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7.0/10
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La miniserie si apre con il ritorno della protagonista, Yuki, nella cittadina natale, non si capisce se in fuga dalla città per sua scelta o se per problemi avuti sul lavoro a causa del temperamento non proprio convenzionale, specie per una giapponese. Qui sostituirà la nonna, andata in pensione, come medico del penitenziario locale. Ciò inizialmente suscita l'apprezzamento dei detenuti, data la procacità della ragazza. Ben altra reazione (di moderato terrore) hanno coloro che la conoscono bene: in particolare, il più preoccupato di questo suo ritorno a casa è Tatsumi, l'amico d'infanzia che ora fa il poliziotto.

Yuki, infatti, è aggressiva, piccante e intraprendente, in un modo che ricorda fin troppo la Kaori di City Hunter. Addirittura, ad un certo punto, si fa coinvolgere in un caso di polizia, aiutando Tatsumi a risolverlo. Tra i due, infatti, c'è un rapporto abbastanza ambiguo, soprattutto per quanto riguarda i sentimenti di Tatsumi nei confronti della protagonista. Inutile dire che questi pochi elementi basterebbero a qualsiasi appassionato per capire che questo è un Hojo classico e, ahimè, un po' auto-indulgente.

L'opera è piacevole da leggere, ma rimane un puro svago. La qualità dei disegni e della narrazione è elevata, perché Hojo non sbaglia un colpo da questo punto di vista: il mio 7 è pertanto puramente tecnico, tanto più che il manga non è divertentissimo; al massimo si sorride come di fronte all'ennesima puntata/OAV "normale" di City Hunter in cui Ryo prende le sue belle martellate.

Il finale appare un po' brusco, e segna l'abbandono dell'opera che stava scivolando pericolosamente verso l'autoplagio: di Yuki-Kaori-Hitomi si è già detto, e pare superfluo parlare di Tatsumi-Toshio-Ryo. Lo stesso autore ha riconosciuto la propria insoddisfazione. Onestamente, se ci si arriva dopo aver letto l'escalation qualitativa Cat's Eye -> City Hunter -> Family Compo, c'è il rischio concreto di rimanere delusi. Comunque, chi ama Hojo come me, lo perdonerà senz'altro.