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Non sono un esperto di musica ma avendo vissuto quegli anni posso dire che i Linkin Park hanno probabilmente due meriti: il primo è aver avvicinato giovani generazioni di ascoltatori all’inizio del nuovo millennio coi loro primi bellissimi due album a un sound commerciale ma allo stesso tempo più duro e graffiante della media proposta dal mainstream dell’epoca, principalmente radiofonico mancando tutti gli sbocchi sul web che esistono ora; il secondo è aver fatto la fortuna, insieme a “It’s my life” di Bon Jovi, di migliaia di creatori di AMV su Dragon Ball che impazzavano in quegli anni e che erano pronti ad esplodere da lì a poco con l’avvento di Youtube.
Ma i Linkin Park non hanno incrociato l’animazione giapponese solo per queste vie traverse ma anche in chiave ufficiale grazie al video musicale del loro ultimo singolo estratto dal secondo album in studio, “Breaking the Habit”, opera dello studio Gonzo e diretto dal DJ membro stesso della band, Joe Hahn. Curiosamente “Breaking the Habit” è un pezzo più ‘morbido’ del loro repertorio, melodico e dall’ampia strumentazione tra chitarre, basso, pianoforte, ma privo dei riff distorti o delle parti rappate di Mike Shinoda (autore comunque del testo) visto che il peso vocale è affidato tutto alla buonanima del frontman Chester Bennington. La canzone in sé è una stregua di grido d’aiuto da parte di chi soffre senza capirne davvero il motivo, come in preda a una tipica depressione, di chi “non riesce a capire se c’è qualcosa per cui valga la pena lottare o urlare per ribellarsi” ma alla fine prova comunque a destarsi, spezzare il cerchio, rompere la routine o, appunto, “Breaking the Habit”.
Il video musicale riflette questi contenuti mostrando diverse figure alle prese con problemi più o meno gravi della loro esistenza concentrandosi alla fine proprio sulla figura del frontman Chester, o meglio sui suoi ultimi momenti prima di suicidarsi, evento che viene fatto intuire ma non mostrato direttamente, nei quali è impegnato a cantare la canzone sul tetto di un edificio insieme ai membri della band, una sequenza notevole realizzata al rotoscopio, ricalcando quindi i movimenti fatti effettivamente dai Linkin Park esibendosi nel loro pezzo e registrati dal vivo. La resa grafica del video è molto scura, sporca, con colori opprimenti che trasmettono immediatamente un senso di pesantezza e sofferenza, mentre il design dei personaggi sembra poco ‘giapponese’ passatemi il termine, più realistico che stilizzato con classici occhioni e poche linee del viso.
Il risultato di questo lavoro è un video musicale di grande impatto, non per niente vincitore di un Mtv Video Music Awards come più apprezzato dal pubblico nel 2004, che ancora oggi rende fama e giustizia a una canzone non tra le più famose e celebrate della band ma comunque meritevole di apprezzamento oggi come allora, un lascito a ricordo dell’unico membro oggi scomparso che ironicamente muore anche nel video e un’ulteriore testimonianza dell’impronta lasciata dai Linkin Park sulla scena musicale mondiale con quei due indimenticabili album di inizio millennio.