Recensione
Joker Game
8.0/10
“Joker Game” racconta il lavoro di un gruppo di spie giapponesi all’alba della Seconda Guerra Mondiale.
Capo dell’Agenzia D (nel corso della serie si scoprirà la possibile origine della lettera D) è il misterioso tenente colonnello Yuuki, che supervisiona personalmente l’addestramento degli otto giovani uomini sotto il suo comando. Nonostante venga presentato come un uomo freddo e distaccato, mai farà mancare il proprio appoggio ai suoi uomini, e, dove non potrà far nulla (la vita è quel che è), basterà un gesto attento a dimostrazione del rispetto che nutre nei loro confronti.
Agente di collegamento tra l’Esercito Imperiale e l’Agenzia è il tenente Sakuma che mal vede le spie e il loro lavoro. Degli otto giovani uomini che hanno ultimato l’addestramento, conosciamo i cognomi fittizi (neanche tra colleghi conoscono dettagli personali) e le varie identità che assumeranno nella loro vita di spie. Sono dei civili e hanno le loro peculiari caratteristiche: c’è il sarcastico, il manipolatore, il tranquillo, il sentimentale, ecc.
Il diktat dell’Agenzia è semplice: “Non morire, non uccidere”, e a questo si atterranno gli otto uomini. Sparpagliati per il mondo, di volta in volta, le spie accompagneranno lo spettatore in Francia, in Germania, a Londra, a Singapore, alle Hawaii, a Yokohama.
I personaggi secondari sono tra i più variegati: mogli, giocatori di scacchi, bambini, piccioni, sergenti, partigiani, colonnelli, altre spie, governanti, camerieri, fiorai, attrici e chi più ne ha più ne metta. Altrettanto varie sono le ambientazioni: locali da ballo, navi da crociera, treni a lunga percorrenza, antiche e nobili case giapponesi, caserme e via così.
Il disegno, tecnicamente di buon livello, se da un lato molto accurato nei dettagli e attento a dosare i colori chiari e scuri, dall’altro pecca nella poca originalità della caratterizzazione dei protagonisti: si fatica non poco a riconoscere l’agente sul campo.
L’OST è bella e intensa, così come le sigle, così come il sonoro.
L’anime tratta di alcuni racconti contenuti nei quattro volumi del romanzo di Yanagi Koji.
Gli episodi sono autoconclusivi, esclusi il primo e il secondo, e l’ottavo e il nono, che raccontano due storie divise in due puntate.
Non avendo una trama orizzontale, le storie raccontate non sono necessariamente presentate nello stesso ordine dei romanzi né seguono un andamento cronologico: prova lampante sono l’episodio undici e il dodici, l’ultimo. Da giallista, ho trovato abbastanza interessante il dipanarsi delle trame e la loro soluzione.
Ho apprezzato molto l’idea generale che guida la serie: non si raccontano faccende personali (solo in rari casi e sempre in funzione alla trama), ma esclusivamente le azioni dell’agente protagonista e di come il suo addestramento lo porti a riuscire o meno nella missione affidatagli. Eh, sì, perché alla fin della fiera non ci sarà una chiacchierata tra amici intorno a un tavolo, a bere e a giocare a carte: c’è chi morirà, chi si dimetterà, chi si ritroverà con figlio e cane al seguito e chi continuerà il proprio mestiere di spia.
Menzione d’onore per i due OAV della durata di neppure sei minuti ciascuno: il narratore è davvero speciale, degno dell’agenzia e, unica eccezione in tutta la serie, considerato come “nostro” dagli otto uomini. Incantevoli nella loro normalità - e proprio per questo inaspettate - sono da non perdere le nove sequenze finali della sigla di chiusura.
Capo dell’Agenzia D (nel corso della serie si scoprirà la possibile origine della lettera D) è il misterioso tenente colonnello Yuuki, che supervisiona personalmente l’addestramento degli otto giovani uomini sotto il suo comando. Nonostante venga presentato come un uomo freddo e distaccato, mai farà mancare il proprio appoggio ai suoi uomini, e, dove non potrà far nulla (la vita è quel che è), basterà un gesto attento a dimostrazione del rispetto che nutre nei loro confronti.
Agente di collegamento tra l’Esercito Imperiale e l’Agenzia è il tenente Sakuma che mal vede le spie e il loro lavoro. Degli otto giovani uomini che hanno ultimato l’addestramento, conosciamo i cognomi fittizi (neanche tra colleghi conoscono dettagli personali) e le varie identità che assumeranno nella loro vita di spie. Sono dei civili e hanno le loro peculiari caratteristiche: c’è il sarcastico, il manipolatore, il tranquillo, il sentimentale, ecc.
Il diktat dell’Agenzia è semplice: “Non morire, non uccidere”, e a questo si atterranno gli otto uomini. Sparpagliati per il mondo, di volta in volta, le spie accompagneranno lo spettatore in Francia, in Germania, a Londra, a Singapore, alle Hawaii, a Yokohama.
I personaggi secondari sono tra i più variegati: mogli, giocatori di scacchi, bambini, piccioni, sergenti, partigiani, colonnelli, altre spie, governanti, camerieri, fiorai, attrici e chi più ne ha più ne metta. Altrettanto varie sono le ambientazioni: locali da ballo, navi da crociera, treni a lunga percorrenza, antiche e nobili case giapponesi, caserme e via così.
Il disegno, tecnicamente di buon livello, se da un lato molto accurato nei dettagli e attento a dosare i colori chiari e scuri, dall’altro pecca nella poca originalità della caratterizzazione dei protagonisti: si fatica non poco a riconoscere l’agente sul campo.
L’OST è bella e intensa, così come le sigle, così come il sonoro.
L’anime tratta di alcuni racconti contenuti nei quattro volumi del romanzo di Yanagi Koji.
Gli episodi sono autoconclusivi, esclusi il primo e il secondo, e l’ottavo e il nono, che raccontano due storie divise in due puntate.
Non avendo una trama orizzontale, le storie raccontate non sono necessariamente presentate nello stesso ordine dei romanzi né seguono un andamento cronologico: prova lampante sono l’episodio undici e il dodici, l’ultimo. Da giallista, ho trovato abbastanza interessante il dipanarsi delle trame e la loro soluzione.
Ho apprezzato molto l’idea generale che guida la serie: non si raccontano faccende personali (solo in rari casi e sempre in funzione alla trama), ma esclusivamente le azioni dell’agente protagonista e di come il suo addestramento lo porti a riuscire o meno nella missione affidatagli. Eh, sì, perché alla fin della fiera non ci sarà una chiacchierata tra amici intorno a un tavolo, a bere e a giocare a carte: c’è chi morirà, chi si dimetterà, chi si ritroverà con figlio e cane al seguito e chi continuerà il proprio mestiere di spia.
Menzione d’onore per i due OAV della durata di neppure sei minuti ciascuno: il narratore è davvero speciale, degno dell’agenzia e, unica eccezione in tutta la serie, considerato come “nostro” dagli otto uomini. Incantevoli nella loro normalità - e proprio per questo inaspettate - sono da non perdere le nove sequenze finali della sigla di chiusura.