Recensione
La storia di Sayo
8.0/10
Si dice che uno degli animali con la memoria più corta in assoluto sia il pesce rosso, ma io credo che l'uomo lo batta di gran lunga, e non solo perché i tre secondi che si attribuiscono al primo sono una bufala: dimenticando le varie storie che compongono la Storia con la "s" maiuscola, infatti, finiamo per non sapere più chi siamo stati e, di conseguenza, come evitare di incorrere negli stessi errori del passato. Abbiamo, in altre parole, la tendenza a non tenere conto degli effetti collaterali causati da questo o quell'evento, quando in realtà le sue conseguenze a lungo termine possono rivelarsi anche più devastanti dello stesso. Al pari delle sfortunate spose di "Venivamo tutte per mare", dei nippo-americani di Manzanar e non solo, dei giovani soldati divisi tra onore e dubbio di "Lettere da Iwo Jima" e delle cosiddette "comfort women", di cui di recente si è occupato anche il regista Hayao Miyazaki, Yoshiko Watanabe, animatrice giapponese "prestata" alla Scuola romana dei fumetti, è una di quelle persone la cui storia di figlia di migranti in Cina durante la Seconda Guerra Mondiale rischiava di perdersi nel marasma di volti nell'ombra e di voci ridotte al silenzio che è la Storia del Giappone di quel periodo. Dando prova di grande coraggio ha deciso di riportarla alla luce per mezzo di questa graphic novel, della cui sceneggiatura si è occupato Giovanni Masi, figlia di due anni e mezzo di capillare documentazione necessaria a fornire ai suoi ricordi di bambina un adeguato contesto.
La Sayo del titolo è in realtà Ayako, la madre di Yoshiko, il cui alter ego cartaceo è, invece, la piccola e vivace Miyako. Costretta ad appoggiarsi alla sorella giacché il marito è stato chiamato alle armi, la donna fa di tutto per proteggere la figlioletta dagli orrori della loro condizione di reiette, pur essendo consapevole di non poter avere occhi, mani e orecchie dappertutto; per sé non tiene nient'altro che un pugno di riso ai pasti e la speranza di riunirsi al marito, se non in Manciuria, almeno in Giappone, dove però è difficilissimo riuscire a tornare anche a conflitto ormai terminato.
Si può solo immaginare quanto dev'essere stato arduo scegliere cosa incorporare e cosa no, ma l'assaggio, per così dire, costituito dall'appendice in calce alla storia non lascia dubbi sul fatto che la mole di informazioni raccolte in fase di realizzazione, quantunque impossibile da utilizzare integralmente, sia tale da conferire a "La storia di Sayo" il giusto tocco di studiato realismo. C'è solo una scena in cui l'incanto si rompe, vale a dire l'incontro tra la protagonista e un altro personaggio di stampo ridicolmente tezukiano: si tratta, da parte della Watanabe, di un omaggio al grande maestro, a cui deve molto, ma che personalmente ho trovato inopportuno vista l'importanza del momento.
Un'altra obiezione che si potrebbe muovere riguarda il continuo avvicendarsi dei punti di vista di Sayo e di Miyako. Riconosco che è una contrapposizione affascinante, oltre che perfettamente comprensibile, ma per com'è strutturata la graphic novel né l'una né l'altra possono essere elevate a narratrici onniscienti. A dispetto di tutto ciò, comunque, l'intreccio risulta estremamente godibile nella sua semplicità, per non parlare dell'ampio margine che lascia allo scavo introspettivo: le mille sfaccettature del rapporto tra Sayo e sua sorella Akiyo, divisa tra il desiderio di aiutarla e il suo considerarla un peso morto, vengono rese con una puntualità e una vividezza che hanno del sorprendente, e anche personaggi minori come la "sciacalla" Kobayashi, la bellissima e triste signora Fukuda e il taciturno ufficiale russo, inconsapevolmente ricorrente nella vita della protagonista, trovano il modo di emergere.
Il tratto di Yoshiko Watanabe è senza dubbio inusuale secondo gli standard odierni; non posso dire che mi sia dispiaciuto, ma al tempo stesso mi ha più volte comunicato una sgradevole sensazione di discontinuità, come se certe tavole fossero state curate meno di altre. La composizione delle stesse, tuttavia, denota da parte sua una profonda consapevolezza del mezzo, in particolar modo per quanto riguarda le sequenze mute, e conferisce alla lettura una cadenza a dir poco perfetta.
Ho acquistato "La storia di Sayo" praticamente a scatola chiusa, attirata dall'esclusività dell'argomento trattato: un bel rischio, dati il prezzo e il suo essere un titolo chiaramente di nicchia, ma che a posteriori sono lieta di aver corso. Consigliato a chiunque creda che la Storia vada cercata, prima ancora che tra le pagine di un libro di testo, nei cuori di coloro che si sono ritrovati a esserne i protagonisti.
La Sayo del titolo è in realtà Ayako, la madre di Yoshiko, il cui alter ego cartaceo è, invece, la piccola e vivace Miyako. Costretta ad appoggiarsi alla sorella giacché il marito è stato chiamato alle armi, la donna fa di tutto per proteggere la figlioletta dagli orrori della loro condizione di reiette, pur essendo consapevole di non poter avere occhi, mani e orecchie dappertutto; per sé non tiene nient'altro che un pugno di riso ai pasti e la speranza di riunirsi al marito, se non in Manciuria, almeno in Giappone, dove però è difficilissimo riuscire a tornare anche a conflitto ormai terminato.
Si può solo immaginare quanto dev'essere stato arduo scegliere cosa incorporare e cosa no, ma l'assaggio, per così dire, costituito dall'appendice in calce alla storia non lascia dubbi sul fatto che la mole di informazioni raccolte in fase di realizzazione, quantunque impossibile da utilizzare integralmente, sia tale da conferire a "La storia di Sayo" il giusto tocco di studiato realismo. C'è solo una scena in cui l'incanto si rompe, vale a dire l'incontro tra la protagonista e un altro personaggio di stampo ridicolmente tezukiano: si tratta, da parte della Watanabe, di un omaggio al grande maestro, a cui deve molto, ma che personalmente ho trovato inopportuno vista l'importanza del momento.
Un'altra obiezione che si potrebbe muovere riguarda il continuo avvicendarsi dei punti di vista di Sayo e di Miyako. Riconosco che è una contrapposizione affascinante, oltre che perfettamente comprensibile, ma per com'è strutturata la graphic novel né l'una né l'altra possono essere elevate a narratrici onniscienti. A dispetto di tutto ciò, comunque, l'intreccio risulta estremamente godibile nella sua semplicità, per non parlare dell'ampio margine che lascia allo scavo introspettivo: le mille sfaccettature del rapporto tra Sayo e sua sorella Akiyo, divisa tra il desiderio di aiutarla e il suo considerarla un peso morto, vengono rese con una puntualità e una vividezza che hanno del sorprendente, e anche personaggi minori come la "sciacalla" Kobayashi, la bellissima e triste signora Fukuda e il taciturno ufficiale russo, inconsapevolmente ricorrente nella vita della protagonista, trovano il modo di emergere.
Il tratto di Yoshiko Watanabe è senza dubbio inusuale secondo gli standard odierni; non posso dire che mi sia dispiaciuto, ma al tempo stesso mi ha più volte comunicato una sgradevole sensazione di discontinuità, come se certe tavole fossero state curate meno di altre. La composizione delle stesse, tuttavia, denota da parte sua una profonda consapevolezza del mezzo, in particolar modo per quanto riguarda le sequenze mute, e conferisce alla lettura una cadenza a dir poco perfetta.
Ho acquistato "La storia di Sayo" praticamente a scatola chiusa, attirata dall'esclusività dell'argomento trattato: un bel rischio, dati il prezzo e il suo essere un titolo chiaramente di nicchia, ma che a posteriori sono lieta di aver corso. Consigliato a chiunque creda che la Storia vada cercata, prima ancora che tra le pagine di un libro di testo, nei cuori di coloro che si sono ritrovati a esserne i protagonisti.