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9.0/10
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Ha dell'incredibile l'efficacia delle quattro parole che compongono la prima frase della storica sigla italiana dell'Uomo Tigre nel descrivere l'iconico personaggio di Naoto Date: "Solitario nella notte va".
Parole che trasmettono, appunto, una sensazione di solitudine, d'oscurità, che ci permettono quasi di visualizzarla, questa figura solitaria aggirarsi nel buio per chissà quale motivo.
Ed è proprio questo il succo del personaggio centrale, unico protagonista di quest'opera, perfetta rappresentante dei tempi e degli stili che furono: Naoto è solo, solo contro un mondo difficile e duro come quello del wrestling e soprattutto solo contro il suo passato, tormento inevitabile di ogni eroe drammatico che si rispetti.
Se si volesse dipingere l'opera con poche pennellate verbali, la si potrebbe definire come un inno alla forza d'animo, a quel ruggito (di tigre) interiore che si alza nel momento in cui anche il nostro capo chino si solleva, riportando il nostro sguardo ad altezza del mondo e rimettendoci in moto contro qualsiasi avversità ci si pari davanti.
La famosa "Burning Inner Strength" che sarà poi ripresa dal più divertito Kinnikuman e dallo stesso Antonio Inoki, frequente comparsa nelle vicende di Naoto Date, per definire la sua energia combattiva.
Insegnamento, quello sul saper trovare in sé stessi la forza d'animo necessaria a superare ogni tipo d'ostacolo che ci sbarri la strada, che è andato un po' perso coi decenni a venire, forse inevitabilmente per via dei cambi di tempi e costumi, ma che trova nelle avventure di "Tiger Mask" uno dei suoi picchi massimi.
Naoto Date è un orfano, rapito da piccolo dalla misteriosa organizzazione Tana delle Tigri per farlo diventare il wrestler perfetto, allenato insieme a tanti altri orfani attraverso discipline infernali.
Cresciuto, Naoto s'appresta a debuttare nel panorama del wrestling professionistico ufficiale come Heel (con questo termine, nel wrestling, si definiscono i "cattivi", spesso scorretti e sleali e sempre poco propensi ai rapporti col pubblico).
Ma a Naoto essere una marionetta non va a genio, e così si ribella ai suoi padroni e prende il largo come uomo libero, ma a chi tradisce Tana delle Tigri spetta un solo destino, un destino da preda braccata fino alla morte.
Essendo il wrestling professionistico una grande storia, ci sono più possibilità diverse di ambientarvi una storia a sua volta, e l'autore Ikki Kajiwara decide di rendere il tutto più "simile alla realtà" possibile, realtà che, però, è molto lontana da quella del Pro Wrestling attuale (d'altronde nel 1968 la situazione nel business della lotta era profondamente diversa).
Ecco quindi che i wrestler sono più o meno liberi di decidere se comportarsi da "cattivi" o da "buoni", indipendentemente dal loro carattere che può essere molto diverso dentro o fuori dal ring, esempio su tutti quello appunto di Naoto, "cattivo" più per necessità che per personalità, che in realtà è quella di un angelo.
Tutto questo ad un fan del wrestling non può che far estremo piacere, perché la disciplina viene rappresentata in maniera tanto "reale" quanto "televisiva", con faide, minacce ed incontri veri e propri, mantenimenti di "personaggi" e "personalità" effettive o di scena, stessa cura che viene poi riposta nei numerosissimi match presenti nell'opera.

Sia nella regia che nella rappresentazione delle movenze, delle mosse, delle tempistiche sceniche e del "clamore teatrale" del wrestling (quello che fu, più che altro), l'opera eccelle nel ricreare su carta le reali esibizioni dal vivo, tanto che ad un occhio esperto questi incontri parranno più realistici che mai (per quanto di quando in quando ci si lasci andare a piccole "esagerazioni", in alcuni casi necessarie per voler creare un'atmosfera di maggior clamore), a maggior ragione quando faranno la loro comparsa le numerosissime guest star dal mondo reale, dalle leggende giapponesi Inoki e Giant Baba ai più noti eroi occidentali, da Bruno Sammartino a Freddie Blassie, tutti ben tratteggiati dalla mano di Naoki Tsuji, seppur il suo stile sia talvolta un po' poco espressivo soprattutto nei volti, ma questa è più una problematica legata al periodo storico d'uscita della serie stessa che a veri limiti del disegnatore.
L'unico momento in cui i combattimenti veri e propri si allontanano dalle leggi della fisica è quando entrano in scena le mosse finali di Tigre, un tantino esagerate, ma questo è inevitabile per poter dare maggiore clamore e un maggior senso di forza al protagonista.
Gli incontri però, pur occupando la stragrande maggioranza di ogni volume sono solo una rappresentazione grafica della lotta interiore di Naoto, del tentativo di lasciarsi alle spalle un passato che lo perseguita e che, più spesso di quanto si possa immaginare, attenta anche alla sua vita.
Il lato interiore e spirituale della serie è quello palesemente più marcato, con un continuo cercare un motivo per riprendere a lottare, un continuo farsi forza o cadere nella disperazione, fino al momento in cui il cuore di un uomo riesce a compiere un miracolo.
Tutta questa epicità, però, talvolta finisce per cozzare con alcune piccole grandi ingenuità contestuali, figlie del loro tempo e quindi difetti solo relativi, ma comunque impossibili da non notare.

Altro dettaglio profondamente figlio del suo tempo è l'accesa, accesissima sensazione di rivalità tra Giappone e America, qui in un sottotesto abbastanza individuabile e malcelato: la stragrande maggioranza dei lottatori "buoni" è sempre d'origine nipponica, mentre, casualmente, dall'occidente arrivano sempre malvagi, scorretti e piantagrane, con leggende metropolitane (peraltro prese di peso dalla vita reale, più o meno) annesse.
Per un Giappone uscito malconcio dalla Seconda Guerra Mondiale questo è inevitabile, comprensibile e ben legato anche al contesto (il wrestling ha come patria proprio l'America, e la scuola giapponese, oggi grande territorio per ogni atleta che vuole affinare le sue abilità, ovviamente provava un istinto d'agonismo con gli ex-nemici bellici, nel tentativo di superarli grazie ad una maggiore abilità tecnica), ma in alcuni casi si raggiungono punte di rivalità che strappano più d'un sorriso (un esempio su tutti l'uscita "L'elenco telefonico dell'area metropolitana di Tokyo, il più grande del mondo") ma sono comunque sfumature molto importanti per l'affresco storico in cui questa serie s'incastra.
Maggior rappresentante del suo periodo è però, come sempre, Naoto, protagonista vecchio stile e giapponese vecchio stile, erede della volontà Yamato, eroe tragico pronto a caricarsi il peso della responsabilità del mondo sulle spalle, forte d'animo e di muscoli, tutto sushi, yukata e Monte Fuji, drammatico e solitario, pronto a qualsiasi sacrificio per quasi qualsiasi motivo.
Più che un personaggio sulla scena, una volta chiuso l'ultimo volume Naoto sarà riconosciuto per quello che è, un'icona, un simbolo di un periodo, di uno sport, di un concetto: di eroe, di uomo, d'atleta, un concetto spirituale in un contesto più fisico che mai.

L'edizione italiana più recente, targata Planet Manga, si presenta in un formato piuttosto massiccio in 14 numeri, carta abbastanza chiara e volumi piuttosto solidi.
L'adattamento italiano è invece viziato da scelte purtroppo discutibili, per più motivi. In primis, le terminologie legate alla disciplina del Professional Wrestling: tutte le mosse hanno subito una traduzione in italiano, cosa abbastanza criticabile visto che in originale viene utilizzata la lingua inglese, e si tratta di mosse reali eseguite da persone reali da quasi un secolo, in alcuni casi, non di magie inventate dall'autore basandosi su termini giapponesi di chissà quale significato, cosa aggravata dal fatto che la traduzione è anche molto molto molto libertina, e non si tratta di una conversione in italiano fedele dei nomi originali delle mosse ma di pure invenzioni (suppongo ereditate dall'anime, che però gode di un adattamento di decenni fa), talvolta anche ben lontane dal significato orginale: che ad esempio si sia passati da Kitchen Sink (Lavabo) a "Colpo strappa-stomaco" probabilmente solo per il fatto che si tratti di una ginocchiata al ventre, non è certo una motivazione valida.

Stesso discorso vale per i soprannomi dei wrestler reali, adattati alla bell'e meglio in italiano quando si tratta di nomee ufficiali di persone vere utilizzate da sempre in tutto il mondo. Come Killer Kowalski che diventa "Kowalski l'assassino", perdendo l'allitterazione e la musicalità originale, ed anche qui, se si considera che si tratta di un soprannome reale, scelto dallo stesso Kowalski o da chi per lui, che l'ha accompagnato fino alla scomparsa qualche anno fa e ne accompagna la memoria tutt'oggi, si tratta di una mancanza ben più grave della semplice rilettura nella nostra lingua di un termine scelto dall'autore.
E questo non solo per Kowalski, ma per qualunque altro wrestler reale che fa la sua apparizione nel corso dell'opera, e sono moltissimi.
A queste "lamentele da wrestling-addicted" ne vanno aggiunte altre, ben più gravi oggettivamente, di tipo grammaticale, perché le frasi stesse sono tradotte in maniera legnosa e poco naturale, con scelte di termini poco condivisibili e persino errori/orrori da scuola media, cosa che infastidisce perché va a macchiare l'esperienza di lettura dell'opera, che non è certo l'ultima arrivata ma un caposaldo importantissimo del fumetto giapponese e mondiale, e di conseguenza avrebbe necessitato di un trattamento con i guanti di velluto.

Al di là di questi dolori di stomaco da adattamento, come definire in chiusura l'esperienza fumettistica donataci dall'Uomo Tigre?
Un viaggio nel tempo, nel Giappone che fu, nel fumetto che fu, nel wrestling che fu, ed un viaggio spirituale, alla ricerca di una forza interiore riassunta in quegli occhi di tigre che poi accompagneranno due altri grandi eroi noti per la loro scarsa propensione alla resa, sotto forma di musica e parole.
Naoto Date è un simbolo, l'Uomo Tigre come una favola senza tempo, drammatica, dura, epica, emozionante e che ci cambia dentro, come una cicatrice: fa male, e non ce ne potremo dimenticare, ma ci avrà insegnato tanto e, se siamo veri guerrieri, non avremo paura a mostrarla come un trofeo.