. Se volete potete saltare al paragrafo finale, che conclude la recensione ed è "quasi" senza spoiler; fate vobis.
Non mi capacito della scelta finale di Sorata. O meglio, me la sono spiegata in un modo che non era esattamente quello che speravo. Intendiamoci, che alla fine la sua relazione con Mashiro dovesse sfociare in qualcosa di romantico era chiaro come il sole ancor prima che i due si incontrassero, nella scena in cui il protagonista guarda la foto che gli era stata data dalla sua irriverente sensei. Eppure non sono riuscito a trovare una ragione che fosse "realmente" convincente per quella sua appassionata espressione di sentimentalismo prima del passaggio del treno (elemento tipico in questo genere di situazioni).
Certo, da un punto di vista puramente fisico-sessuale è perfettamente comprensibile come Sorata abbia completamente perso la testa per una ragazza che è ben più di quella che potremmo definire "una bella figliuola" (e infatti ancora non capisco perché non abbia mai considerato la carriera di modella oltre a quella di artista; probabilmente avrebbe guadagnato i miliardi, ma tant'è). Eppure, non so voi, ma io difficilmente credo che riuscirei mai a innamorarmi di una tizia che non conosce il significato della parola "bucato" e che fa il bluff di regalarmi un biscotto solo per poi mangiarselo lei; c'è un termine tecnico per definire una persona del genere, ma non mi sembra il caso di utilizzarlo in sede di recensione. Capisco che un effetto collaterale di una personalità così, ehm, "svampita", sia anche quello che la porta a "dimenticarsi" l'importanza delle mutandine o anche solo del semplice mettersi qualcosa addosso, cosa che potrebbe risultare piacevole per il mandrillo di turno che si troverà a farle da balia; eppure Sorata, secondo i noti dettami del più irrealistico stereotipo di protagonista dell'harem giapponese, non sembra affatto contento di questa situazione e nasconderà a stento il suo disagio anche quando sarà "costretto" ad abbracciare Mashiro durante un discorso sul sesso.
Quindi... Perché?
L'unica spiegazione plausibile che secondo me si può trovare in questa scelta, e mi duole parecchio dirlo, mi sembra essere nient'altro che la banale prosecuzione della trama, per la serie: "le cose dovevano andare così", senza un se e senza un ma. L'autore o chi per lui, a mio avviso, non solo non è riuscito a osare, ma non ha saputo nemmeno creare delle situazioni che, a dispetto delle resistenze dei protagonisti, facesse affiorare i loro sentimenti poco a poco. Al contrario: a me è parso che si sia perso un sacco di tempo utile nello sviscerarsi della narrazione sui sentimenti di Nanami, che guarda un po' sarà l'unica (a parte Miyahara) a rimanere sentimentalmente insoddisfatta alla fine, senza perdere occasione per dipingerla come la donna perfetta da sposare, ovvero quella matura che si fa un mazzo tanto per le cose in cui crede e che è disposta a rinunciare alla sua felicità pur di farti felice, in sostanza. I sentimenti di Mashiro, invece, sono sempre rimasti rinchiusi nel suo impenetrabile guscio emotivo, salvo poi esplodere solo nelle ultimissime puntate.
Perché sono esplosi, quei sentimenti? L'anime non lo spiega in maniera precisa. Lo lascia intendere nel corso degli episodi, fino ad arrivare a una Mashiro che si tocca il cuore e che si stupisce del sentimento d'amore che improvvisamente ha fatto capolino. Ma quella piega amorosa improvvisamente intrapresa dalla protagonista non mi sembra sia mai stata realmente introdotta in un qualche modo che fosse incontrovertibile. Poi non so, magari il cieco sono io, ma tant'è.

Questa è una cosa che mi dà fastidio, sinceramente. Rendermi conto che determinate scelte narrative non sono state dettate dagli avvenimenti in sé ma piuttosto da scelte fatte a monte e ricreate a tavolino dagli autori. Eppure, quella scena della dichiarazione al passaggio del treno emoziona, inevitabilmente. E parecchio anche. Da qui si deduce come l'impianto emotivo della storia sia davvero ottimo e riesca a rendersi intrigante pur a dispetto di quei banali stratagemmi narrativi che vengono inseriti quando non si sa bene che piega far prendere alla storia. Anche scene in episodi come quello del discorso di Misaki non fanno che ricalcare questo concetto; le parole emozionano chi le ascolta e strappano le lacrime in un modo fin troppo naturale, premendo sapientemente sulle giuste corde nell'animo del pubblico (chi ha detto "ti piace vincere facile?"). Persino questo concetto è diventato parte stessa della trama, quando l'emozionalità delle parole di Misaki vengono considerate come un espediente per impedire la chiusura del Sakurasou. Ma niente mi toglierà dalla testa che tutto questo candore e questi fiori di ciliegio che volano, in realtà, non siano altro che un modo come un altro per rimanere all'interno di quel rassicurante recinto a cui un'infinità di romanzi/film/cartoni/anime di ogni tipo ci hanno ormai abituati.
Una scelta troppo banale per un anime del genere, a mio avviso. E sarà forse per la legge del contrappasso che un espediente davvero scontato, quella di utilizzare il personaggio di Miyahara per riuscire a dare il contentino alla trama senza far piangere nessuno, alla fine sia stato gettato al vento invece di essere approfondito a dovere. L'ho trovato un po' paradossale, dato che io invece me lo stavo aspettando, vista la piega generale che stava ormai prendendo la storia.
E il finale, come nella miglior tradizione per gli anime di questo tipo, rimane aperto. Talmente aperto che molti, compreso il sottoscritto, considerano l'uscita di una seconda serie come qualcosa di quasi inevitabile. Ma anche se l'opera si fosse conclusa davvero così non sarebbe un male, in fondo; un nuovo ciclo che rinasce sulle ceneri di quello vecchio, e la vita che continua e va avanti nonostante tutte le avversità. Questo il messaggio che vuole trasmetterci il finale, un messaggio che potremmo fare nostro anche senza la promessa di una qualche continuazione.

"Sakurasou no Pet na Kanojo", in sostanza, aveva le carte in regola per poter osare giusto un pochino di più, per andare al di là dei ranghi imposti da una trama figlia della società dei buoni sentimenti. Non l'ha fatto, pazienza. Il risultato finale è ottimo lo stesso.
Insomma, se non ci fosse stata questa sensazione di "incompletezza", probabilmente avrei assegnato anche un bel 9 alla storia piuttosto che un "semplice" 8, perlomeno sempre rimanendo all'interno del suo genere di riferimento. Se i difetti di credibilità di quest'opera siano veniali o meno, saranno però le priorità dello spettatore a decretarlo. Per il resto, è un anime che a mio avviso andrebbe visto da chiunque sia rimasto attratto dalla sua trama o abbia voglia di una storia che sappia come conquistarlo per un po' di tempo.
Consigliato.