Recensione
"Quartieri lontani", o "In una lontana città" che dir si voglia, è un lavoro di Jiro Taniguchi dal quale mi aspettavo molto, ma molto di più.
L'autore è chiaramente quotato nel campo dei fumetti un po' seri, che ambiscono a qualcosa di più che far passare qualche mezz'ora di svago. Dovrebbero essere, quindi, dei fumetti che ti fanno pensare o emozionare di non facili e banali emozioni.
La cifra di quest'opera è fondamentalmente una riflessione sul tempo che passa. Capitano a tutti periodi in cui ci si ritrova a pensare che forse non sarebbe male riscrivere il proprio passato, specie se pieno di sbagli o di occasioni mancate. Con sfumature un po' kierkegaardiane (mi do un tono facendo il colto), il quarantottenne Nakahara sta perdendo il contatto da una realtà che, a causa delle decisioni prese durante la propria vita, è diversa da quella ideale che si immaginava quando era giovane. Questa fuga è metaforicamente rappresentata con il suo viaggio indietro nel tempo, con la temporanea illusione di poter cambiare ciò che si è stati, e quindi ciò che si è.
La malinconia nasce dall'accettazione del concetto che il tempo delle scelte implica la fine di quel tempo del possibile tipico dell'infanzia e dell'adolescenza, e che ciò è inevitabile.
Quartieri lontani è sicuramente è un'opera di piacevole e veloce lettura, ben sceneggiata, con sprazzi di introspezione. Però, da un lato i disegni non sono eccezionali e non incontrano una mia particolare predilezione per l'autore in questione, e le emozioni o i pensieri che suscita questo fumetto non mi paiono così memorabili come mi aspettavo. Il finale parla di normalità e risolve i temi in un piatto buon senso. Do comunque un voto lusinghiero che è da intendersi tirato al massimo, semplicemente perché dare 7 mi sembrava poco.
Si aggiunga però che l'edizione da 19 euro della Coconino non vale i soldi che costa, anche e soprattutto perché svariate pagine riportano i dialoghi non adattati correttamente dall'orientale all'occidentale. Si tratta di un difetto inaccettabile, anche in considerazione del fatto che bastava non ribaltare le tavole per evitare di incorrere in pasticci di questo tipo.
L'autore è chiaramente quotato nel campo dei fumetti un po' seri, che ambiscono a qualcosa di più che far passare qualche mezz'ora di svago. Dovrebbero essere, quindi, dei fumetti che ti fanno pensare o emozionare di non facili e banali emozioni.
La cifra di quest'opera è fondamentalmente una riflessione sul tempo che passa. Capitano a tutti periodi in cui ci si ritrova a pensare che forse non sarebbe male riscrivere il proprio passato, specie se pieno di sbagli o di occasioni mancate. Con sfumature un po' kierkegaardiane (mi do un tono facendo il colto), il quarantottenne Nakahara sta perdendo il contatto da una realtà che, a causa delle decisioni prese durante la propria vita, è diversa da quella ideale che si immaginava quando era giovane. Questa fuga è metaforicamente rappresentata con il suo viaggio indietro nel tempo, con la temporanea illusione di poter cambiare ciò che si è stati, e quindi ciò che si è.
La malinconia nasce dall'accettazione del concetto che il tempo delle scelte implica la fine di quel tempo del possibile tipico dell'infanzia e dell'adolescenza, e che ciò è inevitabile.
Quartieri lontani è sicuramente è un'opera di piacevole e veloce lettura, ben sceneggiata, con sprazzi di introspezione. Però, da un lato i disegni non sono eccezionali e non incontrano una mia particolare predilezione per l'autore in questione, e le emozioni o i pensieri che suscita questo fumetto non mi paiono così memorabili come mi aspettavo. Il finale parla di normalità e risolve i temi in un piatto buon senso. Do comunque un voto lusinghiero che è da intendersi tirato al massimo, semplicemente perché dare 7 mi sembrava poco.
Si aggiunga però che l'edizione da 19 euro della Coconino non vale i soldi che costa, anche e soprattutto perché svariate pagine riportano i dialoghi non adattati correttamente dall'orientale all'occidentale. Si tratta di un difetto inaccettabile, anche in considerazione del fatto che bastava non ribaltare le tavole per evitare di incorrere in pasticci di questo tipo.