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Un’inconsueta pesciolina rossa dal volto umano lascia gli abissi, il padre ignaro e le piccole sorelline avventurandosi in direzione della superficie. Imbattutasi nei primi segni della vicinanza dell’uomo non tarda a mettersi nei guai, che assumono l’esatta forma di un barattolo di vetro. Immobile sul pelo dell’acqua, ormai prossima alla riva, viene raccolta da Sosuke, un bimbo di 5 anni sveglio e generoso.
E..

E spero di cuore vi riesca di farvi bastare questo brevissimo accenno alla trama, perché quel che mi preme esprimere nelle righe a seguire è tutt’altro.
«Inizia, inizia !
Che meraviglia..»
Pochi istanti, i primi.
Ad accogliermi quella che istintivamente identifico essere un’illustrazione. Quei pochi istanti di viaggio necessari, probabilmente, ad abituarsi alle profondità del mare da cui la storia trae inizio. La sensazione, iniziale ma che prende vigore fotogramma dopo fotogramma, è che in ogni sequenza vi siano due narrazioni: i personaggi, caratterizzati nella loro vitalità, speciale o quotidiana che sia, ci guidano lungo la sceneggiatura...
Laddove, silenziosamente, ogni fondale pulsante di colori tracciati visibilmente a matita ci racconta invece di quel mondo. Ed è un mondo che molto ha di fiabesco in ogni superficie, una realtà che pare non aver bisogno di spigoli, rigide ed esatte squadrature, angoli...
Bensì la morbidezza, la rotondità sembrano accompagnare ogni elemento contestuale. E così mi imbatto in una casetta, semplice e divertente, ingenua forse ma, sicuramente, desiderabile, che sembra ergersi gommosa e ben accolta dal limpido cielo che la sovrasta. Poi, un’automobile, piccola piccola, che si concede persino di balzare sulla strada tanto va di fretta. Ed il Mare, come un estesissimo lenzuolo pullulante di personcine che, al di sotto, ne provocano ogni onda agitandosi con la testa. E quante fantastiche striature colorate, ovunque ! La storia, sapete, mostra personaggi d’ogni età: bimbi, uomini e donne, anziane signore...
Ma fra una madre energicissima, vispa ed orgogliosa e vecchiette capricciose o candidamente allegre, è lecito pensare che sotto sotto siano un po’ tutti bambini nel cuore e che, magari, sia proprio quello il requisito necessario a meritarsi una realtà così..
Così.
Bella !

In effetti, dall’adattamento, mi sembra esser uno soltanto il personaggio che lascia emerger la propria consapevolezza, la propria esperienza, attraverso un parlare forbito e puntuale. Si tratta di quell’unico personaggio, fra tutti, che mi sentirei di identificare come unico vero adulto, specie per le apprensioni che lo accompagnano. Parlo di Fujimoto, il padre della nostra piccola pesciolina rossa. Assisto ad un rapporto madre-figlio dalle gradevolissime sfumature fraterne, un tepore familiare che arriva ad investirmi, letteralmente, quando mi vien mostrato che gran delizia possa essere un caldo bicchiere di the addolcito col miele.

Sosuke e Ponyo - che volutamente ho mancato di identificare, sinora, per quanto inutile possa essere stato come espediente - mi sorprendono, molto spesso, per la sincerità e verosimiglianza dei loro gesti infantili.

Mi è capitato di non leggere, qui e lì, determinati accenni alla colonna sonora. E non è così strano:
la musica sembra un ulteriore velo di colore steso da una mano assolutamente non diversa da quella che, probabilmente sognante, ha tracciato questo mondo. In particolare, però, vorrei segnalare il fatto che l’accompagnamento sonoro di una certa sequenza, dinamicissima e nel suo piccolo epica, mi sia parso d’ispirazione particolarmente “wagneriana”.
Sì, insomma, anche le orecchie trovano serenità. Non fraintendetemi, però, per favore. Non oso tracciarvi le intenzioni di quel grande artista che conosciamo, né mettervi nelle condizioni di poter giudicare anticipatamente l’opera in questione attraverso le mie parole. Né, poi, stilare una fantomatica classifica che la ponga a confronto con i suoi illustri predecessori. Questo è solo, e niente di più, il diario di un viaggio durato poco più di un’ora, che tanto mi ha lasciato stranito quando, dopo esser uscito dalla sala ancora oscurata, mi son imbattuto nelle prime rigide linee dell’ambiente esterno.
E i difetti ci sono.
Sicuramente.
Ma perché parlarne se non ne sento la necessità?

Tante parole, tutto sommato, per dir tutto e niente.
La miglior recensione l’ho ascoltata durante l’opera stessa quando un bambino, accanto al padre qualche fila più in basso di me, ha esclamato a viva voce: «Uao, papy !»