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Ciò che rese Mononoke un anime unico fu la sua meravigliosa direzione artistica, con i suoi sfondi, i suoi colori, la minuziosa attenzione ai dettagli, capaci di creare ambientazioni e atmosferiche psichedeliche, anticlimatiche (colori luminosissimi quando dovrebbe essere buio, colori cupi quando dovrebbe esserci la luce), irreali. Tutto ciò insieme alla narrazione che punta molto sulla tensione, sull’angoscia e sulle paure presenti nella psiche dei personaggi, la rende a mio modesto parere la miglior serie horror mai realizzata nell’animazione giapponese. Ciononostante, la serie non ha mai avuto grande popolarità (ricordo poche centinaia di visualizzazioni su VVVVID), per cui l’uscita di un film dopo più di 15 anni è sicuramente qualcosa che ha generato in me fermento.
Aspettative che sono state sicuramente rispettate, perché questo film lo si potrebbe definire, permettetemi l’espressione, una versione sotto steroidi del Mononoke che abbiamo visto in passato. Un ricchissimo caleidoscopio di scene spettacolari, allucinanti e allucinogene con colori che, pur ricordando sempre quelli dei dipinti a mano tradizionali giapponesi, sono molto più saturi e accesi e contribuiscono a rendere questo film a prova di disturbo dell’attenzione poiché ogni scena presenta decine di stimoli, tutti realizzati nel minimo dettaglio. Ciò ha però anche come conseguenza il fatto che, subito dopo la sua visione, ho sentito un bisogno di doverlo rivedere, perché a primo sguardo non è possibile avere una visuale chiara e completa di tutto ciò che è presente. Io ad esempio, che sono amante dei background in generale, ma anche dell’arte tradizionale, mi concentravo molto sui bellissimi disegni sui pannelli delle porte del palazzo e dunque man mano durante la visione ci si potrebbe perdere dei dettagli.
Ad essere amplificato all’ennesima potenza è anche il ritmo della narrazione, elemento per cui il film si discosta maggiormente dalla serie, della quale io amavo molto anche la sua lentezza, i tempi che si prendeva nelle battute, nei respiri dei personaggi… Qui invece il ritmo è molto serrato e richiede un certo impegno per stare al passo poiché il film è anche molto simbolico e metaforico.
*SPOILER*
In particolare, sono rimasto molto colpito dall’utilizzo del termine “seccarsi”, “乾いてしまった” (Kawaite shimatta, seccarsi / asciugarsi come conseguenza di qualcosa) nell’originale, che Kitagawa (la donna scomparsa e che noi vediamo come mononoke o come fantasma dal punto di vista di Asa) utilizza per descrivere il suo stato d’animo nell’ultima parte della sua vita nell’ooku, un rimando al fatto che le donne lì siano definite come fiori (fiori che sono molto presenti anche fisicamente nel film) e in un certo senso anche per spiegare l’effetto che il mononoke avrà sulle sue vittime, prosciugando i loro corpi. Sensazione che, per quella che è la mia interpretazione (come detto il film è volutamente criptico), Kitagawa avverte perché nella sua scalata gerarchica ha lasciato indietro delle cose importanti, ha trascurato gli affetti e le passioni; infatti, utilizza questo termine nel momento in cui fa cacciare una sua amica per non avere distrazioni nello svolgere il suo lavoro, per cui cade in uno stato depressivo, perde i ruoli di prestigio e perde la vita, probabilmente lanciandosi nel pozzo. Da qui la trasformazione in mononoke. La sequenza che ci racconta questa storia, con un turbinio di scene in cui chiunque e qualunque cosa sembra cadere in questo pozzo e che culmina con l’urlo collettivo, l’ho trovata eccezionale nonostante richieda più di una visione per comprenderla. Dopodiché parte un combattimento mozzafiato tra il protagonista e il mononoke.
*FINE SPOILER*
Protagonista che ha avuto una gestione leggermente differente rispetto alla serie, poiché qui è un po’ in secondo piano e si limita ad agire con l’azione come conseguenza degli eventi dell’ooku. Invece nella serie, per quanto anche lì sia passivo per la maggior parte del tempo, per giungere alla soluzione egli ci metteva il suo zampino anche attraverso un sapiente utilizzo della parola.
Infatti io ci rimasi male quando Takahiro Sakurai dovette rinunciare al ruolo, poiché la sua interpretazione in Mononoke è una delle mie preferite in assoluto. Invece lo speziale ha qui poche battute, per cui si avverte meno il cambio con Hiroshi Kamiya. In ogni caso, trovandolo un personaggio molto affascinante, mi piacerebbe che sia un po’ più presente nei successivi film, che attendo con trepidazione perché se dovessero mantenere questo livello tecnico (segnalo anche un sapiente uso della cgi), se dovessero riuscire ad approfondire ciò che è stato lasciato scoperto (es. il personaggio biondo) e dovessero continuare a raccontare qualcosa di profondo come in questo film, ci potremmo trovare di fronte a una trilogia capolavoro.
Faccio i complimenti a Kenji Nakamura e a tutto lo staff per l’audacia e l’abilità con cui è stato realizzato un prodotto del genere