Recensione
“World Heroes’ Mission”, il terzo film di “My Hero Academia2, è stata una gradita sorpresa. L’autore, infatti, aveva detto che il secondo sarebbe probabilmente stato l’ultimo lungometraggio della serie, ma l’opera di Kohei Horikoshi è ancora in corso ed è molto popolare in tutto il mondo, quindi han fatto ben presto a rimangiarsi la parola, e noi fan di Deku e compagni ne siamo ben lieti.
A differenza dei due film precedenti, che cominciavano coi nostri eroi in trasferta su un’isola, dove poi cominciavano i guai, stavolta le cose si fanno ben più serie e di maggior scala sin da subito, in quanto il nemico del film, il malvagio culto Humarise guidato da Flect Turn, è deciso a sterminare, tramite attacchi di massa in tutto il mondo, l’intera società dei superpoteri, lasciando in vita soltanto gli umani non provvisti di quirk. Diversi gruppi di eroi, tra cui anche gli studenti coinvolti nei tirocini che abbiamo visto nella seconda metà della quinta stagione, devono così spostarsi in varie parti del mondo (fortunatamente, l’Italia sembra essere salva), per sventare gli attacchi.
La trama del film è di ampio respiro, più articolata di quella dei film precedenti: tratta una tematica interessante, quella della discriminazione dei “mutanti” e del tentativo di sterminarli in massa già vista in diverse storie degli “X-Men”, e assume presto i connotati di un road movie che si snoda attraverso l’inedita ambientazione di Otheon, nazione fittizia che si trova in Europa (la valuta utilizzata è l’euro), ma ha in sé elementi architettonici e culturali provenienti dall’America, dal Giappone e da diversi altri Paesi, e, come tutti i luoghi di “My Hero Academia”, si chiama come una location di “Star Wars”.
I vari trailer e le descrizioni del film che ci sono giunti nei mesi precedenti sono stati un po’ ingannevoli: la storia non è più di tanto incentrata sul trio Deku-Todoroki-Bakugo, ma è in gran parte un’avventura in solitario del nostro piccolo eroe dai capelli verdi, alle prese con un comprimario introdotto appositamente per questo film, il fuggiasco Rody. È proprio quest’ultimo a rubare la scena a tutti, raccontandosi in tutto il suo passato, i suoi problemi, le sue debolezze, il suo potere (inaspettato e protagonista di scene super toccanti), finendo per instaurare un buon rapporto di coppia col ragazzino giapponese fissato con la giustizia che si è ritrovato tra capo e collo, ma col quale, tra una fuga e un attacco, farà amicizia, imparando a fidarsi. Un po’ ne paga lo scotto la coralità del film: i compagni di Deku, gli alunni della sezione B, gli eroi professionisti ci sono quasi tutti, alcuni vengono creati apposta per il film (quanto è bello l’eroe egiziano!), e ognuno di essi ha un suo breve momento di gloria, ma restano abbastanza in disparte, relegati a poche scene qua e là, a differenza dei precedenti film che risultavano più corali. Li perdoniamo, stavolta, dato che sarebbe stato impossibile condensare in una sola ora e mezza una trama dettagliata con attacchi nemici in svariate nazioni, dovendosi poi maggiormente concentrare su Otheon e sulla vicenda, già di suo abbastanza articolata, di Deku e Rody.
Di contro, i fan di Deku saranno ben felici di vedere un ulteriore tassello della crescita del ragazzino dai capelli verdi: lo avevamo conosciuto cinque anni fa come un ragazzino bullizzato, senza poteri, ma con un grande senso di giustizia, e in questo film sventa praticamente da solo una crisi mondiale, andando direttamente al nucleo del problema e risolvendolo con le sue mani scintillanti di energia verde.
Il cattivo del film si fa maggiormente ricordare rispetto ai precedenti (di cui ci siamo già dimenticati il volto e il nome), se non altro perché il suo essere proveniente dallo stesso pianeta degli alieni di “Blue” degli Eiffel 65 lo fa spiccare a livello estetico, e si sono sforzati di dargli un background, una storia personale convincente e delle motivazioni anche condivisibili, anche se, giustamente, gli fa notare Deku, voler eliminare tutti i possessori di quirk quando tu stesso ne hai uno e lo usi è un po’ ipocrita.
La versione italiana, giunta nei nostri cinema dal 18 al 21 novembre, ci riporta tutto il cast più recente della serie televisiva (Endeavor è dunque Massimiliano Lotti e non più Stefano Albertini come nelle prime stagioni, e un po’ ce ne dispiace), ha qualche errore nei nomi dei personaggi qua e là, ma è stato un piacere poterla ascoltare, soprattutto in sala dopo tanto tempo. Tra i doppiatori dei personaggi nuovi, Patrizio Prata nel ruolo del cattivo non è particolarmente incisivo, risultando probabilmente poco adatto e poco legato al personaggio, con un tono di voce ovviamente bellissimo, ma che ci rimanda ad altri ruoli del doppiatore, senza che Flect Turn sia caratterizzato da qualcosa in particolare. Al contrario, spicca tantissimo il sempre apprezzabilissimo Mosé Singh, che rende Rody alla perfezione in tutte le sue scene, comiche o drammatiche che siano. Anche nella versione italiana (ma non ce ne accorgeremo prima dei credit), possiamo sentire una piccola chicca: la voce dell’uccellino Pino, che fa solo versi e quindi è rimasta uguale all’originale, è una certa Megumi Hayashibara...
Lo Studio Bones ci regala come sempre delle animazioni spettacolari nelle scene di battaglia. Gli Asian Kung Fu Generation ci regalano un paio di pezzi molto belli (tra cui spicca il tema portante “Empathy”) che su “My Hero Academia” però fanno uno strano effetto, in quanto ci ricordano le atmosfere di una serie più quotidiana, per adulti, come un “Odd Taxi”, piuttosto che una storia d’azione fantastica per ragazzi. Yuki Hayashi (sempre sia lodato) ripesca un po’ tutte le musiche orchestrate più famose della serie TV, rivisitandole sempre con un ottimo effetto. Del resto, un “My Hero Academia” senza i suoi iconici temi non sarebbe “My Hero Academia”. Tuttavia, un po’ ci dispiace che il bravissimo compositore non abbia osato ancora una volta: dopo aver dato alle sue creazioni un testo, dopo averle trasformate in musiche tradizionali giapponesi nel minialbum “Yuuseiran” dell’anno scorso, ormai l’asticella delle aspettative era altissima, e un nuovo arrangiamento, sia pure ben riuscito, ci pare un po’ poco.
“World Heroes’ Mission” è il migliore dei tre lungometraggi per quanto riguarda la storia, più articolata degli altri, è toccante, intrattiene ed emoziona, ma gli manca qualcosa, e questo qualcosa probabilmente è proprio la mancanza di “qualcosa di più” a livello musicale/emozionale. Se “Two Heroes” riutilizzava semplicemente gli score della serie TV così com’erano, ma guadagnava punti in quanto prima esperienza di “My Hero Academia” sul grande schermo e prima e ultima occasione per vedere sul grande schermo All Might in tutta la sua imponenza, “Heroes Rising”, che doveva essere l'ultimo film, ha spinto al massimo sull’acceleratore dell’esagerazione, portando ai limiti estremi la mitica “You say run”, ora trasformata in una splendida ballad cantata, e creando un combattimento finale assurdo, spettacolare, irripetibile, impossibile da superare. E, infatti, non ci sono riusciti in “World Heroes’ Mission”, e un po’ sono deluso, perché volevo che anche stavolta mi cadesse la mascella a terra durante lo scontro. Mi ha emozionato tantissimo, così come diversi punti del film, la storia e il personaggio di Rody, la crescita di Deku. Ma la mascella è rimasta lì, ben salda, e la cosa un po’ mi dispiace, lo ammetto.
A differenza dei due film precedenti, che cominciavano coi nostri eroi in trasferta su un’isola, dove poi cominciavano i guai, stavolta le cose si fanno ben più serie e di maggior scala sin da subito, in quanto il nemico del film, il malvagio culto Humarise guidato da Flect Turn, è deciso a sterminare, tramite attacchi di massa in tutto il mondo, l’intera società dei superpoteri, lasciando in vita soltanto gli umani non provvisti di quirk. Diversi gruppi di eroi, tra cui anche gli studenti coinvolti nei tirocini che abbiamo visto nella seconda metà della quinta stagione, devono così spostarsi in varie parti del mondo (fortunatamente, l’Italia sembra essere salva), per sventare gli attacchi.
La trama del film è di ampio respiro, più articolata di quella dei film precedenti: tratta una tematica interessante, quella della discriminazione dei “mutanti” e del tentativo di sterminarli in massa già vista in diverse storie degli “X-Men”, e assume presto i connotati di un road movie che si snoda attraverso l’inedita ambientazione di Otheon, nazione fittizia che si trova in Europa (la valuta utilizzata è l’euro), ma ha in sé elementi architettonici e culturali provenienti dall’America, dal Giappone e da diversi altri Paesi, e, come tutti i luoghi di “My Hero Academia”, si chiama come una location di “Star Wars”.
I vari trailer e le descrizioni del film che ci sono giunti nei mesi precedenti sono stati un po’ ingannevoli: la storia non è più di tanto incentrata sul trio Deku-Todoroki-Bakugo, ma è in gran parte un’avventura in solitario del nostro piccolo eroe dai capelli verdi, alle prese con un comprimario introdotto appositamente per questo film, il fuggiasco Rody. È proprio quest’ultimo a rubare la scena a tutti, raccontandosi in tutto il suo passato, i suoi problemi, le sue debolezze, il suo potere (inaspettato e protagonista di scene super toccanti), finendo per instaurare un buon rapporto di coppia col ragazzino giapponese fissato con la giustizia che si è ritrovato tra capo e collo, ma col quale, tra una fuga e un attacco, farà amicizia, imparando a fidarsi. Un po’ ne paga lo scotto la coralità del film: i compagni di Deku, gli alunni della sezione B, gli eroi professionisti ci sono quasi tutti, alcuni vengono creati apposta per il film (quanto è bello l’eroe egiziano!), e ognuno di essi ha un suo breve momento di gloria, ma restano abbastanza in disparte, relegati a poche scene qua e là, a differenza dei precedenti film che risultavano più corali. Li perdoniamo, stavolta, dato che sarebbe stato impossibile condensare in una sola ora e mezza una trama dettagliata con attacchi nemici in svariate nazioni, dovendosi poi maggiormente concentrare su Otheon e sulla vicenda, già di suo abbastanza articolata, di Deku e Rody.
Di contro, i fan di Deku saranno ben felici di vedere un ulteriore tassello della crescita del ragazzino dai capelli verdi: lo avevamo conosciuto cinque anni fa come un ragazzino bullizzato, senza poteri, ma con un grande senso di giustizia, e in questo film sventa praticamente da solo una crisi mondiale, andando direttamente al nucleo del problema e risolvendolo con le sue mani scintillanti di energia verde.
Il cattivo del film si fa maggiormente ricordare rispetto ai precedenti (di cui ci siamo già dimenticati il volto e il nome), se non altro perché il suo essere proveniente dallo stesso pianeta degli alieni di “Blue” degli Eiffel 65 lo fa spiccare a livello estetico, e si sono sforzati di dargli un background, una storia personale convincente e delle motivazioni anche condivisibili, anche se, giustamente, gli fa notare Deku, voler eliminare tutti i possessori di quirk quando tu stesso ne hai uno e lo usi è un po’ ipocrita.
La versione italiana, giunta nei nostri cinema dal 18 al 21 novembre, ci riporta tutto il cast più recente della serie televisiva (Endeavor è dunque Massimiliano Lotti e non più Stefano Albertini come nelle prime stagioni, e un po’ ce ne dispiace), ha qualche errore nei nomi dei personaggi qua e là, ma è stato un piacere poterla ascoltare, soprattutto in sala dopo tanto tempo. Tra i doppiatori dei personaggi nuovi, Patrizio Prata nel ruolo del cattivo non è particolarmente incisivo, risultando probabilmente poco adatto e poco legato al personaggio, con un tono di voce ovviamente bellissimo, ma che ci rimanda ad altri ruoli del doppiatore, senza che Flect Turn sia caratterizzato da qualcosa in particolare. Al contrario, spicca tantissimo il sempre apprezzabilissimo Mosé Singh, che rende Rody alla perfezione in tutte le sue scene, comiche o drammatiche che siano. Anche nella versione italiana (ma non ce ne accorgeremo prima dei credit), possiamo sentire una piccola chicca: la voce dell’uccellino Pino, che fa solo versi e quindi è rimasta uguale all’originale, è una certa Megumi Hayashibara...
Lo Studio Bones ci regala come sempre delle animazioni spettacolari nelle scene di battaglia. Gli Asian Kung Fu Generation ci regalano un paio di pezzi molto belli (tra cui spicca il tema portante “Empathy”) che su “My Hero Academia” però fanno uno strano effetto, in quanto ci ricordano le atmosfere di una serie più quotidiana, per adulti, come un “Odd Taxi”, piuttosto che una storia d’azione fantastica per ragazzi. Yuki Hayashi (sempre sia lodato) ripesca un po’ tutte le musiche orchestrate più famose della serie TV, rivisitandole sempre con un ottimo effetto. Del resto, un “My Hero Academia” senza i suoi iconici temi non sarebbe “My Hero Academia”. Tuttavia, un po’ ci dispiace che il bravissimo compositore non abbia osato ancora una volta: dopo aver dato alle sue creazioni un testo, dopo averle trasformate in musiche tradizionali giapponesi nel minialbum “Yuuseiran” dell’anno scorso, ormai l’asticella delle aspettative era altissima, e un nuovo arrangiamento, sia pure ben riuscito, ci pare un po’ poco.
“World Heroes’ Mission” è il migliore dei tre lungometraggi per quanto riguarda la storia, più articolata degli altri, è toccante, intrattiene ed emoziona, ma gli manca qualcosa, e questo qualcosa probabilmente è proprio la mancanza di “qualcosa di più” a livello musicale/emozionale. Se “Two Heroes” riutilizzava semplicemente gli score della serie TV così com’erano, ma guadagnava punti in quanto prima esperienza di “My Hero Academia” sul grande schermo e prima e ultima occasione per vedere sul grande schermo All Might in tutta la sua imponenza, “Heroes Rising”, che doveva essere l'ultimo film, ha spinto al massimo sull’acceleratore dell’esagerazione, portando ai limiti estremi la mitica “You say run”, ora trasformata in una splendida ballad cantata, e creando un combattimento finale assurdo, spettacolare, irripetibile, impossibile da superare. E, infatti, non ci sono riusciti in “World Heroes’ Mission”, e un po’ sono deluso, perché volevo che anche stavolta mi cadesse la mascella a terra durante lo scontro. Mi ha emozionato tantissimo, così come diversi punti del film, la storia e il personaggio di Rody, la crescita di Deku. Ma la mascella è rimasta lì, ben salda, e la cosa un po’ mi dispiace, lo ammetto.