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10.0/10
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Un viaggio lungo 90 ore di gioco a difficoltà normale. Non parlo di un JRPG qualsiasi, ma di Persona 5, una produzione di Atlus distante anni luce dai titoli videoludici che arrivano normalmente negli scaffali di tutto il mondo. Ciò che me ne ha dato dimostrazione – e permettetemi l’uso pedestre della prima persona – è la sua potenzialità realizzata di essere un gioco di ruolo a turni di vero stampo nipponico, qualcosa che sembra essere andato alla deriva da un po’ di anni a questa parte, come dimostrato dall’emblematico caso di Final Fantasy XV, un titolo che a tutti i costi ha cercato un orientamento prettamente occidentale pur di conquistare la critica e il pubblico lontano dalla sua casa di origine giapponese. Atlus ha dimostrato con Persona 5 che non è necessario ricercare un appeal che ‘’vada bene a tutti’’, che si parli di giapponesi, di europei o americani, bensì è rilevante rimanere fedeli alle proprie radici, dando prova di aver assimilato una propria identità, ma al contempo stesso attestando che è sempre possibile effettuare un’operazione di svecchiamento stilistico o narrativo alla serie di cui si è artefici.
Il quinto capitolo di questa serie tanto considerata di nicchia, così poco influente nel nostro mercato europeo saturo del Call of Duty di turno, è un gioiello che andrebbe custodito all’interno di una teca indistruttibile. Gli utenti fermamente convinti che l’era degli JRPG veri fosse finita, faranno bene a ricredersi.

Iniziare a trattare di una storia decisamente elaborata senza incorrere in spoiler non è semplice; così come non è facile la vita del protagonista di Persona 5, un ragazzo liceale qualsiasi in apparenza, il cui futuro è stato rovinato da un mondo corrotto (così ‘’stranamente’’ vicino al nostro). La frase adottata per introdurre questa sezione del testo è quantomai simbolica: pur di riuscire a conquistare la tua libertà, di dimostrare al mondo la tua esistenza, sei disposto a metterti in gioco?
Se la risposta è affermativa, allora sappi che sarai un Trickster, un individuo disposto a ingannare il prossimo pur di perseguire la propria verità, e dotato di fenomenali poteri chiamati Persona che ti aiuteranno in un’impresa estremamente pericolosa. Non metterai a rischio solo la tua vita, ma anche di tutti coloro che ti circondano, disposti a portare avanti la causa per cui ti batti.
Parliamo di un romanzo picaresco, insomma? Di un’opera in cui la narrazione è apparentemente autobiografica, e in cui un fittizio protagonista narra la propria vita dalla nascita fino alla maturità?
L’ispirazione a tale modello c’è senz’altro, e nella prima metà di gioco è decisamente palpabile. La storia di questo fantomatico Trickster (canonicamente battezzato come Akira) è un susseguirsi di flashback necessari al fine di far comprendere al giocatore la situazione in cui si è cacciato, come ha fatto a conoscere i propri compagni di viaggio e per quale motivo è portato a ‘’giocare con il cuore delle persone’’; una volta realizzato tale obiettivo narrativo, la trama terminerà di riallacciarsi al passato, proseguendo sul misterioso presente.
Incontrando Ryuji Sakamoto, un liceale un po’ sfigato, volgare e immaturo, la bellissima ma codarda Ann Takamaki, e persino un bizzarro gatto parlante di nome Morgana, si darà il via ad un primo tentativo di riforma della società, quasi una vendetta nei confronti di coloro che ci hanno distrutto il futuro; un’operazione che, pur partendo ‘’dal basso’’ (inteso come il liceo Shujin), arriverà a raggiungere vette inizialmente inimmaginabili.
Chi si aspetterebbe, d’altronde, di riuscire letteralmente ad esplorare i meandri della coscienza di un individuo, in cui è possibile scoprire ciascuna sfaccettatura della personalità di quest’ultimo, salvo poi eventualmente ‘’riformarla’’?
Il compito del protagonista, e del suo gruppo di Phantom Thieves, sembra tanto quello di un paladino della giustizia malcompreso da una società sempre pronta a tradire il prossimo.


Prosegue qui: http://www.gamerclick.it/news/63752-persona-5-recensione-playstation-4