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Cosa succederebbe se mettessimo un gruppo di mostri mutaforma e ragazzi che li controllano a scontrarsi tra di loro? Qualcosa di figo, immagino, avrà pensato chi ha curato la sceneggiatura del progetto "Cencoroll", che nasce idealmente come trilogia ma che al momento si ferma a due OVA qui riuniti in un unico lungometraggio. Peccato che si sia fermato a questa idea, senza pensare a nessun elemento di raccordo che impreziosisse e valorizzasse questa visione rimasta, appunto, un’opera potenzialmente interessate ma nel complesso abbastanza deludente.

Protagonisti della storia sono Tetsu e Cenco, un ragazzo apparentemente normale il primo, un mostro mutaforma il secondo, la cui esistenza celata al mondo viene disturbata da Yuki, una giovane ragazza che scopre il segreto di Cenco e comincia a frequentare, incuriosita, la coppia. Questa condizione pacifica viene interrotta improvvisamente da Shu, altro ragazzo che come Tetsu controlla un mostro mutaforma, che li attacca causando uno scontro che coinvolge anche Yuki e i dintorni della città in cui si trovano.

E basta più o meno, questo è l’incipit ma di base è anche la sostanza maggiore di cui si compone questo “Cencoroll Connect”, idea interessante e combattimenti belli da vedere in un contesto dove tutto è completa apatia, dal contesto in cui si muovono questi personaggi di cui non sappiamo assolutamente nulla, agli stessi personaggi il cui spettro emotivo varia dal torpore leggero all’apatia pesante, gusci vuoti a cui è veramente difficile interessarsi, complice una storia che ti sbatte in faccia tutti gli elementi principali in dieci minuti e là resta fino alla fine, e parliamo di un lungometraggio di un’ora o poco più che, alla prova dei fatti, sembra durare quasi il doppio. La comparsa di nuovi personaggi nella seconda parte ripropone lo schema iniziale, ma non apporta nulla a livello di informazioni che arricchisca davvero la visione se non provare a gettare le basi per un’eventuale terza parte citata sopra che però non è mai arrivata e che, onestamente, attendo con la stessa indifferenza mostrata dai protagonisti di questo film.

L’unico aspetto che lo salva e lo rende tutto sommato degno di un’occasione è il comparto tecnico che, quantomeno, si pone molto sopra la sufficienza con un design dei personaggi umani semplice, asciutto ma gradevole, un design dei mostri divertente a cavallo tra buffo e inquietante e ottime animazioni durante i combattimenti e i momenti più concitati durante i quali non dico che ci si emoziona, perché i personaggi appunto non ispirano mai sensazioni simili, ma quantomeno non ci si annoia come capita nei momenti precedenti. Buono è anche il doppiaggio giapponese affidato a nomi rilevanti dell’industria come la divina Kana Hanazawa, Hiro Shimono e Ryohei Kimura, mentre non sono rimasto colpito particolarmente dalla colonna sonora che si è amalgamata rapidamente alla mediocrità della sceneggiatura che serviva.

Non voglio criticare ulteriormente il lavoro di Atsuya Uki che in questo progetto evidentemente ci credeva e ci si è impegnato a fondo curandone ogni elemento, dalla sceneggiatura al character design fino alla regia, e considerando che tra il primo OVA e questo film che lo unisce al secondo sono passati anche dieci anni è probabile che sia stato anche difficile trovare i fondi che permettessero di lavorarci nel modo migliore; non posso che ammirare tanta abnegazione, pur conservando l’opinione da fruitore finale che questo film mi è sembrata un’opera modesta e complessivamente dimenticabile in quasi ogni suo aspetto, un divertissement per i fanatici della pura tecnica dell’animazione in quanto tale.