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Film leggendario, uno dei più grandi successi di Kurosawa in patria e anche all'estero (tanto che Hollywood ne fece un remake, I magnifici sette, anch'esso di qualità e successo), si può analizzarlo a partire dai contenuti, che lo rendono un inno alla solidarietà tra esseri umani.
Ambientato in un periodo assai turbolento della storia giapponese, Kurosawa mostra una società che sembra allo sbando: contadini poveri e angariati da torme di briganti, provano a cercare aiuto rivolgendosi ai nobili samurai, che però si rivelano troppo spesso uomini tronfi e arroganti, attaccati solo al denaro e che quindi scacciano in malo modo i contadini che possono pagare solo offrendo riso. In mezzo a tanto squallore materiale e morale, c'è finalmente un raggio di speranza grazie all'incontro col saggio Kambei Shimada, figura autorevole ed esperta che possiede la dote che ogni vero essere umano dovrebbe avere, ossia la compassione per la sofferenza altrui. Kambei accetta e decide di assoldare altri 5 samurai per il duro compito da svolgere e a questo gruppo si aggiungerà anche il buffonesco Kikuchiyo (interpretato dal grande Toshiro Mifune) che rappresenta l'unione tra le due classi sociali: un contadino autoproclamatosi samurai e che poi verrà accettato come tale dagli altri, una scelta rivoluzionaria da parte del regista ma indispensabile per la sua visione di solidarietà umana, che vuole andare oltre gli steccati sociali.
Mentre ci si organizza per la difesa del villaggio, difesa a cui i contadini dovranno partecipare attivamente, vengono poi offerte occasioni per conoscere sia i samurai, che incarnano ciascuno una determinata caratteristica del vero guerriero, e soprattutto i contadini, e il regista riesce a ben trasmettere quanto sia faticosa la loro vita e quanto sia importante per loro ciò che coltivano.
Quando poi si svolgerà la sfida di samurai e contadini contro i banditi, sfida mostrata attraverso tre attacchi al villaggio (e in queste occasioni Kurosawa può dimostrare la sua abilità nel costruire scene di combattimento) si giungerà al finale, lieto e insieme mesto: da un lato i contadini felici di poter finalmente ricominciare a vivere, dall'altro la mestizia dei tre samurai superstiti, consapevoli che a loro non è rimasto niente. Eppure la loro impresa non è stata inutile, perchè hanno non solo salvato i contadini, li hanno anche aiutati ad essere forti per il futuro. Da qui la grandezza epica dei samurai, consapevoli che sarebbe finita così eppure hanno compiuto lo stesso il loro dovere, perchè le persone in difficoltà vanno aiutate.
Sul piano tecnico c'è da notare la maestria di Kurosawa nel saper dirigere vari generi: il dramma, la tensione prima della battaglia, il combattimento, il respiro epico, l'umorismo picaresco, tutti mostrati con una grande naturalezza priva di retorica.
In mezzo ad un ottimo cast primeggia Toshiro Mifune, che col suo personaggio sa passare molto bene dal comico al drammatico (come nella scena in cui salva un bambino da un incendio e scoppia poi in lacrime perchè a lui da piccola era accaduta la stessa cosa).
Insomma, è un titolo grandioso da rivedere e rivedere.