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Secondo dei lungometraggi tratti dal fortunato manga di Hitoshi Iwaaki, godibili sia dai fan della serie che dai neofiti. I due film mettono in luce ed enfatizzano la tematica ambientalista e le diverse declinazioni dell'amore: quello materno, quello tra due partner, la propensione umana al gesto altruistico.
Yamazaki non cede però a nessuna banalità nella descrizione del conflitto tra umani e parassiti: come in Miyazaki, che avrebbe voluto fare di "Parasyte" una propria versione animata, la lotta tra umani e resto dei viventi non giunge a una conclusione conciliante e irenistica. La lotta per la sopravvivenza comporta scelte spesso culminanti nel mors tua vita mea. Lo stesso protagonista Shinichi (magistralmente interpretato da Shota Sometani) si ritrova suo malgrado coinvolto in una lotta per la supremazia tra uomini e parassiti, all'interno della quale egli rappresenta una speranza di convivenza e di coesistenza. L'unicità del rapporto simbiotico con l'inquilino della sua mano destra (Migi) fa di lui il segno vivente che un diverso equilibrio tra umani e parassiti è possibile e auspicabile.
Con lo svilupparsi delle vicende, raccontate con sufficiente dettaglio (il film è ellittico rispetto alla trama originale solo in pochissimi punti), la visione stessa dei parassiti come creature infide e assassine muta: «Se esiste una creatura vivente simile al diavolo, questa è l'homo sapiens». Sono gli uomini a doverci andare piano coi parassiti, poiché questi ultimi sono creature fragili. La loro dipendenza dall'accoglienza degli uomini è totale.
Gli esseri umani, maestri quando si tratta di genocidi e massacri, diventano poco affidabili quando si tratta di costruire la pace. Ma è scritto: «Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».