Recensione
Come si può creare la società “perfetta”? Può l’uomo considerarsi la specie predominante del pianeta, senza fare uso di violenza verso i propri simili? Può instaurare una sorta di gerarchia apparentemente funzionante e pacifica, che permetta un avanzamento migliorativo del pianeta?
Queste sono le domande base di “Shinsekai Yori”, opera del 2012, tratta da un romanzo di Yosuke Kishi. A differenza di trasposizioni animate tratte da fumetti, o originali, le radici di questo titolo influiscono facilmente sul tipo di narrazione proposta, che offre sì svariate scene d’azione (per quanto poco adrenaliniche), ma si basa quasi completamente su spiegazioni e dialoghi dettagliati. Il che costituisce, insieme a un ritmo decisamente lento e verboso, e a tematiche piuttosto mature, uno dei motivi per cui la serie viene spesso snobbata dalla massa, in favore di titoli più commerciali.
La trama vede per protagonista una società futuristica che, in seguito a una specie di apocalittica catastrofe, appare come in decadenza, seppur controllata da una ferrea gerarchia di persone. Protagonisti sono cinque ragazzi, Saki, Shun, Satoru, Mamoru e Maria, dapprima bambini e poi adolescenti che, come qualunque altro personaggio presentato, detengono il “potere degli dèi”, ovvero la telecinesi. Inizialmente, la storia procede lenta e senza particolari colpi di scena; la società in cui i ragazzi vivono è apparentemente perfetta. Ma pian piano vengono fuori le prime falle. Al fine di evitare aggressività negli individui, e violenza gli uni verso gli altri, si impone una sorta di controllo mentale che oltretutto incita alla sessualità precoce (anche tra individui dello stesso sesso), per rilasciare gli istinti in maniera controllata. Anche gli omicidi tra esseri umani vengono bloccati dal limitatore biologico, che farebbe morire chiunque nutra il desiderio di eliminare un individuo.
Ma ecco che viene fuori la duplice critica di cui “Shinsekai Yori” si fa carico: la prima verso la società, la seconda - benché molto più marginale - verso la religione (qui rappresentata dal monaco che, pur di preservare i segreti della società, ruba i poteri ai protagonisti, perché non possano maturare una propria individualità che si ribelli alla vita collettiva imposta da altri). In questa istituzione apparentemente perfetta, la perfezione si preserva eliminando tutto ciò che costituisce un ingranaggio rotto, tutto ciò che è diverso, tutto ciò che è sovversivo. Gli individui che non sono in grado di conformarsi al sistema vengono isolati o eliminati, di modo che i singoli non possano distruggere l’ingranaggio generale che muove le fila. Anche il semplice adattarsi con difficoltà costituisce vergogna: basti pensare alla Saki di inizio serie che, ottenendo il proprio potere in ritardo rispetto ai suoi amici, si intristisce credendo di non poter essere all’altezza degli altri.
Ma è proprio nel momento in cui vengono a galla queste macchinazioni da parte di chi “sta in alto”, che i protagonisti iniziano a domandarsi se questa società funzioni davvero, se rispetto al mondo distrutto che vi era una volta ci si è mossi verso un miglioramento effettivo, o se invece c’è stato un decadimento dell’umanità. E oltre ad interrogarsi sulla legittimità di una società così disfunzionale, l’anime scava molto più a fondo, andando a proporre riflessioni sulla natura umana.
I personaggi in questo senso vengono analizzati piuttosto bene. Alcuni, in effetti, risultano stonare un po’, in quanto analizzati senza particolare perizia in un contesto così affascinante; altri, come la stessa Saki, crescono a poco a poco, maturando sempre più quale debba essere il proprio ruolo, e quello dei “subordinati”. Questi ultimi sono i mostroratti, esseri deformi e mostruosi che, non possedendo il potere degli dèi, vengono considerati alla stregua di schiavi, e venerano gli umani come dei, non avendo la forza di ribellarsi.
Ma è proprio in questo scenario che fa la comparsa Squealer, forse il personaggio più riuscito di tutta la serie. Manipolatore, codardo, viscido, orribile e ripugnante: questo è come ci appare per tutta la durata dei venticinque episodi. Eppure, Squealer è forse quello che più rappresenta l’eroe. Novello Prometeo, Squealer intende ribellarsi dalla sua condizione di schiavo e sottomesso, non accettando più la mortificazione della carne e dello spirito in favore di persone che si credono gli dèi di una società così fasulla.
Ed è in fondo proprio grazie a Squealer se viene fuori la tematica migliore della serie, l’equilibrio tra bene e male. Sostanzialmente, in moltissime serie, o film, o romanzi, la distinzione fra le due è sempre precisa e ovvia. “Shinsekai Yori” invece dimostra che non tutto debba essere per forza bianco o nero, ma che esistono le sfumature. Non si può essere solo buoni o cattivi, solo eroi o carnefici, e chi si autoproclama come eroe di una società perfetta, promuovendo la non-violenza, non per forza sta facendo del bene.
Sono sostanzialmente bugia e ignoranza a far funzionare le cose, e la sapienza che viene ricercata da Saki è punita severamente: “Ognuno muore senza comprendere nulla. È così che funziona il mondo, dopotutto” (Yusuke Kishi)
Purtroppo, tra i motivi per i quali la serie non ha ricevuto un enorme successo nonostante la sua potenza verbale e visiva, c’è anche quello della poca cura tecnica riservata alle animazioni, che rendono davvero indigesti alcuni passaggi. Ed è un peccato, perché, in compenso, l’uso dei colori è magistrale quanto la colonna sonora, in cui peraltro compare come leitmotiv il pezzo di Antonin Dvorak, “From the New World”, che dà anche il titolo alla serie. Pezzo musicale che, peraltro, compare in “Mawaru Penguindrum” proprio in una scena che presenta tematiche molto simili a quelle proposte qui, ovvero il terrore di come un personaggio “diverso” possa essere eliminato, per non distruggere un meccanismo funzionante.
Sostanzialmente, se si chiude un occhio su questo evidente difetto e non si è allergici a ritmi molto lenti, per quanto ricchi di plot twist, consiglio caldamente la visione a chi se lo fosse lasciato sfuggire.
Queste sono le domande base di “Shinsekai Yori”, opera del 2012, tratta da un romanzo di Yosuke Kishi. A differenza di trasposizioni animate tratte da fumetti, o originali, le radici di questo titolo influiscono facilmente sul tipo di narrazione proposta, che offre sì svariate scene d’azione (per quanto poco adrenaliniche), ma si basa quasi completamente su spiegazioni e dialoghi dettagliati. Il che costituisce, insieme a un ritmo decisamente lento e verboso, e a tematiche piuttosto mature, uno dei motivi per cui la serie viene spesso snobbata dalla massa, in favore di titoli più commerciali.
La trama vede per protagonista una società futuristica che, in seguito a una specie di apocalittica catastrofe, appare come in decadenza, seppur controllata da una ferrea gerarchia di persone. Protagonisti sono cinque ragazzi, Saki, Shun, Satoru, Mamoru e Maria, dapprima bambini e poi adolescenti che, come qualunque altro personaggio presentato, detengono il “potere degli dèi”, ovvero la telecinesi. Inizialmente, la storia procede lenta e senza particolari colpi di scena; la società in cui i ragazzi vivono è apparentemente perfetta. Ma pian piano vengono fuori le prime falle. Al fine di evitare aggressività negli individui, e violenza gli uni verso gli altri, si impone una sorta di controllo mentale che oltretutto incita alla sessualità precoce (anche tra individui dello stesso sesso), per rilasciare gli istinti in maniera controllata. Anche gli omicidi tra esseri umani vengono bloccati dal limitatore biologico, che farebbe morire chiunque nutra il desiderio di eliminare un individuo.
Ma ecco che viene fuori la duplice critica di cui “Shinsekai Yori” si fa carico: la prima verso la società, la seconda - benché molto più marginale - verso la religione (qui rappresentata dal monaco che, pur di preservare i segreti della società, ruba i poteri ai protagonisti, perché non possano maturare una propria individualità che si ribelli alla vita collettiva imposta da altri). In questa istituzione apparentemente perfetta, la perfezione si preserva eliminando tutto ciò che costituisce un ingranaggio rotto, tutto ciò che è diverso, tutto ciò che è sovversivo. Gli individui che non sono in grado di conformarsi al sistema vengono isolati o eliminati, di modo che i singoli non possano distruggere l’ingranaggio generale che muove le fila. Anche il semplice adattarsi con difficoltà costituisce vergogna: basti pensare alla Saki di inizio serie che, ottenendo il proprio potere in ritardo rispetto ai suoi amici, si intristisce credendo di non poter essere all’altezza degli altri.
Ma è proprio nel momento in cui vengono a galla queste macchinazioni da parte di chi “sta in alto”, che i protagonisti iniziano a domandarsi se questa società funzioni davvero, se rispetto al mondo distrutto che vi era una volta ci si è mossi verso un miglioramento effettivo, o se invece c’è stato un decadimento dell’umanità. E oltre ad interrogarsi sulla legittimità di una società così disfunzionale, l’anime scava molto più a fondo, andando a proporre riflessioni sulla natura umana.
I personaggi in questo senso vengono analizzati piuttosto bene. Alcuni, in effetti, risultano stonare un po’, in quanto analizzati senza particolare perizia in un contesto così affascinante; altri, come la stessa Saki, crescono a poco a poco, maturando sempre più quale debba essere il proprio ruolo, e quello dei “subordinati”. Questi ultimi sono i mostroratti, esseri deformi e mostruosi che, non possedendo il potere degli dèi, vengono considerati alla stregua di schiavi, e venerano gli umani come dei, non avendo la forza di ribellarsi.
Ma è proprio in questo scenario che fa la comparsa Squealer, forse il personaggio più riuscito di tutta la serie. Manipolatore, codardo, viscido, orribile e ripugnante: questo è come ci appare per tutta la durata dei venticinque episodi. Eppure, Squealer è forse quello che più rappresenta l’eroe. Novello Prometeo, Squealer intende ribellarsi dalla sua condizione di schiavo e sottomesso, non accettando più la mortificazione della carne e dello spirito in favore di persone che si credono gli dèi di una società così fasulla.
Ed è in fondo proprio grazie a Squealer se viene fuori la tematica migliore della serie, l’equilibrio tra bene e male. Sostanzialmente, in moltissime serie, o film, o romanzi, la distinzione fra le due è sempre precisa e ovvia. “Shinsekai Yori” invece dimostra che non tutto debba essere per forza bianco o nero, ma che esistono le sfumature. Non si può essere solo buoni o cattivi, solo eroi o carnefici, e chi si autoproclama come eroe di una società perfetta, promuovendo la non-violenza, non per forza sta facendo del bene.
Sono sostanzialmente bugia e ignoranza a far funzionare le cose, e la sapienza che viene ricercata da Saki è punita severamente: “Ognuno muore senza comprendere nulla. È così che funziona il mondo, dopotutto” (Yusuke Kishi)
Purtroppo, tra i motivi per i quali la serie non ha ricevuto un enorme successo nonostante la sua potenza verbale e visiva, c’è anche quello della poca cura tecnica riservata alle animazioni, che rendono davvero indigesti alcuni passaggi. Ed è un peccato, perché, in compenso, l’uso dei colori è magistrale quanto la colonna sonora, in cui peraltro compare come leitmotiv il pezzo di Antonin Dvorak, “From the New World”, che dà anche il titolo alla serie. Pezzo musicale che, peraltro, compare in “Mawaru Penguindrum” proprio in una scena che presenta tematiche molto simili a quelle proposte qui, ovvero il terrore di come un personaggio “diverso” possa essere eliminato, per non distruggere un meccanismo funzionante.
Sostanzialmente, se si chiude un occhio su questo evidente difetto e non si è allergici a ritmi molto lenti, per quanto ricchi di plot twist, consiglio caldamente la visione a chi se lo fosse lasciato sfuggire.